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Squilibrismi
Squilibrismi
Squilibrismi
E-book133 pagine1 ora

Squilibrismi

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Info su questo ebook

Che siano eredità del passato, inciampi di una giornata storta o frutti coltivati in una vita intera, quando ci troviamo ad affrontarli abbiamo una sola arma: noi stessi.  Parliamo di quei momenti di squilibrio in cui tutto pare ribaltarsi, dove cambiamo improvvisamente prospettiva, quando un'emozione repressa esplode. E noi, disperatamente, cerchiamo un punto d'appoggio, per poi renderci conto che tutto, in realtà, è perennemente in bilico.  In questa raccolta trovate nove di questi "Squilibrismi"
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita16 mar 2018
ISBN9788833660011
Squilibrismi

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    Anteprima del libro

    Squilibrismi - Rudy Mentale

    Rudy Mentale

    Squilibrismi

    Racconti

    Copyright © 2018 Rudy Mentale

    www.rudymentale.it

    Impaginazione, grafica, editing e correzione a cura di:

    www.extraverginedautore.it

    In copertina Ago e filo, foto di Marco Amarù. © 2015. Tutti i diritti riservati.

    Altri lavori dello stesso autore li potete trovare su:

    www.fluidr.com/photos/alfapegaso/

    www.flickr.com/photos/alfapegaso

    La raccolta che stai per leggere ha vinto Extraself, il primo concorso per inediti indetto dall’Associazione Culturale Extravergine d’autore, un ente senza fini di lucro che si pone l’obiettivo di diffondere la cultura attraverso la promozione degli scrittori indipendenti, con particolare attenzione a coloro che sanno distinguersi per professionalità e qualità.

    Se vuoi saperne di più sul progetto, visita la pagina

    www.extraverginedautore.it

    Buona lettura!

    Il libro abbandonato

    Era un’oziosa domenica di fine settembre sul litorale tirrenico a sud di Livorno, sulla lunga spiaggia che si estende per chilometri da Cecina fino a Punta dello Stellino. All’altezza di Donoratico in quel periodo dell’anno regna una dolce quiete fra bagnanti occasionali, infaticabili jogger e persone di tutte le età impegnate in serene passeggiate a piedi nudi sulla sabbia. Qua e là, appassionati di aquiloni si cimentano in funamboliche quanto ipnotiche evoluzioni tra fruscii di carta plastica e urletti divertiti. Qualcuno in mountain bike passa spingendo sui pedali, con le ruote semi affondate nella sabbia.

    In tutto questo dolce esistere, Vittorio stava disteso sulla sua sedia a sdraio pieghevole in plastica bianca e si godeva gli ultimi scampoli estivi, baciato da un pallido sole e accarezzato da una gentile tiepida brezza. Vide arrivare, con la coda dell’occhio, oltre le stecche dei suoi occhiali da sole con le lenti a specchio, un’attraente donna sulla quarantina, coperta di veli trasparenti sotto i quali s’intravedeva un costume intero di colore arancione.

    Con gesti misurati, quella donna dai modi eleganti distese sulla sabbia un piccolo sdraio in alluminio, badando bene di rivolgerlo al sole. Vittorio guardò tutto attorno per controllare se vi fossero altre persone con lei: scrutò fra le canne che cingevano il sentiero da cui lei era arrivata, cercando di cogliere il movimento di qualcuno. Era sorpreso che una simile creatura potesse trovarsi lì, tutta sola. Sorrise soddisfatto e si girò di nuovo verso di lei. Ma non era più là, lo sdraio era vuoto. Ebbe un attimo di smarrimento: dov’era finita? Si alzò dritto sulla schiena e finalmente la vide. Stava riemergendo dall’acqua, emettendo un sospiro di sollievo. Aveva sciolto i lunghi capelli di un rosso fiammante, forse tinti, ma le donavano molto e davano una cornice perfetta alle leggere efelidi che le punteggiavano il viso. Vittorio riabbassò gli occhiali da sole, per non farsi scoprire a spiarla. La donna si accarezzava i capelli con gesti misurati e li strizzava dall’acqua. Dopodiché li raccolse tutti in una mano e con l’altra li strinse in un elastico, fermandoli sulla nuca con una forcina. Si calò in acqua più volte fino al collo piegando le gambe. Poi, sbuffando e con la pelle d’oca, uscì dall’acqua tenendosi stretta fra le braccia. Lanciò uno sguardo divertito verso Vittorio: nonostante gli occhiali, era evidente che la stesse fissando in modo estatico.

    «Buongiorno. Oggi è un po’ fresca l’acqua, ma è meravigliosa», disse con una voce forte che denotava un carattere deciso. Poi raccolse il telo e cominciò ad asciugarsi.

    Vittorio, sentitosi smascherato, aveva calato gli occhiali sulla punta del naso e la fissava da sopra le lenti per non perdersi nemmeno uno dei suoi gesti.

    «Buongiorno» rispose. «Sì, è meravigliosa, specie da quando è arrivata lei!» aggiunse dopo una breve pausa.

    Lei sorrise di nuovo e riprese a strofinarsi con l’asciugamano, con cura, quando d’improvviso il suo sguardo si fissò su un punto e le sue mani rallentarono i gesti. Vittorio fu attratto nella stessa direzione: su un rozzo tavolino di legno, rovinato dalla salsedine, circondato da tre vecchie sedie di plastica disposte disordinatamente, giaceva un libro. La donna dai capelli rossi si fermò il telo alla cintura e a passi distesi si avvicinò. Raccolse il libro.

    Vittorio ebbe un moto di delusione: Se si mette a leggere, finisce ogni possibilità di dialogo, pensò.

    Si adagiò sul lettino, si tolse gli occhiali e, fingendo di pulirli, approfittò delle lenti a specchio per spiare i movimenti di lei. La donna girò il libro fra le mani accarezzandone la copertina con una curiosità morbosa. Passò la mano su una delle sedie per pulirla e si sedette sul bordo con le caviglie unite a terra e il libro appoggiato sulle ginocchia.

    Vittorio sentì un rigurgito di noia affiorargli dallo stomaco. Niente da fare, si mette a leggere. Peccato. Lui non aveva mai amato i libri, non aveva argomenti da spendere in quella materia e quell’occasione sembrava fornirgli un motivo in più per odiarli. Raccolse il quotidiano sportivo che aveva lasciato cadere sulla sabbia al suo fianco dopo l’arrivo di lei e ritornò, con uno sbadiglio, all’ennesimo articolo sul calcio. Di tanto in tanto si toglieva gli occhiali per scrutare la donna: a volte sorrideva, a volte sembrava emozionarsi e perfino commuoversi. A Vittorio quei continui sbalzi d’animo suggerivano l’idea di una tipa un po’ svitata. Ma era pur sempre una svitata molto affascinante.

    Poi ebbe l’idea: pensò di stupirla con le sue qualità di nuotatore. Da giovane aveva perfino vinto un torneo regionale con un tempo a due secondi dal record italiano. Scattò in piedi. Molleggiò sulle gambe. Allargò le braccia e fece un profondo respiro, gonfiando il petto come un gallo in procinto di cantare. Scagliò, con gesto plastico, gli occhiali sulla sdraio e si lanciò in corsa verso il mare. Tagliò il pelo dell’acqua a gambe unite e tese con un’impeccabile angolazione. Forse uno dei suoi tuffi migliori. Quindi cominciò a sbracciare in perfetto stile libero per una trentina di metri.

    Secondo me si chiama Claudia, rimuginava fra una bracciata e l’altra, o forse Cecilia… Sì, ha più un viso da Cecilia.

    Poi, quando il fiato cominciò a scarseggiare fece una verticale a testa in giù, per riemergere poi con una capriola. Appena messa la testa fuori dall’acqua guardò verso la spiaggia per verificare se lei avesse notato il suo gesto. Non c’era più. Se n’era andata. La delusione fu bruciante. Strategia completamente sbagliata pensò Vittorio. A quella donna non interessava nulla delle sue doti atletiche. Si distese a morto, a pancia in su, poi con calma nuotò verso riva.

    La sdraio di lei era ancora là, come la sua borsa. Forse si era allontanata per fare una passeggiata, pensò. Ma quella sua chioma rossa e quel suo costume aragosta non sarebbero passati inosservati nemmeno a grande distanza. Non c’era traccia di lei a perdita d’occhio. Sconsolato, guardò di nuovo dove l’aveva vista l’ultima volta. Il libro stava ancora là, chiuso, sul tavolino. Vittorio si avvicinò con circospezione e raccolse il libro, guardandosi attorno. Era strano: al tatto la copertina pareva fatta di materia viva. Un misto di pelle e di legno, morbido, pulsante, come se fosse percorso da vene piene di linfa. Si sedette. Prese a sfogliarlo e con stupore si accorse che i fogli erano tutti bianchi: non c’era una sola parola. Li girava uno a uno, incredulo: Ma cosa stava leggendo Cecilia? si chiese. Forse mi stava solo prendendo in giro. Poi si trovò davanti a una pagina a specchio che rifletteva la sua immagine. Era la sua immagine, certo, ma appariva più giovane. Vittorio non capiva e s’incantò a rimirarsi. Quell’immagine riflessa era la sua, ma era quella di un altro momento, e di un altro luogo. E anche spostando il libro in modo da modificare lo sfondo, il risultato non cambiava; e più guardava, più sembrava ringiovanire.

    Appoggiò la mano sul foglio e non trovò resistenza: la vide sprofondare oltre la sua superficie e percepì la sensazione di un morbido risucchio. Spaventato, estrasse la mano di scatto. Poi vide l’immagine della donna in costume arancione, all’interno di un giardino, che gli faceva cenno di raggiungerla mentre lei s’infilava in una macchia verde.

    «Cecilia!»

    Vittorio si fece forza e infilò un braccio nella pagina del libro. Ebbe la sensazione di poter passare interamente nello spazio di quella piccola pagina e poco alla volta si trovò oltre quel confine fisico con tutto se stesso. Da un lato vedeva la spiaggia di Donoratico, dall’altro era tutto buio.

    Prese rapidamente a scivolare verso il basso. Tentò di appigliarsi a qualcosa ma tutt’attorno era liscio e la caduta inarrestabile. In alto, sopra di lui, un rettangolo di cielo toscano si rimpiccioliva rapidamente, fino a che scomparve.

    Vittorio aveva paura, quella discesa sembrava non interrompersi e non sapeva dove lo avrebbe portato. Chiuse gli occhi e balbettò una preghiera. Voleva gridare, ma qualcosa lo frenava. Alla fine della discesa si ritrovò su un pavimento morbido, bianco. Una luce tenue e piatta illuminava l’ambiente dai contorni indefiniti. Dall’alto pendevano lunghissimi veli colorati, come quelli che indossava Cecilia. Una fitta trama di veli semi-trasparenti, come una foresta, in mezzo ai quali s’intravedevano delle alte colonne diritte di colore roseo. Vittorio si avvicinò a una di queste. La toccò. Era fatta di carne.

    Non erano colonne ma gambe, gambe di donne, dritte, affusolate e lunghissime. Ora ricordava nitidamente quel giorno in cui la madre, disegnatrice di moda, lo aveva portato con sé nei camerini dove si stava preparando una sfilata. Piccolo com’era, si aggirava in quella foresta di lunghe gambe slanciate come uno scoiattolo in cerca di ghiande. Ricordò di aver provato la stessa impressione.

    Da dietro quelle gambe sbucò il volto della bidella della sua scuola nella sua casacca blu: «Oggi le scuole

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