Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le ossessioni del pinguino
Le ossessioni del pinguino
Le ossessioni del pinguino
E-book328 pagine3 ore

Le ossessioni del pinguino

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Questa è la storia di Matt Serrone, prigioniero delle sue ossessioni e dei suoi guinzagli.

È la storia di alcuni anni della sua vita - con confidente il barman di un locale di strip tease, dove lui se ne sta seduto al bancone con le spalle rivolte al palco - dell'amore per una ragazza divenuta voce di una compagnia telefonica.

E' anche la convivenza con un cane trovato per strada, l'unico che porta con fierezza il proprio collare.

È la storia della sua vita a Milano, amata come una bella donna altera; del paese delle sue origini sulla sponda calabra dello stretto di Messina; di una sorprendente scoperta che ne mette in dubbio persino gli affetti più cari.

È un viaggio, alla ricerca dell'ossessione perfetta, quella che, forse, non ha senso curare.
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2016
ISBN9788822865076
Le ossessioni del pinguino

Correlato a Le ossessioni del pinguino

Ebook correlati

Narrativa letteraria per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le ossessioni del pinguino

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le ossessioni del pinguino - Massimiliano Ardino

    Ringraziamenti

    Prologo

    E’ come se qualcuno si divertisse a premere un interruttore della luce e, quando la mia notte si dilegua, per un istante riesco a scorgere una piccola ombra, la mia ossessione.

    Ieri notte ho fatto un incubo.

    Era buio.

    Ero a casa mia.

    Nella mia stanza da letto.

    Un rumore mi sveglia; è un brusio che giunge dalla sala.

    Sollevo il busto e scorgo, oltre la porta, la sagoma di un uomo che, seduto sul divano, tiene tra le mani un libro.

    Non ho paura.

    Mi alzo e cammino sino a trovarmi al cospetto dell’ospite non invitato.

    Solleva il viso e parla, mi chiede gentilmente di leggergli ciò che stringe a sé.

    Solo allora mi accorgo che i suoi occhi sono completamente bianchi, senza pupille.

    Il tutto mi appare come normale; una naturale cortesia far ciò che egli desidera.

    Leggo e, quando termino la lettura del manoscritto, non vedo più.

    Ora capisco: le mie pupille sono altrove.

    L’uomo mi ringrazia: ha ritrovato la vista.

    Così se ne va dalla mia sala, dalla mia casa.

    Io attendo, senza ricordo alcuno del contenuto del libro, qualcuno che venga a leggermelo.

    Accanto a me un tizio sulla cinquantina, biondo, occhiali spessi ed espressione triste, beve birra da un enorme biberon.

    Jimmy spilla una lager e, per rispondere al mio sguardo perplesso, alza le spalle.

    Hai sentito di quel prete che ha pubblicato un libro con le confessioni più buffe dei suoi fedeli?

    L’hanno letto tutti

    Io no

    Vero.

    Tu non c’entri, tu sei strano

    Sono strano?

    In che senso strano?

    Vieni in un locale come questo, ti siedi al banco e dai le spalle alle ragazze

    In effetti.

    Beh, è una lettura divertente almeno?

    Che ne so, mica l’ho letto

    Inutile ribattere, il barista di un locale di streap tease ha sempre ragione, soprattutto se torna con una weizen.

    Questa te la offro io

    Credi che il prete andrà all’inferno per quello che ha fatto?

    Jimmy alza le spalle, ci deve essere qualche codice deontologico dei baristi che gli impedisce di prendere posizione sulle questioni etiche.

    Magari per espiare le proprie colpe si rimane sulla terra in un locale come questo con le spalle rivolte al palco

    Ride.

    La madre di una mia ex mi diceva che ero uno spirito buono. Forse perché la liberavo qualche sera dalla figlia. Affermava anche di dialogare con i defunti e di saper prevedere il futuro leggendo le interiora dei piccioni

    Vero, tutto vero, mi è successo anni fa.

    Strana donna

    La cosa più strana è che giurava di averlo appreso in un corso del comune

    Alle mie spalle odo un boato: una sudamericana ha appena mostrato le sue beltà più rotonde ed il pubblico ha dimostrato di gradire.

    Un giorno mi ha rivelato che sarei morto a 77 anni, 5 mesi e 25 giorni; la mia data di nascita al contrario

    E la notte dormi?

    "Il problema non è quando dormo, ma il riuscire a prender sonno. E’ sempre la stessa scena, ogni notte. Un gruppo di pecorelle brucano in un prato, improvvisamente si raggruppano per saltare una piccola staccionata, ma non ci riescono. Si spingono, pressandosi sino a formare un mucchio di pelo bianco. Non sono pecore reali, ma come nei cartoni animati: soffici, bianche, dannatamente bianche, con gli occhi grandi. Ne arrivano sempre di nuove, sempre di più e vogliono saltare tutte assieme, senza riuscirvi.

    Sento di doverlo fare, ma non riesco a contarle, non riesco a metterle in ordine ed entro in panico.

    Così una di loro, sempre la stessa, identica alle altre ma con cinque zampe, si avvicina allo schermo di una videocamera dalla quale mi rendo conto solo allora di osservare la scena e mi scruta con fare accusatorio, emettendo un belato baritonale.

    Per riuscire ad addormentarmi devo accendere la luce e controllare che sotto al letto non vi sia alcun ovino"

    Intendevo se riesci a dormire dopo aver saputo la data della tua morte

    Ma no, non è una profezia affidabile, pensa che aveva anche previsto che avrei avuto una figlia

    Da sua figlia?

    In effetti non ricordo

    Se avessi una figlia come la chiameresti?

    Dietro di noi una certa Katiuscia, come annunciato dallo speaker, si sta strusciando sul palo della lap dance.

    Non avrò mai una figlia, non sono fatto per avere amori che durano

    Prova ad immaginare

    Impossibile

    Fai uno sforzo, come la chiameresti?

    Lascerei decidere alla madre, le donne sono più brave in questo e io poi sarei condizionato dal nome che mi aveva detto l’improvvisata Nostradamus dei piccioni

    Che nome ti ha detto?

    Shanti

    Guinzaglio n. I – il Lavoro

    E’ un mondo adulto, si sbaglia da professionisti (P. Conte)

    Sesterzi precari

    La prima frase è molto importante, fondamentale per iniziare un’opera.

    L’inizio c’è già, anche la fine, mancano dei dettagli e, soprattutto, lo svolgersi delle azioni; però sento già il sapore che verrà lasciato in bocca al lettore.

    Scrivere per sconfiggere la noia, ci rifletto quotidianamente mentre me ne sto seduto in un open space troppe volte freddo, in attesa di una chiamata divina, di un cenno inatteso.

    Cosa scriveva Irvine Welsh?

    Ah, sì: stamattina mi sono svegliato. Mi son svegliato già dentro al lavoro. Il lavoro. Ti ha in pugno. E’ tutto intorno a te, come una gelatina permanente che ti circonda, ti assorbe. E quando ci sei dentro, guardi la vita attraverso una lente deformante. Massì, certe volte ti prendi i tuoi angoli di relativa libertà dove puoi ritirarti, quegli spazi leggeri e delicati dove le cose nuove e diverse, cose migliori, possono sembrarti possibili.

    Il lavoro stanca, anzi, annoia.

    Ma cosa fanno gli altri tutti i giorni per otto ore?

    Solo la routine mi salva dall’inutilità dei gesti.

    Già dal risveglio, lo stesso noioso canovaccio: pantaloni e giacca abbinata, turn-over (il più delle volte insensato) di camicie e cravatte, optional a discrezione.

    Per l’importanza che concedo al vestire potrei cospargermi di colla e gettarmi nell’armadio, nessuno noterebbe la differenza.

    Si entra quindi in ufficio, soliti saluti rituali, accensione computer e video, apertura cassetto a chiave ed estrazione di fogli a caso da spargere sulla scrivania – anche il lavoro pretende la sua apparenza – caffè e scambio di inutilità con i colleghi, ritorno alla scrivania e apertura della posta elettronica: se ci sono messaggi imprecazioni silenziose tanto sono problemi, se non ci sono messaggi imprecazioni silenziose per l’isolamento dal resto del mondo.

    Mi salva internet, ma prima o poi tutto si ripete, il mondo non si inventa sul web, si ricicla, è solo più facilmente fruibile.

    Fantasie mi aiutano a far trascorrere il tempo altrimenti sprecato.

    Ho letto da qualche parte che un uomo adulto elabora pensieri erotici ogni quaranta minuti.

    Ogni quaranta?

    Solo ogni quaranta minuti?

    E il resto del tempo a cosa pensa?

    I peggiori parlano solo di soldi, di ricavi, in una gara a chi guadagna o fa guadagnare di più, a chi possiede di più.

    Otto, nove, anche dieci ore così, senza sosta.

    Quanto abbiamo guadagnato questo mese?

    Abbiamo? Abbiamo chi?

    Io sempre lo stesso, la società un po’ di più, è un buon momento per il settore assicurativo, più la gente ha paura più è disposta a pagare per limitare i danni di eventuali catastrofi future.

    La mia vicina ora sta chattando di nascosto – ma dalla mia postazione ne scorgo gli inconfondibili movimenti segreti – magari con uno sconosciuto ed ignora chi le sta attorno, al più concede un cenno mal disposto, quasi un saluto, al cameriere del bar durante la pausa.

    Io e lei ci scambiamo indifferenza, ma da professionisti, che è tutta un’altra cosa.

    Gli unici che lavorano davvero senza sosta, senza possibilità di pausa, sono gli stagisti.

    Agitati e mossi da una illusoria promessa di futura assunzione.

    Protagonisti di un turn over da guinness dei primati, trattati come merce deteriorabile.

    Nessuno considera che, fatte le debite proporzioni, uno stagista – quando è fortunato - costa come uno schiavo nell’antica Roma (che, ricordiamolo, godeva di vitto e alloggio): sesterzio in più, sesterzio in meno.

    Plinio il Vecchio

    Oggi è un giorno come gli altri, una collega con un plico di fogli in mano inciampa nelle scale - costruite in assoluta noncuranza del testo unico sulla sicurezza – e si rialza sorridente, nonostante il dolore, per lenire la figuraccia mal celata dal suo viso rossastro, sull’orlo di un’esplosione.

    Ogni suo nervo assume le forme di una duna e i piccoli brufoli, segno di ritardata maturità, sembrano sull’orlo di esplodere, come tanti piccoli geiger, seppellendoci tutti in una riedizione tascabile della tragedia di Pompei.

    Se Plinio il Vecchio avesse potuto vedere!

    Grazie al cielo il sottile strato di pelle che ci divide dall’immane sciagura regge ostinatamente.

    Il lavoro è pericoloso, l’ufficio è pericoloso, questo in particolar modo dovrebbe avere un tasso INAIL da fonderia.

    Sono le dieci, sono in ufficio da mezz’ora, già stanco.

    Pausa caffè.

    Caffè, specifico, un suo lontano surrogato, per di più la macchinetta che produce tale offesa alla droga preferita dagli impiegati di tutto il mondo è sita in un loculo nel sottosuolo.

    Per giungervi bisogna scendere una decina di scalini, attraversare il tratto meridionale della sala conferenze (tanto è sempre vuota), altri 5 scalini e, finalmente, si giunge al box per velocipedi, dove stanno intimamente vicine tre macchinette: bevande calde, acqua, bibite fresche.

    Neanche da mangiare: niente patatine, biscotti, niente.

    A contemplare la macchinetta del caffè, col bicchiere di plastica in mano, c’è sempre qualcuno. L’aggeggio sparacaffeina favorisce le dissertazioni filosofiche.

    E’ il turno di Samantha, l’addetta marketing con la acca, alta, capelli lunghi, sguardo dolce.

    Ciao Matt

    Ciao Samantha

    Mi sforzo di lasciar trasparire un’indifferenza professionale, ma non è possibile – non unico tra gli umani – non catalizzare il mio sguardo sulle almeno quattro misure che la natura le ha fornito e che lei raramente cela.

    D’istinto mi volto di lato per non mostrare troppo spudoratamente la perpendicolare suscitata da tale visione e che la punta della cravatta sembra ironicamente indicare.

    Per scherzare provo ad aspirare l’acca, ma non è facile messa lì tra una ti e una a.

    Lo sai cosa si dice dei bambini che piangono nella pancia della madre?

    Domanda retorica, ovvio che non lo so.

    No

    E’ una credenza popolare sudamericana

    Io da piccolo non piangevo e se lo facevo era su parti più morbide

    Gliele guardo; facevo meglio a tacere.

    Mi osserva con sguardo severo e filo-materno.

    Intendo i bambini prima di nascere, quando sono ancora nella pancia della madre

    ?

    Riemergo con fatica dal momento di estraniazione dal mondo, alzo la testa e noto che lei mi fissa.

    Non potrebbe mettersi una maglia a collo alto?

    Uscire dall’imbarazzo.

    Prima di nascere. Come fanno a piangere prima di nascere?

    Le madri li sentono!

    E cosa dice la leggenda?

    I bimbi che piangono nella pancia della madre possiedono il dono della veggenza

    ?

    Piangono sapendo il destino della natura umana!

    La lobby dell’amministrazione fa irruzione nella saletta caffè (sembrano uniti da un invisibile cordone ombelicale); a far da chioccia apripista è sempre la responsabile.

    Alla loro visione Samantha si interrompe, regalandomi uno sguardo d’intesa, confidenziale; non è argomento per gente che lavora con superminimi ed EDR.

    Ciao, io torno al lavoro, ho un appuntamento tra cinque minuti

    Cosa c’entra, il suo ufficio è proprio qui sopra! Paura di trovare traffico sulle scale?

    Ciao Samantha, grazie della compagnia

    Io rimango.

    Per dimostrare che sono appena arrivato prendo un altro schifoso bicchiere di caffeina liquida, getto nell’aria malferma una frase di circostanza e attendo il placarsi del fastidioso ronzio della macchinetta.

    Come va dottore, sta minacciando nuovi clienti?

    (fossi un dottore, leggi medico, potrei terminare seduta stante il lavoro di liposuzione del suo cervello)

    Bene, bene, e Lei?

    Si lavora

    Geniale rispondere si lavora; come chiedere a un calciatore durante la partita come sta andando e sentirsi rispondere si calcia.

    Non so cosa dire, ma non sopporto il silenzio.

    Lo sapete che secondo una leggenda sudamericana i bimbi che piangono prima di nascere diverranno veggenti?

    Dottore, non dica cazzate

    Silenzio.

    L’addetto cedolini e dunque stipendi (meglio tenerselo buono) cambia argomento.

    Ho comprato un nuovo computer

    Eccitazione nell’area, l’altra addetta tutta agitata chiede informazioni più dettagliate.

    Lui si aggiusta l’imbarazzante riporto, raddrizza gli occhiali e prosegue.

    Bla bla bla

    (elenco caratteristiche di un modello alla moda, velocissimo, processore della futura generazione, un lampo a caricare ogni tipo di software: li ha tutti, proprio tutti, specialmente quelli inutili)

    Mi viene da dire una cosa, ma devo trattenermi.

    Matt non dirla.

    Non dirla.

    Non riesco a trattenermi, devo assolutamente dirla.

    Non hai preso un computer troppo veloce per te?

    Sul finire della frase accenno un sorriso.

    Nessuno appare divertito, anzi.

    Trangugio il caffè, getto l’involucro vuoto nel cestino e ritorno frettolosamente alla mia postazione.

    L’utente desiderato

    Seduto alla scrivania non mi resta che svolgere quanto richiesto dalla denominazione riportata sul mio contratto: recupero crediti.

    Svogliatamente.

    Fuori pioviggina, cielo grigio, plumbeo.

    Ogni due ore appuntamento fisso.

    Digito un numero di cellulare a caso sperando sia spento o non raggiungibile.

    Uno, due, tre tentativi.

    La gente non spegne il cellulare a quest’ora?

    Riprovo, ancora una mezza dozzina di squilli – l’unico problema è che spesso richiamano - ed ecco finalmente l’utente risparmioso della batteria.

    Potrei auto-chiamarmi.

    Ho provato: non è la stessa cosa.

    Pochi secondi, poi arriva lei, la sua voce, a ribadire che l’utente desiderato potrebbe essere spento o non raggiungibile.

    La prima volta che sentii la voce di Vittoria eravamo alle superiori, lei in una classe vicina.

    Camminava in corridoio a braccetto con due sue amiche; ci sfiorammo e le sentii dire qualcosa alle sue due compari, non ricordo nemmeno che cosa, ma il tono ...

    In pochi giorni venni a sapere tutto di lei: dati anagrafici, dati sensibili, curriculum scolastico.

    Le vacanze natalizie erano alle porte, ma da noi non c’erano mica le feste di fine anno come nei film di Holliwood.

    Alla meglio una pizzata di classe.

    Il destino però, si sa, non sempre è attento e per brevi tratti non riesce a dimostrare la sua vena sadica. Quel giorno era distratto e, per merito non ricordo più nemmeno di chi, le due classi fecero un’unica tavolata.

    Mi sarei venduto il motorino – tanto era sempre rotto – pur di sedermi di fianco a lei.

    Ci riuscii, e senza privarmi del rottame a due ruote.

    Era incantevole.

    Lei, ma soprattutto la sua voce.

    A fine serata mi offrii di accompagnarla a casa, ovviamente in tram, tanto eravamo sulla stessa linea.

    Peccato che la pizzeria fosse proprio sotto casa mia.

    In una città come Milano, però, mezzi pubblici e gesti romantici non vanno d’accordo; l’ultimo tram passava vicino a casa sua alle 00:45 – l’orario me lo ricordo bene, non cambia da decenni – io mi trattenni con lei il più possibile, sarei anche rimasto di più tanto stavamo bene, seduti al freddo di un parchetto, circondati da un manto di neve, a parlare.

    Alle 2:00 mi fece però notare che era tardi, l’indomani doveva prendere il treno presto per andare dal suo ragazzo a Vicenza.

    Mi crollò il mondo addosso. Era come esser stato portato da un angelo su una nuvola e, una volta lì, sentirsi dire dal celestino che il suo orario di lavoro era terminato, vederlo spalancare le braccia che mi sorreggevano e farmi un volo più che grattacielistico sino al suolo.

    Ero talmente afflitto che l’aver ampiamente perso l’ultima corsa del tram non mi turbò affatto.

    Un po’ di più il fatto che iniziava a nevicare abbondantemente.

    Ero ad almeno quattro chilometri da casa, con le mie uniche scarpe eleganti in mezzo alla neve e per buona parte del tragitto dovetti camminare vicino alle rotaie: non c’era neanche il marciapiede.

    Impiegai più di un’ora ad arrivare a casa e passai buona parte delle vacanze natalizie a letto con la febbre.

    Ero innamorato.

    Un’ombra si avvicina.

    Me li dà cinque minuti?

    Sguardo assente, evidente difficoltà ad uscire dai ricordi.

    Vorrei rispondere no, mi servono, ma non posso: è il momento della riunione informale pre definizione del budget.

    Dicesi riunione qualsiasi incontro con altro genere umano/aziendale che abbia come oggetto un argomento anche lontanamente inerente l’attività lavorativa.

    La responsabile dell’ufficio acquisti mi convoca nel suo ufficio per parlare di budget, ovvero di quanto ho intenzione di spendere l’anno prossimo per viaggi eccetera.

    Non lo so.

    L’unica risposta sensata che posso elaborare con sicurezza è non lo so e mi sembrava di averlo già dettagliatamente spiegato in quasi tre pagine di relazione consegnatole il giorno prima.

    Non le sembrano eccessivi 10.000 euro per i viaggi?

    Evidentemente lo sono.

    No, anzi, sono stato anche molto basso con le stime, è il minimo necessario

    Gliene posso dare 7.000, non un euro di più

    Accetto

    La riunione prosegue così per tempo immemore, tanto da farmi perdere l’appuntamento delle dodici con la telefonata a cellulari spenti o non raggiungibili (altra regola: non richiamo mai lo stesso numero).

    Infine la mia mente decide di vagare altrove.

    Il tablet aziendale non possiamo darglielo

    Vabbè

    (cavolo, domenica Balotelli non gioca, chi ci metto in attacco?)

    Neanche il computer portatile, perché l’ha chiesto?

    C’ho provato

    (potrei far giocare Maxi Lopez titolare con Quagliarella e Higuain)

    Cosa sono queste spese inserite come varie?

    Inconvenienti, urgenze

    (quest’anno devo vincere il fantacalcio, più per prestigio che per soldi)

    Lo sa che non vanno inseriti, sono extra-budget

    E’ vero, me ne dimentico sempre

    (allora la formazione: Donnarumma, Bonucci, …)

    La riunione grazie al cielo ha termine, proprio mentre iniziavo ad applicare la tecnica delle parole travisate, Trio Medusa docet (docet va bene anche per il plurale? boh), alle parole della collega.

    Posso tornare nel mio cantuccio.

    Con il nuovo anno riprese l’attività scolastica e ne fui ben felice; a dire il vero cercavo sempre di invaghirmi di qualcuna a scuola, così da rendere meno traumatico il risveglio la mattina e avere un incentivo per recarmi all’istituto.

    Mai come quella volta però.

    Da allora l’accompagnai spesso a casa. Stando però più attento agli orari di ritorno.

    Eravamo ottimi amici.

    Secondo lei.

    Le vacanze estive ci unirono nel vagabondaggio nella metropoli in luglio e ci divisero nell’odioso agosto.

    L’anno dopo era quello della maturità.

    Una volta, d’inverno, presi coraggio sul tram e la baciai, non disse nulla, non si mosse neanche, fu come appoggiare le labbra su un termosifone spento.

    Capii, dopo soli dodici mesi di corteggiamento, che non mi amava.

    Il mio morale ne risentii.

    Smisi completamente di lavarmi, però comprai la macchina: le ragazze iniziarono ad uscire con me.

    Superata la maturità non la vidi più per anni; io iniziai l’università, lei trovò lavoro da un commercialista.

    Solo casuali incontri, poi in uno di questi veloci inaspettati dialoghi presi il coraggio di invitarla a bere qualcosa.

    La sera stessa ci si intrecciarono le mani, ci baciammo.

    Durò solo una settimana, in cui non ebbi mai l’audacia di indagare la veridicità dell’immagine di Dea Immacolata che le avevo attribuito da sempre.

    Poi disse che voleva starsene un po’ da sola.

    Da un paio di anni ha registrato la sua voce per una nota compagnia telefonica.

    D’allora ogni tanto chiamo per sentirle dire sempre le stesse cose e, a pensarci bene, neanche prima aveva poi così tanti argomenti.

    Un rumore annichilisce i miei pensieri.

    Ci sono troppe distrazioni in ufficio.

    Mi volto: un’altra collega caduta dalle scale.

    Altro che fonderia.

    Si rialza e mi fissa, gettandomi un’occhiataccia

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1