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Come il primo giorno
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E-book152 pagine2 ore

Come il primo giorno

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Info su questo ebook

L'unico modo per riconquistarla era fingere che quei mesi non fossero passati. Tutto ciò che a Francesco Capuano rimane è una lettera, in cui lei spiega vagamente il motivo di quella fuga improvvisa. Ma come possono poche righe giustificare la scomparsa della propria moglie? Roxane Fabian ha lasciato suo marito in una maniera misteriosa e inaspettata, rimanendo nell'ombra per un anno. Fino a quando, per caso, i due si incontrano di nuovo. Francesco è furioso, e Roxane, stranamente, non è da meno, anche se sotto il loro atteggiamento si nasconde, fortissima, la passione di un tempo. Costretta a fermarsi a casa di suo marito, Roxane inizia a rivelare i veri motivi della sua fuga. Nel frattempo Francesco ricomincia da capo: a conoscerla, ad ammirarla e...
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2021
ISBN9788830528888
Come il primo giorno
Autore

Daphne Clair

Autrice residente in Nuova Zelanda, ha scritto la sua prima novella alla tenera età di otto anni.

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    Anteprima del libro

    Come il primo giorno - Daphne Clair

    Copertina. «Come il primo giorno» di Clair Daphne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Riccioni Pregnancy

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2002 Daphne Clair

    Traduzione di Edy Tassi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-888-8

    Frontespizio. «Come il primo giorno» di Clair Daphne

    1

    Qualcuno la stava seguendo. Silenzioso, invisibile. Ma il lieve pizzicore dietro la nuca e fra le scapole l’aveva messa in guardia. Alle sue spalle si nascondeva un cacciatore.

    Aveva percorso a piedi quella strada stretta e in salita migliaia di volte ormai, alla luce del giorno e di sera, e non si era mai sentita nervosa. Fino a quel momento.

    I lampioni erano nascosti dalle fronde degli alberi che fiancheggiavano il marciapiede, gettandovi sopra ombre profonde. Radici ribelli formavano gobbe insidiose e crepe sull’asfalto.

    I tacchi delle sue décolleté blu erano abbastanza alti da risultare pericolosi al buio. Incespicò, si lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata e si lanciò un rapido sguardo alle spalle.

    Niente. Ma sarebbe stato facile, per chiunque non avesse voluto essere visto, nascondersi dietro un tronco o uno dei veicoli parcheggiati lungo la strada. Poche abitazioni, in zona, possedevano un garage.

    Istintivamente, affrettò il passo mentre con una mano rovistava nella borsetta alla ricerca della chiave.

    Davanti alla porta dei suoi vicini si fermò, sbirciando un’altra volta dietro di sé. L’ombra che si muoveva sotto uno degli alberi era uno scherzo della brezza serale che agitava le foglie o...?

    Per un istante valutò la possibilità di bussare, di venire accolta dall’ospitale, flemmatica famiglia Tongan. I muscolosi uomini di casa sarebbero potuti uscire per vedersela con il misterioso estraneo. Ma dalle finestre non filtrava alcuna luce, né si poteva udire il suono della televisione accesa o delle voci che si rincorrevano fra le mura, riversandosi in strada.

    E se si fosse sbagliata? Se non ci fosse stato nessun aggressore fantasma? La sua abitazione, un cottage di due piani che rievocava il passato coloniale della Nuova Zelanda, era a pochi metri di distanza.

    Non correre. Pochi rapidi passi, un veloce armeggiare con il chiavistello ed eccola sul vialetto. Il cancelletto si chiuse alle sue spalle con un colpo metallico, i rami spioventi di un kowhai le sfiorarono le spalle, mentre le sue dita si stringevano finalmente attorno alle chiavi dentro la borsetta.

    Aveva ormai raggiunto il secondo dei tre gradini di legno che portavano al piccolo portico, quando il cancelletto sbatté di nuovo. Roteò su se stessa, risalendo all’indietro l’ultimo gradino, mentre un’alta figura maschile si materializzava vicino a lei.

    Un tacco si infilò in una delle fessure fra le travi consumate e lei perse l’equilibrio. Protese una mano per aggrapparsi alla ringhiera e perse la presa sul mazzo di chiavi, che cadde con fracasso sul vialetto lastricato. La sagoma scura dell’uomo si chinò a raccoglierlo.

    Non aveva nessuna via di fuga. Era in trappola. Dietro di lei una porta chiusa. Davanti, un uomo con le sue chiavi.

    Alzò la testa e inspirò a fondo pronta a urlare, nella speranza che qualcuno la sentisse, qualcuno che potesse correre in suo aiuto.

    L’ombra salì i gradini con un balzo e una grande mano calda le serrò la bocca, stroncando l’urlo sul nascere.

    Con prontezza, lei sollevò un ginocchio, ma l’uomo si scansò in fretta, portandosi alle sue spalle. Cercò di morderlo, ma i suoi denti non fecero presa contro l’ampio palmo che la soffocava. Provò a scalciare all’indietro nel tentativo di colpirlo con uno dei tacchi, ma lui aveva evidentemente previsto quella mossa e lei incontrò solo l’aria della sera. Il suo gomito, diretto contro il plesso solare dell’assalitore, venne bloccato da una mano forte che scivolò fino al polso. Poi lui la circondò con un braccio e la strinse contro di sé.

    La sua profonda voce maschile risuonò con un sussurro nelle orecchie di lei. «Tesoro, non farlo.»

    Tesoro? Tutto il suo corpo si irrigidì.

    Tesoro? La rabbia rimpiazzò la paura.

    Le tempie le martellavano come se il cuore stesse pompando tutto il sangue alla testa, mentre i suoi arti si facevano deboli e tremanti. Le braccia che la imprigionavano si allentarono e lei ne approfittò per voltarsi e fronteggiarlo. La sua mano destra si sollevò di scatto e lo colpì sul volto con una forza che risuonò nella via tranquilla come uno sparo, facendogli quasi perdere l’equilibrio.

    «Bastardo!» La sua voce era tremula e acuta e lei rimpianse di aver aperto bocca. Ora lui sapeva che era spaventata, una donnicciola isterica che strillava inutili insulti.

    Il volto dell’uomo era nascosto nell’ombra, ma lei lo vide alzare una mano e in un cieco, inutile tentativo di fuga, si ritrasse di qualche passo, finendo con la schiena contro la porta di casa, chiusa.

    E a quel punto lui rise.

    Lei respirò a fondo. Le orecchie le ronzavano e le sembrava di fluttuare nello spazio, uno spazio buio e disorientante. Dovette trarre un altro respiro prima di parlare. «Dammi le chiavi» ordinò, stringendo i denti e cercando di mantenere ferma la voce.

    Lui gliele tese.

    Lei le afferrò con malagrazia e le loro dita si sfiorarono.

    Una violenta scarica di adrenalina le percorse tutto il corpo, elettrizzandolo. Poi lei si voltò e cercò inutilmente di trovare la serratura con mani tremanti.

    Forti dita maschili si chiusero sulle sue e lei sussultò. Lui riprese le chiavi e con efficienza aprì la porta. Poi attese che lei entrasse in casa prima di seguirla.

    Ora erano entrambi all’interno, insieme, al buio. I sensi di lei erano all’erta. Poteva udire il respiro di lui lievemente irregolare, il profumo di pulito del cotone e della lana e un accenno di fragranza muschiata.

    Con la mano lui la teneva ancora per i fianchi e con il braccio la attrasse verso di sé. «Stai tremando» mormorò, solleticandole la tempia con il mento rasato. «Mi spiace.»

    «Ci mancherebbe che non lo fossi!» La rabbia era un’arma di difesa contro la vergogna e la confusione. Si scostò bruscamente da lui e brancolò alla ricerca dell’interruttore, poi batté le palpebre mentre fissava un paio di occhi color terra di Siena, le sopracciglia scure corrugate sopra un naso autoritario e una bocca stretta in una linea sottile, che però non riusciva a mascherarne la mascolina sensualità.

    «Sei pallida» le fece notare ancora lui.

    Si sentiva pallida. «Mi stavi pedinando?»

    Lui mosse la testa di scatto e una ciocca di lucenti capelli neri gli ricadde sulla fronte. «Pedinando?»

    «Mi stavi seguendo. Non negherai che hai cercato di nasconderti.»

    «Stavo cercando di non spaventarti.»

    Lei quasi scoppiò a ridere. «Cosa?»

    «Pensavo che se avessi visto, o sentito, un uomo dietro di te in questa strada solitaria, avresti avuto tutte le ragioni di preoccuparti.»

    «E come pensi che mi sia sentita, invece, sapendo che qualcuno là fuori stava deliberatamente cercando di nascondersi alla mia vista?» Agitata, gettò la borsetta sul tavolino, vicino al telefono.

    «Non mi ero reso conto che te ne fossi accorta.» Le prese la mano, depose sul palmo il mazzo di chiavi e ripiegò delicatamente le dita. Poi chinò la testa e premette le labbra sulla pelle sottile all’interno del polso, provocandole un brivido che la scosse fin nel profondo.

    Quando si risollevò, lei cercò di voltarsi, ma lui riuscì lo stesso a osservarla in volto. «Hai bisogno di bere qualcosa.»

    Si guardò attorno e, attraverso la porta aperta, individuò la stanza che fungeva da salotto. Prima che lei se ne rendesse conto, la stava già conducendo in quella direzione e accendeva la luce. Fece un altro debole tentativo di scostarsi, ma lui non sembrò farci caso. «Siediti» le ordinò invece, e la scortò fino al divano sistemato davanti al piccolo camino.

    Lei ubbidì solo perché le sembrava ancora che il suo scheletro si fosse all’improvviso liquefatto. «Non ho bisogno di bere. E anche se fosse, sono perfettamente in grado di arrangiarmi da sola.»

    Lui la guardò in un modo che esprimeva tutti i suoi dubbi in proposito. Poi esaminò la stanza e si diresse verso un mobiletto d’angolo con le antine in vetro, all’interno del quale trovavano posto una fila ordinata di bottiglie e una serie di calici e bicchieri.

    Lei rimase a osservarlo con le labbra serrate fino a che lui non fece ritorno e le porse un bicchiere di cristallo colmo di brandy.

    Mandò giù metà del liquido ambrato, lasciando che il liquore le bruciasse la gola e le facesse lacrimare gli occhi, costringendola a chiuderli.

    I cuscini al suo fianco si abbassarono e lei riaprì gli occhi, voltando la testa di scatto.

    Con un braccio allungato sullo schienale del divano, lui osservava come il colore cominciava a incendiarle le guance. Il brandy, si giustificò lei, e desiderò che non si fosse seduto così vicino. La sua coscia, vestita con un paio di perfetti pantaloni scuri, quasi toccava quella di lei.

    «Bevilo tutto» la esortò lui.

    Avrebbe dovuto dirgli di andarsene all’inferno, che non voleva che lui, o qualunque altra persona non invitata, si introducesse in casa sua, impartendo ordini e decidendo di che cosa lei avesse bisogno.

    Invece, sollevò il bicchiere e lo svuotò, tanto per farsi coraggio. Poi strinse il cristallo fra le mani con una tale forza, che si meravigliò che non si frantumasse in mille pezzi.

    «Vivi da sola?» le domandò lui.

    «Non sono affari tuoi.» La risposta le sfuggì prima che potesse pensarci.

    Maledizione. Perché non aveva dichiarato la presenza di un fidanzato, un imponente e protettivo fidanzato? O di una mezza dozzina di coinquiline, di ritorno in qualsiasi momento? Anche se il cottage non era così grande, con le sue due sole camere da letto. «Da quanto mi stai seguendo?»

    «Ti ho vista scendere dall’autobus in Ponsonby Road. Torni a casa spesso da sola così al buio?» la interrogò in tono di accusa.

    Ponsonby Road era famosa per il suo eclettico miscuglio di attività. Immigrati nostalgici delle isole del Pacifico potevano comprare taro e patate dolci, papaw e frutti dell’albero del pane e le donne delle isole Fiji potevano trovare i loro colorati sari in minuscoli negozi affollati, aperti vicino alle gallerie di arte locale. Ma la lunga strada animata era molto famosa anche per i suoi ristoranti e per i numerosi caffè. Affollata e ben illuminata, distava poco più che cinquecento metri dal cottage.

    «Sono sempre stata al sicuro, fino a stasera.»

    «Eri al sicuro anche stasera. Me ne sono accertato io.»

    «Grazie per l’interessamento» ribatté lei, senza nascondere il proprio sarcasmo.

    «Ti dispiace se mi verso anch’io qualcosa da bere?»

    «Sì, mi dispiace.»

    Le folte sopracciglia scure si sollevarono in silenzio. «Che gentile.» La guardò per pochi istanti, poi

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