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Altèra: Le Cronache dei cinque Regni
Altèra: Le Cronache dei cinque Regni
Altèra: Le Cronache dei cinque Regni
E-book225 pagine3 ore

Altèra: Le Cronache dei cinque Regni

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Info su questo ebook

Dopo I guerrieri d’argento continua la saga de “Le Cronache dei cinque Regni” con le avventure di Nayla Elamar e Gotland. Un incantesimo potente porrà  fine a una guerra. Ma l’antica città di Altèra, sospesa in un’altra dimensione, vuole riemergere con tutte le sue forze.

I protagonisti saranno parte di un disegno che metterà  in discussione la loro amicizia, la loro forza, la loro volontà. Saranno divisi, torturati, messi l’uno contro l’altro. Dovranno imparare la differenza tra rabbia e perdono, indulgenza e severità,  ma non sempre le loro scelte avranno l’effetto desiderato. 

L’autore – da sempre amante del genere fantasy, avido lettore, vincitore di numerosi premi letterari – ha concepito questa storia incantata per dare la buona notte alla figlia bambina. Altèra è il secondo libro di una saga in cui passione e amore per la scrittura e il racconto lo hanno portato in giro nelle scuole d’Italia dove ha incontrato e appassionato moltissimi lettori grandi e piccoli.
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2017
ISBN9788827568774
Altèra: Le Cronache dei cinque Regni

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    Anteprima del libro

    Altèra - Elvio Ravasio

    ALTÈRA

    È il momento in cui dubiti di poter volare

    che perdi la facoltà di farlo.

    a mio Padre

    Dello stesso Autore presso le nostre edizioni:

    I Guerrieri d'Argento

    Ombre dal passato

    Kiria

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    Elvio Ravasio

    Le Cronache dei cinque Regni

    ALTÈRA

    Volume II

    GRIBAUDI

    Proprietà letteraria riservata

    ©2016 Piero Gribaudi Editore Srl

    Via C. Baroni, 190

    ISBN 978-88-6366-235-1

    Copertina e illustrazioni: Fabio Porfidia

    Graphic Design: Alessio Buono

    Immagini di proprietà dell'autore

    Ogni riferimento a fatti o persone 

    è puramente casuale

    Capitolo 1

    Premonizioni

    Due enormi spade di acciaio lucido e scintillante, ricoperte di simboli antichi, si scontravano a mezz’aria con potenza inaudita. Il loro peso sembrava insostenibile eppure, i due principi alteriani le maneggiavano come se non avvertissero alcuna fatica. Il sole era basso sulla pianura. I due guerrieri si stagliavano controluce, con i muscoli tesi, grondando sudore. Il suono del metallo riecheggiava nella vallata, sovrastando ogni altro rumore. L’energia dei colpi creava vibrazioni così potenti da generare uno spazio di tre lunghezze attorno ai due nemici, oltre il quale, i loro eserciti combattevano senza sosta.

    La pianura era coperta, a perdita d’occhio, di guerrieri. Due schieramenti organizzati ed efficienti rispondevano agli ordini dei loro maestri d’armi.

    Più che una battaglia sembrava una carneficina senza senso. In essa non v’era ferocia, solo perfezione militare. Quella guerra si faceva perché andava fatta; a un guerriero non era concesso esprimere opinioni, poteva solo obbedire cercando di arrecare il maggior danno possibile. Pochi fra loro conoscevano il motivo per cui quella guerra era iniziata. Si combatteva in zona neutra, al limitare delle terre di Altèra, antica città fortezza dai tetti dorati e dagli edifici fastosi.

    Simbolo della magnificenza di un impero passato e unica città della quale si era persa ogni traccia, come se fosse svanita nel tempo. Era successo dal giorno alla notte: gli abitanti rimasti erano scomparsi insieme alla città, il terreno dove sorgeva era rimasto liscio e compatto; le bianche mura di recinzione con le sue torri svettanti verso il cielo, scomparse anch’esse. Come se un incantesimo l’avesse nascosta in un luogo invisibile all’uomo per conservarne intatta la pura bellezza.

    I due principi alteriani assestavano colpi da ormai otto cicli. Erano cresciuti e si erano allenati insieme, conoscevano in ogni dettaglio l’uno le tecniche dell’altro. Incuranti di quello che accadeva intorno a loro, roteavano nell’aria le loro spade. Certo la morte di uno dei due avrebbe posto fine a quell’assurda guerra ma il loro destino fu diverso…

    In quel momento un colpo secco spalancò la porta e una voce seria disse:

    «Elamar, è così che tranquillizzi i ragazzi? Avevamo deciso di non raccontare più storie di violenza.»

    «Ciao Nayla» rispose Elamar, «dopo la guerra viene sempre la pace, non posso eliminare la prima parte, perderebbe di significato la seconda. E poi me l’hanno chiesta i ragazzi questa storia.»

    «Sììììììììì raccontaci come va a finire, Elamar» dissero i giovani radunati intorno al ragazzo golijs.

    Egli guardò Nayla, si strinse nelle spalle e allargò le braccia in un gesto di rassegnazione. Certo non sembrava il guerriero d’argento che aveva sconfitto le Orde Oscure; colui che, con la lucente armatura, aveva inflitto al nemico danni irreparabili. Lo sguardo di Nayla perse l’iniziale severità e si fece più dolce.

    «Forza ragazzi i vostri genitori vi cercano, la storia la finiremo la prossima volta.»

    «Nooooooooo» protestarono in coro mentre si avviavano verso l’uscita della capanna.

    «Ciao Elamar… ciao Nayla…» dissero uno dopo l’altro a testa bassa mentre si incamminavano verso le loro capanne.

    Elamar aspettò che tutti furono usciti, chiuse la porta, mise le braccia attorno alla vita di Nayla e le diede un lungo bacio.

    «Mi sei mancata» le disse.

    «Anche tu, ma dovevo risolvere alcune questioni al villaggio. Sai che dopo la scomparsa di mio padre hanno bisogno di qualcuno che li guidi.»

    «E quel qualcuno devi essere proprio tu? Nessun altro può prendere il tuo posto? Sai che non sopporto di starti lontano.»

    «Lo so, neanche a me piace questa situazione, spero di risolverla al più presto.Ti prego non rendere la cosa più difficile.»

    «D’accordo, non parliamone più, godiamoci il tramonto.»

    I due ragazzi s’incamminarono verso la riva del lago. Forse chiamarli ragazzi non è appropriato dato che è passata un’era dalla guerra contro Merja Norim, ma Nayla ed Elamar non erano invecchiati di un solo giorno. Come loro, molte altre persone non accusavano i segni del tempo.

    Troppa magia era stata impiegata durante l’ultimo scontro, chissà quali sarebbero stati gli effetti futuri sulle persone e sulle Lande.

    Si sedettero su una panca di legno a osservare in lontananza le evoluzioni aeree di due draghi giovani mentre un anziano drago se ne stava immobile, seduto a testa alta, e godeva della brezza serale che gli accarezzava il muso. Il sole era quasi calato dietro l’ultimo promontorio, oltre il lago, e i draghi giocavano con le ultime lame di luce che filtravano tra le nubi nel cielo.

    Il tramonto aveva un colore alquanto singolare, diverso dai tramonti cui erano soliti assistere: il sole era quasi argenteo e la luce, che colpiva obliqua l’acqua, generava un riverbero accecante.

    Elamar e Nayla osservavano meravigliati quello strano effetto mentre i draghi volavano radenti verso di loro. Poco dopo, quando il sole scomparve lasciando una luce soffusa e innaturale, i due animali atterrarono sulla riva spiegando le ali possenti. Nayla si avvicinò loro e li accarezzò sul collo rugoso. Gli animali gradivano molto il tocco della ragazza che fu raggiunta da Elamar. Il drago più giovane, appena lo vide, allungò il collo e gli diede una leggera musata in segno di saluto. Il ragazzo emide poggiò la mano sul muso, strofinandoglielo con tenerezza.

    Fu Nayla a rompere il silenzio:

    «Domani devo recarmi di nuovo al villaggio e dovrò restarci qualche giorno.»

    «Lo so» rispose Elamar volgendo lo sguardo verso il lago.

    La sua espressione mutò all’improvviso, sulla superficie dell’acqua apparve come per magia uno spettacolo straordinario. Il bracciale di Ephir emise un lampo e una fitta immobilizzò il giovane. Elamar scrutò il cielo cercando una spiegazione a quello che appariva riflesso sull’acqua, ma non vide nulla.

    «Hai visto anche tu, Nayla?» esclamò girandosi di scatto.

    «Visto cosa?» rispose la ragazza che aveva il corpo appoggiato al collo del drago e quindi la vista del lago nascosta dall’animale.

    «Il riflesso sull’acqua, quelle costruzioni magnifiche dai tetti orlati e dipinti, cinte da mura imponenti.»

    Nayla controllò la superficie del lago ma solo un riverbero argenteo brillava uniforme, nient’altro.

    «Non noto nulla di strano, sei sicuro di quello che hai visto?»

    «Più che sicuro!» rispose Elamar.

    «Forse dovresti parlarne agli anziani.»

    «No, non credo sia il caso. Forse ho avuto un’allucinazione, andiamo a riposare, domani hai un viaggio da affrontare.»

    Salutarono i draghi, si avviarono verso la loro capanna e si coricarono dopo un pasto frugale. Il sonno di Elamar venne turbato da strane premonizioni. Si rigirava irrequieto nel letto. Immagini inspiegabili si susseguivano senza sosta. Voci lo chiamavano verso un abisso senza fine. Altre lo mettevano in guardia. Una figura scura coperta da un mantello si avvicinò a lui fino ad avvolgerlo. Il buio e il senso di oppressione divennero insopportabili. Si alzò di scatto mettendosi seduto, ansimante e grondante di sudore.

    Era quasi l’alba. Nayla dormiva tranquilla, non si era accorta di nulla. Elamar si alzò e uscì dalla capanna. Si avvicinò alla fontana e si sciacquò il viso con vigore come per cancellare quelle visioni inquietanti.

    Nella penombra vide una sagoma e una voce si rivolse a lui:

    «Sonno agitato?»

    «Chi sei?» rispose Elamar allarmato, la mano si avvicinò istintivamente alla spada corta che portava alla cintura.

    «Non riconosci più i vecchi amici?»

    Elamar socchiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco la persona che si avvicinava con passo deciso. La sua mano non abbandonava l’impugnatura dell’arma, finché l’alba irruppe prepotente sopra le colline e illuminò il villaggio.

    «Gotland!» disse con stupore il ragazzo goljis mentre gli andava incontro. «Che piacere vederti amico mio. Cosa ti porta da queste parti?»

    «La stessa cosa che fa alzare te prima del sorgere del sole, grondante di sudore: sonni inquieti, presagi, strane visioni.»

    In quel momento Nayla si affacciò alla porta della capanna strofinandosi gli occhi ancora socchiusi, sbadigliò avanzando verso Elamar che era girato di spalle. Non si era ancora resa conto della visita inaspettata, raggiunse la fontana e si lavò il viso.

    «Ciao Nayla» disse una voce vicino a lei. La ragazza aprì gli occhi di scatto e lo vide.

    «Il ragazzo emide più carino di tutte le Lande! Accidenti che piacere vederti Gotland.» Gli strinse la mano tirandolo a se e abbracciandolo. «Come stai? Come mai questa visita? Piacere o problemi?»

    «Diciamo che oltre al piacere di rivedervi, volevo discutere con voi alcuni fatti che mi turbano.»

    «Amico mio non hai che da chiedere» disse Elamar.

    «Potete fare da soli?» interruppe Nayla. «Devo andare al villaggio. Scusatemi ma possiamo parlarne al mio ritorno, sempre che non abbiate già risolto il problema.»

    «D’accordo, non ti preoccupare, ti aggiorneremo in seguito» disse Gotland.

    Era una giornata limpida e senza vento. Il villaggio iniziava a risvegliarsi. I bambini scorrazzavano lungo le rive del lago e gli adulti si preparavano ad affrontare la giornata.

    Il sole brillava di un colore irreale, ma pochi ci fecero caso a parte Gotland ed Elamar i quali si scambiarono un’occhiata perplessa. Entrarono nella capanna assieme a Nayla e fecero colazione, poi la ragazza li salutò e partì veloce verso sud.

    Era un viaggio di media lunghezza, circa due cicli per arrivare al villaggio dei cèldi. Nayla aveva un passo molto rapido. Ci avrebbe messo anche meno passando per Bosco Rado. Aveva percorso quella strada molte volte di recente, la via era sicura e comunque Nayla sapeva badare a se stessa, non era il caso di preoccuparsi.

    Allora perché Elamar e Gotland nutrivano quel senso crescente di disagio?

    «Tu cosa hai visto?» chiese Gotland.

    «Come scusa?»

    «Le visioni… cosa hai visto?» ripeté Gotland giocherellando con un coltello sul tavolo.

    «Una città!»

    «Una città? Tutto qui? Niente sangue, presagi o altri segnali nefasti?»

    «No, solo una bellissima città riflessa sulla superficie del lago, ma sembrava deserta, morta, senz’anima, come maledetta.»

    «Accidenti che visione terrificante. Mi meraviglio che tu sia sopravvissuto» disse Gotland ironicamente piantando il coltello nel legno tenero del tavolo. «Io ho visto molto di più: una sterminata fila di cadaveri distesi sotto il sole, laghi di sangue assorbiti dal terreno fino a rendere tutto rosso uniforme, ossa che si sgretolavano fino a divenire polvere. E noi… lì… immobili e impotenti a osservare il destino delle Lande compiersi. Non ricordo che qualcosa mi abbia turbato così profondamente.»

    Nayla si trovava ormai nelle vicinanze di Bosco Rado. Si era lasciata alle spalle la zona semidesertica oltre le Pietraie di Ebarim per inoltrarsi nel regno degli omini. Poco lontano, vicino alle chiome degli alberi, alcuni draghetti muschiati sorvolavano il perimetro del bosco. Era un semplice volo di ricognizione che eseguivano un paio di volte al giorno.

    Il profumo del bosco iniziava a farsi strada attraverso i sensi della ragazza. Il verdemuschio, di cui il bosco era ricco, sprigionava un odore pungente che a Nayla ricordava il profumo della foglialunga appena tagliata. La mente ritornava ai periodi della sua giovinezza, prima delle avventure che l’avevano resa donna.

    Prima di indossare il braccianello o di ghermire lo scudo di Bradac. La mano le si posò con delicatezza sotto la spalla sinistra a un soffio dal cuore, la cicatrice era ancora lì, a ricordo della battaglia che aveva segnato la sconfitta delle Orde Oscure.

    Le dita sfiorarono il leggero rigonfiamento che si era formato dopo la guarigione; lo tastarono per tutta la lunghezza, accarezzandolo. La mente di Nayla esplose in un turbinio di pensieri. Il ricordo del padre era ancora vivido e pulsante. In cuor suo sapeva che, da qualche parte, egli vegliava su di lei. Non poteva essere rimasto vittima del potere oscuro. Molti corpi non erano stati più ritrovati, erano stati inghiottiti dal deserto senza lasciare traccia. Ripercorrendo quei luoghi si avvertiva ancora una sensazione malvagia, un effluvio pungente che faceva perdere conoscenza e memoria ai malcapitati di passaggio. L’aria era umida, pesante, trasportava odori che s’infiltravano nelle narici e arrivavano dritti al cervello come una mazzata ferrea. Colpivano così violentemente da lasciare storditi, aggredivano il senso dell’equilibrio e ti facevano cadere a terra come un sacco vuoto.

    Quel tratto del deserto di Aral era ormai nominato come il Pozzo Maledetto. I numerosi crepacci che vi si erano aperti testimoniano le numerose ferite subite, sia fisiche che terrene. Fendevano quel lembo di deserto come i lampi attraversano il cielo, e la maggior parte delle popolazioni si tiene alla larga da quel luogo.

    Sfortuna vuole che il Pozzo Maledetto si trovi proprio sulla pista che porta a Perjas e, nonostante esistessero vie alternative ma molto più lunghe, la fretta e la scelleratezza di alcuni mercanti senza scrupoli, li spingevano ad attraversare quel luogo insano.

    Nayla, dopo la sconfitta delle Orde Oscure, si ripromise di non passare mai più attraverso quel tratto di deserto. I suoi poteri, erano molto più forti ora, le sue percezioni più intense. Quel luogo avrebbe potuto attraversare il suo cervello come un bruco attraversa una mela. Le visioni avrebbero potuto essere così violente e reali da portarla alla pazzia.

    Ora stava imboccando, a passo spedito, il sentiero che attraversava Bosco Rado. I draghetti muschiati l’avevano riconosciuta all’istante e avevano continuato il loro giro. Percorse poche lunghezze, il silenzio calò irreale tra il fogliame: nessun battito d’ali o di vento tra i rami, nessun animale che la vista acuta di Nayla potesse intravedere. Un senso di inquietudine avvolgeva il suo cuore nello stesso modo in cui un serpente avvolge e stritola la preda prima di ingoiarla. Nayla affrettò il passo guardandosi in giro sospettosa, forse era solo la sua immaginazione ma ombre fulminee sembravano spostarsi di albero in albero come se la seguissero.

    Stai calma Nayla pensò, cercando di rilassarsi.

    Con il tempo aveva imparato a padroneggiare con maestria sia lo scudo di Bradac sia il braccianello. Lo scudo, a riposo, mutava forma e si avvolgeva attorno all’avambraccio, appena sopra il polso, divenendo un bracciale poco più largo di una mano. Era color argento e in rilievo raffigurava scene di combattimento avvenute in epoche sconosciute. Nayla non conosceva l’origine esatta dello scudo, sapeva solo che esso era stato creato dagli immortali in tempi in cui le armi comuni non erano sufficienti a contrastare un potere malvagio scaturito dalle profondità della montagna sacra.

    Da quando lo scudo si era fissato al suo braccio ne era divenuto parte integrante. Solo un incantesimo poteva separarlo da lei e l’unico che lo conosceva era Arkàdon, il Re immortale. Era sufficiente un attacco improvviso o un comando mentale di Nayla per portare lo scudo alla sua forma originaria. I poteri mentali della ragazza erano notevoli e in continua espansione anche se, durante l’uso, rimaneva vulnerabile ad attacchi esterni.

    La ragazza si fermò di colpo e scrutò con attenzione tra le fronde degli alberi. Era sicura di aver visto qualcosa muoversi. Un ramo oscillava ritmicamente proprio a una lunghezza davanti a lei. Dato che non vi era un filo di vento, qualcosa doveva averlo mosso. Forse un animale? Poco probabile, non ne aveva ancora visto uno da quando si era inoltrata nel bosco. Si sentiva come se lei fosse nel bosco ma il bosco non fosse lì; le sembrava di galleggiare su un livello al di fuori della realtà, un presente-non-presente sempre più nebuloso e caotico. Il distacco accelerava frenetico e lei non riusciva a reagire, ora tutto sembrava ruotarle intorno, veloce, sempre più veloce, finché il buio calò come un’ombra improvvisa. Le palpebre scesero come macigni. Le gambe furono, di colpo, private della facoltà di gestire i propri muscoli, l’equilibrio venne a mancare e l’addome ebbe uno spasmo involontario che piegò il corpo in avanti.

    Crollò a terra svuotata di ogni forza. Rumori ovattati giungevano da lontano, i pensieri si accavallavano gli uni sugli altri, la testa sembrava sul punto di esplodere.

    Il tutto durò un tempo imprecisato, difficile da definire, un soffio di vento, un volo di drago, un’era. Poi… il buio totale, un oscurità densa e vischiosa la avvolse, le sembrò di precipitare in un baratro senza fine.

    Elamar ebbe un sussulto. Il bracciale di Ephir emise un bagliore intenso e prolungato. Era la prima volta che avvertiva una simile sensazione. Scattò in piedi e gridò:

    «Nayla!»

    Gotland era uscito a fare due passi.

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