Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il destino del portatore
Il destino del portatore
Il destino del portatore
E-book410 pagine5 ore

Il destino del portatore

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L'ombra della morte è sul mondo. Le profezie sono ormai realtà e le terre incantate soccombono giorno dopo giorno, spoglie e desolate. Ma nell'albero di Àsah, al di là del tempo e dello spazio, c'è un cosmo inesplorato, che accoglie la vita e la custodisce. È un mondo sacro ed inviolato, nel quale i semi dell'esistenza preparano la loro vendetta. La luce guiderà la vita verso la battaglia finale, rivelando i segreti che per lungo tempo furono nascosti. Quando i rituali magici degli splendenti spezzeranno le catene della leggendaria viverna, le porte per un antico mondo saranno riaperte e il portatore dell'emblema di Èngor sarà finalmente svelato. Riuscirà costui a riportare la pace? "Il destino del portatore" è l'ultimo capitolo di una trilogia fantasy tutta italiana. Questo ultimo volume segue "l'erede della fonte oscura".
LinguaItaliano
Data di uscita7 lug 2016
ISBN9788892616738
Il destino del portatore

Leggi altro di Paolo Morandi

Correlato a Il destino del portatore

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il destino del portatore

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il destino del portatore - Paolo Morandi

    IL DESTINO DEL PORTATORE

    Di Paolo Morandi

    LIBRO TERZO

    CAPITOLO I – Rinascita e devastazione

    CAPITOLO II – Il bianco unicorno

    CAPITOLO III – Il fato di Mnemònia

    CAPITOLO IV – L’esercito della morte

    CAPITOLO V – Il grande vivente

    CAPITOLO VI – Asiòtur: l’enclave della speranza

    CAPITOLO VII – Le vite intrecciate

    CAPITOLO VIII – Piani organizzativi

    CAPITOLO IX – Alle sorgenti della vita

    CAPITOLO X – Lo spirito di Àsah

    CAPITOLO XI – Fuga dall’albero di Àsah

    CAPITOLO XII – Il pugno della vita

    CAPITOLO XIII – La sacra radice

    CAPITOLO XIV – Verso nuovi orizzonti

    CAPITOLO XV – Una nuova speranza

    CAPITOLO XVI – Il sigillo è in pericolo

    CAPITOLO XVII – Il potere di Gàrland

    CAPITOLO XVIII – Il mondo di sopra

    CAPITOLO XIX – Il tempio di Àrabel

    CAPITOLO XX – La montagna di ghiaccio

    CAPITOLO XXI – La fedeltà degli elfi

    CAPITOLO XXII – L’antica storia dimenticata

    CAPITOLO XXIII – L’ultimo sigillo

    CAPITOLO XXIV – Le sorgenti della morte-senza-fine: dentro l’abisso

    CAPITOLO XXV – Le sorgenti della morte-senza-fine: il monte corvino

    CAPITOLO XXVI – Amici e alleati

    CAPITOLO XXVII – Una porta tra i mondi

    CAPITOLO XXVIII – Il maleficio di un figlio

    CAPITOLO XXIX – Il sacrificio del male

    CAPITOLO XXX – I doni di Hìliuh

    CAPITOLO XXXI – Èkatom: il male antico

    CAPITOLO XXXII – Il sacro emblema di Èngor

    CAPITOLO XXXIII – Il dolore di Nimphàlis

    CAPITOLO XXXIV – L’inattesa verità

    CAPITOLO XXXV – La grande restaurazione

    NOTA DELL’AUTORE

    RINGRAZIAMENTI

    COPYRIGHT

    IL DESTINO

    DEL PORTATORE

    Di Paolo Morandi

    Youcanprint Self-Publishing

    Titolo | Il destino del portatore

    Autore | Paolo Morandi

    Illustrazione di copertina | Ferdinand Dumago Ladera

    ISBN | 9788892616738

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il

    preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma, 73 – 73039 Tricase (LE) – Italy

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Facebook: facebook.com/youcanprint.it

    Twitter: twitter.com/youcanprintit

    MAPPA UNIFICATA DELLE

    TERRE INCANTATE DEL NORD

    (TERRE DI JERIA)

    MAPPA UNIFICATA DELLE

    TERRE INCANTATE DEL SUD

    (TERRE DI MORELIUS)

    CAPITOLO I

    Rinascita e devastazione

    Scaraventato in un’altra dimensione, Gàrland si ritrovò in un luogo di nebbia dall’aspetto mutevole, permeato da una fulgida luce bianca. Camminava senza meta nel silenzio catacombale che inghiottiva quel luogo sacro ed inviolato, mentre la densa foschia turbinava vivacemente intorno a lui, sibilando con insistenza tra le sue braccia e le sue gambe. E in quella triste monotonia di vapore bianco e luminoso, Gàrland camminava come uno spettro privo di memorie, dimentico della vita passata, senza udire né scorgere nulla che potesse ricordargli chi fosse o donde provenisse. Era come se tutto della sua persona fosse stato estinto, vanificato, distrutto dal mortale salto dimensionale… tutto, tranne che un frammento recondito della sua più intima personalità, che lo incitava, gli suggeriva con insistenza di continuare a camminare, alla ricerca di una risposta che non riusciva a trovare. Sarebbe riuscito a capire chi fosse? Sarebbe riuscito il mago di nome Gàrland a ricordarsi di sé e della sua vita passata? Era divenuto uno spettro senza memorie.

    Ma, a un tratto, la nebbia ebbe un sussulto e cominciò a contrarsi in un turbinio improvviso, fino a scomparire nel nulla e non rimase che luce, una luce intensa e abbagliante, che Gàrland fu costretto a coprirsi gli occhi. Passò un solo istante e, di nuovo, il mago guardò innanzi a sé e scorse una figura lontana, piccola, di colore smeraldo. Chi era? Chi poteva mai essere quel tale, smarrito come lui in un luogo sconfinato?

    Corse incontro a quella sagoma, ma più egli correva più quella figura diveniva tenue ed invisibile, come se scivolasse indietro, finché non scomparve. Immediatamente, la nebbia prese nuovamente il dominio su quel luogo etereo, ora accompagnata da un frizzante alito di vento. Disincantato e rattristato, l’anziano cominciò ad agitare il bastone magico a mezz’aria, in un eccesso di collera, nel goffo tentativo di allontanare quella nebbia ostile. Quand’ebbe terminato tutte le forze, esausto, cadde carponi. A un tratto, la nebbia frusciò sulle sue orecchie, mentre veniva nuovamente risucchiata. Un istante dopo un luccichio verde balenò sui suoi occhi oltremare. A pochi centimetri dal suo naso si stagliava una figura rivestita di un’armatura scintillante, color degli smeraldi più brillanti. Carponi, Gàrland alzò lo sguardo dalle schiniere fino alla testa di quel tale e fu preso da turbamento, perché riconobbe lo stesso essere con cui aveva parlato nel monte Trìvior e che lo aveva trasportato in quel luogo surreale: Tèratos.

    «Voi…» sussurrò timoroso. La mano con cui stringeva il bastone ebbe un sussulto involontario. Si alzò in piedi vacillando. Gàrland fissò a lungo quel giovane e per un momento credette di aver smarrito la parola. Nei suoi occhi smeraldo ardeva lo splendore della luce. Il suo sguardo era vigile e fermo, profondo e severo e attraeva l’attenzione del vecchio più di ogni altra cosa. Per un istante, quella figura autorevole voltò il capo in un’altra direzione e il mago riuscì così a liberarsi da quella forza soverchiante.

    «In quale luogo mi trovo?» chiese, dopo essersi guardato intorno.

    L’essere si voltò nuovamente verso di lui. Le sue labbra rosee e sottili si dischiusero per parlare. Allora, la moltitudine di capelli verdi che riempivano il suo volto si gonfiarono ad un guizzo di vento, sotto l’elmo provvisto di corna.

    «Vi trovate nell’anticamera dell’Adèines, il luogo riservato a coloro pei quali il trapasso sia stato contrassegnato da eventi particolari, che ne abbiano impedito un normale passaggio di spirito».

    «Che cosa significa?» chiese Gàrland nervoso. Non riusciva a ricordare nulla di sé, ma avvertiva una grande paura nel suo cuore. Gli sembrava di aver già sperimentato prima quella terribile emozione.

    «Significa misericordia. Il dio Synòdus ha guardato con magnanimità al vostro gesto di uccidere l’unicorno. Il fine per cui compiste quel gesto, in verità, fu parimenti lo stesso fine per cui gli unicorni esistono sulle terre incantate. La divina volontà ha impedito il vostro accesso alle lucenti pianure dell’Adèines».

    Ma Gàrland continuava a non capire nulla e l’enigmaticità del sacro protettore, certamente, non poteva aiutarlo. Scosse la testa.

    «Il dio Synòdus ha parlato!» sentenziò l’altro sollevando il capo verso l’alto con gli occhi serrati. «Il vostro spirito sarà ricondotto sulle terre incantate e, non appena avrete ripreso possesso del vostro corpo, tutti i poteri di dridone vi saranno restituiti, affinché possiate portare a compimento il compito che da ora vi viene affidato».

    «Quale compito?»

    «La liberazione delle terre incantate che, ormai da quattro anni, soccombono a causa del potere dei sei negromanti».

    A quelle parole un’esplosione improvvisa di memorie e di emozioni si accavallarono le une sulle altre, scorrendo a raffica nella testa del mago e tutto gli fu chiaro. Si ricordò di sé, comprese cos’era quel bastone che teneva in mano e l’importanza della pietra incantata sommitaria, che ora appariva stranamente fosca e opaca. Ripensò un momento alla frase di quell’essere, poi in un crescendo allibito esclamò: «quattro anni?»

    «Benché siate in questo luogo da appena nove minuti, sulle terre incantate sono trascorsi già quattro anni e il potere che i negromanti esercitano per mezzo del rivificato Pòlton si è esteso a macchia d’olio sulle terre incantate del sud e minaccia di diffondersi anche sulle settentrionali terre di Jèria, le terre incantate del nord».

    «Ma Pòlton è stato ucciso!» discusse il viandante.

    «È tempo!» legiferò lo Hòria, tacciando l’anziano. «Non diffiderete degli unicorni, né sarete per loro motivo di dolore. Il potere che oggi vi viene restituito rappresenta l’unica fonte dal quale anche quelle pure creature dipendono. Inoltre, non dispererete, perché ritroverete tutto ciò che ora desiderate».

    Senza avanzare una domanda di più, Gàrland si abbandonò completamente alla volontà divina, consapevole di essere divenuto lo strumento per mezzo del quale il bene avrebbe cercato di distruggere il male antico una volta per tutte. Fece un cenno di assenso rivolto a Tèratos, che subito allargò le braccia, voltando i palmi verso l’alto. Un vivace turbinio di vento avvolse prima lui poi il mago, che cominciò ad assopirsi. Si accasciò in una voragine tetra, mentre un inatteso crepitio cominciò a diffondersi ovunque in quel luogo candido. Lunghe crepe di un verde luminoso presero ad allungarsi ovunque serpeggiando fino a intrecciarsi l’un l’altra, disegnando reticoli dalla complessa geometria e tutto fu illuminato. A un tratto esplose il silenzio e un momento dopo si udì qualcosa di simile al vetro che s’infrange. Ampie porzioni di quel luogo cominciarono a distaccarsi le une dalle altre, precipitando verso una coltre di nuvole maligne e ribollenti, rosse come il sangue, sovente violacee. Lo spirito di Gàrland lasciò la dimensione ultraterrena, piombando verso quel mare di nembi letali, che impedivano alla luce del sole di passarvi attraverso; solo una piccolissima quantità riusciva a oltrepassare la coltre densa e saettante, di modo che al di sotto tutto era adombrato e arido, uno sterminato deserto senza vita, rosa e giallo, nel quale si erano perduti i colori accesi delle verdi pianure di Bàntum. I colori dei monti una volta innevati apparivano ora smorzati da sfumature tenebrose. Tutto era stato soppiantato dalla morte, dalla distruzione e dalla desolazione più assoluta. Quando lo spirito del mago riprese possesso del proprio corpo, si udì un acutissimo fischio, poi, l’incantesimo di Nimphàlis – che aveva permesso alle spoglie del viandante di mantenersi integre durante quei quattro anni – s’infranse, e la tomba ghiacciata cominciò a sciogliersi sulla sterile pietra del monte Hykdon, là dove una volta cresceva un florido tappeto di muschio, sotto la cortina scintillante delle acque di Àmiowen, ora inesistenti.

    Gli occhi di Gàrland si riaprirono con uno scatto rapidissimo e parve che in quel profondo blu oltremare veleggiasse un galeone di dolore e terrore. I suoi polmoni si spalancarono nuovamente alla vita ed egli inspirò così a fondo che i suoi occhi si arrossarono, riempiendosi di lacrime. Dolorante, cadde carponi all’interno dell’incavatura montuosa e prese a tossire così forte che la gola gli bruciò intensamente. Il suo respiro divenne poi così superficiale che parve essere ad un passo dalla morte, ma non poteva essere davvero così! Era stato infatti strappato dalle grinfie della morte e ricondotto alla vita ed ora la vita stessa si sarebbe presa cura di lui, perché egli rappresentava la speranza mediante la quale il male sarebbe stato annientato una volta per tutte.

    Fu un’esplosione inattesa a distrarlo per un istante dal dolore e da quanto di portentoso stava accadendo al suo corpo. Cercò di guardare nel cielo e sullo sfondo delle nuvole rossastre intravide un immenso arcobaleno, le cui origini apparivano distanti centinaia di leghe le une dalle altre, eppure era così vivido e immenso che pareva stato dipinto da un pittore attento anche ai più fini particolari. Era come se anche il cielo celebrasse il suo ritorno.

    Quando ogni cellula del suo corpo fu nuovamente permeata dalla vita, Gàrland si rialzò, aggrappandosi ad uno sperone di roccia. Si mosse appena sulle gambe e si sporse di fuori, osservando la desolazione che divorava le terre di Helenìsya. Niente era più verde. L’oscuro pertugio era una valle grigia e desolata. L’erba era completamente secca e ricopriva la nuda terra come un sudario ormai in disfacimento. Come poteva esserci una soluzione alla morte che imperava incontrastata? Come poteva un solo uomo abbattere un simile potere? Gàrland fu colto dallo sconforto. Cadde in ginocchio e pianse amaramente.

    CAPITOLO II

    Il bianco unicorno

    Il dolore andava e veniva continuamente nel corpo del mago e i suoi muscoli erano un fremito continuo e convulso, mentre riacquistavano lentamente il vigore di un tempo. Quando, contristato e disilluso, cominciò a domandarsi piangendo perché fosse stato mandato indietro, improvvisamente si ricordò delle parole del sacro protettore, che lo aveva esortato a non diffidare, perché avrebbe ritrovato tutto ciò che il suo cuore desiderava. E cos’è che Gàrland desiderava più di ogni altra cosa? Non era forse il desiderio di rivedere Nimphàlis e quanti aveva lasciato dolorosamente quattro anni prima? Non era forse il desiderio di riappacificarsi con Sèrafil per il battibecco avuto alla biblioteca della saggezza prima di recarsi dalla strega Mnemònia?

    Si sollevò di nuovo e cominciò a guardare di sotto per capire quanto fosse distante dal suolo la nicchia rocciosa nel quale ancora si trovava. Si piegò due e tre volte sulle ginocchia e fece lente torsioni col busto, per verificare la propria capacità di movimento. Quand’ebbe terminato il rodaggio fisico, cercò di scendere alla bell’e meglio dalla nicchia rocciosa. Gettò il bastone di sotto e, inginocchiatosi faticosamente, gattonò all’indietro, lasciandosi andare fino a rimanere aggrappato alla roccia con le mani. Sottopose i muscoli delle braccia al peso ancora insostenibile del suo corpo e, dalla fatica, non riuscì a mantenere salda la presa e cadde, facendo un salto di circa due metri. Ma le sue membra stavano ancora riacquistando il vigore di un tempo e, in un istante ogni dolore cessò. Raccolse il suo bordone e si guardò intorno. Non c’era più traccia delle meraviglie dell’oscuro pertugio, non v’era più traccia della gloria della vita. Tutto era morte e desolazione. I fianchi delle montagne di Sàgradum, un tempo floridi e verdeggianti, apparivano grigi e spogli, un intrico di legni secchi e avvizziti, abbarbicati gli uni gli altri, a creare muraglie di legni spinosi e fracassati. Grandi pezzi di roccia montana erano franati all’interno della vallata, finanche nel bacino del lago di Àmiowen, ora una depressione inaridita e senza vita, il cui pavimento era una mostruosa fantasia di scheletri ittici. Sembrava che tutta la vita fosse stata soppiantata da un velenoso seme di morte. Ma la luce dell’arcobaleno misterioso che, maestosamente, solcava tutte le terre di Helenìsya baluginò come un cristallo scintillante nel punto più fondo del lago del pianto e Gàrland ebbe un sussulto. Oltrepassò la riva e cominciò a camminare in discesa su un terreno sabbioso e friabile, un tempo letto del grande specchio d’acqua. Laggiù, sul fondo, Gàrland riconobbe ciò che insistentemente la sua speranza suggerì al suo cuore: i sepolcri ghiacciati di Lìvrum e Lèrakron. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, perché comprese che la magia di Nimphàlis era ancora efficace, il che significava che la regina a lui tanto cara non poteva essere morta. Ma dove l’avrebbe incontrata?

    Un'idea inattesa bussò alla sua testa: tornò indietro fino alla piattaforma mobile che conduceva al covo degli artenìsi, ma non conoscendo la parola d’ordine per entrare, cercò un qualsiasi indizio che avrebbe potuto aiutarlo. Si inginocchiò sulla pedana mobile di metallo e spolverò via paglia e terriccio, scoprendo un’iscrizione antica e minuta, che mai prima di allora si era soffermato a leggere. Era scritta nella lingua degli artenìsi, sulla linea di una spirale. Al centro del sigillo appariva la stella alata a otto punte, emblema della stirpe.

    Àlamo kiv càlvar sòlim,

    wu ìkrauk Àram Elénazov,

    ikàntror or lèmmor énwo,

    àntror ora sèlev àmwa.

    Ir ìkrazan, vèm ùnami retàro wu tàlauk,

    id nòral lùmos, vèm hie ìnauk niòr.

    Figlio amato e devoto,

    entra nella Bianca Dimora,

    aperta al buio ignoto,

    chiusa alla celeste aurora.

    Per entrare, il nome del re invoca,

    di rossi lumi la via s’infuoca.

    Quando Gàrland finì di girare intorno alla piattaforma per leggervi l’iscrizione, sollevò la testa e cominciò a pensare. Desunse che il re degli artenìsi fosse Lìvrum e pronunciò quel nome, ma la botola non reagì a quella parola d’ordine. Rifletté un istante e si ricordò che Satùrnida era succeduta alla guida della confraternita alla morte di Lìvrum. Pronunciò allora il nome dell’artenìsia e la circonferenza della piattaforma si accese di rosso. Dopo aver emesso un fischio di bassa tonalità, la pedana mobile cominciò a scendere nell’entroterra. Nel condotto verticale, la luce insufficiente che giungeva dall’alto divenne subito oscurità, che Gàrland riusciva appena a rischiarare con la luce fioca della sua pietra incantata.

    Presto, l’umidità dei sotterranei si strinse come una morsa insopportabile intorno al collo del mago, riempiendogli bocca e narici e scivolandogli giù persino nella gola. Benché temesse di aver perduto la memoria circa le esperienze che aveva fatto durante la sua vita precedente, presto si accorse che nulla era cambiato delle sue antiche percezioni fisiche. Odiava ancora il senso opprimente dell’umidità, il terribile puzzo di chiuso e il lugubre alito dell’aria. Cercò di non pensare a quelle sensazioni moleste e si concentrò soltanto su coloro che stava cercando. Tuttavia, Gàrland dubitava che sarebbe riuscito a trovare qualche artenìsio ancora in vita, visto che non si udivano voci e il maestoso organo intonava il silenzio.

    Quando la piattaforma si arrestò sul fondo, il viandante si fece strada per i cunicoli, che ancora ricordava alla perfezione. Visitò la stanza del consiglio – le cui porte trovò aperte – e la grotta madre, ma non rinvenne alcuna traccia del popolo degli artenìsi. Perlustrò allora la via Ìkrata, la via Ìkbibli, la via Ìksea e la via Ìkste, ma non trovò nessuno, né ossa che potessero suggerire la fine degli artenìsi. Infine si avviò verso la via Ìkwea, l’uscita secondaria del covo, che confidava avrebbe trovato abbandonata. Che fine potevano aver mai fatto tutti quanti? Si erano forse trasferiti altrove? E se sì, in quale luogo? Certamente lo consolava il fatto che, probabilmente, potessero non essere morti.

    Imboccò il grande portale strombato della via Ìkwea e camminò all’interno della monumentale galleria, fino ad arrivare in fondo, dove la parete tempestata di luci magenta si abbassava a tal punto da stringere la via in un tunnel di appena sei piedi di altezza. Fece per abbassarsi e proseguire, ma un verso lontano ed insistente riecheggiò diverse volte in quel luogo simile al ventre di una balena gigante. Il mago ebbe un sussulto di spavento. Si voltò indietro e cercò di scorgere cosa o chi fosse stato. Di nuovo, il lugubre silenzio fu violato da un acuto grido. Gàrland cercò di concentrarsi al massimo su quel rumore confuso, che presto riconobbe essere un nitrito lontano. Stringendo saldamente il bastone, tornò indietro, prima camminando a passo veloce e poi correndo, mentre sentiva le zoccolate dell’animale rimbombare sempre più forte nelle profondità della grande galleria. Quando entrambi squarciarono l’oscurità rossastra che aleggiava nella via, si videro e si fermaro. Un unicorno slanciato e immacolato scrutava il pellegrino da cinquanta piedi di distanza. La sua testa era immobile e fiera, le sue ali ripiegate sui fianchi. Mentre Gàrland si domandava come potesse non essersi accorto di quella magnifica creatura, la luce della sua pietra incantata si fece improvvisamente più intensa e l’unicorno cominciò ad avvicinarsi remissivo, a passo lento. Compreso che la creatura era mansueta, Gàrland si avvicinò a sua volta, finché non distarono appena sei piedi l’uno dall’altro. Il cavallo alato allora chinò la testa e scalpitò con un arto. Gàrland gli si avvicinò cautamente e quando gli fu accanto, allungò una mano sul suo muso. Al contatto, la pietra incantata raggiò intensamente e la creatura spalancò le ali: Gàrland sentì una grande forza scorrergli dentro, come un’emozione intensa, che parve ora avvolgerlo, ora sollevarlo. I loro spiriti s’intrecciarono insieme e il mago riconobbe che quello era lo stesso unicorno che aveva deliberatamente ucciso all’interno del monte Trìvior, la stessa creatura alla quale spezzò parte del corno quattro anni prima. Ma ora erano lì per riconciliarsi, per perdonare le amare sofferenze che avevano causato l’un l’altro.

    A un tratto, il cavallo alato si voltò. Sbuffando, nitrendo e scalpitando nervosamente, fece segno al mago di seguirlo. Gàrland lo raggiunse nella grotta madre e, lì, la creatura si dissolse in una moltitudine di farfalle bianche, che si allontanarono verso la via Ìkrata con una magnifica danza. Il mago le rincorse fino all’ingresso, dove si innalzarono verso la superficie, scomparendo fuori dal covo. Così, le seguì di nuovo, salendo con la piattaforma, che sigillò i condotti sotterranei. Fuori esse si ammassarono, camminando le une sulle altre, in una vibrazione spasmodica delle loro ali e ne prese forma la sagoma sbozzata di un quadrupede; due grandi gruppi di farfalle volarono ai fianchi, disponendosi a formare due lunghe appendici laterali. In un batter d’occhio esse riformarono l’unicorno, scomparendo sotto un velluto immacolato. Emozionato dal fenomeno più meraviglioso a cui avesse mai assistito nella sua vita, il mago fu pervaso da un brivido intenso, che gli corse lungo la schiena e si trasmise a tutto il suo corpo come una pelle d’oca diffusa. Quel prodigio significava che la vita regnava ancora sulla morte, per quanto il suo dominio fosse stato drasticamente ridotto. Gàrland era certo che Nimphàlis fosse ancora viva, ma ella doveva nascondersi in un qualche luogo segreto, che bisognava scoprire il prima possibile. Il corpo del mago infatti ora sottostava nuovamente alla legge naturale. Gàrland era consapevole che, presto, i primordiali istinti umani si sarebbero fatti sentire, prima con la fame e poi con la sete. Ma le terre di Helenìsya non avrebbero potuto aiutarlo ora che la morte sembrava averne preso il dominio assoluto. Dove si nascondevano tutti? Dove si trovava la vita?

    Mentre pensava a quelle domande, un’idea improvvisa illuminò la sua mente, per quanto ogni illusione fosse lungi dall’ingannarlo anzitempo. La strega Mnemònia, una creatura concepita dalla magia oscura ed estranea a concetti come la vita e la morte, avrebbe forse potuto aiutarlo, qualora fosse, effettivamente, ancora esistita. Come avrebbe fatto però a raggiungerla? Come avrebbe fatto a raggiungere il versante settentrionale del monte Hykdon, senza che il suo corpo esigesse la sua paga? Come avrebbe fatto ad arrivarci in forze? Si prospettava un’unica soluzione, forse suggeritagli dalla stessa volontà divina che lo aveva rimandato su quelle terre a porre per sempre fine al potere della negromanzia. L’unicorno gli si avvicinò privo di ogni paura e in quella danza disinvolta, Gàrland credette di vedere il suo fedele Hopètel, il destriero smarrito al monte Wùlrug cinque anni prima. Quando gli fu davanti, la creatura cominciò a strusciargli contro il petto una guancia di candido velluto. Gàrland ricambiò quel gesto affettuoso con diverse carezze, prima sul muso e poi sulla spalla, man mano che si spostava contro il suo fianco. Non appena l’ebbe lisciato sul dorso, l’unicorno serrò le larghe ali e, ammansito, s’inginocchiò sulle zampe anteriori, invitando il mago a salirgli in groppa. Una volta che gli fu sopra, l’unicorno scattò in piedi, spalancò le immense ali piumate e si alzò in volo, puntando alla cima del monte Hykdon, cui faceva da sfondo un ribollente cielo di nubi sanguigne.

    CAPITOLO III

    Il fato di Mnemònia

    Le ali dell’unicorno sferzavano l’aria con forza, facendolo salire sempre più in alto. Sovente sfruttava le correnti ascendenti e si lasciava trasportare dalla forza del vento. Gàrland intanto studiava il nuovo profilo montano, sbozzato da numerosi scoscendimenti e crolli che avevano interessato tutta la catena montuosa di Sàgradum. Grandi massi di arenaria si erano distaccati dai versanti del monte Hykdon ed erano precipitati a valle, corredati da uno spesso strato di terra nel quale gli alberi avevano per millenni affondato le loro radici. Così, il monte più imponente delle terre di Helenìsya, un tempo florido e verde, ora appariva rivestito di un abito grigio e spinoso, privo di vita. Persino la vetta appariva smussata. Le guglie e i pinnacoli erano dimezzati di numero e molti apparivano più bassi e frantumati. La culla della grande biblioteca della saggezza era stata violata da un tremendo cataclisma. In che stato Gàrland avrebbe ritrovato l’edificio? Avrebbe forse rivenuto i corpi dei frequentatori? Fu un’attesa angosciante quella che strinse l’animo del pellegrino. A parte le nevi perenni che resistevano grazie alle rigide temperature dell’alta quota, quelle più basse si erano completamente sciolte, cosicché il monte Hykdon aveva perso gran parte della sua gloria immacolata.

    Il freddo spento, senza gaudio del cielo cosparso di sangue incombeva in grosse nuvole spumose e maligne contro le smorte vette dei picchi che si innalzavano dalla maestosa montagna. C’era come un sudario di morte che dominava le alte sommità e diffondeva la sua aura malvagia a tutte le terre incantate, come vessillo di conquista delle vestigia un tempo appartenute alla vita. Quella cupa atmosfera estingueva in Gàrland ogni speranza, vincendo persino le rassicurazioni divine di cui disponeva. Era certo che avrebbe trovato solo corpi morti sulla vetta e, probabilmente, in avanzato stato di decomposizione.

    Quando l’unicorno cavalcò la corrente d’aria per salire ancora più su, il pellegrino fu costretto ad abbassare la testa sul dorso del creatura alata, avvinghiandosi con tutte le sue forze, perché il vento era così sferzante che rischiava di fargli perdere l’equilibrio. Salivano verticalmente e la roccia del versante meridionale del monte scorreva rapidamente davanti di loro, di modo che presto superarono la vetta. Con un fortissimo colpo d’ali, l’unicorno balzò fuori dal potente flusso di aria ascendente, torse le ali e si gettò in picchiata per un momento, fino a disporsi orizzontalmente. Gàrland sentì il suo corpo pesare improvvisamente meno e l’aria ridursi ad una gelida brezza. Alzò la testa. Scopertosi ora orizzontale, si sporse di lato, così vide la cresta delle montagne di Sàgradum perdersi fino all’orizzonte, dove essa appariva venir inghiottita da una bruma rossastra e vorticante, una densa caligine color del sangue appena sgorgato. Sembrava che non fosse rimasta alcuna traccia delle nuvole di vapor acqueo che una volta sbocciavano nel cielo come corolle di fiori eburnei. Sporse la testa dall’altra parte e avvistò ciò che rimaneva della grande biblioteca: un cumulo di macerie corvine, ammassate le une sulle altre, che s’ingigantivano verso il cielo. Nessuna delle sei torri era rimasta intatta. I rosoni anteriori erano andati completamente distrutti e non ne rimanevano che larghi frantumi di vetro colorato. La rinomata libreria delle terre di Helenìsya non esisteva più. Sotto quei ruderi ferali marcivano l’antica saggezza e la conoscenza tutta. Una perdita enorme, che privava le terre incantate di buona parte della sua storia. Gàrland sentì il bisogno di raggiungere i grandi mattoni atterrati, rocce di marmo nero su una neve che resisteva nonostante le precipitazioni fossero ormai cessate da quattro lunghissimi anni. L’unicorno atterrò sulla neve con un leggero fruscio, affondando prima una zampa anteriore e poi posando le altre. Non appena Gàrland fu sceso, la creatura serrò le ali. Per un lungo momento Gàrland rimase immobile, costringendosi ad affrontare la visione che il mondo gli proponeva. Da quel tetto innevato, riusciva a scorgere gran parte delle terre di Helenìsya, ma niente più era verde e turchese all’orizzonte. Nei suoi occhi blu si rispecchiava il rosso cupo del cielo e il giallo rinsecchito delle grandi pianure che circondavano le montagne di Sàgradum.  Il suo sguardo bruciava di sentimenti contrastanti, il volto come scolpito nel granito, logoro e segnato, ma vibrante di forza. Si commosse profondamente, lasciando che le lacrime rotolassero giù dalle pallide gote. Con passo insicuro s’incamminò verso la montagna di detriti corvini, in cerca di una qualsiasi testimonianza che avrebbe potuto aiutarlo a meglio comprendere cosa fosse accaduto durante quei quattro anni. Mentre perlustrava le rovine con animo disingannato, si accorse di provare un timore già vissuto cinque anni prima, quando si sforzò di controllare che l’attacco di Lèrakron alla biblioteca non avesse ucciso nessuno. Setacciò la vetta del monte Hykdon in lungo e in largo, addirittura sollevando i grossi massi di marmo con potenti incantesimi, ma non rivenne alcuna traccia né di carne, né di ossa. Solo libri, le cui pagine apparivano largamente illeggibili, con bordi arricciati dall’acqua e diffuse sbavature d’inchiostro. La mente del mago bruciava d’ira, perché sembrava che nemmeno la saggezza e la conoscenza fossero riuscite a sopravvivere alla furia della morte e della distruzione. Il mago provava in cuor suo la rabbia impotente di una creatura rinchiusa in una gabbia, quando ormai non ha più speranza di fuggire. Ma aveva ancora una speranza! Perché, per quanto ora ne sapeva, nessuno era morto. Doveva però essere accaduto qualcosa di misterioso, che sfuggiva dannatamente alle sue meditazioni. Ci volle poco tempo. I dubbi cominciarono a corrodere lentamente la sua mente già stanca… dubbi che scaturivano dalla paura che la sua speranza potesse non essere reale.

    Si rimise in viaggio più tardi, quando si fu accertato che nessuno dei frequentatori avesse perso la vita in quel luogo ghiacciato. Fece anche un salto alla taverna del signor Gàlet, ma trovò la porta della baita chiusa con una grossa catena arrugginita e un pesante lucchetto. Si ricordò solo allora che il taverniere aveva avuto l’intenzione di traslocare a valle. Evidentemente non lavorava più sulla montagna da tempo. Ad ogni modo, dopo l’ennesima perlustrazione a vuoto, Gàrland cominciò a domandarsi che fine avessero fatto tutti quanti. Era davvero insolito che in nessun luogo vi fossero resti umani. La cosa che rendeva tutto ancor più misterioso era che non sembravano esserci nemmeno le carcasse di animali. Era come se tutta la vita fosse sparita dalle terre di Helenìsya. Bramoso di conoscere la verità, il pellegrino riprese il suo viaggio a dorso dell’unicorno. Arrivò ai piedi settentrionali del monte Hykdon in un battibaleno, davanti all’ingresso della grotta e dimora della strega Mnemònia. La caverna era enorme e torreggiante, e un gonfio alito lugubre proveniva dall’interno. Dei faggi rigogliosi che un tempo ne incorniciavano la forma non ne erano rimasti che tronchi grigi e avvizziti, ispidi di squame di corteccia rinsecchita e fibrosa. I rami avevano perso il loro midollo ricco di linfa e quando il vento li sospingeva l’uno contro l’altro, sbattendo, emettevano un suono vuoto e profondo, come il rumore di un picchio mentre scalpella la sua tana nel legno. Dopo aver osservato la desolazione che circondava anche quel luogo, il mago si avviò verso l’antro, con l’unicorno che lo seguiva più indietro.

    Come fu entrato, i venti che spiravano all’esterno parvero attenuarsi improvvisamente, mentre il silenzio diventava profondo dentro il traforo, ovattato e amplificato dall’eco dei suoi passi lungo il pavimento pietroso. Presto l’oscurità prese il sopravvento e così anche il freddo, accumulato nella pietra antica durante i secoli, assieme ad una soffocante umidità, che gocciolava dal buio soffitto della grotta in

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1