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Otto regni: La furia del vento, il sussurro dell’acqua
Otto regni: La furia del vento, il sussurro dell’acqua
Otto regni: La furia del vento, il sussurro dell’acqua
E-book361 pagine5 ore

Otto regni: La furia del vento, il sussurro dell’acqua

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Info su questo ebook


Una vacanza all’insegna del divertimento si trasforma nell’inizio di un viaggio epico quando Piro incontra un viandante misterioso di nome Tristan. Lo straniero rivelerà a lui e ai suoi compagni come l’equilibrio primordiale fra luce e ombra è stato infranto, risvegliando un’antica minaccia capace di inghiottire ogni cosa e li spingerà a percorrere assieme a lui un cammino impervio alla scoperta degli otto regni, reami pervasi dalla magia elementare. Attraverso inganni, giochi di potere e alleati improbabili, Piro dovrà ergersi in mezzo a un odio viscerale, imparando a districarsi tra visioni di cui non ha memoria, alla ricerca di una verità celata nel passato. Ma dovrà fare in fretta: qualcuno nell’ombra ha iniziato a muoversi, preparandosi a compiere la sua mossa.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2023
ISBN9788855127882
Otto regni: La furia del vento, il sussurro dell’acqua

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    Anteprima del libro

    Otto regni - Daniele Iannetti

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    Daniele Iannetti

    Otto regni

    La furia del vento, il sussurro dell'acqua

    Copyright© 2023 Edizioni del Faro

    Gruppo Editoriale Tangram Srl

    Via dei Casai, 6 – 38123 Trento

    www.edizionidelfaro.it

    info@edizionidelfaro.it

    Prima edizione digitale: ottobre 2023

    ISBN 978-88-5512-353-2 (Print)

    ISBN 978-88-5512-788-2 (e-book)

    http://www.edizionidelfaro.it/

    https://www.facebook.com/edizionidelfaro

    https://twitter.com/EdizionidelFaro

    http://www.linkedin.com/company/edizioni-del-faro

    Il libro

    Una vacanza all'insegna del divertimento si trasforma nell'inizio di un viaggio epico quando Piro incontra un viandante misterioso di nome Tristan.

    Lo straniero rivelerà a lui e ai suoi compagni come l'equilibrio primordiale fra luce e ombra è stato infranto, risvegliando un'antica minaccia capace di inghiottire ogni cosa e li spingerà a percorrere assieme a lui un cammino impervio alla scoperta degli otto regni, reami pervasi dalla magia elementare.

    Attraverso inganni, giochi di potere e alleati improbabili, Piro dovrà ergersi in mezzo a un odio viscerale, imparando a districarsi tra visioni di cui non ha memoria, alla ricerca di una verità celata nel passato.

    Ma dovrà fare in fretta: qualcuno nell'ombra ha iniziato a muoversi, preparandosi a compiere la sua mossa.

    L'autore

    Daniele Iannetti è nato a Trento nel 1992. Fin da piccolo si è sempre appassionato alla lettura fantasy, ai videogames e ai manga. Con questo libro trascrive il suo mondo immaginario nato dal desiderio di avventura e di magia che vive costantemente attraverso i suoi sogni a occhi aperti.

    Otto regni

    La furia del vento, il sussurro dell'acqua

    a tutti coloro che si immergeranno nel mio mondo,

    in un viaggio di mistero e magia attraverso otto regni

    dove nulla è ciò che sembra realmente.

    Prologo

    Aprì gli occhi. Aveva la vista annebbiata e un fischio martellante gli rimbombava nella testa.

    Giaceva immobile intorno a corpi caduti, le cui sagome prendevano poco alla volta una forma su quella piana inondata da un sole morente.

    L'odore del sangue si insinuava pungente nelle narici. Gli veniva da vomitare.

    Cercò di alzarsi, ma il corpo, ricoperto da uno spesso strato di polvere, non rispondeva ai comandi e i muscoli vibravano sottopelle doloranti, sembrava stessero per esplodere.

    Vagava con lo sguardo su quella città in rovina che si estendeva per leghe e leghe a perdita d'occhio, cercando di capire cosa fosse successo.

    Macerie, fumo, fuoco, urla, persone che scappavano terrorizzate avvolgevano la zona.

    Si domandava se questo scenario fosse la guerra. Sicuramente lui non era sul carro dei vincitori.

    Braccia forti lo sollevarono bruscamente di peso, quel tanto da permettergli di tenere la testa dritta e di vedere le loro facce. Con occhi assenti notò che non erano umane.

    Alla sua sinistra scorgeva grandi corna scure che spiccavano su una folta chioma grigia, gli occhi nero pece a contrasto con la pelle bianca come neve. Sul volto vi erano labbra pallide sotto zigomi sporgenti che si chiudevano a punta, formando un triangolo.

    Il loro fisico massiccio era ricoperto di pelo grigio che fuoriusciva fitto dalle visibili spaccature dell'armatura. Le gambe, leggermente piegate, erano caratterizzate da ginocchia pronunciate in avanti, come pronte a scattare, e finivano in due zoccoli al posto dei normali piedi. Assomigliavano a una figura antropomorfa nata dall'incrocio fra un umano e un ariete.

    Trascinarono il ragazzo lungo un grande ponte impolverato di pietra chiara, sotto un cielo rossastro. Le gambe presero a sanguinargli, sfregiate dal contatto con il freddo materiale ruvido, ma non percepiva dolore, non sentiva più alcunché.

    I due trasportatori camminavano imperterriti a passo ritmato, senza proferire parola, limitandosi a eseguire un ordine impartito dall'alto, persi nei meandri della loro mente.

    Avrebbe voluto chiedere loro delle spiegazioni, capire dove si stavano dirigendo, ma le parole faticavano a uscire dalla gola arsa dal sole.

    Diverse persone, forse abitanti della città teatro di quello scempio, iniziavano a riversarsi ai lati della strada. Avevano vestiti sporchi e logori, la pelle ricoperta di fuliggine, alcuni di essi brandivano un'arma, minacciosi.

    Il ragazzo percepiva su sé stesso i loro sguardi carichi di odio, come se volessero incolparlo di essere il responsabile dell'accaduto, causa di tutti quei morti. Ma non ricordava cosa fosse successo nelle ore antecedenti al suo risveglio, era confuso.

    Alcuni abitanti sorrisero malvagi, godendosi la lenta agonia a cui era sottoposto, probabilmente dispiaciuti di non udire lamenti o di non scorgere smorfie di dolore sul suo viso spento.

    Vagò con gli occhi fino a quando incrociò quelli scuri di una bambina dalle fattezze animalesche simili alle guardie. Giaceva in mezzo alla folla, minuta e indifesa nel suo abito marrone sgualcito. I lunghi capelli sporchi le contornavano il volto gentile.

    Non mostrava lo stesso odio dei suoi simili, ma nel suo sguardo si potevano scorgere il vuoto e la solitudine di chi ha perso ogni cosa, di chi dovrà crescere in fretta per sopravvivere in un mondo ostile. Avrebbe voluto dirle qualche parola di conforto, rassicurandola che lui non c'entrava niente con tutta quella distruzione, ma iniziava a chiedersi se fosse davvero così.

    Tante, troppe domande di cui era certo non avrebbe avuto risposta si accavallavano nella sua mente annebbiata. Il sangue pulsava ancora forte nelle tempie, confondendolo.

    Perché si trovava lì? Chi aveva scatenato quel finimondo e con quale scopo? E, soprattutto, che sorte gli sarebbe stata destinata?

    La marcia finì quando giunsero al termine del ponte di pietra.

    Due guardie ai lati sbarravano la strada con delle lance incrociate, appuntite come aculei. La loro armatura era intonsa, a differenza di quella dei combattenti che lo trascinavano, ed era composta da un mantello nero che cadeva dalle loro spalle, con sopra disegnato uno stemma con due corna bianche, che a lui parve di ricordare appartenesse al regno di provenienza di quelle creature. Sul petto, legacci in pelle dello stesso colore della cappa tenevano salda al corpo una maglia marrone scuro scamosciata. Infine, le gambe erano fasciate dallo stesso tessuto morbido solamente nella zona inguinale, mentre per il resto erano scoperte, pelose e deformi come quelle del resto del popolo.

    Sembrava che quelle guardie non avessero partecipato alla battaglia, ma che fossero sempre rimaste lì immobili ai loro posti con la funzione di sentinelle, forse per difendere il tempio che si innalzava alle loro spalle.

    «L'abbiamo preso» proferì una voce grottesca al fianco del prigioniero.

    Le guardie sorrisero, visibilmente compiaciute, facendosi da parte per liberare il passaggio e permettergli di proseguire.

    Il ponte si apriva su una grande piazza rustica composta da pietroni chiari squadrati sfregiati dal tempo. Statue raffiguranti divinità del luogo e grandi condottieri del passato con le loro armi vistose circondavano lo spiazzo, abbellendolo con la solennità di quelle figure.

    Una folla si era radunata in massa all'interno dello slargo e all'arrivo del ragazzo iniziò a urlare e ad abbracciarsi: erano grida di vittoria.

    Mentre le guardie lo gettarono a peso morto sulla fredda pavimentazione, le voci e i festeggiamenti cessarono di colpo. Stava per accadere qualcosa di importante.

    Il ragazzo alzò leggermente il capo poggiandosi sui gomiti screpolati, volgendo lo sguardo verso il tempio che fronteggiava la piazza.

    Scorgeva la cupola centrale sfondata dall'impatto con qualcosa di grosso, i pinnacoli in rovina caduti a lato della struttura, crepe profonde che percorrevano i muri e infine un pesante portone in legno massiccio con grosse borchie di ferro ai lati, posto al centro dell'edificio. Il legno consunto presentava tracce di bassorilievi scolpiti in un lontano passato, sui quali spiccava lo stesso stemma con le due corna bianche riportato sui mantelli dei soldati.

    Quando le soglie del luogo sacro si aprirono, il cigolio risuonò nell'aria e ne uscì uno sciamano.

    Aveva capelli lunghi, bianchi e fini che ricadevano sulle spalle, lasciando intravedere il viso scavato dal tempo e gli occhi dallo sguardo vitreo di chi aveva vissuto a lungo.

    Si reggeva su di un bastone, sulla cui cima troneggiava un teschio di animale. Non indossava un'armatura, bensì una stola di pelle e pelo poggiata sulle spalle, aperta sul busto che lasciava intravedere le costole; al collo portava una collana impreziosita da denti anneriti di animali e alla cinta aveva sacchetti di stoffa contenenti polveri.

    Avanzava a passo lento e dietro di lui lo seguiva un gruppo di guardie che trascinava altre sette persone, che si guardavano intorno spaesate e impaurite. Anche loro non sembravano ricordare quanto era accaduto.

    Quando furono posti tutti insieme al centro della piazza, lo sciamano proferì parola.

    «Siete stati i protettori degli otto regni per secoli. Ci avete condotto in questa folle guerra che ha seminato morte e distruzione ovunque. Le nostre case bruciano, i nostri cari sono caduti in battaglia. Ora il vostro dominio finisce qui. Verrete privati dei vostri poteri e sarete maledetti fino alla fine dei tempi. Con la magia nera che è in mio potere, io, Ferion, alto sciamato di Cervìa, regno del vento dove la notte è eterna, vi condanno all'esilio nel mondo degli uomini.»

    Durante la litania, fuoco verde si innalzò vivo chiudendosi a cerchio intorno ai reclusi, impedendo loro qualsiasi via di fuga.

    «Rinascerete privi di qualsiasi unicità e al raggiungimento della maggiore età ricorderete la moltitudine di cadaveri che gravano sulle vostre spalle. Ogni notte verranno a tormentarvi in incubi senza fine. Questa è la pena riservata a chi è stato portatore di sventura.»

    Colpì forte il suolo con il bastone e un fascio di luce li accecò. Tutto intorno un silenzio assordante li avvolse, facendoli precipitare in un profondo abisso.

    Capitolo 1

    Il sole si stava spegnendo all'orizzonte immergendosi nel mare, tingendolo di sfumature rosse dalle punte arancio, segno che presto sarebbe scesa la notte. Le onde perdevano la loro spinta sulla sabbia dorata, bagnandola. Il vento si insinuava fra i suoi capelli castano chiaro, solleticandogli la pelle solitamente biancastra, ora avvampata per il caldo delle ore precedenti.

    Teneva gli occhi marrone scuro ancorati a quello spettacolo mozzafiato, respirando a pieni polmoni l'aria salmastra. Nonostante la calma che suscitava quella vista, il suo pensiero era perso nei meandri più remoti della mente.

    Aveva da poco compiuto la maggiore età e i ricordi di quel giorno, quello in cui la sua vita era cambiata radicalmente, erano riaffiorati con prepotenza, adombrandogli l'animo.

    C'erano dei punti interrogativi a cui non riusciva a trovare risposta in mezzo a quel turbinio di pensieri: di quali crimini si era macchiato per incorrere in un tale destino?

    «Stai ancora pensando allo sciamano della maledizione?» gli chiese Leyla, raggiungendolo sull'ampia terrazza che si affacciava direttamente sul mare, dove si stava godendo il fresco dell'imbrunire.

    La ragazza si accomodò su una sedia in vimini intrecciata a maglie strette, con due cocktail rosati in mano. Gliene porse uno con fare amichevole. Sul suo viso era dipinto un sorriso gentile.

    Notò come fosse ancora fasciata dal suo costume blu elettrico, con un velo giallo morbido, in netto contrasto col colore intenso, posto a coprirle le spalle per ripararsi dalla brezza che le stava scompigliando i lunghi capelli castani. Alla ragazza era sempre piaciuto giocare con le tinte, creando cromie insolite nel vestirsi che pochi avrebbero azzardato.

    La guardò nei suoi occhi limpidi azzurri, incerto sulla risposta da darle, anche se lei probabilmente già la conosceva.

    «Sì» sussurrò piano.

    «Ti farai venire un'emicrania a furia di ragionarci. Pensi che le cose cambieranno continuando a ripercorrere gli avvenimenti di quel giorno?» chiese Leyla con tono calmo.

    «Non lo so – sospirò – Sai, quando ero piccolo credevo di essere destinato a qualcosa di grande.»

    «Sì, ricordo le tue prodezze da piccolo guerriero quando giocavamo insieme» disse ridendo e ricevendo uno guardo torvo da parte dell'altro.

    «Quando ho compiuto diciott'anni ricordo come, improvvisamente, poco dopo la mezzanotte, mi alzai di scatto nel letto impregnato di sudore. Il cuore mi batteva così forte che pensavo mi sarebbe scoppiato da un momento all'altro; l'incubo che avevo fatto, i volti di quelle persone, le loro urla… Era tutto così reale.»

    Quel giorno era ancora vivido nella sua mente. Era andato a dormire presto dopo uno stancante pomeriggio passato sotto il sole a giocare a pallone con gli amici, al campo da calcio vicino a casa. La sera aveva cercato di lavare via l'affaticamento sotto il getto di acqua bollente della doccia, ma con scarsi risultati, infilandosi subito dopo nel letto matrimoniale.

    Quella notte, immerso nelle morbide lenzuola, aveva sognato di essere in mezzo a un campo di girasoli sotto un cielo primaverile. Rideva correndo fra gli alti filari gialli senza una meta precisa quando, a un tratto, i rintocchi di un orologio avevano risuonato forti nell'aria, facendolo fermare. Aveva ascoltato quel suono trattenendo il respiro, colto da un senso di agitazione che aveva preso il posto della calma precedente, impedendogli di riprendere il cammino. Improvvisamente intorno a lui si era innalzato dal nulla un fuoco vorace, che aveva in breve divorato il campo di fiori. Da quel suolo bruciato, cadaveri in putrefazione avevano preso a farsi largo sbucando dal terreno annerito. Avanzavano a passo lento verso di lui, che li aveva guardati impaurito, incapace di muoversi. I loro corpi erano scarnificati, la bocca era contratta in una smorfia di dolore. Avevano allungato le mani consunte in avanti, desiderosi di afferrarlo, e quando era stato alla loro portata lo avevano avvolto in un alone mortale, trascinandolo in un baratro scuro senza fine. Aveva urlato a pieni polmoni durante la caduta, finché si era svegliato, madido di sudore, fra le lenzuola fradice.

    Da quel giorno, le notti erano state occupate da visioni cupe, caratterizzate da morte e sangue, dove talvolta, fra i cadaveri, una creatura animalesca, una specie di sciamano dai capelli bianchi fini avanzava lentamente, trascinandosi su di un bastone verso di lui, sussurrando con aria solenne una cantilena, simbolo della maledizione inferta. A seguito di quegli episodi continui, sconvolto e frustrato, aveva deciso di confidarsi con il suo gruppo di amici, scoprendo con stupore che tutti e otto erano accumunati dalla stessa sorte, ma i sogni degli altri erano inspiegabilmente meno violenti dei suoi.

    «So dove vuoi arrivare» disse Leyla, ridestandolo dai suoi pensieri.

    Non si era nemmeno reso conto di essersi estraniato dalla conversazione.

    «Non ti sei mai chiesta perché rivediamo ogni notte volti esanimi di persone sconosciute? Ho i brividi ogni volta che devo andare a dormire, sapendo cosa mi aspetta. Perché siamo condannati a questo destino? Sembra una situazione senza senso, ma forse una ragione deve esserci se condividiamo quelle morti, lo sai anche tu.»

    Finì il suo sfogo, se così poteva chiamarsi, tutto d'un fiato.

    «Non possiamo cambiare ciò che è successo in passato – disse Leyla con tono pacato, spostandosi con la sedia vicino a quella dell'amico – ma possiamo scegliere il nostro futuro. Viviamo giorno per giorno nel migliore dei modi senza preoccuparci di ricordi lontani.»

    «Ma…» provò a ribattere l'altro.

    «Niente ma! – disse brusca, cambiando tono improvvisamente – È vero, neanche io dormo serena, ma da quando siamo diventati maggiorenni siamo tutti più cupi, chiusi in noi stessi. Abbiamo fatto questa vacanza al mare proprio per distrarci, per ritornare affiatati e sereni come siamo sempre stati fin dal liceo, quando le nostre strade si sono incrociate. Basta tormentarci con domande senza senso! Forse chi ci ha fatto questo voleva proprio che vivessimo angosciati, in attesa della morte, ma non dobbiamo permetterglielo. Godiamoci la serata. Tra poco arriveranno gli altri e faremo una bella cena a base di pesce su questa terrazza in riva al mare. Berremo, rideremo… e basta. Ok, Piro?»

    Lui le sorrise di rimando, aveva ragione.

    «Grazie, Leyla.»

    Tutti gli adolescenti sognano la maggiore età. Fare la patente, iniziare a lavorare, diventare autonomi, coltivare i propri sogni, viaggiare… Per il suo gruppo di amici, invece, si era tramutato in un incubo da cui fuggire sembrava impossibile.

    La consapevolezza rende adulti, si dice, ma nel loro caso li aveva resi turbati all'inverosimile: tra loro c'era chi scattava allarmato a seguito di un rumore sordo e chi si fermava guardando in mezzo alla folla, pensando di riconoscere qualcuno che aveva sognato la notte precedente. C'erano giorni in cui si sentivano i soliti ragazzi spensierati di sempre, giorni in cui uscivano insieme e ridevano felici, stando in mezzo alla gente. Mentre in altri erano angosciati, terrorizzati dalle persone, rinchiusi nella loro solitudine.

    Il destino, successivamente alla loro rinascita, aveva deciso di riunirli ancora una volta. Alcuni di loro erano finiti in classe assieme alle scuole superiori e avevano subito stretto amicizia, altri invece si erano conosciuti altrove, durante attività sportive e uscite di gruppo.

    Quando si trovavano in mezzo alle persone sembrava esistessero solo loro, come fossero calamite attirate da un magnete. Si estraniavano da ciò che li circondava senza rendersene conto: magari uscivano al bar con i compagni di classe e, pur parlando di argomenti frivoli o delle lezioni, finivano sempre per appartarsi in un tavolo differente e chiacchierare di cose loro. Percepivano come una specie di filo invisibile che li collegava.

    Era fine giugno e, approfittando del caldo, avevano deciso di trascorrere una vacanza insieme in una località turistica non molto affollata, per evadere dal caos opprimente della città e per festeggiare il compleanno di Leyla, che si era tenuto qualche settimana prima. Lei adorava il mare, era la più brava nelle discipline acquatiche, sembrava fosse nata per nuotare.

    Le spiagge tropicali incontaminate del posto, lussureggianti di vegetazione, non erano gremite e i giovani riuscivano a godersi la pace e la tranquillità che trasmetteva quel luogo, passando dal riposare sulle sdraio a giocare nel mare dall'acqua cristallina. C'era chi si distraeva leggendo un libro e chi si dedicava a un po' di sano sport per tenersi in forma.

    «Ragazzi, siamo tornati con la cena!» squillò allegra una voce dall'interno dell'appartamento.

    Piro girò la testa. Non si era neanche accorto che era entrato il resto della combriccola.

    Li fissò mentre imbastivano la tavola sul patio dove avrebbero cenato, indeciso se alzarsi o meno ad aiutare.

    Elettro, un ragazzo biondo dagli occhi gialli e dal fisico allenato, con indosso un costume verde a pantaloncino con sopra una camicia bianca aperta, si occupava di predisporre i posti, mentre Reiji, anch'egli in tenuta da mare con boxer bordeaux e maglietta nera, del medesimo colore dei suoi occhi, e capelli corti sparati in aria dal gel, gli passava le stoviglie.

    «Ti stai godendo il teatrino?» chiese Fannì, spostandosi dietro l'orecchio una ciocca dei lunghi capelli rossi.

    «È in fase di agonia verso il mondo ‒ disse Leyla ironica, mimando delle virgolette con le dita sulle ultime parole ‒ Come sempre, ultimamente» sospirò, alzando gli occhi color blu al cielo.

    Era così evidente ai suoi amici quanto fosse fossilizzato su quei pensieri? Era forse l'unico a farseli?

    «Su, principino Piro, aiutaci a preparare invece di continuare a guardarci… o pensi solo a mangiare?»

    Il ragazzo sorrise, alzandosi.

    «Arrivo, arrivo.»

    La tavola rettangolare in legno chiaro era stata apparecchiata con una tovaglia di lino bianco, con al centro una composizione di conchiglie di differenti dimensioni. Intorno a essa erano state disposte su ampi vassoi varie pietanze dall'aspetto invitante, che emanavano nell'aria un profumo delizioso: seppie e piselli, polpo con pomodorini, calamaro grigliato, gamberoni ai ferri, impepata di cozze, spaghetti alle vongole e capesante gratinate.

    C'erano tante specialità di pesce freschissimo con cui non vedevano l'ora di abbuffarsi, tipiche di quella località di mare.

    «Propongo un brindisi» proruppe Blù, alzandosi allegra dal suo posto e attirando l'attenzione dei presenti.

    Aveva scelto di indossare per la serata un abito leggero color panna, spezzato in vita da un cinturino scuro che le fasciava le curve femminili. La capigliatura castana arruffata, in contrasto con il suo vestito, era raccolta in modo approssimativo.

    «A Leyla e a noi, che questa possa essere la vita migliore che abbiamo mai vissuto! Auguri!»

    Alzarono i calici colmi di vino bianco, entusiasti. Il tintinnio risuonò nella terrazza illuminata da candele poste in giare di vetro e legno, appese ai lati del gazebo che li ospitava.

    La serata procedeva tranquillamente, si respirava un clima festoso con il chiacchiericcio generale e qualcuno che azzardava dei passi di ballo per far divertire gli altri sulle note di una canzone pop anni novanta, il tipo di musica preferito da Blù, a casa i suoi genitori erano soliti ascoltare quel genere e le avevano trasmesso la stessa passione.

    Piro si allontanò dalla tavolata per poggiarsi su un divanetto posto all'estremità della terrazza vicino a dei grandi vasi fioriti: aveva un urgente bisogno di cercare un po' di aria e tranquillità. Il vino cominciava a farsi sentire, rendendogli la mente leggera.

    Guardando la spiaggia illuminata dalla luna, bevve un altro sorso. Il liquido fresco scendeva giù per la gola, facendogli rabbrividire la schiena; si accese una sigaretta per distrarsi.

    «Tutto bene?» era Nato, il più taciturno del gruppo, quasi peggio di Piro nell'ultimo periodo.

    «Amico, se c'è qualcosa che ti turba puoi dirmelo, sai che… ‒ ma non finì la frase che si interruppe improvvisamente ‒ C'è qualcuno lì» sussurrò, guardando in lontananza con gli occhi verdi spalancati.

    Indicò con la mano un punto preciso sulla spiaggia dove mare e sabbia si incontravano, in modo da mostrare al resto della comitiva, che li aveva raggiunti, dove si trovasse l'osservatore.

    Una figura incappucciata se ne stava lì immobile, illuminata dai raggi lunari e con i piedi bagnati dalla bassa marea. Aveva lo sguardo rivolto verso la loro terrazza. Portava un mantello scuro che arrivava fino alle ginocchia, oscillando sinuoso insieme al vento e lasciando intravedere, al di sotto, vesti dalle trame elaborate, differenti da quelle comuni.

    I suoi occhi rossi come il sangue brillavano di una luce tetra nell'oscurità e, nonostante la distanza, sembrava cogliessero ogni minimo dettaglio, come un animale predatore della notte.

    «Forse dovremmo avvertire le autorità» propose con urgenza Leyla.

    «E cosa possiamo dire? Non è vietato stare in spiaggia di sera» controbatté Siria.

    Stavano fermi ad aspettare una mossa dello straniero, ma si accorsero che non c'era più nessuno sul litorale. Rimasero a bocca aperta, visibilmente scossi, senza capire cosa fosse accaduto.

    Era stato l'alcol ad annebbiare la mente e non avevano visto la persona andarsene o era stato tutto frutto di un'immaginazione collettiva?

    Piro sentiva pulsare ogni fibra del suo corpo, provava la stessa tachicardia che accompagnava ogni suo risveglio al mattino. Decise di congedarsi dai suoi amici e andò a dormire senza proferire parola sull'accaduto, nonostante la tensione nell'aria fosse palpabile, non era pronto a farsi avvolgere dai suoi tormenti notturni ma non voleva più restare su quella terrazza: la serata, iniziata allegramente, si era conclusa in modo inaspettato.

    La mattina successiva, quando Piro si svegliò, la stanza era illuminata dai raggi solari, che gli riscaldavano il viso. Non sapeva né che ore fossero né quanto avesse dormito, ma si sentiva più stanco del giorno precedente. Sbadigliò vistosamente senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca, ripensando alla nottata. I soliti incubi gli avevano tenuto compagnia assiduamente, facendolo rigirare nel letto e impedendogli un sonno profondo.

    Raggiunse a passo svogliato e a piedi nudi il soggiorno openspace, godendosi il silenzio profondo che permeava nell'appartamento. Vide Siria intenta a lavare le stoviglie della sera precedente.

    Osservandola, notò che portava già il costume a due pezzi violetto, con i capelli bruni raccolti a coda di cavallo con un elastico, pronta a scendere in spiaggia una volta terminate le pulizie. Avevano stabilito che la cucina l'avrebbero sistemata a turno e oggi toccava a lei.

    Si sedette al bancone guardandola serenamente, sorreggendosi la testa con le mani e cercando di massaggiare le tempie dolenti.

    «Dormito poco?» chiese lei sapendo già la risposta, stando di schiena.

    «Già» disse, stropicciandosi gli occhi.

    «Credo che non abbia riposato nessuno, stanotte. Il caffè è ancora caldo nella moka, te ne verso un po', vedrai che andrà meglio.»

    Piro sorrise in tacito segno di ringraziamento per il gesto premuroso e per aver deviato il discorso.

    «I ragazzi sono già in spiaggia, ti aspetto così scendiamo insieme.»

    «Non ce n'è bisogno.»

    La ragazza lo guardò con i suoi occhi nocciola, con un'espressione confusa.

    «Ho voglia di passeggiare un po'. Penso che andrò a vedere qualche bancarella in piazza, magari trovo qualcosa di sfizioso da mangiare per il pranzo.»

    «Vuoi che ti accompagni?» propose.

    «Tranquilla, goditi pure l'ultimo giorno di mare, visto che domani ripartiamo, tanto sai che non sono molto amante dell'acqua.»

    Ed era vero, non era mai stato un gran nuotatore, si limitava a stare in ammollo sul bagnasciuga godendosi le onde fresche infrangersi sul corpo.

    Mentre passeggiava, Piro constatò che avevano scelto per le vacanze una località davvero pittoresca. Ammirava con meraviglia gli edifici che costeggiavano il lungo viale che portava dalla spiaggia al centro della cittadina. Erano simili fra loro, tutti costruiti con grandi terrazze, le facciate erano ricoperte di affreschi probabilmente fatti a mano; alcuni riproponevano paesaggi marittimi, pescatori in una giornata di lavoro, altri grandi navi di qualche pirata con l'equipaggio a bordo. Più in là scorse il disegno della barriera corallina, con colori che tempestavano la facciata facendola brillare come fosse viva, i pesci sembravano uscire dal palazzo.

    Grandi alberi rigogliosi sempreverdi erano posti vicino ai cancelli in legno d'ingresso alle abitazioni, in modo da far godere la frescura ai residenti grazie all'ombra che creavano. Osservava quella meraviglia di accostamenti di colori e opere che lo circondavano, finché giunse alla piazza principale.

    La grande fontana posta al centro la faceva da padrona, con il dio dei mari, venerato dagli antichi popoli, che sedeva sul trono sfoggiando il suo tridente, sovrastando i suoi figli che, più sotto, reggevano brocche in pietra, da dove fuoriusciva, copiosa, l'acqua. Intorno al monumento erano state disposte aiuole curate con fiori di diverse tonalità, che spiccavano grazie al contrasto dei loro colori col bianco sporco della scultura.

    Girovagava sereno per le bancarelle sparse nella piazza, senza una meta precisa. Ascoltando in sottofondo il chiacchiericcio delle persone, aveva l'animo calmo rispetto a quando si era svegliato. Si inebriava con i profumi del cibo, passando successivamente a quelli dei fiori, osservava i prodotti artigianali e quelli di bigiotteria e infine i vestiti variopinti.

    Si soffermò su un particolare chioschetto collocato verso il fondo della piazza, in una posizione isolata rispetto agli altri. Vendeva diversi ammennicoli e accessori fatti a mano, tra i quali un oggetto in particolare attirò la sua attenzione: era una catenina sottile, metallica, con attaccato un pendaglio circolare al cui interno c'era una fiamma piena di sfaccettature. Più la guardava, più si sentiva attratto, come se vibrasse di vita propria.

    «Sembra ti interessi molto questo pezzo» disse a un tratto un signore anziano, facendolo sussultare. Stava seduto nella penombra su uno sgabello in legno, in un angolo della bancarella, e lo fissava con curiosità.

    «Ormai sono anni che cerco di sbolognare quella collana, se la desideri te la regalo.»

    Titubante, Piro la prese in mano, notando un ghigno disegnarsi sul volto dell'anziano che gliela porgeva.

    All'improvviso iniziò a sentire delle urla nella testa e fu

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