Il fantasma del mulino
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Anteprima del libro
Il fantasma del mulino - Patrizia Candiotte Chincaro
contare
Jack
Avere una sorella era una sciagura grandissima, pensava Leonardo. E avere una sorella minore era anche peggio. Ma il peggio del peggio era quando la tua sorella minore ti veniva appioppata tutte le volte che andavi in giro con il tuo migliore amico, e allora non potevi fare cose come arrampicarti sulle montagne di terra e scendere scivolando, o fare le gare con la bici. La cosa brutta, poi, era che la sorella non era nemmeno sua. Era di Michele, per l’appunto il suo migliore amico.
Leonardo e Michele andavano in classe insieme dall’asilo, e l’estate appena iniziata si prospettava carica di avventure da raccontare al loro ritorno a scuola. Se non fosse stato per Pamela. Lei aveva solamente sette anni, invece loro ne avevano nove, e Leonardo proprio non capiva come mai Pamela non potesse rimanere a casa sua a fare cose da femmina. Giocare con le bambole per esempio, o strillare tutte le volte che i maschi si avvicinavano. Le femmine erano noiose, con loro non potevi mai giocare a cose divertenti e non le potevi nemmeno picchiare se ti davano fastidio. Sua mamma diceva sempre: «Le femmine non si toccano nemmeno con un fiore.» Be’ non doveva preoccuparsi. Se fosse stato per Leonardo non sarebbero esistite femmine a parte le mamme, le nonne, e la sua maestra preferita, Giovanna, che insegnava storia.
Era l’estate del 1996 e nei paesini di campagna della pianura lombarda il caldo era umido ma non soffocante come in città. Michele e Leonardo erano gli unici della loro scuola a non essere partiti per le vacanze e i giorni estivi si erano velocemente trasformati in routine. Dopo pranzo si trovavano davanti all’entrata dell’oratorio e passavano il tempo al parco, gironzolavano in bici o andavano a esplorare luoghi in cui i loro genitori gli vietavano di andare, quelli troppo vicini alla strada principale perché «le macchine passano a tutta velocità, e poi chissà chi ti trovi lì!», oppure le campagne dove le case erano più rade.
Erano da poco passate le quattro del pomeriggio quando i tre bambini si allontanarono dalle case per arrivare in vista di alcuni capannoni industriali che rimanevano spesso chiusi. Se si passava di fianco ai capannoni e oltre si trovava un piccolo ruscello e una radura. Tutti quanti sapevano che i loro genitori avrebbero dato fuori di matto se li avessero visti arrancare sulla stretta stradina sterrata che portava al boschetto, di fianco alla quale c’era solo un dirupo profondo un paio di metri e poi campi a vista d’occhio. Per questo era il loro posto preferito.
«Io l’ho visto che si può fare», stava dicendo Pamela quel giorno mentre si incamminavano verso i capannoni. «L’ho visto in un film in tv.»
«Appunto, quello lo fanno solo nei film», replicò seccamente Leonardo facendo andare su e giù lo yo-yo. Era un regalo di suo papà, uno yo-yo di legno dipinto di rosso con due fulmini che si incrociavano su entrambi lati. Leonardo lo aveva da qualche mese, ed era diventato molto popolare in classe quando aveva imparato a fare certi trucchi.
I bambini stavano discutendo sul fatto di costruire una casa sull’albero nella loro radura e, anche se gli sarebbe piaciuto, non avevano la più pallida idea di come iniziare. Servivano dei chiodi e del legno ma non potevano dirlo ai grandi, altrimenti avrebbero dovuto spiegare come mai gli serviva. I grandi chiedevano sempre spiegazioni su tutto.
«Michi, si può fare vero?» Pamela si rivolse al fratello e gli tirò la maglietta.
«No, ha ragione Leo. Intanto come facciamo a portare delle assi di legno lì? E poi servono chiodi e martello, dove li prendiamo?»
Il volto di Pamela si contrasse e lei prese a camminare guardando terra, le sopracciglia corrugate e la bocca arricciata in una smorfia.
Leonardo scambiò con Michele uno sguardo d’intesa. Ogni tanto era meglio farle notare che loro erano più grandi. E poi siccome erano amici, dovevano darsi manforte.
«Però possiamo…» Pamela s’interruppe, udendo grida e schiamazzi vicino ai capannoni. «Che cos’è?», domandò alzando lo sguardo su Michele.
Il bambino alzò le spalle e subito dopo corse verso i rumori, intimando agli altri due: «Andiamo a vedere!»
In un angolo, proprio vicino alla stradina che portava al loro rifugio, due ragazzi osservavano qualcosa e lanciavano sassi dando loro le spalle. Ridevano sguaiati e si davano di gomito. La loro risata aveva un che