Cenerentola ascolta i Joy Division
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Info su questo ebook
Lily, giovane vedova frastornata, insegue una rinascita dal suo olocausto familiare. L’urna delle ceneri del marito, legame indissolubile con il passato, diventa sua compagna di fuga verso il nord, dalla provincia italiana ai ghiacci lapponi, in un esilio di neve e silenzio.
Il diario anticonformista di una giovane studentessa racconta il suo ingresso nel mondo degli adulti, attraverso l’intensa amicizia che si instaura con Frida, la sua nuova insegnante. Il trauma della crescita, attraverso la percezione del dolore, diventa un confronto tra due generazioni di donne.
Illustrazioni di Angelo Barile
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Anteprima del libro
Cenerentola ascolta i Joy Division - Romeo Vernazza
Romeo Vernazza
Cenerentola ascolta i Joy Division
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice dei contenuti
Dramatis personæ
1.0
1.1
2.0
2.1
3.0
3.1
4.0
4.1
5.0
5.1
6.0
6.1
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7.1
8.0
8.1
9.0
9.1
Arrivederci?
Playlist
L'Autore
TEMPESTA RACCONTA
Cenerentola ascolta i Joy Division
di Romeo Vernazza
© 2014 Romeo Vernazza
© 2014 Tempesta Editore
I edizione cartacea 15 ottobre 2014
collana Tempesta Racconta
ISBN 9788897309648
Tempesta Editore
via Nicola Catena, 11 - 00069 Trevignano Romano
www.tempestaeditore.it
info@tempestaeditore.itcell. 3401415842
Disegni e copertina di
Angelo Barile
Dramatis personæ
Storia.0
Lily (io narrante) e l’urna delle ceneri, una coppia quasi perfetta
Emma, vive nei dintorni della notte, l’amica del cuore n. 1
Mirna, la suffragetta al Lisoformio, l’amica del cuore n. 2
Angela, la buon’anima amica del cuore n. 3
Andre, il pretendente con sguardo da pluto
Lars e Hannah, una coppia di sergenti nella neve
Benoit, un misto di Willem Defoe e un bambù
Storia.1
Prima donna
Frida Farras, la prof che passeggia sull’orlo del vulcano
Gli studenti
Elly, studentessa ai piedi del vulcano
Melissa, studente n. 2
Willi, studente n. 3
Luca Liu, studente n. 4
Lo stagno di Elly
La mamma, il suo mondo si ferma in profumeria
Livio, l’assicuratore (detto tutto)
Il mondo di Frida
Gloria, l’amica del cuore
Auro, non si cambia abito dal delitto Calabresi
L’ex fidanzato di Frida, il passato è passato
Fernando Pess oa, un chiarore da faro lontano
Ian Curtis, l’amico cantante scomparso nel 1980
1.0
Il tempo si è fermato nei dintorni di casa mia
Mary Jo, back with yourself
for company, keep telling yourself you’re young
It’ll happen soon
Belle & Sebastian – Mary Jo
Fa freddo e c’è silenzio, nell’esilio del mio soggiorno vuoto. Sono vuota anch’io, sfoglio giornaletti senza leggerli, ignorando il bollitore sul fuoco. Che si risente, gorgoglia e inizia a sibilare come sirene di antiche fabbriche. Ti sento, ti sento, poi vengo a spegnerti.
Ho da fare ora, misuro la solitudine degli ultimi anni, passati in compagnia di mio marito. Sì, proprio tu, mai una volta che mi ascolti, mai. Quante volte ho troncato apposta frasi a metà, per vedere se mi seguivi, nei miei pensieri o nella scelta di un paio di sandali. E tu?
Niente. Silenzio di tomba.
Infatti, distrattamente, senza avvisare, come nel tuo stile, sei morto.
Eccomi qui, quarantadue anni, una fresca vedova d’occasione, io e il mio lutto hard discount afflosciati su un divano già floscio di suo. Vorrei lasciarmi vivere, dormire senza pastiglie, ignorarmi per un secondo, travestirmi di senso pratico per fare, cosa non so. Non faccio altro che guardare laggiù, quella scatola di latta che brilla nella penombra sul tavolino, appena più grande del barattolo del caffè della nonna. Ha una
etichetta bianca, il tuo nome stampigliato e un codice.
L’urna delle tue ceneri. La tua piccola bara da asporto.
Com’è possibile che tu e i tuoi sogni di gloria siate davvero lì dentro? Eccoti lì, l’uomo in scatola. Proprio tu che amavi la vita all’aria aperta. Ora apro l’urna e ti vuoto nel wc, così te ne vai al mare. Oppure ti abbraccio forte, mi è facile ora, sei qui per sempre. Ma no che non ci sei, invece. Me lo ripetono tutti i giorni i miei contriti amici, in dolby surround.
La vita continua → Lily ← Bisogna andare avanti.
Andate avanti voi. Lasciatemi qui. Vi dà così fastidio vedermi disperata? Non vedo niente lì davanti, perché ci devo andare? Chi l’ha detto che devo superare questa cosa subito, per fare che, poi?
Il dolore muto e appartato è ormai la mia vita, mi accoglie e spezzetta il tempo in frammenti e ricordi, e ora chissà perché mi torna in mente la marea di Le Mont Saint Michel, la sua onda schiumosa che risaliva veloce, rincorrendoci tra nebbie e sabbie mobili.
Ma non ci siamo sprofondati nelle sabbie mobili. Macché, io sono ancora qui e tu ti sei rotto all’improvviso, pouf, in una morte in casa senza alcuna gloria né stoiche sofferenze. E poi sei rimasto sdraiato immobile sul letto di casa per due giorni, salma rigida come un tronco abbandonato sulla battigia d’inverno, mani e piedi legati, e un improbabile abito elegante, che tua madre ha scovato chissà dove e ha voluto a tutti i costi metterti.
Hai passato le tue ultime ore sulla terra come un suppellettile, un abat-jour stile seventy al mercatino dell’usato, esposto a conoscenti e curiosi, amici e nemici intercambiabili, parenti dolenti e via piangendo. Ricordo ogni momento, e da allora mi sento un sacco vuoto appeso all’ingresso. Vivo il mio enorme lutto nel mio piccolo alloggio, vegeto, dimentico le cose e osservo istupidita lo screensaver dei nostri vecchi viaggi. Luoghi splendidi visti negli anni che continuano sfrontatamente a esistere malgrado me.
Leggo mail di lavoro e di gente dispiaciuta per me, e aggiro come posso lo spic & spam di viagra pro nobis, canadian pills, meetic e turismo dentale in croazia, donne russe che vogliono sposarmi e bancoposta che mi chiede la password di un conto che non ho.
Mi esercito a esistere masticando cracker e ascoltando il rumore interno delle mie mandibole, immersa nel canale prosciugato di queste giornate vuote. E poi, basta, riemergo alla semplicità.
Già, il bollitore, che sta bestemmiando vapore da oltre un quarto d’ora. Spengo il fuoco, resta il metallo che strepita, rovente, rosso fiamma, e dentro ci saranno ormai due dita d’acqua. Mentre si smorza lentamente l’urlo del calor ardente, dal cassetto prendo una bustina di tè verde. Emma me lo regalò decantandone con enfasi il suo potere antiossidante. E quindi, il problema della ruggine per oggi è scongiurato.
La mia vita di tutti i giorni ha lasciato il posto a questo film d’amore e morte di serie B. Incredibile, eccomi finalmente protagonista di qualcosa! Primo piano di me che sorseggio le due dita di broda bollente, nella mia location di sessanta metri quadri, e la musica di sottofondo, sempre accesa, involontariamente. è il condominio, che perpetra pulsioni e rumori di fantasmi confinanti. La vicina nevrotica sbatte ritmicamente gli sportelli della cucina, il risucchio dell’ascensore si mescola a tintinnio di chiavi e voci ovattate, il marito tamarro della postina bestemmia virilmente, mentre una lucidatrice, chissà dove, compie sconosciute traiettorie ululanti.
Sono seduta a dieci metri di altezza rispetto alla strada sottostante, non ci avevo mai pensato, e questo incredibilmente non genera in me alcun senso di vertigine.
Ehi, mi sentite? Sono io, la zombie del terzo piano. Sì, quella che le è schiattato il marito in casa una settimana fa... Braaavi. La maleducata che non saluta mai per prima, quella che butta via la spazzatura a notte fonda per non incontrarvi. Proprio lei. Io, me.
Tiro un calcio al battiscopa semi-scollato che non hai mai riparato in questi anni, sì-sì adesso, poi lo faccio. La tua atavica pigrizia e la mia latente manualità hanno salvato dallo sterminio una pletora di schifidi scarafaggi. Siete lì, sbafatori di briciole a tradimento? Ora la musica è cambiata, per voi e per me. Il cibo qui è diventato un ufo. Infatti, chi ha voglia di mangiare? E poi oggi si lavora, è il giorno delle grandi pulizie. Smaltiamo tutta la tua roba, viene ad aiutarmi la mia amica Mirna. Si prevedono mareggiate di Lysoformio su ogni superficie e anfratto, sacchi e sacchi di roba da cacciare e pellegrinaggi ai cassonetti. Documenti, foto e oggetti personali sono già da parte, in una cassetta metallica dell’Ikea, pronti per partire. Destination suocera.
Suona il citofono «Ciao Mirna, sali su».
«Buongiorno Signora! - non è Mirna, quindi - Vorremmo parlare un momento con lei».
«Di cosa volete parlarmi, scusate?».
«Di come superare questa grande crisi! Se ha dieci minuti, solo dieci minuti, la prego».
«Sentite, c’entra per caso Dio, siete i Testimoni di Geova?»
«Certo!».
«Addio!».
Nel frattempo suona anche il telefono, lascio che suoni. Sento ancora la tua voce in segreteria: " Salve, non siamo in casa, o se ci siamo non abbiamo voglia di rispondere...". Ci siamo? Non ci siamo? Dove siamo finiti, tu e io?
"Ciao Lily... Sono mamma... Ci sei? Rispondimi... Hai il cellulare irraggiungibile... Hai bisogno?... Tra un po’ passa da te Andre, dice che ti vuole portare a mangiare qualcosa fuori... Ma dove sei?... Ciao, chiamami!".
Ma dove cazzo vuoi che sia, mà?
Mirna è andata via. Abbiamo faticato per oltre quattro ore, e ora sono stanchissima, ma almeno non ho pensato granché durante lo ‘sgombero show’.
Sono come una donna in chemioterapia, con il passato davanti e il futuro sotto i piedi, senz’altra aspirazione se non quella di lavarmi ogni tanto le ascelle. E ora mi sembra il caso. Quindi, via ogni traccia di sudore e abbrutimento! Con gesti solenni apro l’acqua calda nella vasca e osservo il bacino idrico che va riempendosi lentamente. Raggiunta una discreta consistenza oceanica mi spoglio e mi immergo lentamente nell’acqua. è bollente, brucia, e compenso subito con getti d’acqua fredda per non fare la fine del gamberone alla piastra.
Il livello trabocca e un rivolo d’acqua e schiuma recita gargarismi nello scarico del troppo pieno. Non ricordo più quando ho fatto il bagno nella vasca, l’ultima volta, quando mai c’era il tempo, una doccia e via.
"Potrei annegarmi - penso - troppa fatica - ripenso - perché no? - azzardo - Lascia stare - concludo".
Trattengo il respiro e mi immergo, mi adagio sul fondo, subacquea casalinga con la pelle ormai raggrinzita dall’acqua, esercitandomi in astruse cabale, elaborando scommesse con il fato. Se riesco a resistere almeno due minuti sott’acqua senza riemergere, queste orrende giornate saranno state solo un brutto sogno, e tu suonerai al citofono perché hai di nuovo dimenticato le chiavi della macchina. Eh, già, come no? E comunque conto:
1, 2, 3…
Laggiù in fondo, sott’acqua, per un attimo mi sembra di vivere un’altra vita. Una vita di torbide visioni amniotiche e rumori velati provenienti dall’infinito
58, 59, 60…
Avverto strani messaggi ovattati dall’oltretomba. Bollicine d’aria gorgogliano dalle mie narici, salgono e le osservo galleggiare lassù, in superficie, aspettando la loro piccola esplosione
123, 124, 125...
Bello sarebbe entrare nella testa della gente, di un’amica, di un amante occasionale, di un pretendente noioso, di una collega arrivista. Per carpire loro pensieri e parole da usare, per recitare una vita estranea. Ora vorrei essere in uno qualsiasi dei loro corpi, lasciando il mio a rottamare presso qualche concessionario multimarca di umanità usata.
150, la gallina canta :(((
1.1
Settembre
Perché ho la dimensione di ciò che vedo
e non la dimensione della mia altezza.
Alberto Caeiro (1889-1915)
Dal diario di Melissa
Sono mesi che quelli della 4°C ci mettono in guardia sulla nuova prof di scienze. Vedrete! Quella fino alla maturità vi farà dei mazzi allucinanti... E giù gli stronzi a ghignare come stupide scimmie. L’avevano avuta come supplente, quella specie di babau, e li aveva rivoltati come calzini. E noi ce la
becchiamo per un anno intero.
Curiosità :P
Primo giorno di scuola. Ultimo anno di liceo, davanti all’ingresso già dall’alba, manco fosse il concerto di Rihanna, c’era la lotta per i posti migliori. Stessi prof dell’anno scorso, tranne scienze. Già, il giugno scorso la vecchia Sbazzi è andata in pensione. Lei, baffi grigi e triste cappa nera ci han fatto ciao, con un cabaret di paste morte e un abbraccio. Brrr. Ancora sono abbioccata dalle zaffate del suo camice di nylon. Lei, sudata, commossa per l’addio alla scuola, e bla bla a nastro «Adesso avrò più tempo per seguire mia madre che non sta tanto bene».
Quel relitto preistorico aveva ancora la madre! Allucinante!
Ma la nuova prof, già leggenda, is arriving. E noi in para.
Willi il creativo aveva appeso vicino alla porta un ritratto di Crudelia Demon, disegnato con rigacce di pennarello nero. Per scaramanzia, diceva. E Luca Liu il secchione aveva protestato, scuotendo il suo testone cinese dietro una quintalata di libri.
E finalmente: ta-dà! La prof di scienze, la rivoltatrice di calzini, la very terribol signora Frida Farras. Mamma che roba! È una donna stagionata, sicuramente sopra i trent’anni, magra e nervosa, vestita di velluto nero come i suoi spessi capelli (tinti, sicuro).
Non piglia bene, ma proprio per niente. Rigida come un bastoncino Findus, ha cominciato a farci le lastre con occhi spiritati. Elly e io ci siamo guardate facendo no no con la testa, mentre davanti a noi Willi, con le mani dietro la schiena, mimava " questa ci fa un culo grosso così".
Dal diario di Willi
Niente, pensavo peggio. La Farras mi ricorda un vecchio film in B/N visto su Sky. C’era un ipnotizzatore indiano che con lo sguardo intortava alla grande poliziotti e impiegati di banca. Nelle scene cult le sue orbite roteavano fino a diventare spirali. I suoi occhi sono un po’ così, due proiettili dum dum, e la faccia sembra tagliata con l’accetta nel legno scuro. Guardo con la coda dell’occhio Melissa, seduta qui dietro di me. Lei sì che è bella, con la sua pancia liscia scoperta, il piercing con brillantino e un seno bello grande che fa scoppiare ogni cosa che si mette addosso. Persino Elly è più fica. È magra e col seno piccolo come la prof, ma ha un bel sorriso, anche se fa un po’ l’intellettuale, lei, l’apparecchio ai denti, i riccioli rossi, le letture pesanti e i suoi film francesi dove parlano tanto e non ammazzano mai nessuno.
Dal diario di Elly
La prima impressione: devastante. La parlata glaciale della prof mi ha congelata per almeno dieci minuti, ma la sua rigida formalità aveva qualcosa di alterato, e la mano sul registro tremava leggermente. A lungo l’ho fissata negli occhi, senza far caso alle sue parole concitate e al sommesso fruscio prodotto dai miei compagni. E ho intravisto un leggero lampo di apprensione tramutarsi in sofferenza.
Tremava dentro, la prof, ne sono quasi sicura. Oppure sono io che proietto le mie ansie all’esterno, facendole indossare a questo o quel personaggio, sempre pronta a fantasticare, ma per un attimo ho avuto una visione tragica. Stavo precipitando insieme a lei in un abisso nero di malinconia, io e la Farras abbracciate sull’orlo del vulcano, precipitate nella girandola del tempo, tra silenzi spezzati da fatica e sofferenza. E ho cominciato a tremare anch’io, con involontaria sintonia.
Forse l’impatto del primo giorno di scuola con una nuova classe le creava un po’ di disagio, come quando arrivi a una festa, sei nuova e tutti ti fanno la carta di identità. Verso la fine della lezione, per alcuni secondi, si è fermata di fianco al mio banco, in piedi, fissando la finestra, come in trance. Allora, nei suoi occhi socchiusi, una ragnatela di piccole rughe, ho intravisto davvero una profonda tristezza, una supplica tra sé e sé, un cazzo-ci-faccio-qui-vorrei-essere a casa. Chissà com’è davvero fuori dalla scuola, nella vita reale, tra i muri di casa sua. Mi pare di vederla, tuta slabbrata, maglietta Emergency e calzettoni, rannicchiata sul divano, sotto una coperta di lana, in una stanza piena di libri. Se ne sta lì sola, ascoltando musica vecchia degli anni ‘80, o magari ancora più antica, con gli occhi stanchi e la testa bollita per aver parlato 5 ore di seguito a branchi di svogliati scimpanzé. Non ce la vedo in una allegra famigliola a cuocere minestroni del casale, con due o tre bambinetti saltellanti per la cucina e un marito sovrappeso parcheggiato sul divano. Forse anche a casa rimarrà vestita come a scuola, un manichino nero di velluto e pizzo, auto-invitata ogni giorno al suo funerale domestico.
Dal diario di Luca Liu
Tipo strano la prof di scienze. Ci scruta uno per uno come per leggerci dentro. Ha già capito che la maggior parte di queste zucche non ha voglia di far niente. Melissa sa solo controllarsi il trucco di nascosto in un piccolo specchio sotto il banco. Willi disegna teste di alieni del cinema e colorati labirinti matematici (lui che è inchiodato alle addizioni). Elly è persa nelle sue poesie esistenziali che scarabocchia in un libriccino nero con l’elastico. La prof forse ha già capito che sono l’unico