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Il doppio volto di Helena
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E-book224 pagine4 ore

Il doppio volto di Helena

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Info su questo ebook

Scozia, 1815

Chi è la bellissima donna che le onde hanno spinto sulla spiaggia? Una splendida sirena dai capelli rossi o un'imbrogliona? È ciò che si chiede Guy Tregellas, Visconte di Varington, l'uomo che ha trovato la fanciulla durante una passeggiata. Appena prima di perdere i sensi, lei gli ha detto di chiamarsi Helena, mentre il giorno seguente ha giurato di essere una vedova di nome Mary in viaggio verso Londra. Affascinato dalla sconosciuta più di quanto voglia ammettere, Guy, che si considera un irresistibile seduttore, decide di convincerla a gettare la maschera e a svelargli, tra baci e carezze, la verità.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2018
ISBN9788858991749
Il doppio volto di Helena
Autore

Margaret McPhee

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il doppio volto di Helena - Margaret McPhee

    Immagine di copertina:

    Bruno Faganello

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Untouched Mistress

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2008 Margaret McPhee

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-174-9

    1

    1 novembre 1815. Ayrshire, Scozia

    La cresta bianca delle onde s’infrangeva ritmica e feroce sulle rocce, mentre una figura solitaria camminava sola lungo la spiaggia. Il cielo di quel mattino era grigio e freddo e la pioggerellina fine penetrava nel mantello di lana dell’uomo iniziando a inzuppargli anche la giacca e il cotone della camicia.

    Sotto i suoi stivali, la sabbia era dura.

    Un gabbiano lanciò un urlo, rimarcando la propria presenza contro la ferocia del vento che aveva soffiato per tutta la notte e che ora arrossava le guance e arruffava i capelli di Guy Tregellas, Visconte di Varington. Lui ignorò il freddo umido dell’aria, pensando – non per la prima volta – a quanto fosse confortevole Londra. A Londra, le raffiche di vento non ti sollevavano il mantello. E la pioggia non era mai incessante. Non c’erano panorami sconfinati che l’occhio non riusciva ad abbracciare per intero. E le pecore non erano l’unica compagnia di cui si potesse godere.

    Il dolore alla testa si era in parte placato e la nausea era quasi scomparsa... ma non il ricordo di tutto il whisky che aveva bevuto. Seguì la curva della spiaggia, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio mentre attraversava un torrente che scendeva fino al mare.

    Fu allora che vide il corpo, una sagoma scura coperta dalle alghe.

    All’inizio pensò che fosse una foca sfortunata, che era stata uccisa dalla tempesta e trascinata a riva, ma avvicinandosi scoprì che non era così.

    La donna era distesa su un fianco, come se dormisse, l’abito attorcigliato intorno al corpo e le gambe in parte esposte. I piedi nudi erano bianchissimi, così come le braccia. Ma su una di esse si vedeva una ferita sanguinante. Guy le corse accanto, voltandola e togliendole i capelli dal volto.

    Doveva essere piuttosto giovane, sui venticinque anni, e, nonostante lo stato pietoso in cui si trovava, era molto attraente. Guy le posò due dita sul collo e sentì un debole battito di vita. Sospirò di sollievo e, proprio in quel momento, lei sbatté le palpebre, puntandogli addosso un paio di occhi verdi e bellissimi.

    «Un angelo...» mormorò mentre le labbra le si incurvavano in un debole sorriso e le palpebre si chiudevano di nuovo.

    «Aspettate!» Guy la scosse un poco, per paura che si stesse abbandonando alla morte. «Avanti, dannazione! Non osate morirmi tra le braccia, ragazza.» E fu proprio quando pensava che ormai fosse troppo tardi, che lei si ridestò.

    Per qualche secondo rimase in silenzio, come se cercasse di ricordare quello che era successo.

    «Agnes?» sussurrò con le labbra quasi ferme. E Guy poté leggere dell’ansia nella sua voce.

    «Grazie a Dio!» Lui sospirò di sollievo, togliendosi il mantello e avvolgendolo intorno alla donna. «Dobbiamo tornare da Weir.»

    «Agnes?» ripeté lei in un tono quasi disperato. «La mia cameriera... era con me sulla barca... e il vecchio Tam?»

    Lui strinse gli occhi, scrutando l’orizzonte, ma sapendo già che non avrebbe visto nient’altro che rocce. Non c’erano altri corpi. Non c’era Agnes. Né il vecchio Tam.

    «Non sono qui» le rispose con gentilezza. «Potete dirmi il vostro nome?»

    «Helena» disse lei, sfinita, senza aggiungere altro. Solo il nome. Cercò di respirare ancora, ma era debole e i suoi occhi lottavano per rimanere aperti. Mosse di nuovo le labbra.

    Guy si avvicinò un poco, per udire meglio.

    «Per favore...» Nient’altro. Gli occhi della giovane ruotarono ancora verso l’alto, mentre gli sveniva tra le braccia.

    «Helena?» Guy le toccò le guance, quindi gliele schiaffeggiò leggermente.

    Nessuna risposta.

    «Helena?» la chiamò, premendole di nuovo le dita sul collo. Il suo cuore batteva ancora, ma era terribilmente debole.

    Mormorando qualche imprecazione tra i denti, Guy l’attirò verso di sé e la sollevò da terra.

    Era molto pesante a causa dell’acqua che le aveva inzuppato le vesti ed era fredda, più fredda di quanto una persona potesse essere, ghiacciata quasi come un cadavere. Cercò di non perdere tempo e, caricandosela in spalla, puntò verso le rocce e verso Seamill Hall.

    Helena aprì gli occhi e sbatté più volte le palpebre alla vista di un soffitto decorato. Grazie al cielo era sola. Non c’era alcun peso dall’altra parte del materasso, nessuna mano possessiva aggrappata a lei. E non sentiva il puzzo dell’uomo sulla propria pelle. Al solo pensiero, le si rivoltò lo stomaco. Le sue dita tastarono la coperta. E fu allora che notò che c’era qualcosa di diverso nel soffitto. Si fermò, pensando che la giornata sembrava molto luminosa, più luminosa del solito. Si sforzò di sollevarsi sui gomiti, ignorando la testa che le pulsava e guardando la stanza che aveva attorno.

    Era una piccola camera da letto, decorata in una tenue e confortevole sfumatura gialla. Era spoglia ma dignitosa. Il letto era più piccolo del suo, con una coperta a strisce verdi e gialle. E c’era un camino acceso. Tutto le sembrava pulito e accogliente. Accanto al fuoco c’era una poltrona. Sul muro, il dipinto di un panorama e, accanto alla parete opposta, una scrivania in stile francese. Helena non riconosceva nulla.

    Dove si trovava? Non fece in tempo a formulare quella domanda che la sua mente iniziò a schiarirsi. Deglutì a fatica. Tutto le tornò alla memoria. Agnes era stata con lei, così come il vecchio Tam. Quando erano saliti sulla barca non c’erano stati né vento né pioggia, l’aria ferma e pesante. Il vecchio Tam le aveva detto che sarebbero arrivati prima dell’inizio del temporale. Si era sbagliato.

    Helena ricordava di aver sentito sul viso le prime gocce di pioggia, mentre le onde si ingrossavano, scuotendo la barchetta e i suoi occupanti. Avvolta nel buio della notte, le era stato impossibile vedere Agnes o Tam, ma aveva sentito le urla della cameriera e le imprecazioni dell’uomo contro il furore della tempesta.

    L’acqua le era sembrata ghiacciata, sulle prime, poi non vi aveva più fatto caso, presa com’era a lottare per qualche boccata d’aria. Non ricordava nient’altro, a parte l’angelo che l’aveva risvegliata.

    Era impossibile, ovviamente. Gli angeli non esistevano. E non andavano in soccorso di persone come lei. Eppure il volto di quell’angelo le era impresso con tanta chiarezza nella memoria che le sembrava impossibile esserselo immaginato. Cercò di ricordare quello che era successo sulla spiaggia, ma le doleva troppo la testa.

    Non rammentava altro che il viso di quell’angelo: i suoi capelli scuri inzuppati dalla pioggia, il suo volto chiaro e gli occhi profondi, blu scuro, pieni di forza e preoccupazione. Con lui, si era sentita istintivamente al sicuro. E, intorno alla sua immagine, non c’era stato nient’altro.

    Non sapeva nulla del posto in cui si trovava né di come vi fosse giunta. Sapeva soltanto che doveva andarsene prima che Stephen la trovasse. Doveva scappare più in fretta che poteva. Quella era la realtà. Non c’era nessun angelo e avrebbe fatto meglio a pensare da sola a se stessa.

    Spinse via le coperte e si sedette sul bordo del letto, cercando di fare un respiro profondo e di alzarsi. Le doleva tutto, si sentiva fiacca e intirizzita. Ma, lo stesso, cercò di fare qualche passo. Erano la paura e la determinazione a muoverla. Si avvicinò al bacile in un angolo della stanza e si spruzzò il viso di acqua fredda, poi si vestì in fretta. Purtroppo non vedeva né le proprie scarpe né le calze... e neppure la borsa da viaggio.

    Lo specchio le mostrò un livido blu su una tempia. Lo accarezzò con dita tremanti, domandandosi come se lo fosse procurato, poiché non ricordava di aver battuto la testa. Era più pallida del solito e aveva gli occhi cerchiati dalla fatica. Non indugiò oltre e si raccolse i capelli in una semplice coda, sperando che potesse bastare per passare inosservata.

    Rifece il letto, dando una parvenza di ordine alla stanza. Poi frugò nella cesta in fondo al letto, trovando delle lenzuola pulite. Si guardò attorno, sollevata nel puntare gli occhi sulla spazzola d’argento accanto allo specchio. Insieme al lenzuolo, avrebbe potuto ricavarci un po’ di denaro. Ma, nonostante la disperazione, Helena si disse che rubare un lenzuolo era già abbastanza. Si affrettò verso la porta ed esitò un attimo.

    Il fuoco scoppiettava nel camino, la stanza era calda e confortevole. Fu tentata di restare. Quasi. Si strinse il lenzuolo al petto e aprì la porta.

    «È un bell’esemplare» disse Lord Varington ammirando la pistola che aveva in mano. «Ben bilanciato.» La soppesò.

    John Weir sorrise, compiaciuto dell’ammirazione dell’amico. «È formidabile. Riesco a mirare a una lepre a cinquanta passi. Ne possiedo due e una la tengo sempre sulla mia barca.» Ammiccò. «I gabbiani sono ottimi per allenarsi. Potresti darmi qualche lezione per migliorare ancora la mira.» Poi però John ricordò l’avversione di Guy per la campagna. «Brown dice che il tempo domani migliorerà e ci sarà il sole.»

    Guy lo guardò sospettoso. «Non cercare di blandirmi. Sono stato qui una settimana e il sole non si è praticamente mai visto. Anzi, se non ricordo male, ha piovuto sempre.»

    «Domani sarà diverso, ricorda le mie parole. E il panorama che si gode dalla brughiera è magnifico. Senza le nubi, si riescono a vedere le isole.»

    «Non me ne importa niente della vista meravigliosa, come ben sai! Ma riempimi la borraccia di whisky e accetterò il tuo invito.»

    «Affare fatto.» Weir sorrise ancora. «Ne ho uno molto pregiato, nelle mie cantine. Sentirai che aroma.»

    Guy annuì.

    «L’idea di andare a sparare ti fa ricordare i vecchi tempi nei Fucilieri?»

    «Sì, un po’» rispose Guy facendo scorrere un dito sulla pistola.

    «Ti mancano?»

    «Qualche volta» ammise Guy con un sorriso mesto. «Ma sono passati anni e ci sono... altri interessi ora. Se avessi tempo da perdere, lo perderei in questi. Anche se sei un uomo sposato, sono sicuro che ti ricordi quant’era divertente.»

    «Se lo dici tu, Varington.»

    Guy gli rivolse un sorriso arrogante. «Oh, certo.»

    Rimasero in silenzio qualche istante, poi Weir tirò le labbra, preoccupato. «Cosa ne facciamo della donna di sopra? Non sembra affatto riprendersi, nonostante le cure del dottor Milligan.»

    «Dev’essere esausta ed è ferita.»

    Weir annuì. «Sono tre giorni, ormai.»

    «Si sveglierà quando sarà il momento.»

    «Ma non sappiamo neppure chi è.»

    «La lady del mistero» ribatté Guy, accennando un sorriso. Non gli piaceva ripensare a quel momento sulla spiaggia, quando la donna gli era quasi morta tra le braccia. Gli aveva ricordato troppo il passato. Un passato che avrebbe tanto voluto poter dimenticare.

    John sollevò gli occhi al cielo. «Devi ammettere che è piuttosto curioso che non ci siano giunte notizie su di lei, che nessuno la stia cercando.»

    Guy si strinse nelle spalle. «Forse non ha una famiglia che possa notare la sua assenza, magari tutti quelli che conosceva sono morti nella tempesta. Cos’ha detto il connestabile?»

    «Che svolgerà delle ricerche.»

    «Perciò non abbiamo niente da temere.»

    «A parte il fatto che c’è una perfetta sconosciuta che dorme in una delle mie camere da letto.»

    Guy gli sorrise sornione. «Se stesse dormendo in una delle mie, non mi lamenterei tanto.»

    Weir storse il naso. «Ne sono certo, ma questo non è il punto. Non sappiamo niente di lei. Potrebbe essere chiunque. Annabel mi ha detto che la lavandaia le ha riferito di aver trovato una chiave cucita nel suo vestito.» Si frugò nella tasca. «Ecco.» Passò a Guy una chiave d’argento, di media grandezza.

    «Ha tutta l’aria di una chiave da porta interna.»

    Weir strizzò gli occhi. «Perché mai doveva aver cucita addosso una chiave? Non ha senso.»

    «Forse stava nascondendo qualcosa a qualcuno.» Guy si strinse ancora nelle spalle. «Come faccio a saperlo?» Chiuse la mano intorno alla chiave e se l’infilò in tasca. «Vedrò di riconsegnarla alla signora al momento opportuno.»

    Weir non disse niente, ma sospirò.

    «Ha mai parlato da quando è qui?» chiese Guy.

    «Non ha detto niente che abbia un senso. Ha pronunciato un nome, mentre dormiva. A quanto pare è sopravvissuta a una specie di naufragio.»

    «Per essere scampata a una tempesta in una notte di novembre, devo dire che la nostra lady del mistero ha proprio una fortuna sfacciata.»

    «Non dire certe cose!» lo redarguì l’amico.

    Guy rise.

    «Non è divertente» disse Weir, indignato. «Non quando la tempesta è stata proprio durante la notte di Ognissanti. Non riesco a levarmi dalla testa che sia un presagio di sventura. E la presenza di quella donna qui mi lascia una strana sensazione di disagio nello stomaco. Vorrei che non ce l’avessi portata.»

    «Io credo che tu legga troppi romanzi gotici, amico mio» lo canzonò Guy. «Avresti preferito che la lasciassi a morire sulla sabbia?»

    «No, certo che no! Non potrei mai condannare nessuno a una tale morte e non sarei un buon cristiano se non l’aiutassi. Però non so...» L’espressione di Weir la diceva lunga su quello che sentiva. «Devo pensare ad Annabel e alle ragazze.»

    «Chi credi che sia? Una ladra? Un’assassina?» Guy strizzò gli occhi, fissando l’amico. «Una strega, forse? Dopotutto, ha i capelli rossi.»

    Weir corrugò la fronte. «No, non scherzare, Varington. Forse è una donna innocente, ma non riesco a levarmi di dosso la brutta sensazione che nasconda qualcosa.»

    «John, non credo che fosse in grado di nasconderci niente, considerato lo stato in cui è arrivata qui. E, anche se fosse cosciente, dubito che avrebbe la forza di lasciare la sua stanza, figuriamoci di fare qualsiasi altra cosa.»

    «Ma tu non sei preoccupato neanche un po’?»

    «No» replicò Guy, ed era la verità.

    «Be’, accidenti, secondo me dovresti esserlo. Sei stato tu a portarla qui. Se risultasse una criminale, il biasimo ricadrebbe su di te.»

    «Mi prenderei le mie colpe» ribatté l’altro.

    «E cosa facciamo quando si sveglia?»

    «Noi?» gli domandò Guy, canzonandolo. Poi vide l’irritazione crescere sul volto dell’amico. «Be’, da un primo sguardo mi è sembrata piuttosto bella d’aspetto. Suppongo che potrei essere interessato a lei.»

    «Varington! Dio solo sa perché ho insistito tanto che mi venissi a trovare qui a Seamill!»

    «Probabilmente ha a che fare con il piacere di avere la mia compagnia.»

    John non poté reprimere una risata.

    Furono interrotti da alcuni colpi alla porta e un servitore si avvicinò discretamente a Weir, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.

    «Non può tornare più tardi?» suggerì Weir, infastidito.

    Ancora un bisbiglio.

    «Allora sarà meglio che lo veda.»

    Il servitore annuì e se ne andò, quindi John guardò Guy. «Ho un problema con uno dei miei tenutari e pare che non possa aspettare. Ti prego di scusarmi.»

    Helena si fermò non appena sentì che la porta d’ingresso veniva aperta. Il panico la prese e le risultò difficile persino respirare. Udì delle voci maschili, che non riconobbe, e poi dei passi. Un’altra porta che si apriva. E, di nuovo, silenzio.

    Il cuore le martellò nel petto, ma lei si sforzò di riguadagnare la calma e rimase in ascolto. Sapeva di doversi sbrigare, di dover fuggire prima che qualcuno venisse a cercarla. I suoi piedi scalzi non fecero alcun rumore lungo le scale.

    Guy tese l’orecchio. Tutto intorno a lui era immerso nel silenzio, a parte quello scricchiolio leggerissimo che proveniva dalle scale. Era del tutto normale che ci fosse, visto che la scala era di legno, ma qualcosa lo mise in allerta. Ricordò che Annabel e le bambine erano uscite approfittando di una breve tregua concessa dalla pioggia e il suo disagio crebbe ancor più. Si alzò e si avvicinò alla porta.

    Helena raggiunse il fondo delle scale e si guardò attorno, nervosa. Poi, pian piano, raggiunse la porta e chiuse le dita intorno al pomello rotondo. Sotto la pressione della sua mano, la porta iniziò ad aprirsi.

    Rabbrividì per l’aria fredda dell’esterno, che

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