L'uguaglianza dei fiocchi di neve
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Ognuno crede di essere speciale, e vorrebbe che gli altri se ne accorgessero. Anche se al primo sguardo si confonde nella massa umana come un fiocco di neve che, insieme agli altri, compone l'uniformità di quelle bianche distese. Giovanni Mariano è davvero speciale, come un fiocco di neve rosso. Chi altri al mondo ha vinto quattro volte "Eccelso", il massimo riconoscimento mondiale di giornalismo? o ha in casa la Gioconda e la Pietà di Michelangelo, ed altri capolavori gentilmente concessi dai musei? Ma anche in un mondo tanto tecnologico da limitare i cambiamenti climatici, da impedire catastrofi planetarie, l'inconscio attraverso i suoi sogni può instillare il dubbio che le cose non siano come sembrano. Giovanni Mariano cercherà di scoprire quanto è speciale. Rischiando di perdere tutto.
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Anteprima del libro
L'uguaglianza dei fiocchi di neve - Fabio Verardo
IL GIARDINO RIFIORITO
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Dalla coltre arancione, mai attraversata dai raggi del sole, sbuca un’enorme astronave, che scende verticalmente, silenziosa come il lungo viaggio che ha compiuto.
È sostenuta da un’invisibile energia che le permette di adagiarsi al suolo senza essere invasiva, senza provocare tremori o smottamenti né disperdere la foschia che la circonda.
Tutto intorno, un paesaggio di grandi laghi, occhi scuri e freddi di una terra di piatte zolle rugginose. Su uno sfondo remoto, sagome di catene montuose scavate ai fianchi da ampi solchi, che cupi scendono fino alle loro pendici.
Nell’immobile silenzio, si apre una parete scorrevole sul lato destro dell’astronave. Ne esce un veicolo che procede a circa un metro dalla superficie e che, attratto da un’intermittente scintilla bianca, si dirige silenziosamente verso l’ombra di una duna poco lontana, alta circa una cinquantina di metri. Un’improvvisa folata disperde la foschia della zona e ne migliora la visuale. Una raffica fragorosa, il cui suono però non ricorda alcun vento terrestre.
Quasi contemporaneamente, una scossa del suolo annuncia la spettacolare eruzione di un criovulcano, poco distante ma ancora nascosto alla vista. Densi vapori vengono espulsi dalla bocca principale e, creando un ampio varco, fendono compatti l’atmosfera, arancione come un perenne tramonto senza sole. Il fenomeno dura qualche minuto e poi, quale conseguenza, inizia a precipitare una strana pioggia scura.
Intorno non vi è traccia di vegetazione né di altra forma di vita. Subbuglio, fermento, energia nella bassa atmosfera e al suolo, tra monti e criovulcani. Ma non vita.
Il veicolo raggiunge la base della duna e si ferma davanti ad una capsula esplorativa coperta da uno strato di ghiaccio. La struttura dei due mezzi ne palesa la loro diversa origine: differenti intelligenze le hanno concepite e realizzate.
Due braccia meccaniche munite di ventose si muovono ad agganciare il relitto, emanando impercettibili vibrazioni che fanno cadere la patina di ghiaccio, rivelando il nome impresso sulla fiancata: Vagabondo
.
La pioggia aumenta di intensità e pesantezza, spalmandosi ovunque con una viscosità mai vista sulla Terra, mentre il relitto viene sollevato e con delicatezza adagiato all’interno del veicolo. Appena fuori dalla zona d’ombra, al posto di guida della capsula si intravede una sagoma umana, un astronauta. Perfettamente conservato all’interno della tuta, sembra che stia dormendo. Lentamente un’insolita illuminazione si spalma su tutta la figura dell’uomo fino a svelarne il volto.
«Porca miseria, ancora una volta!», disse Giovanni Mariano svegliandosi di soprassalto. Circondato da una fitta vegetazione, realizzò immediatamente dove fosse. Sentì un dolore all’altezza del fegato; lo avvertiva da qualche giorno, ma non aveva avuto modo né tempo di compiere accertamenti. Accanto a lui un giovane militare gli fece cenno di tacere, poi, avvicinandosi con prudenza, gli sussurrò: «Un brutto sogno?».
Indossava una tuta verde che mutava aspetto in base all’ambiente circostante. Meglio di un camaleonte. Se restava immobile era quasi impossibile distinguerlo dal contesto.
«Non so se definirlo incubo sia esatto, ma si ripete di tanto in tanto e mi lascia sempre senza finale. Chissà chi è quell’astronauta, o meglio, penso di essere io ma non ne ho la certezza. E poi, anche se nei sogni non si percepiscono odori, sono sicuro che quel devastato luogo non ne abbia. Chissà di quale pianeta si tratta! Sicuramente un ambiente alieno incapace di sostenere qualsiasi forma di vita. Prima o poi farò qualche ricerca per capire se c’è un minimo di corrispondenza con la realtà, anche perché ci sono troppi dettagli, troppi particolari in questo sogno. Però ricordo con sicurezza che nemmeno da bambino ho mai voluto fare l’astronauta».
Si era risvegliato insolitamente ciarliero, ma la cosa non suscitò alcuna emozione nel suo interlocutore.
Erano al coperto e all’ombra.
Qualche ora prima era piovuto, l’aria era satura di umidità e il suolo, coperto di foglie e rami caduti, doveva ancora asciugarsi. Ma sopra di loro il sole della mattina splendeva caldo.
«Non dovremmo stare qui, siamo troppo vicini alla zona d’intervento. Torniamo indietro verso un riparo più sicuro. Ne ho individuato uno dietro quell’albero, potremmo seguire ugualmente l’azione», disse il militare preoccupato.
Mariano lo guardò indulgente, come il maestro con l’alunno che fa una domanda ingenua; intanto, con cautela, apriva la sacca per estrarre due sfere. Digitò su una tastiera virtuale e queste si librarono in aria; veloci e silenziose attraversarono la vegetazione, inviando immagini su due schermi, anch’essi virtuali, posizionati a un metro da lui.
Mentre armeggiava, trovò il tempo di dire in tono didattico: «Come credi che riuscirò a vincere il quarto Eccelso
della mia carriera? Non certo stando in chissà quale retrovia a scrivere articoli grammaticalmente e sintatticamente ineccepibili. No, mio caro, debbo essere nel vivo dell’azione, in prima linea, correndo anche qualche rischio. Ma ci sei tu per questo».
In poco tempo le sfere giunsero ai limiti di un improvvisato spiazzo, un centinaio di metri più avanti. Lì erano accampati degli strani individui che indossavano tuniche e turbanti e non avevano nulla di tecnologico se non le armi, piccole e leggerissime. Parlavano guardinghi, a bassa voce; mangiavano carne secca e bevevano dalle borracce. Alla destra del bivacco, una decina di cammelli ruminavano assicurati ad una corda tesa tra due alberi.
Mentre i militari circondavano quel gruppo, Mariano ne approfittò per scrivere l’intestazione del suo articolo:
SARANNO GLI ULTIMI?
di Giovanni Mariano dal Tuaregland, Sahara centrale, Febbraio 2114.
Sono trascorsi più di trenta anni dal primo sanguinoso attentato dei Puri ed integri, la formazione terroristica che con i suoi atti fece impallidire la tragedia delle Torri del secolo scorso. Più di trenta anni e forse siamo giunti alla fine di lutti e sofferenze, al termine dell’angoscia e del terrore. Nel frattempo abbiamo avuto una guerra, definita
asimmetrica", combattuta in ogni parte del globo ma che si dovrebbe concludere dove ha avuto origine, nel