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Menti in moto
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E-book249 pagine2 ore

Menti in moto

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Info su questo ebook

PUM!, poi si acquieta e rilancia in pancia la lancia in resta di due in fila per tre, e mettiamoci anche il purè, pure lui, patate passate, di moda in Germania, coi crauti, salsicce mollicce e wurstel senza pelle, che palle! i tedeschi, germanici, teutonici, tellurici, diuretici, poveri di sodio, albini, si svegliano presto i crucchi, truccati da biondini ossigenati, fanno le guerre, le perdono, fanno le birre, le bevono, si scaldano, abbattono le mani e affischiano gli aerei turbocompressi, mentre noi truciolari ci stagliamo nel cielo dei ricordi, di gente morta, mirti e collane, Marta e Maria, omertà silente, sì è lente, stringila al cuore e portala con te, baro ne, marche se, se viene e se va, allacciatevi le bretelle! si parte, destinazione ignifuga da Alcatraz, sticaz e polpette di tette, poppe al vento e lampredotto.
"Ti pare bello vomitare nel piatto?" chiese seccato.
"Volevo vomitare nel bicchiere ma l'ho mancato"

LinguaItaliano
Data di uscita30 dic 2015
ISBN9781310143496
Menti in moto
Autore

Andrea Falesi

Nato a Roma nel '66, musicista poli strumentista, ha pubblicato tre CD: "le occasioni perdute" 2011, "rivoluzioni" 2013 e "una vita di troppo" 2014. "Menti in moto" è il suo primo libro.

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    Anteprima del libro

    Menti in moto - Andrea Falesi

    Prefazione

    Ho sentito raccontare una volta che Andrea Falesi, camminando per le strade di Torino, si è fermato davanti a un busker che suonava con lo slide una chitarra ottenuta da una scatola di alluminio, gli ha chiesto in prestito lo strumento, si è seduto e ha fatto tornare il blues in città per qualche minuto. Il cielo è diventato viola.

    Le leggende circondano e accompagnano soprattutto le persone molto particolari, speciali, solitarie. Falesi è una di queste persone tanto quanto è da sempre uno scrittore geniale. È divertente. Fa commuovere. Sono termini banali ma sono il centro dell'anima dei veri artisti. Pur essendo un ottimo scrittore di canzoni, e quindi avendo dimestichezza con la parola che danza, questo irriverente romano-toscano ha un modo di buttare giù la prosa che lascia rapiti. Potrebbe scrivere senza trama e lo si seguirebbe lo stesso avvinti. Ma nei suoi racconti le cose accadono, continuamente, sono oneste, spiazzanti, senza chiedere nulla in cambio, senza vergogna. Esattamente come lui.

    Ecco, direi che Andrea Falesi è libero. E leggendo i suoi scritti si respira una libertà che fa bene al respiro. Sono storie di una volta, pur essendo cose decisamente contemporanee. Robe rare. Le parole nei versi sono importanti tanto quelle che non ci sono. Le idee alla base di tante situazioni sono frutto di una bellissima cosa che Andrea ha, aldilà della sensibilità: il cervello. Impossibile non considerare questa raccolta uno dei libri consigliabili un po' a chiunque. Chiunque abbia voglia di gustare parole scritte su una pagina, e respirare.

    Gian Luca Mondo

    All'arrembaggio

    Per la miseria, un libro… devo scrivere qualcosa di interessante, persone da tutto il mondo lo compreranno e vorranno leggere cose spiritose, acute, nuove, non banali, personali quanto basta, magari un po’ sconce. Mica facile scrivere un libro… devi curarlo, promuoverlo, sponsorizzarlo, accudirlo, correggerlo, farlo leggere. Comincia a starmi sulle balle 'sto libro…

    Comunque, vediamo di scrivere qualcosa di memorabile: potrei parlare di quando cascai dalle spalle di Barbara, avevo sei o sette anni, e mi spaccai la fronte in un vaso di cemento, eravamo, io e Barbara, nel piazzalino davanti a casa. Potrei. O potrei raccontarvi di quando nello stesso piazzalino, Roberto mi fece gambetto e cascai sulle scale di marmo rompendomi i due incisivi superiori. Come uno gnocco. Ripensandoci adesso, meno male che ho cambiato casa, altrimenti non ci arrivavo a 50 anni in quel piazzalino. Già, cambiare casa: c'è qualcosa di peggio (a parte non averne una)? Lasci i muri, la carta da parati, i rubinetti del bagno, le doppie finestre, la ringhiera del balcone; abbandoni i pavimenti, gli stipiti, gli odori, i ripiani degli stanzini, le puntine da disegno che fermano gli appunti nel cervello; saluti i campanelli, le cassette delle lettere, i lampioni spenti, i cancelli arrugginiti, i pergolati di uva acerba, le cucce dei cani dei vicini.

    Già, un libro ti costringe a ricomporre il caleidoscopio della vita, a risistemare i tasselli di un puzzle monco, a cui manca (per questo è monco) sempre un pezzetto e te ne accorgi sempre solo alla fine; quel pezzetto di puzzle è il domani, e io lo cerco ovunque; forse è caduto dietro il computer, sotto il mobile in sala, o sotto il sedile in macchina; magari è rimasto nascosto dai libri, o in mezzo ai vinili; nella custodia della chitarra non c'è, c'ho guardato ieri, un domani, per quanto banale possa essere, l'avrei visto. Non è nemmeno in cantina, stracolma di foto, ricordi, amori, amici, morti. Ma neanche un domani, nemmeno uno piccolo piccolo. E il dubbio mi assale: non sarà che l'ho lasciato nella moto, quella che ho venduto? Cerco di fare mente locale, effettivamente potrebbe essere rimasto nella fiancatina coi documenti, magari nascosto dal foglio complementare. Accidenti, se lo sapevo, chiedevo un prezzo più alto...

    quanto può valere un domani? Coi tempi che corrono, con questi chiari di luna, un domani tranquillo come era il mio, potrebbe valere anche parecchio. Io me lo ricordo bene il mio domani, era davvero ben fatto, calcolato a puntino, previsto con precisione e accortezza, non era un domani qualunque, raffazzonato e alla carlona, no, il mio domani era un domani radioso, felice e sublime. Mi vedevo Re, Imperatore, grande successo, felicità, fama, amore... quanto amore c'era nel mio domani, pieno fino all'orlo, e quante risate, amici, quanta fortuna, quanta bellezza... un domani da non perdere; e invece, l'ho perso e non ricordo neanche dove. Forse l'ho perso quel giorno a 16 anni dietro una bara, o forse l'ho dimenticato a scuola, o magari l'ho lasciato da lei, con la stima di me stesso e quella cosa inutile e faticosa da portarsi sempre dietro: la dignità. Sarà bene che ritrovi il mio domani, anche perché oggi mi ha stancato, ieri mi è sempre stato antipatico con tutte quelle menate sull'era meglio, era peggio... era come era. 

    Ma che stupido! Adesso mi ricordo, il domani è in camera dei miei figli, l'ho lasciato sulla nave dei pirati; devo fare presto, prima che salpi per una nuova scorribanda. Aspettami Morgan, aspettami Corsaro Verde, eccomi che arrivo! All’arrembaggio.

    24 Aprile 2003

    L'acqua sta calando, la grotta è ormai mezza vuota. Fratello ho paura che stia suonando per noi la nostra ora. Com'è la situazione là fuori? Brutta, molto brutta. Siamo circondati e non tarderanno molto ad attaccarci. Possiamo difendere in qualche modo la nostra posizione? Ci vorrebbe un miracolo. Ma dico li hai visti? Sì. Ho sporto un poco la testa e li ho visti. Sono alti come dei giganti. E sono verdi. Con una orrenda maschera al posto del volto. Come nei peggiori incubi. Mi sento come Ulisse nella grotta del ciclope Polifemo. Esatto. Ma questo non è un incubo fratello mio. Abbiamo condiviso così tanto: il cibo, lo spazio, l'amore, e adesso cosa sarà di noi? Non lo so. Ti ricordi quando... cos'è questo rumore? Non sembra un rumore, sembra una musica... guarda fuori... vedi che sta succedendo.

    Ma appena mio fratello mise il capo fuori dalla grotta, lo vidi contorcersi tutto. Stava disperatamente cercando di resistere all'assalto dei giganti. Lo avevano afferrato e stavano cercando di trascinarlo all’esterno. Contemporaneamente la grotta cominciò di nuovo a tremare, come già era successo altre volte. Mi avvinghiai a lui e riuscii a riportarlo dentro. Era stravolto dall'emozione, rosso in viso e respirava a fatica. La grotta smise di tremare, dopo qualche minuto ci riprendemmo.

    Me la sono vista brutta. Qualcuno mi ha afferrato per la testa e subito ho visto accorrere cento mani, enormi, viscide, biancastre, e li ho sentiti urlare come assatanati. Una lingua che ricordo di aver sentito ma che non comprendo. Ma chi sono questi esseri? Che vogliono da noi? Perché non ci lasciano in pace? Presto avrai la risposta a tutte le tue domande. Questa strana calma non mi piace…

    Aveva ragione. C'era un che di angosciante nel silenzio che si era venuto a creare dopo l'assalto dei giganti. Non c'era da aspettarsi che rinunciassero così al primo fallimento. Si stavano organizzando. E la conferma ci venne pochi minuti dopo. All'improvviso si squarciò il soffitto della grotta e dal soffitto violato due grandi mani afferrarono il mio povero fratello e lo portarono via. Mi sporsi quel poco che bastava per vedere l'orrendo spettacolo di lui preso per i piedi e sventolato come vittima sacrificale in mezzo agli orrendi giganti verdi. Mio fratello piangeva e urlava e loro festeggiavano con urla e gesti tanto sgraziati quanto terribili. Sapevo che sarebbe toccato a me adesso. Senza più il riparo fornito dalla volta della grotta non avevo il minimo scampo. Mi afferrarono e mi tirarono su e anche per me iniziò quel rito barbaro che segue la cattura. Appeso a testa in giù, nudo e sporco, piangente e disperato. Cosa sarebbe successo adesso? Ci misero uno accanto all'altro mentre si affaccendavano intorno a noi con frenesia. Iniziammo a piangere e a urlare più forte che potevamo, potevamo solo fare questo: piangere, piangere, piangere...

    Sentili come piangono. Tutto bene, stia tranquillo: due splendidi gemelli. Abbiamo tentato il parto naturale, ma è stato necessario praticare un cesareo, che è praticamente la norma in questi casi. Su, si metta anche Lei il camice verde e venga a vederli, sono in quella stanza per la pesatura.

    Gli alberi muoiono in piedi 1 Cerca di metterti nelle mie penne

    Eccomi qui, mi presento: il mio nome è Cuore d’Oro, sarei una persona normalissima e probabilmente insignificante se non avessi una caratteristica unica; ancora oggi non so se definirla un dono, una iattura, un non so che. Per farla breve, il tempo stringe, cercherò di farvi capire quello che mi capita da quando ero bambino: mi immedesimo. Embè, direte voi, tutto qui? Sì, e no. Tutto qui, nel senso letterale del termine, tutto in me, per chiarire il concetto. Non mi capita sempre e non mi capita con chiunque ma quando mi capita, mi immedesimo talmente tanto che divengo io stesso l’altro.

    La seconda volta che successe, capitò al lago, un laghetto in verità, con le panchine intorno e le papere che girellavano a pelo d’acqua. C’era quella volta una mamma papera con tanti anatroccoli e mi misi a fissarne uno, in fondo al gruppo. Pian piano sentii un formicolio salire dai piedi, su fino al naso, e quando tentai di grattarmi il braccio non si mosse. Chiusi gli occhi e riaprendoli mi trovai nell’acqua, a galleggiare fra altri piccoli paperotti. Vidi le loro piume marroni sfiorarmi il becco, sentii per prima cosa il contatto coll’acqua, poi, il senso di tranquilla protezione che mia madre papera mi dava guardandomi mi lasciò completamente sereno, il suo richiamo soave e dolcissimo, i miei pensieri di anatroccolo che roteavano giocosi nella mia testolina pennuta. 11 fratellini, tutti simili, ma quante differenze fra noi: sapevo che Primo era il più pigro, Terzo era quello più curioso, Sesto il più goloso. Io, Nono, ero certamente il più triste. Sarei dovuto essere Decimo, ma il nostro dodicesimo fratellino era morto nell’uovo. Possibile che agli altri non importasse di (lo chiameremo per capirci) Dodicesimo? Eravamo stati insieme con (lo chiameremo per capirci) Dodicesimo per tante settimane nel nido, dentro l’uovo, uno accanto all’altro, potevo sentire il suo cuoricino che batteva proprio come il mio. Poi più niente, la mamma lo abbandonò, morì di freddo dentro il suo uovo-tomba.

    L’acqua scorrendo sotto di me mi faceva il solletico, non era fredda, diciamo che non dava alcun fastidio, ma a me non piaceva tanto nuotare. Io volevo volare. Vedevo papà e mamma che ogni tanto si alzavano in volo, non senza qualche difficoltà. Quanto avrei dovuto aspettare? Provavo a sbattere quei moncherini di ali e non ottenevo altro che schizzi e derisione. I miei fratelli saggi sapevano che aspettare è necessario e per niente pesante se lo scopo da raggiungere è elevato. Ma io volevo elevarmi da solo, senza dover attendere che i miei genitori, la mia età, il mio corpicino fossero tutti pronti. Io lo ero già, fin da quella prima volta che osservando un piccione, o un colombo, o non so bene, pian piano mi trovai fra mille piccioni in una piazza assolata e cominciai a sentire il desiderio del cielo. Mi ero sempre chiesto come facessero i piccioni a camminare spostando il collo avanti e indietro a ritmo dei loro passettini, come potevano vedere chiaramente con tutto quel ballonzolare. Ebbene, lo fanno semplicemente, e funziona. Da piccione, o colombo, o non so bene, la vita è uno schifo, non lo avrei mai creduto, ma è proprio così. Un bimbo della mia età (quando non ero ancora piccione) mi rincorreva urlando, e io so cosa voglia dire urlare, sono un primatista dell’urlo quando sono bambino, ma da colombo è terribile avere dietro un bambino che urla; ti gela il sangue, senti il sapore della morte… schiacciato dai piedi di un bimbo urlante e ferocissimo, spennato e decapitato, come tanti miei simili quel giorno in piazza durante la disinfestazione. Tutti morti, decollati ma senza volare. E che schifo i posti in cui tocca vivere, i buchi nei muri pieni di guano, i davanzali col veleno e le trappole, tutto per noi poveri piccioni, o colombi, o non so bene. Ma c’è qualcosa che vale la pena di fare ed è volare; e ti senti un gabbiano, o un falco o non so bene. E punti le nuvole e punti diretto il sole , volteggi e non cadi e non soffri di nessuna vertigine, perché nessuna vertigine è più vertiginosa dello stesso volare. Per questo essere stato piccione sapevo il sistema per riuscire a spiccare il volo, ma il mio corpicino di anatroccolo no; non era un piccione, non era neanche un falco, era solo una piccola barchetta piumata, che poteva solo farmi stare a galla e non patire il freddo. Non molto direte per chi ha assaggiato il cielo. Poi nel tranquillo pomeriggio sul laghetto fra gli alberi si udì un fragore, un tuono, uno scoppio. Sentii che quel suono in modo ancestrale mi terrorizzava, vidi per qualche secondo scene orrende di anitre morte, uccise a colpi di fucile, che cadevano al suolo con strida disperate, fra le piume e il sangue, rosso e puzzolente, e piansi, un pianto così singhiozzante che rischiai di affogare. Non avrei mai creduto che un anatroccolo potesse piangere tanto intensamente. Smetti di grattarti il naso o te lo staccherai mi disse mia madre, mentre mi portava per mano alla macchina. Ero tornato. Ma non ero più lo stesso.

    Gli alberi muoiono in piedi 2 Come le mosche al miele

    Potersi immedesimare in chiunque non è cosa di cui vantarsi troppo. Sulle prime potrebbe sembrare una sorta di dono, ma in realtà è seccante, soprattutto perché non puoi decidere né il quando né il chi. Almeno io non ci riesco. Ci sono volte che vorrei divenire una cosa precisa, chessò un grande navigatore, una pantera nera, un extraterrestre, Dio in persona. Ma non mi è dato scegliere. E che dono è mai questo allora? Un dono reale e completo ti deve permettere di poter esprimere la tua volontà, dar ampio sfogo alla tua fantasia. Io invece posso solo accettare questa giostra: un tal giorno, alla tal ora, mi trasformerò in qualcosa, fino a che tutto ciò vorrà succedere. Poi, basta. Un dono strano, vi dicevo; senza dubbio interessante, ma anche non richiesto. Volete un esempio di quanto possa essere frustrante questa mia capacità iper empatica? Va bene, eccovi serviti. Qualche anno fa, durante una primavera particolarmente calda, andammo con la scuola a visitare lo zoo. Un bellissimo, tristissimo, crudele zoo. Dopo il pranzo al sacco, saranno stati 30 gradi, ci portarono a veder (soffrire) gli orsi bruni. In fondo a una vasca vuota, stavano due grandi animali, addossati al muro con le zampe posteriori in alto, il muso lasciato cadere di lato, gli occhi chiusi. Sembravano morti, neanche addormentati. Solo lo scuotersi di scatto della grossa testa, per scacciare le mille mosche che avevano intorno, noiose e dispettose, era la conferma che erano in realtà ben vivi e non corpi in decomposizione. Che caldo che dovevano avere, se anche io in maglietta, pantaloncini

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