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La giostra dei ricordi
La giostra dei ricordi
La giostra dei ricordi
E-book292 pagine4 ore

La giostra dei ricordi

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Info su questo ebook

Leonardo e Cecilia provengono da mondi diametralmente opposti.
Leonardo è parte di quella categoria di persone che nascono con la camicia, anzi, a lui è andata ancora meglio, perché nel pacchetto della sua esistenza era compresa anche la cravatta, già da molto, molto prima che lui venisse alla luce, tant’è il lusso a cui è avvezzo. A diciassette anni, Leonardo ricerca l’unica cosa che la sua famiglia non è stata in grado di trasmettergli: la stabilità. Che trova per caso, quando nella sua vita e in quella dei suoi amici piomba lei, Cecilia, una ragazza abituata ai quartieri popolari, dove i soldi non sono mai abbastanza e il valore da assegnare ad ogni piccola cosa un principio cardine su cui mai transigere. Leonardo e Cecilia si incontrano da ragazzini, un’estate, in un campeggio, e si attraggono come due magneti. Le loro vite si intersecano, le realtà in cui sono stati educati vengono a contatto e i loro mondi così lontani inevitabilmente si scontrano.
E si congiungono.
Ma qualcosa di oscuro e inaspettato che li attende dietro l’angolo investirà entrambi senza alcun preavviso, stravolgendo e distruggendo tutti gli equilibri.
Una storia che parte oggi, fa un tuffo nel passato e poi racconta presente e futuro. Tre libri, dedicati alle vite di Leonardo e Cecilia, ad un sentimento impossibile da dimenticare e ad una promessa: "Sarà per sempre”.
Davvero?
LinguaItaliano
Data di uscita22 giu 2016
ISBN9786050462746
La giostra dei ricordi

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    Anteprima del libro

    La giostra dei ricordi - Valentina Gift

    NOTE DI COPERTINA

    Leonardo e Cecilia provengono da mondi diametralmente opposti.

    Leonardo è parte di quella categoria di persone che nascono con la camicia, anzi, a lui è andata ancora meglio, perché nel pacchetto della sua esistenza era compresa anche la cravatta, già da molto, molto prima che lui venisse alla luce, tant’è il lusso a cui è avvezzo. A diciassette anni, Leonardo ricerca l’unica cosa che la sua famiglia non è stata in grado di trasmettergli: la stabilità. Che trova per caso, quando nella sua vita e in quella dei suoi amici piomba lei, Cecilia, una ragazza abituata ai quartieri popolari, dove i soldi non sono mai abbastanza e il valore da assegnare ad ogni piccola cosa un principio cardine su cui mai transigere. Leonardo e Cecilia si incontrano da ragazzini, un’estate, in un campeggio, e si attraggono come due magneti. Le loro vite si intersecano, le realtà in cui sono stati educati vengono a contatto e i loro mondi così lontani inevitabilmente si scontrano.

    E si congiungono.

    Ma qualcosa di oscuro e inaspettato che li attende dietro l’angolo investirà entrambi senza alcun preavviso, stravolgendo e distruggendo tutti gli equilibri.

    Una storia che parte oggi, fa un tuffo nel passato e poi racconta presente e futuro. Tre libri, dedicati alle vite di Leonardo e Cecilia, ad un sentimento impossibile da dimenticare e ad una promessa: Sarà per sempre.

    Davvero?

    Timeo Danaos et dona ferentes

    Publio Virgilio Marone-Eneide

    CAPITOLO 1

    È dentro di noi un fanciullino che non solo ha brividi, ma lagrime ancora e tripudi suoi

    La giornata è calda, afosa per essere solo l’inizio del mese di febbraio. Sulla città splende un sole immenso, i cui raggi si insinuano tra i pori della pelle del mio viso come quando scio ad alta quota. È pausa pranzo e non ho voglia del solito ristorante, delle chiacchiere, di finanza e di altri cravattati che fanno la fila per starmi intorno. Oggi mi va di comprare un panino al bar e poi uscire, cazzo, a fare un giro da solo.

    Ho voglia di stare solo.

    Faccio due passi e i giardini in cui mi ritrovo a girovagare sono belli, curati e affollati: c’è chi passeggia, chi mangia un gelato, e chi si gode la pace dello stare seduto su di una panchina. È presente all’interno del parco un’area riservata ai bambini che dista da me di un centinaio di metri: sento distintamente le loro risa e anche qualche pianto. Me ne tengo alla larga alzando involontariamente un sopracciglio e l’angolo sinistro della bocca. Antoine de Saint-Exupery affermava come ogni adulto sia stato bambino e che poi, crescendo, l'abbia dimenticato: beh, mai asserzione fu più azzeccata per quanto mi riguarda. Occupo una panchina vuota, consumo il mio pasto, bevo un goccio di acqua gassata fredda e accendo una sigaretta mentre osservo il mondo che mi circonda: due vecchietti che parlano del clima, una signora con due gemelli, una coppia di adolescenti che si bacia con passione, un cane intento a giocare con il padrone…prima di perdere la cognizione del tempo lancio un’occhiata al Rolex che porto al polso per accertarmi di non essere in ritardo. L’orologio è l’unica cosa non acquistata in questa stagione che indosso: è un regalo di mio padre e risale a quando ho compiuto diciotto anni. È stato il suo regalo personale per me e non me ne separo mai. Sono solo le 13.30, ciò significa che ho ancora un’ora davanti prima di dover rientrare in ufficio. Non essendo abituato ad avere momenti liberi durante la giornata sbuffo, interrogandomi tacitamente su quale possa essere il modo migliore per godere appieno di questo lungo momento di inattesa libertà, quando la risposta mi arriva direttamente dal destino.

    «Leonardo», il mio nome pronunciato con quell’accento francese che ormai conosco bene mi induce a voltarmi.

    A qualche metro da me Giulia, bellissima come sempre, nel suo abito di alta sartoria, décolleté con tacco vertiginoso e scollatura mozzafiato. Giulia non è la mia ragazza, né la mia amante, né una mia amica. È la mia ultima conquista, una conquista con cui mi vedo regolarmente da qualche mese al contrario di quelli che sono gli standard di attenzione che riservo normalmente ad una donna. Le sorrido perché ora so come impegnerò i prossimi sessanta minuti.

    Poi tutto intorno a me si ferma nell’istante stesso in cui sento il suono di una risata.

    Non una qualsiasi ma QUELLA RISATA, quella risata che riconoscerei in mezzo a milioni di altre risate, pura e sincera, che mi fa cercare in mezzo alla gente un volto che non vedo da quanto, dieci anni?

    Ne cerco la proprietaria ed eccola, la ragazza che ha riso è lì, nell’area bambini di fronte a me. È voltata di spalle e ride. Ride mentre fa salire e scendere da una giostrina composta da un lungo palo che sale e scende a seconda di dove si sposta il peso, un bambino, piccolo, due anni forse?

    Anche lui ride, con la testa all’indietro e gli occhietti chiusi.

    Per tutto il tempo che la osservo, la ragazza che ha appena riso non si gira, ma io non ho bisogno di vederla in faccia.

    So per certo chi è.

    E per un attimo, un piccolissimo attimo, il mio stomaco si contrae e il mio cuore perde un battito.

    CAPITOLO 2

    Per riempire una stanza basta un ricordo

    Guardo l’ora, sono le 17.00. Allento un po’ la cravatta, le dita passano nervose sulle labbra e lo sguardo si posa sulle pareti di quell'ufficio che ormai è divenuto la mia casa. Indugia poi sulla scrivania dove sopra qualche ora fa c’era Giulia. Tocco il legno del tavolo e ripenso al tempo trascorso nel pomeriggio con lei. La mia mente oggi è stata lontanissima da tutti i movimenti, i sospiri, i baci e le carezze. Ho soddisfatto unicamente un mio mero bisogno fisiologico e mi rendo conto di come quell'appagamento di cui solo il mio corpo ha giovato sia stato seguito poi da un senso di vuoto che mi è rimasto accanto tutto il pomeriggio.

    Le 17.10.

    Fisso il monitor ma non vedo più nulla. L’unica cosa che impregna la mia mente è quella risata. Ancora e ancora.

    Le 17.20.

    La risata, la sua risata.

    Ho bisogno di sapere, la mia mente è fissa su un unico, devastante pensiero: e se lei avesse un figlio? Se fosse…sposata? Se fosse…felice?

    Cazzo, dopo tutti questi anni. Dopo tutto questo tempo in cui non l’ho più vista, sentita, toccata, pensata … amata. È bastato un suono a risvegliare in me una storia chiusa, sepolta, lasciata o perduta, tanto tanto tempo fa.

    Le 17.26.

    Vaffanculo.

    Picchietto sul tavolo. E poi mi decido: apro google, accedo a Facebook e digito il suo nome e cognome, mentre l’adrenalina sferza e colpisce dei punti interni che non pensavo più di avere. E magia, la ragazza che ho cercato compare davanti a me. La sua foto profilo la ritrae con indosso occhiali da sole, capelli legati e un bel sorriso: è uno scatto rubato, lo vedo dalla naturalezza con cui sta sorridendo e mi ritrovo a sorridere a mia volta, come se potesse vedermi, come se fossimo uno di fronte all’altra e lei stesse sorridendo. Solo per me.

    Come tanto tempo fa.

    Il profilo è protetto dalla privacy, non mi è concesso vedere altro. Cerco qualche amico in comune per bypassare il problema ma non ne trovo e l’unica cosa che mi è permessa è ammirare il suo viso e associarlo a quella risata che inconsapevolmente oggi mi ha regalato. Ne seguo i contorni e accarezzo con gli occhi i tratti della figura che ho davanti: la fronte, gli zigomi, il naso, il mento, fino ad arrivare a quelle labbra che conosco così bene.

    Poi, d’ improvviso, mi sento un miserabile. Per aver sperato che non avesse un figlio, un marito o un fidanzato, che non fosse felice, per aver provato gelosia verso una persona che è stata mia, anche se molto tempo fa. Prima della laurea a pieni voti, prima del Master, prima di essere diventato il leader indiscusso dell’azienda che ho ereditato da mio padre. Prima di tutto quello che è successo dopo. Prima, quando tutto era più semplice.

    Le 18.00.

    Guardo di nuovo la foto e mi sento moralmente obbligato a chiudere la ricerca oltre che un coglione per tutto questo turbinio di emozioni.

    Che cazzo, è stato tanto tempo fa.

    Spengo il pc, mi alzo e decido che per oggi il mio lavoro è concluso. Raggiungo gli amici al bar Margherita perché il venerdì equivale al preludio del fine settimana, ossia ad una buona serata per ubriacarsi. Il locale è pieno, siamo quasi tutti in piedi, perciò, ci spostiamo verso l’esterno dove il bar ha un’appendice riscaldata riservata ai fumatori. Il programma che mi viene illustrato è partire per la montagna seduta stante, fermarci a mangiare qualcosa strada facendo e ritornare domenica sera. Sarà che sono al quarto bicchiere a stomaco vuoto o che ho bisogno di allontanarmi dal passato ma l’idea mi sembra più che ottima. Butto giù l’ultimo sorso dell’aperitivo e mi sposto per posare il bicchiere su un tavolino vuoto accanto ad un gruppo di giovani ragazze. Passando loro vicino avverto un profumo che mi catapulta indietro nel tempo e la mia mente rievoca per l’ennesima volta QUELLA risata e poi il suo viso, il sorriso, i suoi occhi che mi cercano in mezzo alla gente.

    Sarà per sempre, Leo?

    I ricordi mi colpiscono come un pugno in pieno stomaco.

    «Tutto bene?», Giulia è arrivata e mi sta toccando l’avambraccio.

    Sorride, e il suo viso ha un’aria così gentile che mi ritrovo a ricambiarne il gesto.

    «Partiamo? Sei pronto?», chiede con gli occhi che luccicano.

    Le piace sciare e ogni volta che andiamo in montagna mi dice che per lei è come se fosse Natale.

    Sono tutti in attesa che dia un segno di vita.

    «Sì, andiamo», le prendo la mano mentre camminiamo verso l’ auto.

    Ho un leggero fastidio che mi fa pulsare le tempie e sto tentando di scacciare la necessità che sento di restarmene solo. Io e Giulia saliamo in auto, ci allacciamo la cintura e mentre l'abitacolo si chiude intorno a me come le pareti di una prigione, mi allungo verso il pulsante del riscaldamento, lo alzo al massimo e mi faccio avvolgere dal rumore che producono le ventole, tentando così di ignorare quel senso di asfissia che mi attanaglia.

    Per distrarmi, guardo Giulia: percepisco la contentezza della mia ospite da ogni suo movimento, è leggiadra, sembra aspettare questo momento da tutta una vita. Non lascia la mia mano mentre guarda fuori sospirando. Con un movimento studiato mi libero dalla sua stretta fingendo con noncuranza di accendere la radio, c’è una canzone dance e lei, cantando, alza il volume. Che Dio sia lodato, non avevo voglia di chiacchierare, o di ascoltare.

    «Leo ma questa musica fa cagare!!», e scoppia a ridere.

    È seduta a gambe incrociate sul mio letto e indossa la maglietta che ho comprato al concerto di Vasco. Ho azionato lo stereo e gli Offspring hanno iniziato a cantare prima che io potessi fingere di non aver mai acquistato il loro cd. Abbiamo gusti musicali incompatibili ed ogni volta è un’agonia trovare qualcosa che vada bene ad entrambi.

    Tranne Laura di Vasco.

    Finge di svenire e cade supina sul letto. Seguo con gli occhi la linea delle gambe nude, fino al bordo della mia maglietta che ora indossa lei e che le sta così bene.

    Laura di Vasco.

    Ogni volta che l’ascolto il mio cuore si ferma.

    Amo vederla ridere, amo vederla ridere sul mio letto, amo vederla ridere mentre è nuda nel mio letto.

    Dio, adoro quando i miei se ne vanno fuori per un intero week-end.

    Mentre l’autostrada scorre veloce e la mia auto fila sopra questa strada dritta e infinita illuminata dalla luce gialla dei lampioni, realizzo che ho appena aperto il vaso di Pandora. Ricordi sepolti dentro le cavità della mia anima sono esplosi e risalgono nella mente incessanti ed impetuosi. Guardo la strada andare avanti mentre io altro non posso fare che tornare indietro, a quando tutto è cominciato.

    PARTE PRIMA

    PASSATO

    CAPITOLO 3

    La vita è un palcoscenico e noi siamo i suoi attori. Volenti o nolenti, indossiamo la nostra maschera e recitiamo la nostra parte di finzione

    LEONARDO

    È la metà di giugno ed io ho 17 anni.

    Come ogni anno dacché ne ho 4 la mia famiglia soggiorna nel bungalow n. 25 di questo campeggio. Appena terminate le scuole io, mio fratello Davide e la mamma ci trasferiamo qui in pianta stabile per tre mesi mentre mio padre ci raggiunge nei week-end e nelle due settimane centrali del mese di agosto. Conosco praticamente tutti, stranieri a parte, e questo perché gran parte degli ospiti ha le nostre stesse abitudini. La direzione, i titolari del bar e del market, camerieri, baristi, commessi, animatori, bagnini, addetti ai lavori…sono sempre le stesse persone. E poi c’è la parte che preferisco: la mia compagnia di amici, una quindicina di persone tra i 17 e i 20 anni, ragazzi e ragazze residenti in diverse province. D’inverno non ci si vede mai né ci si sente, ci si incontra solo d’estate anche se i telefoni cellulari di cui tutti ci stiamo attrezzando stanno rivoluzionando questo collaudato sistema.

    Appena arrivati aiutiamo la mamma a sistemare, lei fa i letti e svuota le valigie mentre io e il mio tredicenne fratello mettiamo in ordine giardino, spesa e dispensa, come ogni anno a inizio stagione. A mansioni concluse mi siedo sui gradini della terrazza e mi godo quel po’ di sole che filtra tra i rami degli alberi. I risultati scolastici sono già stati resi pubblici e mi compiaccio con me stesso per essere riuscito a farmi promuovere anche quest’anno, senza riportare neppure un debito formativo. Considerando che non sono un amante dello studio devo dire di esserne molto soddisfatto. Per un attimo vengo toccato dal pensiero che frequento una scuola privata di cui mio padre è un sostenuto finanziatore e che quindi i risultati che conseguo non sono esattamente ricollegabili alla mia preparazione, ma passa subito. Alzo il collo della polo, infilo i Ray-ban e mi affaccio in cucina per salutare mia mamma e dirle che esco e che tornerò per cena. Siamo a metà settimana ed è giugno, in spiaggia non c’è praticamente nessuno. Alcuni della mia combriccola sono già arrivati e sono sdraiati al sole vicino al bagnasciuga. Mi dirigo verso di loro e quando si accorgono di me è tutto un: «Ciao vecchio», seguito dal saluto da maschi che consiste nello stringersi la mano destra a pugno e darsi contemporaneamente una pacca sulla spalla con la sinistra. Mi stendo al sole pronto a questa nuova estate e mentre aspettiamo che arrivino le ragazze facciamo quello che fanno giovani uomini di quell’età: ci raccontiamo con quante siamo stati condendo i racconti reali con particolari così piccanti da rendere lapalissiano il nostro mentire e poi, dopo tutto quel sesso immaginario, giochiamo a calcio.

    La sera arriva in un lampo, doccia, cena e poi esco di nuovo con gli amici. Esco è una parola grossa perché non ci allontaniamo quasi mai dal campeggio; le nostre serate si consumano tra i tavolini esterni del bar, la discoteca presente all’interno della struttura, la spiaggia e lo stare nel bungalow di qualcuno. Non abbiamo molte pretese, siamo un bel gruppo e stare insieme è quanto ci basta.

    Accendo una sigaretta, mi avvio verso il bar e mentre cammino vedo una ragazza bionda e slanciata che mi corre incontro: Agata.

    Agata è espansiva, estroversa, ha una battuta per tutti anche se spesso i toni che usa non risultano molto amichevoli perché è tremendamente lunatica. I nostri genitori sono amici, perciò ci frequentiamo anche nel periodo invernale quindi che cazzo corre, non sono mica anni che non ci vediamo. Mi preparo a prenderla e sostenerla perché puoi stare certo che questa mi salta in braccio…infatti, è proprio quello che fa. Mi stringe e mi sbaciucchia dove capita e questo mi fa sorridere: abbiamo avuto una specie di storia qualche tempo fa, o meglio più che altro una serie di esperimenti amorosi. Diciassette anni entrambi, ormoni in subbuglio, genitori amici, tanto tempo insieme da soli quando i nostri si vedevano, le solite menate in pratica. Per me tutto si è fermato lì, ma per lei no, o almeno di questo ho sempre avuto il sospetto.

    «Portami così fino al bar!!», mi chiede mettendo un finto broncio e sbattendo le ciglia.

    «Sei matta? Sono appena arrivato, non vorrai mica rovinarmi la piazza!», le faccio l’occhiolino, mi fermo vicino ad un muretto e la appoggio sopra.

    Voglio che si slacci da me ma non voglio urtare i suoi sentimenti, le voglio bene e non so a che punto siamo. O meglio so bene a che punto sono io e non vorrei divenisse un ostacolo alla nostra decennale amicizia. Io e Agata raggiungiamo il bar e vedo con piacere che ci sono quasi tutti. Abbraccio le ragazze e saluto i ragazzi che non ho visto in spiaggia. Tra tutti Alex è indubbiamente il mio migliore amico. Mi conosce bene, molto bene, meglio di chiunque altro al mondo. Una della mia classe ha scritto sul mio diario: "Un amico è uno che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci" e quando ho letto la frase ho inevitabilmente pensato ad Alex. Conosco e mi circondo di molte persone, ma posso affermare senza ombra di dubbio che lui è l’unico amico che ho. Amico con la A maiuscola, s’intende.

    Alex si avvicina, accosta la sedia alla mia e dopo le obbligate chiacchiere di circostanza mi dice che c’è una novità quest’anno, una nuova recluta, la cugina di Camilla. Mi guarda, sorride e alza una birra: «Magari è la volta buona che qualcuna ti fa innamorare», dice con aria da cospiratore.

    Ma figuriamoci!

    CAPITOLO 4

    La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo

    CECILIA

    Sono seduta a tavola, sto chiacchierando con mia zia e mentre la guardo non posso che pensare a quanto somigli alla mamma. Mia cugina Camilla è in bagno da un’ora, dove è corsa appena abbiamo terminato di cenare. Si è alzata così velocemente che non credo abbia fatto nemmeno in tempo ad appoggiare la forchetta sul tavolo. L’avrà portata di là e, come la Sirenetta, la starà usando come arricciaspiccia per pettinarsi i capelli.

    La mia idea di vacanze quest’anno è stata rivoluzionata: normalmente trascorro unicamente due settimane ad agosto con la mia famiglia a Bibione ma quest’anno zia Lidia ha proposto ai miei di farmi passare il resto dell’estate con lei e mia cugina Camilla e l’iniziativa è stata approvata. Così sono stata catapultata nella realtà del campeggio e fino ad ora posso dire che mi sta piacendo molto. Sono arrivata ieri e praticamente non ho fatto altro che starmene in costume. Nel pomeriggio di oggi sono stata a negozi perché tra ragazze avevamo concordato di fare spese, e di cosa? Costumi!!

    Ed ora eccoci qui, pronte per uscire di nuovo. Se continuerà così sarà un’estate all’insegna del totale relax per me!

    Camilla fa capolino in cucina avvolta in una nuvola di profumo che mi fa prudere la gola, indossa un vestitino rosa e nero, ha le scarpe abbinate e molto, molto trucco! Sorrido perché penso che con i ragazzi della compagnia ci si vede tutti i giorni, in costume, con i capelli arruffati dall’umidità del mare e la pelle che appiccica perciò l’utilità di tirarsi come se dovessimo partecipare ad un evento sociale personalmente la trovo parecchio buffa.

    «Ceci sei pronta?», mi chiede ravvivando i riccioli.

    «Certo», rispondo e penso anche «più o meno da un secolo» però non lo dico perché non voglio che si offenda, visto quant'è permalosa.

    «Vieni vestita COSI’?», Camilla sbarra orripilata i suoi occhioni azzurri.

    Colta alla sprovvista mi guardo allo specchio pensando di essermi inavvertitamente macchiata cenando ma non vedo niente di strano. Indosso jeans, una semplicissima canotta bianca e le mie All Star, ho fatto una coda alta e messo un po’ di matita nera sugli occhi, unico trucco che normalmente mi concedo. Mi sento un po’ a disagio sotto il suo sguardo inquisitore, mi inumidisco le labbra e penso: «Certo che vengo così, che cos’ho di sbagliato?? Io sono così, mi vesto così, mi trucco così, sono così e basta».

    Guardo mia cugina e dico semplicemente: «Sì».

    Benvenuta principessa nel mio mondo da outsider…

    Camilla resta un momento perplessa, poi i suoi lineamenti contratti per la sorpresa si distendono, mi sorride e mi prende a braccetto dandomi un bacio sulla guancia. «E allora andiamo!!».

    Così salutiamo la zia che ci ricorda che:

    1) dobbiamo tornare per massimo mezzanotte e avvertire se usciamo dal

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