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Prima dell'alba
Prima dell'alba
Prima dell'alba
E-book184 pagine2 ore

Prima dell'alba

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Info su questo ebook

Fra tutte le persone che incontriamo, solamente alcune rimangono dentro di noi, indelebili. Con queste instauriamo rapporti che vanno al di là dell'incontro fisico fra due corpi, in una parola creiamo connessioni.
Quando il legame che unisce due persone è profondo, anche se lontane, anche se non presenti fisicamente nello stesso luogo e nello stesso tempo, queste rimangono legate da un filo invisibile.
Giorgia, la protagonista del romanzo, fa tesoro di questi incontri, grazie ai quali cresce e matura. S'innamorerà, vivrà amori destinati a non coronarsi mai e amori che la lasceranno sola ma ritorneranno con risposte, anche se dopo tanto tempo.
Prima dell’alba affonda le sue più profonde radici nell’analisi dei sentimenti, nel concetto di tempo, parla di fiducia, amore, cambiamento, futuro…
Io rimango distesa al suo fianco con gli occhi chiusi, cercando di ricordare esattamene cosa ho sognato pochi minuti fa. Poi faccio un respiro profondo, nuova aria, magari scaccia via questi inopportuni pensieri. Mi giro sul fianco e provo a spingere la testa fra il suo fianco e il suo braccio, per adagiarmi sul suo petto.
Sgancia la presa dalla pagina di giornale e mi guarda, infastidito per averlo distratto dalla sua lettura.
LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2017
ISBN9788867933501
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    Anteprima del libro

    Prima dell'alba - Daria Montella

    spazio

    Marzo

    3 marzo, mercoledì

    Portava una camicia a mezze maniche bianca e bermuda beige, ai piedi un paio di infradito di corda, il sole si specchiava nei suoi piccoli occhi marroni e scaldava la sua pelle così abbronzata e lucida.

    Camminava con un passo lento sulla strada di marmo verso il chiosco al centro della piazza. Alle sue spalle si reggeva imponente la bianca chiesa illuminata dalla luce naturale del giorno, il grande orologio sul campanile segnava le undici, le undici di una bellissima mattina d’estate.

    La piazza sembrava non finire mai, percorsa a quella velocità. Dette uno sguardo all’orologio da polso per controllare che l’ora fosse esatta e arrivò davanti al chiosco.

    Il tettuccio a punta del gazebo fungeva da ancoraggio a una mongolfiera rosa di piccole dimensioni, legata con corte funi e tenuta in aria dal vento.

    Il suono dell’aria fra i fori sotto l’aeromobile accoglieva i clienti nel negozio con dei fantastici giri di note.

    Dato che il sole si trovava proprio dietro al grande pallone rosa, gli occhi marroni dovettero aspettare di trovarsi sull’uscio della porta, sotto l’ombra della tettoia per osservarlo bene. L’angolo destro della bocca si tirò a mo’ di sorriso. Lo distrasse la voce del negoziante, un uomo sulla quarantina in canottiera seduto su uno sgabello troppo alto per la sua esile figura:

    Buon giorno, torno subito, vado ad appendere questi...

    L’omino uscì da dietro la scrivania e il giovane capì che non era seduto sullo sgabello come sembrava, uscì dalla porta, gli passò di fianco mostrando un sorriso simpatico con pochi denti e portando in mano qual-che palloncino colorato. Li gonfiò tutti e tre in un batter d’occhio e impiegò solo più tempo a legare il filo mentre borbottava di non avere più le mani abili di una volta e rientrò nel chioschetto.

    Di cosa ha bisogno? Un compleanno? Matrimonio? Entri pure! disse mentre rientrava di corsa nel negozio strusciando i piedi.

    Buongiorno, avevo pensato a un solo palloncino, uno solo! Che si veda da lontano!

    L’ometto annuì stringendo le labbra e strizzando gli occhietti dai contorni rugosi, lo pregò di aspettarlo un momento e risparì dietro la scrivania.

    Dovrei avere proprio qui quello che le serve...

    Ne riemerse dopo qualche minuto con un plico di foto dalla copertina anch’essa rosa.

    Guardi questo! Sono sicuro che qui dentro c’è quello che cerca!

    Il giovane arrivò alla terza foto e vi puntò il dito sopra. Mani perfettamente curate, unghie lisce e tagliate meticolosamente, leggermente lunghe per la mano di un uomo, precisissime.

    Questo è perfetto grazie, non vado oltre sorrise compiaciuto pagando il piccolo venditore di palloncini e lo seguì per guardarlo gonfia-re il suo.

    Ne venne fuori un palloncino grande quasi quanto l’anziano uomo, anche se effettivamente non ci voleva molto a raggiungerlo. Un breve scambio di battute tra i due e poi ancora lentamente tornò verso il centro della piazza. Il palloncino era talmente alto in cielo che pochi si voltarono a guardarlo, dato che il giovane sconosciuto poteva stare tranquillamente comodo con il braccio abbassato per quanto fosse lungo il filo.

    Un bambino in bicicletta gli passò vicino in gran fretta, scampanellando energicamente e costringendolo a indietreggiare.

    Apro gli occhi di scatto. Mi batte il cuore a duemila. Mi serve qual-che secondo per distinguere il suono della sveglia dal campanello della bicicletta; sporgendo la mano da sotto le lenzuola cerco la sveglia sul comodino rosso di fianco al letto per cercare di spegnere il fastidioso allarme e mi rigiro nel letto con l’intento di non alzarmi.

    Chiudo gli occhi per pochi secondi e mi giro di nuovo sull’altro lato.

    Recupero il computer sul comodino di fianco al letto e la prima cosa che faccio è ciò che faccio ogni giorno, quotidianamente da mesi. Prendo il mio computer, accedo al mio account con l’intento di man-dare una mail. Ma sorpresa. Ne ricevo una.

    Buongiorno amore. Tantissimi auguri di buon compleanno, auguri per ogni momento, ogni sorriso, ogni pensiero che hai; li condivido con te. Ti amo. Ci sentiamo più tardi su Skype così posso farti gli auguri a voce.

    Chiudo gli occhi e una lacrima scende sulla mia guancia destra. E un’altra, e un’altra. Mi siedo comoda per rispondere.

    Buongiorno. Grazie, ho l’uomo più dolce che potessi mai desiderare. Ti bacio forte, fortissimo, e aspetto con ansia di sentirti dopo. Ti amo.

    Richiudo il computer e mi trattengo nel letto a pensare. Oggi, il mio compleanno lo passo così.

    Il mio regalo sarà una videochiamata su Skype e un suo sorriso. Il suo sorriso mi apre un nuovo mondo, illumina le mie giornate, mi rende una donna felice. Il suo sorriso vale tutti i sacrifici di questo mondo. Fa freddo e anche con le coperte tirate su fino alle orecchie posso sentire il rumore della pioggia che batte sulla finestra e sulle mura, il tempo non aiuta di certo a uscire da questo nido caldo, ma la sveglia suona per la seconda volta. Come tutte le mattine, mi alzo e vado in cucina; come sempre, scateno i pensieri negativi sulla luce accesa delle lampade al neon nel giallognolo soffitto e spengo l’interruttore con un occhio semiaperto e l’altro chiuso. L’odore di caffè e latte è il punto di partenza essenziale per cominciare la giornata. Ovviamente, del vero latte e caffè è rincuorante, questo caffè e questo latte sono solo soddisfacenti, leggeri, timidi di sapere di latte e caffè.

    Forse è per questo che qua cucinano un sacco di dolci ripieni di zuccheri, cioccolato e creme, perché il cappuccino non ha sapore, co-me dire... equilibrano i gusti. Il mezzo litro di acqua mischiata al caffè in polvere e a quel tantino che basta di latte per non vedere il fondo della tazza mi lasciano perplessa ogni mattina. Sebbene sia una cosa banale, mescolare caffè e acqua, credo che ci sia sempre da imparare. Per esempio, stamani devo aver sbagliato le dosi del caffè. L’acqua è talmente marrone che non si possono vedere i bordi, cosa normale per un caffè espresso, ma non normale per il caffè inglese.

    Ieri invece ero piuttosto scarsa di generosità, infatti era tutto così limpido, così insipido che nemmeno con l’aggiunta di latte, per altro giallo e che sa di sale, sono riuscita a rendere il gusto minimamente vicino a quello di caffè e latte.

    Ma continuo a berlo.

    E mi sono anche chiesta il perché. Perché l’abitudine ci fa fare le cose anche quando non ci piacciono?

    Se non avessi mai bevuto latte e caffè prima d’ora, non avrei di certo preso a bere questa brodaglia così dal niente e iniziato a dire: Ah sì, me la bevo anche domani mattina, provando pure a zupparci qualche biscotto da cento calorie che non si squaglia da quanto è pieno di conservanti!

    È un po’ come la ricerca del grande amore, siamo cresciuti con Romeo che moriva d’amore per Giulietta, e adesso non potremmo mai figurarci un uomo e una donna che non siano alla ricerca dell’amore. Quello vero, che non se ne va mai. Abitudine, la maledetta abitudine che ha chiuso i pensieri delle persone in una scatola di metallo come robot.

    La paura di sfuggire da ciò che un foglio quadrettato con scritti numeri e ricorrenze ci impone, la necessità di controllare l’orologio e andare nel panico se sforati quei minuti, se ancora non si è riempita la giornata di oggi con lo stesso gesto con cui si occupava la giornata di ieri e con cui precisamente dovremo riempire quel momento do-mani.

    E poi passano anni e anni, e di un determinato momento si ha sempre lo stesso ricordo.

    Allora le persone si chiudono nelle loro stanze, rispondono male a chi gli sta intorno, maledicono la sveglia quando suona per andare al lavoro, prima di coricarsi a letto pregano un Dio, ognuno il suo, che la mattina dopo non li faccia alzare dal letto. Perché dovranno rivedere ancora quel momento che, ormai, vedono da anni.

    E così le cose finiscono.

    Finisce la voglia di vivere. Finiscono gli amori. Finisce l’amicizia. Finisce l’educazione. Finisce la gentilezza (che non per forza è simbolo di educazione). Finisce il nostro mondo interiore. Finiscono i nostri figli sofferenti per la fine dei nostri sorrisi. Finisce il tramonto perché non lo sappiamo più guardare.

    Perché ci autoconvinciamo, per la paura di perdere, che restare fermi davanti a qualcosa che non ci dà soldi o non ci detta cosa fare della nostra giornata, sia un’inutile, oziosa e riservata alle élite, per-dita di tempo. Quindi ci abituiamo.

    Ci adagiamo nella culla di cotone che sembra proprio stata fatta su misura per noi e lì aspettiamo, sudando, girandoci, capovolgendo-ci, tirandoci su le coperte e poi scoprendoci, cercando il ciuccio da qualche parte, trovandolo e piangendo quando non è a portata di mano. Sappiamo a memoria i colori di quella culla, ci creiamo la sicurezza di sapere chi ci coccola, chi ci sveglia, chi ci intrattiene, chi ci fa piangere. E quando vediamo solo le spalle al posto di un viso che è sempre stato davanti ai nostri occhi, sentiamo uno scricchiolio.

    Alcuni dicono di avere il cuore a pezzi.

    Altri parlando di orgoglio ferito.

    Chissà che non sia solo la paura di cambiare qualcosa che, in fin dei conti, hai sempre temuto sarebbe cambiata.

    E dico temere, non volere.

    Dopo dieci minuti ad aspettare che l’acqua si freddasse (perché prima che l’acqua bollita si freddi ce ne vuole) e dopo qualche sorso mi viene in mente l’immagine di una grande piazza come un flashback, come una fotografia. Non capisco dove l’avessi vista prima e soprattutto cosa potesse avere a che fare con la mia colazione.

    Ma arrivò.

    E se un quadro, una fotografia, una parola scritta davanti ai tuoi occhi senza che tu ne possa toccare il foglio arriva, un motivo senz’altro c’è. Dopotutto... c’è sempre una ragione.

    Sgranocchio gli ultimi biscotti rimasti nel sacchetto davanti a me e, sebbene concentrata su questa visione improvvisa, i miei occhi sono attratti da un particolare, anche questo direi abitudinario, dei disegni che si sono creati in fondo alla tazza con la polvere di caffè.

    Mi viene subito in mente quando qualche anno prima, in Toscana, una mia amica raccontò che si fece fare la lettura dei fondi del caffè.

    Stavamo andando a ballare in una sera d’estate, l’estate che precedeva la mia partenza per il Regno Unito, Oxford esattamente. Lei si era appena lasciata con il suo ragazzo, una storia di pochi mesi ma molto intensa.

    Ricordo la scena come fosse adesso: io e lei in macchina sulla strada deserta, doveva essere un martedì perché d’estate la discoteca era aperta anche qualche giorno infrasettimanale; lei stava guidando e cominciò a raccontarmi di questa donna dell’Est, cliente abituale del bar in cui lavorava, che quel pomeriggio le propose di leggerle i fondi del caffè che stava bevendo.

    Le disse che avrebbe incontrato nella sua vita un’importante persona il cui nome cominciava con la lettera G e che ci sarebbe stata una morte in famiglia a causa di una malattia grave.

    L’anno dopo suo nonno morì di embolia cerebrale e lei si fidanzò con un certo Giovanni, uno dei tanti amori, ma di sicuro il più impor-tante dato che adesso convivevano in una deliziosa casa sul mare della quale ero stata fin troppe volte ospite. Chissà se quello che la caffeomante vide si sia avvicinato anche solo minimamente alla realtà dei fatti che poi sono avvenuti o è stata una mera combinazione di coincidenze.

    "Le coincidenze non esistono Giorgia", me lo disse una volta tenendomi il viso fra le mani.

    Ecco il flash ancora, questa volta un gabbiano, no, non uno vero, un palloncino a forma di gabbiano! Sì, adesso ricordo cos’è quest’ammasso di fotografie che mi si accumula in testa, è il mio sogno!

    Non è la prima volta che ne faccio uno del genere, saranno ormai tre notti che sogno la stessa situazione. Molto probabilmente anche questo è un problema di abitudine, dico sempre che mi attraggono i ragazzi dagli occhi scuri e il sorriso splendente e il mio cervello ci ha fatto il callo, mi regala questa visione pure di notte. Oppure è il sogno che riporta a galla ciò che veramente mi manca nella realtà e che cerco di nascondere agli altri e soprattutto a me stessa.

    Non male.

    Da quanto sono mezza addormentata stamani, non ho nemmeno tirato su la tenda azzurra. La camera si colora di celeste quando fuori c’è la luce, il che capita due giorni su quindici ovviamente, ma quei due giorni sono abbastanza, sapendo dove mi trovo. Mi ricorda il ma-re tutto questo celeste e mi manca prendere la macchina e in pochi minuti arrivare a stringere gli occhi per il vento che ti gioca intorno, annusare l’odore dell’acqua salina, sentire la sabbia sotto i piedi, il sole.

    Voglio il sole negli occhi, quel sole così forte che li devi chiudere, che sudi per quanto ti scalda. Proprio come nel sogno, l’uomo del sogno chiude i piccoli occhi marroni per guardare il cielo perché la luce è fortissima.

    Almeno, nel sogno, un posto che non è immerso nell’umidità

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