Il nibbio dell'Uccellina
Di Giorgio Diaz
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Il nibbio dell'Uccellina - Giorgio Diaz
giorgio diaz
Il Nibbio dell’Uccellina
Società Editoriale ARPANet
Copyright © 2013 Società Editoriale ARPANet Srl, Milano
edizione: aprile 2013
ISBN 978- 88-7426-197-0
via Stampa, 8
20123 Milano
tel. 02.670.06.34
redazione@arpanet.org
Collana diretta da: Paco Simone
Art director: Francesca Fasoli
In copertina, l’originale della prefazione di Andrea G. Pinketts
Curae leves loquuntur,
ingentes stupent
I.
L’ispettore Curto era di cattivo umore. Camminava sulla spiaggia lungo la battigia, ma l’alta marea gli faceva affondare i piedi nella sabbia sotto il peso dell’attrezzatura da pesca, e per di più le onduzze dispettose gli bagnavano la sacca delle canne, le smaialette.
L’aveva voluta lascia’ la mogliera livornesa pe’ mettessi a pane co’ ‘sta fiorentina schizzignosa, più giovane assai, ma co’ e’ fisse di ‘a casa? E gli aveva figliato esta figlietta co’ ‘a boccuccia storta che un ni andava mai bene gnente! A lui che nun avrebbe voluto mai tene’ famiglia? Ma che l’è i’ caso, a cinquantanni, d’avecce ‘na bimbetta incitrullita che sta a ciama’ mammaaaa, mammaaaa
d’a matina a la sera?
Con vocina ficcante, vetricida, commo ner tamburo de latta?
Ni dava noia tutto, la stempiata ni bruciava, un ciaveva messo abbastanza cremma solare, ni doleva ‘piedi, ch’a forza d’anda’ dentro e fori l’acqua co’ la canna a lancia’, ni erano diventati come duo pepperoncini, puro i baffi ni pizzicavano, maremma boiona!
Camminava lungo spiaggia e la gente era sempre più rada, a quell’ora mattutina le famigliole s’arrestavano ’n dove li piedi stracchi loro ci facevano male e ‘ bimbini fottuti principiavano a frigna’. La torre era ancora lontana, un chilometro o due, ma dejà poteva comincia’ la ricerca der capanno pe’ fermassi, tanto de lunedì chi ce sarebbe venuto fin laggiù?
Ne vide uno all’orizzonte, sembrava adatto, vicino a i’ mare, che un si dovesse fa’ anda e rianda troppe volte e bruciassi li piedi sulla sabbia rovente in su l’ora di mezzogiorno, e ciavesse ‘ su’ spuntoni p’attaccacce le sacche. E ni sembrò anche ci fosse davanti ‘l canale fra ‘na secca e l’antra che c’entravano l’orate e lui potesse tiracce ner mezzo. Avvicinandosi, e te pareva!, s’accorse che ce stava ggià quarcuno, ‘r solito omino solo, nudo com’un verme, che ‘n se sapeva s’era frocio o se voleva seulement frigge’ le palle ‘n solitudine. Bojon d’un bojon! E ‘nnamo avanti che ce n’è rena da cammina’!
Ma ‘r nervoso je prudeva de più. Provò a cambia’ de pensiero: la cariera?, nun me ce fa pensa’, pe’ davero, che m’hanno fottuto or ora e a fa’ ‘r commissario nun c’arivo manco da vecio. Pe’ carità! Ma c’ho la ganza. Che voi de più? E mo’ chissà ‘n do’ sta a quest’ora. Che l’è andata bela bela co’ su’ omo su ‘na spiaggia a la moda e se ne sta lì colle su’ tettone a fasse rimira’ da’ vecchioni!
Ma se l’era ritrovata per caso, ‘na vecchia amica, de’ vecchi tempi, che s’erano rivisti, e ripiaciuti, e avevan la stessa età, anzi lei uno de più, e l’era bionda, e ciaveva du’ zinne! E come l’era conservata bene pe’ la su’ età... E se vedavan de frodo, ne li alberghetti, ‘na vorta ogni tanto, pe’ fa’ l’innamorati, co’ ‘a scusa di ‘o lavoro, che lei faceva la rappresentante de’ mediccinali, l’informatrice scientifica se dichiarava. E mo’ anco lei ciaveva ‘na figlietta, più grande de la sua, ce credo!, che se faceva l’affare sua e non rompeva, e cor padre ce stava ben.
Che bel pensierooo. Ma non glie bastava, che l’avrebbe rivista a anda’ bene fra du’ mesi, se no tre!
E aloraaa? C’era po’o de sta’ allegri: ‘na settimana e un aveva preso manco un’orata, maremma bestiona, e ‘r Nero, ‘n du’ giorni, a dugento metri da lui, e n’aveva tirato su quasi se’ chili, fra cui du’ ‘nimali de due chili che facevan’impressione, e pe’ strascicalle a riva ni c’era voluto un quarto d’ora per una, di’ ‘an. E lui a guarda’, un ni ciavevan neanco dato, all’esca, e di’ che n’aveva provato di tutte, ami esca lancio!?
L’era maiala, quest’anno l’era proprio maiala, un ni andava bene nulla nella su’ vita, un ciaveva satisfazioni. Camina camina, ma un si riva mai ner posto giusto!
E voleva cambia’, dopo tre giorni ch’un aveva preso niente, e ‘r Nero un c’era oggi, ma ‘l su’ posto e l’era occupato da du’ rigazzini ch’un compicciavano gnente.
‘Nsomma, era lì co’ su’ penzieri, e nun ce stava cchiù nisciuno, ni davanti ni didietro, e era andato parecchio ‘n là pe’ trova’ ‘n dove appostarsi, e fra un moccolo e l’altro un s’era punto rasserenato.
Ora e’ bisogna che mi fermi
, se disse, sennò mi ci vole un mese a torna’ addietro co’ ‘sto peso su le spalle, e se ritrovo l’alta marea, cor caldo, so’ d’ ‘i gatto, ché sprofondo in della sabbia bagnata
.
A un tratto, e’ vide move’ un puntino in lontananza, di davanti a lui, che ni veniva incontro e sembrava smanacciasse un po’, com’a richiamare l’attenzione. E correva, e poteva esse’ uno di quei fissati che vanno ‘nsu e ‘ngiù a scalmanassi a tutte l’ore, omini e donne, senza differenza d’età.
Ma poi, man mano che s’avvicinava e la distingueva meglio, s’avvide ch’era una grassona e rifiatava e l’ansimava tutta..., e l’era gnuda, mamma mamma, o i’ che vole, che c’abbian provato puro co’ lei, ‘sti zozzoni?!
E gli cascò quasi fra le braccia, e ‘n ciaveva più ‘r fiato pe’ parla’, e lui l’era ‘mbarazzato co’ ‘st’ ammazzonona a pienzoloni che ni ciondolavano le poppe e ‘n viso pareva ‘n vorcano.
Essa si riprese e aprì la boccona tumida: La corra, la corra
. E s’interruppe ingollando la linguona per l’emozione.
Ma che la c’è da correre?
, pensò Curto, Che l’ha corsa tutta lei e ‘n ce la fa ‘cchiù!
La c’è un cadavere, la c’è un cadavere!
Ma che la dice, ‘sta qui, che l’è ammattita, e’ avrà visto un tronco n’ i’ mare
, ripensò lui.
La c’è un cadavere sotto la sabbia, e la c’è una mano che sporge. Mamma mia che paura, e meno male che c’è lei, un la vedevo veni’ nessuno, e io so’ sola soletta
.
E’ la s’era ripresa e mo’ ni s’aggrappava tutta a i’ collo, e lui un sapeva come fa’ a staccalla, ché quelle cicce gli davan soffocazione, e poi co’ tutta la robba che ciaveva a tracolla!
Ma signora, che la dice, ma è sicura? Un cadavere, ma un sarà uno scherzo? Che magari c’hanno infilato una mano di gomma o un guanto di plastica?
No, no, l’è una mano vera, non l’ho toccata, ma la si vede, mi creda, venga con me, venga con me che ce la porto
.
Ma e’ bisognerà chiama’ quarcuno, un se po’ mica tira’ fori noi!
L’era irritato, di solito nun se vedeva che l’era un polizziotto, e questa pareva proprio l’avesse indovinato... E poi, che gle toccava, de lavura’ anco ‘n vacanza?
La un si preoccupi, signore, e’ la c’ho ‘l cellulare, ‘n do’ m’ero fermata, ma poi e’ l’ho veduta arriva’ de lontano, e sono corsa da lei, pe’ farmi coraggio!
L’hai vista, la grassona gnuda, e la cià ‘r telefonino, e te pareva, un se scampa più ormai. Mah? Meglio così, vai, nun me tocca d’arritorna’ de corsa ar parcheggio
.
Così si risolse e n’andò dietro, e quella sculettava tutta pe’ la foga e l’emozione, e ‘nciampava ne’ le buche de la rena e ni pareva una lunona rossa, ché quer culone nun s’era ancora abbronzato. E doppo un po’ de menuti arivarono a ‘n capanno, ‘n dove lei ciaveva la borsa e l’asciugamano e li vestiti, e ‘r telefonino famoso.
Ma che l’è qui?
, domandò Curto, e un vedeva nulla intorno.
Ma no, l’è lì, l’è lì
, e ‘ndicava la duna poco distante.
Ma che c’è andata a fa’?, a piscia’, ché le faceva freddo d’entra’ nell’acqua
, pensò lui poco cavallerescamente.
Quella s’avviò, sempre sculettonando (e’ un s’era messa niente addosso, chella sventata!), e lui dietro, liberatosi del pondo che aveva a tracolla e dello zaino, che li aveva mollati nel capanno.
C’era poca distanza fra il capanno e la duna, la sabbia era appena tiepida, non arroventava ancora, dovevano essere le nove e un quarto, nove e mezzo, calcolò, pensando a quando era sceso dalla macchina. E quella era già lì, da sola.
S’alza co’ li polli
, si disse.
Sulla spiaggia c’era un po’ di steccoli e la solita spazzatura, qualche sacchetto, bottiglie di plastica, strani pezzi colorati che chissà da dove venivano, dalle barche, da’ pescatori, o vattelapescà.
‘N fra li primi ciuffi d’Ammophila arenaria c’era come un camminamento che assaliva tortuoso co’ le tracce de’ ppiedi de la gente che c’era passata, pe’ fare il percorso meno ripido in fra le dune. ‘N cima , se n’accorgette solo allora, ‘na capannuccia de tronchetti, senza copertura, giusto un rifugetto in un avvallamento fra ‘sti sparti, con accanto diversi gigli di mare, ch’era difficile vedelli tutt’insieme.
La culona s’affermò e ‘ie disse: La guardi, la guardi, io m’ampressiono, nun ce voglio vede più, ‘st’orore!
C’era lì sotto, a du’ metri da ’a capannetta, quarcosa ch’emergeva dalla sabbia, poteva assomigliassi a un rametto, de lontano, mais l’era proprio ‘na mano vera, co’ ‘e diti aperti, stesi, stecchiti. Se vedeva solo quella veni’ fori dalla rena, ‘ntorno manco uno stecchino.
Curto se chinò circospetto, sanza entra’ ne ‘i cerchio de la morte, pe’ nun rischia’ de cancella’ quarcosa, ma la sabbia era pari pari, ‘sta manotta grassoccia e bianchiccia sembrava un segnale turistico messo lì a bella posta. Era pulita, ma ne’ l’unghie se vedeva ‘r nero de’ granelli di rena conficcati, tanti, tanti! Niente cchiù!
Se vortò sentendo gracchia’ ‘a voce d’’a grassona: Sono in su la spiaggia di Marina di Alberese
, ansimava, a un chilometro circa dalla torre di Collelungo. Venite, presto, venite presto, c’è un cadavere, un ca-da-ve-re nella sabbia. C’è un signore con me, un signore gentile sui cinquanta. No, non è l’assassino. L’ho chiamato io. Presto, presto. Sì, prima della torre di Collelungo, sulla duna
.
Oh, bisogna che mi rivesta, mi rivesta. Fra poco vengono i carabinieri
.
Li carabbinieri!?!
Mannaggia, nun ciaveva penzato a ‘sta sbroccona! Chi volevi che ciamasse?, nun sanno fa’ altro, ‘sta ggente. Li carabbinieri. E mo’ ce vole calma.
La mi scusi signora
, e lei se stava ‘nfilando le mutande, strettine assai pe’ coprinne le vergogne, io sono un ispettore di polizia, le dispiace se chiamo i colleghi per avvertirli? Sa, così collaboriamo anche noi
.
Ma ci mancherebbe, ci mancherebbe. Ma guarda che coincidenza, che fortuna ho avuto. Prenda, prenda, telefoni pure, io intanto mi rivesto
.
II.
Arrivonno prima li carabbinieri, naturellement, che e’ vennero co’ ‘licottero e co’ ‘a lancia, ‘n gran forzza, ché chi ‘iiee levava ‘sto caso de mistero! I’ cc’era ‘n capitain, todo azzimato e lindo che scese da’ ‘licottero ‘n su la spiaggia e cc’aveva puro li stivaloni. E Curto ‘n brachette e ‘na majetta tutta ‘nsudacchiata se sentiva un tapino e ‘n sapeva ché di’.
Di chi sono tutte queste impronte sulla sabbia?
Il capitano, tutto impettito, guardava alternativamente Curto e la grassona, ‘nterrogativo.
‘Azzo ne saccio
, pensò l’ispettore indispettito, bisogna che mi presenti a ‘sto frullino
.
E ‘llera davvero ‘n frullino, giovinotto scuro, co’ ‘sto fare militaresco di ‘i ccazzo e ‘r piglio ‘n po’ ‘rrogante.
Capitano, sono l’ispettore Curto, della questura di Firenze, mi trovavo qui per caso, come vede dal mio abbigliamento vacanziero, stavo andando a pescare quando questa signora mi è corsa incontro e mi ha portato sul luogo, indicandomi il cadavere, o meglio la mano, che lei vedrà fra poco
.
Gnacchete, ‘bbassa ‘a cresta, o gallettino, ché un si po’ parla’ a ‘i primo che ‘ncontri como se fusse ‘n deficiente, pe’ mettello ‘n difficoltà, eh?
, ‘ie venne ‘n mente subbito dopo aver parlato.
‘R capitano s’impettì e se mostrò tutto contento d’ave’ trovato quarcuno che ce capiva, ‘n ‘sti casi, o armeno così lasciò ‘ntende p’esse carino. Piacere, Cinto
.
Fu tutt’un correre in sulla spiaggia e pe’ ll’acqua, quella mattina, ‘licotteri, barche, persone.
Quanno che furono sicuri che ‘ntorno a ‘a mano, ‘n tondo, un c’era punte impronte, e tutte l’artre l’individuarono e fotografarono, poi vennero co’ ‘e pale e comincionno a scava’.
Gl’era arrivato il magistrato, giusto giusto prima, e presiedeva co’ ‘su pancione e ‘a barba folta, co’ ‘na cammiciona a maniche corte che ni sortiva da’ pantaloni comme ‘na mongolfiera pe’ coprì ‘a panza. E l’era un omo su’ quaranta, quarantacinque, ma e’ sembrava n’avesse di più, e s’era messo a sudare, a sudare de’ tutti i pori. L’aveva presentato , ‘r capitano, ma quello sembrava nun capi’ granché e ‘n se l’era filato pe’ gnente, a Curto.
Ma ‘nsomma, scavonno piano piano, ‘a sabbia fine, che poi ce returnava sopra, ar corpo, che veniva fora pezzetto per pezzetto. E se vide ‘r braccio, teso, che lui aveva opposto ar carnefice quanno che ‘ie’ gettava la sabbia addosso.
Ch’un’era morto prima. Orore!
E se vide ‘r torace, gnudo e peloso, e ‘a faccia, ‘n po’ gonfia, ma ‘ntatta. E a Curto ‘ie prese ‘n colpo, ché ‘ie sembrava de’ conoscello, a quello!
Ma chi ll’era?
Guardò de sottecchi ar capitano, ar magistrato, ma nisciuno pareva ‘nteressato, gli eran lì, bischerelli, attoniti. Il corpaccio era disteso, ‘nclinato ‘r torso per l’insù a tenta’ de proteggessi co’ i’ braccio steso, e poi se videro le vergogne, ché c’aveva i pantaloncini abbassati su ‘e cosce. E a’ piedi ‘n par de ciabattacce de gomma blu, a la tedesca, colla fibbia chiusa, che gl’erano rimaste un po’ sghembe.
E’ fecero le foto, li rilievi, e ‘ie ce volle ore e ore, e quanno ‘o tironno su da ‘a buca, s’accorgettero che dietro ‘a crapa, su ‘a nuca e su ‘a capoccia e’ ni avevano dato di molte randellate. e poi l’avevan messo sdraiato dinto ‘a buca e, borda!, ri’operto di sabbia, tandis che lui e’ s’era un po’ risvegliato e protestava co’ i’ braccio alzato. E quando e’ l’avevan ri’operto e mollato lì, ‘sta manina era venuta di fori, a ‘ndica’ lo scempio e la crudeltà de’ carnefici (si l’eran più d’uno, poteva esse’ sì e no).
Era tardi, il caldo era cresciuto già da tempo, la sabbia scottava e Curto s’era dovuto infilare le spardegne che portava solo per camminare in pineta, e gli si erano tutte riempite di quella maledetta rena...
Era arrivata anche una barca della polizia, ‘na barcuccia a motore che faceva rabbia, e su’ colleghi che manco lo conoscevano s’erano precipitati dal dottor De Gregoriis, il magistrato, che li aveva ricevuti col suo sguardo vago e sprezzante.
E ‘l cadavere nun c’aveva documenti e nun c’era verso de capì chi l’era, quel ceppicone riccioluto co’ ‘na bella piazzetta in su la fronte e ‘sti permanentoni intorno, come er sor Pampurio!
La faccia e’ l’era gonfia e livida, e un si poteva segui’ bene i lineamenti, eppure...
Curto s’aricordò: Puttanaccia della miseria, bisognerà ch’avverta a casa. N’avevo detto che tornavo a pranzo, ché quelle due e’ son volsute rimane’ in paese, a candi’ de caldo. Maremma delle maremme!
E ni venne in mente la zuzzurellona gnuda co’ ir telefonino, ch’un c’aveva volontà di chiede’ a’ carabbinieri, ar magistrato, a que’ due zoticoni de’ colleghi, se poteva telefona’ a la su’ moglie.
Se girò e la vide, la gnoccolona, sotto ar capanno, in compagnia d’un omino che ‘ie sembrava de conosce’, ‘n tipino uno e