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Figli di Alcant
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E-book753 pagine11 ore

Figli di Alcant

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Info su questo ebook

Epica medievale e attuale. Passato e presente. Luce e oscurità. Dio e Lucifero. La chiesa cattolica e confraternite segrete. Amore e terrore. Omicidi e amicizia. Immortalità e solitudine. Eroi e cattivi. Guerra e pace. Mitologia e realtà...

Un’avventura trepidante, diversa, piena di scenari che prendono vita a ogni pagina, dove nulla è ciò che sembra.

Figli di Alcant è l’eterna ricerca dell’essere umano attraverso la solitudine di due esseri immortali. Una storia che oscilla tra due linee temporali e che non dà tregua al lettore, con un filo conduttore talmente variabile, che passa dalla realtà più inquietante, fino a fondersi con la fantasia.

“Persino l’amore può trasformarsi nella porta verso l’inferno per l’uomo”

Benvenuti ad Alcant

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita5 nov 2018
ISBN9781386278009
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    Anteprima del libro

    Figli di Alcant - Sonia Córdoba

    Ai miei figli, Jorge e Daniel.

    Grazie per il vostro entusiasmo e la vostra pazienza.

    Vi voglio bene.

    ––––––––

    Ai miei genitori, Conchi e Jesús.

    Per il vostro infinito sostegno. 

    Vi amo.

    In memoria di Federico Córdoba Ballester e Jesús Valverde Fernández

    ––––––––

    Si accumulano in me tanti ricordi tuoi,

    che non lasciano spazio alla tristezza,

    e ti vivo intensamente senza averti.

    Sei presente nelle piccole cose,

    ed è in quelle che ti penso e ti evoco.

    Non tornerai mai più,

    ma permani nelle cose, e in me, talmente tanto,

    che faccio fatica a immaginarti assente per sempre.

    MIQUEL MARTÍ I POL (A Dolores)

    I  1° Gennaio del 1432  Alcant

    «La memoria del cuore elimina i cattivi ricordi e magnifica quelli belli, e grazie a tale artificio, riusciamo a tollerare il passato»

    Gabriel García Márquez

    La caduta delle ultime foglie annunciava l’arrivo dell’inverno e, con esso, le prime piogge. Il vento lontano lasciava cadere le foglie in delicata armonia, ricoprendo il suolo con un manto color ocra e giallo che invitava alla nostalgia. Quella notte si prospettava placida, un regalo che un finale di autunno viziato concedeva in pochissime occasioni.

    Il cielo che riposava esausto dopo la sua ultima battaglia, mostrava ora un manto nero cosparso da migliaia di piccole stelle che cercavano di brillare dalla profondità della loro lontananza, mostrandosi davanti alla tregua come se stessero reclamando il loro posto e la loro stessa esistenza nell’universo.

    La luna si ergeva poderosa e padrona della notte; piena, visibile, colma di luminosità e di rabbia in egual misura, per essersi sentita umiliata dalla furia degli Dei. Nascosta da occhiate indiscrete dagli abbracci oscuri delle nuvole, tornava a essere il faro della notte; la guida dei viaggiatori, il nemico degli incauti, l’alleata degli amanti, un testimone silenzioso, muto e irraggiungibile. Quella stessa luna, piena di segreti, mostrava un atteggiamento di sfida. Esibendo tutto il suo potere, non permetteva che il manto verde formato dai calici dei re della foresta, eclissasse le sue ore nella più lugubre delle tenebre.

    In quelle terre coperte da montagne, frondosi boschi germogli del tempo crescevano imponenti, trionfanti sulla natura immensa, coprendole di una grande cupola di color verde.

    In uno di quei boschi, il più vicino al villaggio di Alcant, si trovava un posto, uno di quei piccoli paradisi terrestri che la natura offriva, e che erano quasi sconosciuti all’uomo.

    Poco più di trent’anni prima, quando il XIV secolo si prestava a cedere il passo all’imminente XV secolo, annunciando la fine del Medioevo, due ragazzi di poco più di dieci anni iniziarono quella che sarebbe stata una delle loro migliori e indimenticabili avventure giovanili, offerte da quei territori che i loro progenitori vedevano come minacciosi, ingannevoli e ostili. Un territorio proibito per l’infanzia dei due bambini.

    Dopo la grande carestia subita tra gli anni 1315 e 1317 nel continente, l’Europa subì una delle più grandi crisi socio-economiche, provocando milioni di morti. Un tempo insolito, umido e freddo, dopo anni di raccolti scarsi, coltivazioni marce e la scarsità degli alimenti, produsse una carestia generalizzata che sembrava non finire più. Nel frattempo, la criminalità aumentava e, nel furore della religione, le preghiere parevano non sortire alcun effetto. La convinzione nei demoni faceva dei girotondi diabolici.

    In quel momento, la delinquenza si vide ridotta in maniera drastica, essendo l’estesa vastità del bosco e la facilità nel disorientarsi e perdersi in esso, il peggior pericolo per l’uomo. Quel miscuglio di montagne e terreno scosceso, che si mescolava a estese pianure di prati verdi avvolti da enormi alberi, dava ancora più adito alla confusione.

    Le sue montagne erano cosparse di caverne nascoste, e tra i suoi alberi serpeggiavano innumerevoli ruscelli che, a ogni percorso, confluivano morendo in un enorme fiume: Il Nerv.

    Il fiume e la conoscenza delle sue radici erano le uniche bussole che permettevano di spostarsi senza pericolo per quelle terre – se ci si voleva risparmiare gli incalcolabili tragitti che offriva quel giardino naturale allo stato puro –, attraverso le lontane e sinuose vie di accesso che circondavano i pendii delle montagne, come se cercassero di rivestirli, confondendo il passante nel suo percorso.

    Il difficile accesso, e gli imprevedibili scontri con gli atti criminali dei braccianti, che abitavano nelle viscere del bosco, e ne conoscevano i limiti e confini, erano le ragioni per le quali Alcant e i suoi dintorni si erano trasformati in un’oasi di pace.

    A questo contribuiva anche l’esercito di soldati che custodivano l’entrata e l’uscita del bosco. Erano tempi difficili, a cui si era unita un’epidemia incontrollabile conosciuta come la Peste Nera: la pandemia più devastante del Medioevo. Tutto ciò, unito a una desolazione devastante, trasformò quelle terre impestate di demoni a causa delle atrocità commesse dall’uomo per la propria sopravvivenza, in un passaggio per l’oltretomba; e, inoltre, dotò il bosco di un’aura lugubre che cresceva man mano che le storie si trasformavano in leggende.

    Quei boschi erano conosciuti come La Dimora del Diavolo.

    Centinaia di persone perirono al suo interno, vittime tra di loro di fronte all’impossibilità di poter abbandonare la Dimora. Sia per via dei soldati che la custodivano impassibili, sia perché la maggior parte non riuscì mai a uscire da lì.

    Fuggitivi, ignari del luogo nel quale si addentravano cercando rifugio, molti audaci cercarono di sfidarla penetrandovi.

    Un centinaio di storie erano state attribuite al bosco. Negli anni, infinità di racconti erano passati di padre in figlio, come metodo di persuasione affinché gli incauti non si addentrassero nelle sue viscere. Creavano illuminanti stratagemmi in modo che i giovani, avidi di emozioni e di avventure, rispettassero il bosco; storie dal colore macabro e scabroso, di corpi mutilati ovunque, decapitati, impalati..., facce sulle quali era rimasta riflessa la paura dell’ultimo soffio di vita; cadaveri che si ammucchiavano diventando cibo per i ratti. Un’immagine dantesca, persino per gli insensibili.

    Ma, in qualche modo, non si seppe mai il perché nessuno li vide uscire; neanche quando i soldati, appostati al suo confine, abbandonarono la custodia di quell’enorme perimetro di sicurezza che durante gli anni avevano sorvegliato con diffidenza.

    Con il tempo, tutto questo venne dimenticato e venne a ristabilirsi la normalità. I furti, gli omicidi, le sparizioni ... Tutto ciò si trasformò in poemi nelle bocche dei trovatori e dei genitori protettivi.

    I bambini, con orecchie attente, ascoltavano attoniti dalla bocca di uno degli anziani, la storia che costui, il più vecchio del posto, gli offriva. Di diritto aveva vissuto più avventure e aveva molto di più da raccontare.

    Mentre raccontava con esasperata teatralità e grandi smancerie, i bambini, con gli occhi pieni di lucentezza, ascoltavano l’anziano parlare di bestie assetate di sangue, capaci di fare a pezzi le loro vittime con una sola zampata.

    Descriveva con grande minuzia di dettagli il diametro delle loro fauci, e la dimensione dei loro canini affilati. La tensione del momento manteneva i bambini in una lotta interiore con sé stessi, dibattendosi costantemente tra l’ascoltare, o meno, ciò che quel vecchio raccontava loro.

    Le genti di Alcant tornavano di nuovo a transitare nei loro boschi con la stessa sicurezza di un tempo. Tutte quelle storie si erano trasformate in questo: leggende che si raccontavano nell’albore delle notti d’inverno, davanti alla brace di un bel falò, al centro della piazza del villaggio.

    A parte quegli episodi, Alcant era sempre stata un’oasi di pace. Una fortezza quasi inespugnabile. La distanza che bisognava percorrere per arrivare ad essa si faceva eterna.

    Nonostante le battaglie si disputassero molto lontano da lì, la Guerra dei Cento Anni, — le cui battaglie si succedettero negli anni per il controllo dei territori tra inglesi e francesi—, si diffusero ad Alcant in maniera indiretta, lasciando strascichi di ciò che era accaduto lì; non ci fu un’illazione logica tra le cause e le conseguenze.

    Come nel resto d’Europa, dove finirono per imporsi le monarchie autoritarie, anche qui era aumentato il potere dei re attraverso patteggiamenti o in equilibrio. Passarono dal dipendere dal potere di un signore, ad avere un re su cui si concentrava tutto il potere politico. Ovviamente, si trattava dello stesso cane, ma con un diverso collare. Per una qualche strana ramificazione nel suo albero genealogico, ora risultava essere re.

    Alcant diventò un regno...

    Ai bambini non era permesso di addentrarsi nel bosco. I rispetto verso gli anziani, e le storie che raccontavano, erano sufficienti a non farli entrare nella Dimora del Diavolo.

    Ma quei due bambini non erano come gli altri. La disubbidienza scorreva loro nelle vene. Studenti avvezzi, intelligenti e con la curiosità tipica della loro età, qualsiasi storia o enigma era una vera e propria sfida per loro, e un’avventura da scoprire. Quell’ingerenza innata, e che gli apparteneva, li aveva portati a severi castighi e bastonature. Ma tutto questo non era sufficiente a frenare la curiosità delle loro testoline pazzerelle.

    Approfittarono di un pomeriggio in cui a scuola il loro tutore si era sentito indisposto, e decisero di indagare un po’ nei dintorni del bosco, vicino alla casa di Jop.

    In realtà, l’idea fu di Seb.

    Seb era intrepido e deciso, un po’ impetuoso e molto impulsivo. La sua intelligenza e astuzia rasentavano la perfezione. Era abile con la spada, i bastoni, o qualsiasi altra cosa potesse brandire e gli servisse per difendersi.

    Jop, più tranquillo, cerebrale e riflessivo, possedeva la prudenza che a Seb mancava. Così giovane, amava già maturare bene le idee e le loro ripercussioni. Spiccava come un abile stratega in una specie di gioco dell’epoca, sorto dalla fusione di tre giochi: le tessere delle tavole, la scacchiera, e i movimenti del alquerque[1]. Conosciuto come Ferses, all’inizio questo era il nome con il quale si conosceva la regina negli scacchi. Questo gioco richiedeva di analizzare e valutare non solo le conseguenze che i propri possibili movimenti generavano, ma anche quelle che causavano come risposta i movimenti dello sfidante. E quella costante preparazione nel pianificare una strategia, che dipendeva dal grado di informazioni che Jop aveva sin dall’inizio, faceva sfigurare gli anziani, per la sua agilità di risposta.

    Jop era un bravo discepolo in tutto quello che si prefiggeva di fare, ma la spada gli era ostica. Mancava di quella iniziativa spontanea di Seb nel mettersi nei pasticci. Ma era un grande mediatore.

    Discendenti da cavalieri, il loro destino era ingrossare le fila della nuova guardia del re. Anche se in occasioni come quella, si sentivano come se fossero uguali a loro, disposti a intavolare avventure alla ricerca della verità, a risolvere ingiustizie e ingaggiare battaglie lontano da Alcant, per tornare e raccontare ricoperti di lodi le proprie prodezze. O di come fecero giustizia affrontando i ladri, delinquenti e gente della peggior specie, ristabilendo l’ordine e il rispetto verso il re.

    A quell’età, prevalevano in loro comportamenti chiaramente straordinari per quel futuro che si stavano costruendo, con una certa fatica. Conoscevano fino all’ultimo meandro di Alcant, sapevano a memoria le vite di ciascuno degli abitanti del luogo. Ma ciò che più desideravano era avere quindici anni per poter entrare nel castello e concludere la loro formazione. Era l’unico luogo di Alcant che fino a quel momento non conoscevano e la sua rarità li portava a desiderarlo con impazienza.

    Rimaneva solo un posto da indagare. Quello che conservava più misteri di tutti, e del quale avevano sentito parlare solo per bocca di altri.

    Dietro la promessa di non allontanarsi troppo, lasciarono la spianata che dava accesso alla casa di Jop sulla cima di una piccola collina, e si addentrarono dentro dei cespugli, perdendosi sotto lo spessore di quegli enormi alberi.

    Jop ricordava che proprio entrando di fronte, seguendo uno stretto percorso che si era formato dopo aver calpestato così tanto l’erba, nasceva un piccolo ruscello dove si formava una minuta pozzanghera, dove suo padre li portava a fare il bagno e a pescare. Proprio dopo i primi alberi che davano inizio a quella grandiosa sterpaia che delineava il bosco – la stessa che sistemava ciascun colore al proprio posto e dava vita a un paesaggio inanimato –, e dopo aver abbandonato la fine erba verde in tutto il suo splendore, si addentrarono in un territorio formato da una moltitudine di foglie ocra che giacevano sul suolo e che scricchiolavano dietro il passo fermo del viaggiatore. Arrivarono dove le corone degli alberi si legavano in un abbraccio interminabile, conferendo al pomeriggio un sottile tocco sinistro ma, allo stesso tempo, un rilassante chiaroscuro cosparso di luci e ombre, trasformando quel bosco incantato in uno più cupo. Nonostante lo sforzo per infilarsi tra i buchi dell’immensa boscaglia, solo dei piccoli raggi di luce che si affannavano per trovare uno spiraglio riuscirono a filtrare, proiettandosi a mo’ di enormi fuochi che dal cielo illuminavano verticalmente quel posto dove potevano farsi notare.

    Arrivarono al fiume, che transitava un paio di palmi al di sotto del livello dell’erba, nascosta dietro il fogliame caduto dagli alberi. L’erosione di qualche grande piena doveva aver creato quel paesaggio, e con esso, quelle rive che in estate facevano loro da passaggio per le escursioni familiari. Decisero di seguire un po’ il corso del ruscello. Non si allontanarono da questo, anche se per farlo avrebbero dovuto abbandonare la sua sponda per scansare qualche tronco caduto, rocce o qualche passaggio ostruito a causa della crescita ribelle della vegetazione selvaggia. A parte qualche altro ostacolo che li costringeva ad aggirare la sponda, alla fine il ruscello li condusse pressoché diritti, paralleli tra il fiume e gli alberi. Lì dove non trovarono l’avventura che le loro menti e i loro giovanissimi cuori infantili bramavano, una scoperta avrebbe placato qualsiasi segno di delusione. Un piccolo mondo fatto a misura delle loro immaginazioni si sarebbe trasformato nel più grande dei loro segreti.

    Agli inizi della loro avventura appena cominciata, il fiume ruotava verso sinistra di fronte a una, al principio, piccola montagna che cominciava a ergersi arida e scoscesa davanti a loro da qualche punto del bosco fino a penetrare nell’acqua. Nel frattempo, gli alberi sembravano attorcigliarsi intorno ai suoi pendii cercando di circondarla completamente.

    Sull’altra sponda, la situazione era uguale. È possibile che la stessa montagna si stesse avvicinando al corso del fiume, nascosta dietro il bosco frondoso, impedendo a questo di poter proseguire lungo la sua larghezza naturale e andare a scontrarsi sulla roccia come se incontrasse una diga sul suo cammino.

    Il fiume sembrava sgusciare via dal bosco, tra due montagne le cui falde simulavano con le loro pareti una specie di porta dalla quale l’acqua era obbligata a passare.

    Passando dal paesaggio verde all’arido grigio, abbandonando la compagnia degli alberi per pareti di roccia scoscese che lo osservavano minacciose e che simulavano di lanciarsi su di esso da un momento all’altro.

    Anche se c’era poca profondità e distanza tra le sponde, dato che non si trattava più di uno dei diversi affluenti del Nerv, non era una buona idea continuare verso quella parte. E ancor meno addentrarsi nel bosco cercando di aggirare la montagna per poi imbattersi di nuovo in questa. Entrambe le opzioni imponevano di penetrare in un territorio a loro sconosciuto, dato che non sapevano quando il fiume avrebbe recuperato il bosco, né dove. O se direttamente si sarebbe dovuto considerare il Nerv cento metri più avanti. Forse, la roccia sarebbe finita poco più in là rispetto a dove arrivava il loro sguardo.

    Con questa estensione, capirono quanto in fretta potesse cominciare a mostrarsi ostile e misterioso il bosco. Erano appena a un chilometro dalla casa di Jop! Neanche aggirare la montagna era una buona idea. Non conoscevano il suo spessore e, di conseguenza, quanto gli avrebbe costretti ad addentrarsi tra gli alberi per aggirarla, e con questo, allontanarsi dalla sponda che rappresentava il loro percorso. Forse pochi metri, chissà anche un centinaio.

    Quella era l’unica zona del bosco che, data la loro età, conoscevano e li stava già mettendo di fronte a una scelta: se voler continuare o meno quell’avventura che era iniziata semplicemente, lanciandogli una sfida.

    Non si trattava di curiosare nelle strette e oscure strade di Alcant, né nei dintorni del castello. Questo era molto diverso. Era eccitante, pericoloso, sconosciuto e, soprattutto, era proibito. Un vero e proprio cocktail di seduzione per far cadere in tentazione degli spiriti liberi e curiosi come quelli di Seb e Jop.

    Entrambi capirono che la loro piccola birbanteria investigativa, e il loro piccolo passo verso la gloria nel momento in cui avessero fatto incursione in quel posto temuto, sarebbe giunta al termine.

    Erano intenti a osservare il modo in cui l’acqua batteva contro le pareti di roccia, fino a farsi strada attraverso la cavità che le montagne formavano, quando Jop chiuse un po’ gli occhi e aggrottò la fronte, mentre osservava con stupore l’acqua che batteva sulla montagna che emergeva proprio di fronte a loro.

    Seb conosceva quello sguardo. Il suo amico aveva visto qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. E Jop non era uno di quelli che si allarmava facilmente. Al contrario, la precisione era qualcosa di naturale in lui.

    Quando Jop analizzava qualcosa potevi star certo che era qualcosa a cui nessuno aveva prestato ancora attenzione. Nonostante la sua età.

    Durante le lezioni base di strategia che venivano loro impartite, Jop si annoiava. Si trattava di giochi mediante i quali i ragazzi allenavano le proprie abilità mnemoniche e affinavano la propria capacità di ragionamento. Di localizzazione e posizionamento. Di visualizzazione e memoria.

    Piccole cacce agli errori alle quali Jop partecipava per obbligo scolastico. Quando gli altri bambini si apprestavano a iniziare la ricerca, lui sapeva già che errori c’erano, cosa mancava o cosa c’era in più. Tutto qui. Prima che iniziasse il gioco, mentre il tutore lo stava spiegando, aveva già capito di cosa si trattava e lo aveva già risolto. Senza istruzioni. Era ovvio ai suoi occhi. Arrivò a un punto in cui il tutore spiegava il gioco agli altri, mentre Jop aveva gli occhi bendati, indossava sulla testa il casco di Willy, l’armatura da combattimento che tenevano esposta a scuola, e le orecchie tappate. Tutta quella attrezzatura gli veniva tolta quando gli altri iniziavano il gioco.

    Quando veniva assalito dalla noia, se ne andavano nella piazza del villaggio e iniziavano una sfida. Nonostante la loro giovane età sentivano l’esigenza di sfidare ed essere sfidati. Scendevano dal castello anche in qualche altra occasione per sfidare il «bambino invincibile», come era conosciuto lì. Il Ferses, un gioco complicato per la sua età, gli aveva fatto raggiungere una gran fama in diversi circoli. La strategia e il dominio che aveva in questo gioco da tavola non passava inosservato a nessuno, neanche a suo padre. Data la posizione di Edward Greenval II, come cavaliere reale di Alcant, a questi non faceva tanto piacere che il figlio continuasse a essere fonte di scommesse tra il resto della popolazione.

    In realtà Jop e Seb erano stati accolti e ricompensati in più di una occasione con abbondanti spuntini, oltre che con qualche altro regalo per farsi sfidare a richiesta dai presenti. Le voci sulle abilità di Jop si erano sparse in giro, e molti mercanti arrivavano fino ad Alcant per confermare ciò che veniva raccontato, pieni di un ego impossibile da saziare o chiedendo poi la rivincita quando venivano sconfitti da un bambino di appena dieci anni. Questo sì che faceva male ...

    Anche se questo a suo padre non piaceva e si era preso qualche bastonata per questo, Jop pensava che non ci fosse niente di male se qualcuno tra le povere genti del villaggio guadagnava qualche soldo, vivande o materiale da quelle persone che non erano del posto. Era un modo per fare del bene e servire Alcant. Jop era così. Non accettava da tempo di giocare quando l’avversario era uno del villaggio o le scommesse venivano fatte dalle sue genti.

    A Seb, sin dalla più tenera età piacevano anche le dame, qualcosa in cui divenne poi un autentico stratega. Ma erano un altro tipo di dame... Tanto mingherlino e superbo quanto abile, nonché rapido con la sua piccola spada di legno, molto presto le donne cominciarono ad attirare la sua attenzione. Civettava e strappava bacetti a tutte le bambine attraenti del villaggio, spiava le domestiche e osservava le servette quando si facevano il bagno nelle baracche vicine al castello. Osservava le coppiette quando si baciavano e si salutavano all’ombra delle strade... Amoreggiava e civettava con le donne, di cui, la più giovane poteva essere sua madre.

    Alenda, sua madre, gli diceva che era troppo piccolo per queste cose. Allo stesso tempo, suo padre, Thio Venom, nutriva un immenso orgoglio virile verso il maschio che aveva generato, ridendo dell’arguzia e delle trovate che mostrava nonostante la sua giovane età. Lo incoraggiava anche in tenera età, e davanti ai suoi amici, ad approfittare delle donne quando sarebbe cresciuto, e a non cercare né di comprenderle né di fare caso alle loro furbizie, perché avrebbe potuto fare la sua stessa fine. Un vero e proprio capitano della guardia che non era altro che un semplice soldato in casa sua. Quando diceva questo, guardava con un sorriso di complicità sua moglie, e lei ricambiava il suo con un altro ancora più grande.

    Seb sapeva che suo padre adorava sua madre. Che la idolatrava. Che l’amava sin dal primo momento che l’aveva vista. Glielo raccontava qualche notte quando erano da soli, mentre Seb si coricava e gli chiedeva, mosso da quella prematura curiosità, come l’aveva conosciuta. Sapeva che suo padre lasciava qualsiasi cosa pur di poter tornare a casa da lei. Da loro.

    Ma, prima di tutto, era un capitano della guardia del re... Soprattutto di fronte ai suoi amici. Sua madre gli diceva che un giorno avrebbe conosciuto qualcuno e, allora, non ci sarebbe stata più né nel suo cuore né nel suo sguardo nessun’altra donna al mondo. Che avrebbe avuto occhi solo per lei.

    Fino a quando seguì il consiglio di suo padre, la sua vita fu piena. Si divertì. Si divertì e godette. Molto. Ad eccezione di qualche amoreggiamento con presenza del marito annessa che rappresentò, di conseguenza, qualche problemino. Quando le cose si complicavano molto, c’era lì Jop a risolverle.

    Jop poteva essere considerato sia il miglior mediatore possibile, che il miglior compagno d’armi che si potesse desiderare di avere al proprio fianco in ogni istante.

    Il giorno che accadde ciò che aveva predetto sua madre, il giorno in cui Seb conobbe l’amore allo stato puro, quel giorno finì tutto. O ancor peggio... Lì dove la luce guidava ognuno dei suoi passi, tutto si trasformò in oscurità.

    Persino l’amore può trasformarsi nella porta verso l’inferno per l’uomo.

    «Che guardi, Jop?»

    Vedendo che continuava ad avere lo stesso atteggiamento, Seb si lasciò guidare dall’impazienza e non aspettò che il suo amico finisse una della sue eterne analisi.

    Jop era uno di quelli a cui piaceva spiegare la soluzione, o dire questo o quello..., il perché gli sembrava troppo ovvio. Ma quando pensava tanto, gli piaceva dilungarsi per compiacersi della propria abilità. Era l’unico momento di vanità che si concedeva nella vita. Ma mai in modo arrogante.  Desiderava che gli altri apprendessero. Aveva la necessità di mostrare tutto ciò che gli sembrava interessante, istruttivo, rivelatore e una vera e propria sfida a ciò che era profano. In maniera distesa, amena e magistrale, aveva bisogno dello stimolo della discussione per dare un’aria di drammaticità a tutta quella tiritera che risultava interminabile e lenta alle orecchie meno attente, e per poter attirare l’attenzione di quelli che udivano senza ascoltare.

    Anni dopo, avrebbe placato questa vanità insegnando strategia all’esercito del re, e persino a gente sconosciuta durante battaglie che li mescolarono a eserciti di popoli fratelli. Se combattevi al fianco di Jop sapevi che lo spargimento di sangue sarebbe stato minore e la battaglia più agevole, aumentando così le possibilità di vittoria.

    Però sì, gli piaceva condividere. In Jop la vanità e l’ostentazione non rappresentavano per nulla un difetto. Semplicemente non le aveva.

    Seb, anche se di buon cuore come lui, sarebbe stato sempre molto più fanfarone in tutto.

    «Ehi! Che guardi?» domandò di nuovo più impaziente di prima.

    «Hai visto lì, dove l’acqua picchia contro la roccia e si solleva un po’ per poi cadere verso sinistra e riprendere di nuovo il letto del fiume attraverso le rocce?»

    «Sì, l’acqua picchia contro la roccia... si solleva... cade... e continua. Che roba!» rispose Seb sorridendo e alzando un po’ le braccia.

    «Visto il modo in cui il fiume scende in piena, si dovrebbe sollevare molta più acqua».

    Non è che fosse molto in piena, perché a malapena gli arrivava acqua alle ginocchia, ma a differenza di altre volte, era davvero alto. Generalmente, l’acqua li bagnava più su delle caviglie. Un po’ di più nella pozza che si formava proprio di fronte alla casa di Jop.

    Inoltre, di solito, fluiva placida quando passava laggiù. Per questo andavano lì nelle belle giornate di primavera ed estate. E poi, almeno un paio di giorni quando faceva bel tempo.

    «E?» domandò Seb con faccia incredula e prevedendo l’arrivo della relativa spiegazione. «Lezioni di scienze ora no, per favore! Permettimi di continuare a ringraziare di cuore chiunque abbia servito quella zuppa assassina al nostro tutore mantenendolo bloccato nei gabinetti... Non cominciare tu ora!»

    I loro sguardi si incrociarono con grande complicità e, all’unisono, risuonò nel bosco una frastornante risata. Era chiaro che quell’escursione non era stata del tutto improvvisata.

    «Sei stato tu!» asserì divertito Jop. «Ma, come?»

    «Dopo le lezioni della mattina, essendo stato l’ultimo a uscire, perché il signor Mills mi stava riprendendo, passando di lì ho visto la signora Mills in cucina che preparava il pranzo. Quindi mi sono ricordato che il signor Mills l’altro giorno ha preso una bottiglietta di lassativo da un ripiano che si trova nel corridoio, proprio all’entrata della cucina. Lo so perché sono uguali a quelle che prescrive il farmacista a mia madre per la stitichezza» entrambi sorrisero «e si è gettato un paio di gocce nel tè durante l’ora di studio. O meglio, mentre io cercavo di fare un pisolino... E, poco dopo, è schizzato fuori verso il gabinetto!»

    «Sì, mi ricordo di questo... Quindi?»

    «Sono tornato sui miei passi, ho notato che il signor Mills era intento a raccogliere e ordinare gli scrittoi, ho preso la bottiglietta, sono entrato nella cucina e ho chiesto gentilmente alla signora Mills di darmi un po’ d’acqua... e quando questa si è girata ed è uscita in cortile a riempirmi un bicchiere nella pompa...»

    «Quanto ne hai messo?»

    «Diciamo che il signor Mills mi ha chiesto di riflettere sul mio comportamento e io ora gli sto offrendo la possibilità di riflettere sul suo, seduto tranquillamente sulla latrina. Spero solo che la cara vecchia signora Mills abbia mangiato altro, perché sennò la situazione può diventare abbastanza imbarazzante!»

    I due risero immaginando quel magrolino del signor Mills e la sua tronfia signora che si contendevano un posto nella latrina.

    Jop recuperò la serietà e tornò a guardare l’acqua che rimbalzava sopra la roccia. Seb capì che la lezione non era finita.

    «Sentiamo... Che c’è?» chiese fingendo di implorare una spiegazione mentre alzava le braccia e lo sguardo verso il cielo.

    «Niente, solo che per via delle piogge degli ultimi giorni il fiume scende con più forza rispetto al normale e, nonostante ciò, quando colpisce la roccia, l’impatto non lo fa sollevare quanto dovrebbe».

    «E questa cos’è ora? Matematica?» Seb si era perso. Non sapeva molto bene cosa Jop avesse voluto dire con quell’ultima frase. «Non è che stai prendendo lo sciroppo per la tosse di tua madre?»

    «È semplice, osserva l’altro lato».

    Qualcosa di così ovvio di cui Seb non si era accorto. Osservò l’altra sponda. L’acqua picchiava contro la roccia, ma si sollevava più sopra il livello di questa che nel lato in cui loro si trovavano.

    «E cosa succede?» continuava Seb, senza capire la curiosità di Jop per questo fatto. Per lui non si sarebbe neanche potuto definire un dato curioso. «Tipico di Jop», pensò.

    «Che parte dell’acqua si sta infilando sotto la montagna. La parte che va a sbattere è la parte superiore, il resto passa sotto».

    Seb, che trovava sempre in qualsiasi minimo e inesistente invito una buona scusa per iniziare la ricerca sul campo e passare dall’osservazione all’azione, si infilò nell’acqua senza fare molta attenzione, schizzando leggermente Jop e immergendo i suoi stivali e i suoi pantaloni in tessuto fin quasi al ginocchio.

    Non calcolò bene la forza dell’acqua e questa lo sbarellò facendolo quasi cadere, ma una piccola spinta, insieme alla corrente, lo spostò contro la parete facendolo rimanere con un piede attaccato a questa, con le gambe aperte e le mani estese e appoggiate sopra. Come se fosse scolpito su questa, incollato alla fredda e umida roccia.

    «Ah ah, che buffo! » Jop rise. «Dev’essere gelata!»

    «Non molto».

    L’orgoglio prima di tutto. L’acqua era congelata, soprattutto in quel primo e brusco contatto, ma queste erano il tipo di cose che Seb non ammetteva né avrebbe mai ammesso, e delle quali poi si vantava confrontandosi con gli altri ragazzi.

    E se per dimostrarlo doveva farsi il bagno nudo proprio lì, lo avrebbe fatto senza orma di dubbio. Anche se dopo sarebbe stato due settimane a letto, perso tra le coperte e con l’impacco del farmacista a schiacciargli la faccia, con quel sapore schifoso e forte di eucalipto mischiato con Dio solo sa che cosa.

    Seb recuperò l’equilibrio fissando i piedi per frenare la forza della corrente. Con la mano destra continuava a stabilizzarsi sopra la parete, mentre si curvava cercando di piegarsi. Facendo uno sforzo introdusse il braccio sinistro nell’acqua, sondando e seguendo la superficie.

    «Qui giù c’è un buco, non molto alto ma certamente abbastanza lungo, come se la roccia si sollevasse di un paio di centimetri formando una specie di ponte sopra l’acqua». Si piegò di più e stese il braccio verso dentro.

    «Sì, passa verso giù» dichiarò.

    «Qui!»

    «Dove andrà l’acqua?» La curiosità di Jop verso i fenomeni naturali era temuta da tutti i suoi compagni nella classe di Scienze. Esasperava persino quel caro vecchio signor Mills.

    «Dev’esserci una specie di affluente sotterraneo, perché l’acqua non sembra rimbalzare su nessuna parete interna, dato che riempierebbe tutto e uscirebbe di nuovo. Spruzzerebbe persino di più, perché l’entrata si bloccherebbe nello scontro tra l’acqua che vuole entrare, quella che vuole uscire e quella che andrebbe a scontrarsi contro la roccia».

    «Sì, certo, si bloccherebbe» disse Seb assentendo seriamente e aggiungendo delle leggere smorfie. Jop come tante altre volte, fece gli occhi bianchi e, sospirando perché non c’era nulla da fare con il suo amato Seb, non gli dette nessuna importanza.

    «Magari esce di nuovo più avanti e si riimmette attraverso un altro foro simile».

    Seb, con attenzione, cercò di passare sull’altro lato del fiume. Fintanto che scivolava quasi incollato alla parete non ebbe nessun problema, ma quando l’abbandonò, per attraversare i quasi cinque metri che lo separavano dall’altra, rimase esposto alla corrente d’acqua, accentuata dalla riapparizione improvvisa di quella che picchiava contro la roccia, che lo bagnò.

    Jop sapeva che non c’era pericolo che la corrente se lo portasse via. Oltre a una nuotata, c’erano abbastanza rocce sporgenti alle quali appoggiarsi e a cui afferrarsi.

    Inoltre, la corrente non era nemmeno così tanto potente. Anche se c’era sempre il rischio di una brutta e tragica caduta. Quel fattore di rischio a cui non badano mai i bambini quando fanno le loro marachelle.

    Nemmeno Jop.

    Fradicio, e nascondendo il brivido che ogni secondo che passava si impadroniva del suo corpo, arrivò all’altra parte della sponda. Appoggiò la schiena, i palmi delle mani e il sedere contro la parete interna, da dove entrava l’acqua in quel nuovo corridoio di pietra e roccia.

    «Si può sapere che fai?» A Jop quegli slanci selvaggi e repentini da esploratore lo preoccupavano un po’. E ancora di più in quell’intrepido Seb. Jop non faceva mai nulla che non fosse stato prima premeditato e valutato. E, ovviamente, quando si lavorava in gruppo, concordato.

    «Già che siamo qui, e sono bagnato fino al midollo, vorrei vedere se spunta fuori da queste parti».

    «Sei matto? Non sappiamo quanto sia grande questa montagna. Potrebbe spuntare fuori molto lontano da qui, o non spuntare affatto fino allo stesso Nerv. Potrebbero essere acque sotterranee o che so io. Non ci penso nemmeno a immergermi nell’acqua, né a seguirti un passo più in là rispetto a dove ci troviamo in questo preciso momento».

    Jop conosceva le vere intenzioni di Seb. La frustrazione che provava nel dover vedere terminare la sua avventura in quel luogo, poco dopo averla cominciata. Non avevano esplorato niente! Si erano limitati ad arrivare alcuni metri più in là rispetto ai confini di ciò che già conoscevano.

    «Quello che vuoi è andare avanti» continuò Jop. «Non possiamo avanzare ancora. Non conosciamo nemmeno ciò che c’è oltre il nostro naso, come potremmo immergerci nel fiume! Mio padre mi ammazza se se ne accorge! Tuo padre ti ammazza se se ne accorge! Esci di lì e andiamo al sole così puoi asciugarti. Più tardi chiederemo a mio padre se sa dove va l’acqua che filtra qui».

    «Daiiii» Seb implorava in modo comico, imitando un bambino più piccolo. «Ancora un po’! Per favore! L’acqua non è così fredda». Jop percepiva quella situazione in un modo surreale, lì c’era Seb con le labbra di una tonalità lilla che quasi non riusciva a controllare la balbuzie provocata dal brivido, e nonostante tutto gli diceva che l’acqua non era fredda. «E poi abbiamo tutto il pomeriggio davanti a noi! C’è abbastanza sole per asciugare i nostri vestiti. Non lo saprà nessuno. Facciamolo per il povero e, a questo punto, sicuramente, esausto signor Mills! Che la sua diarrea non sia stata vana!»

    Jop sorrise. Il suo amico non smetteva mai di strappargli una risata con le sue trovate. Seb sapeva che l’unico modo di coinvolgerlo era quello, cercando di far risvegliare in lui l’istinto avventuriero che sapeva che aveva. Lo aveva dimostrato già altre volte, facendo in modo che questi si rilassasse e si lasciasse coinvolgere. Perché se si trattava di ragionare, era chiaro che per Seb era una battaglia persa.

    Era cosciente del fatto che stare lì in quel momento, inzuppato e appoggiato di spalle contro la falda della montagna che, a sua volta, faceva da letto al fiume come se si trovasse in un tunnel ad annegare nell’acqua... be’ no, non era una buona idea. E suo padre l’avrebbe ucciso di sicuro se se ne fosse accorto.

    Ma era già in acqua. L’aveva già fatto. Come la storia del signor Mills. Fatto anche questo che in parte giocava a suo favore, perché Jop rispettava e difendeva sempre le sue iniziative, sempre che queste ottenessero un ottimo risultato. E questa lo aveva ottenuto. Eccome se lo aveva ottenuto!

    Sapeva che gli sarebbe costato caro tralasciare questo dettaglio. Che se la sarebbe rischiata pur di potersi godere il pomeriggio libero e potersi addentrare da soli per la prima volta nel bosco. Erano una squadra e ci avrebbe pensato bene prima di fargli correre quel rischio per niente.

    Erano già nel bosco. Che differenza faceva ritrovarsi qualche metro più in là o essere bagnati fino al midollo. Il peggio era già stato fatto. Nonostante la redenzione e i buoni propositi futuri non ci sarebbe stato nulla né nessuno che avrebbe potuto salvarli dal castigo se i genitori di uno di loro se ne fossero accorti. Questa era una delle cose che spiegava alla perfezione il carattere di Seb. Pensava alle cose, sì... Ma solo dopo averle fatte.

    Il rischio era già stato assunto fin dall’inizio. Da quando avevano deciso di andare a fare un’escursione nel bosco.

    «Suvvia!» supplicò Seb «Quando il corpo si abitua non si sta poi così male nell’acqua. Inoltre, tu stesso dici che tua madre ti obbliga a farti il bagno spesso». Seb odiava sin da bambino il momento del bagno; il fatto che gli sfregassero tutto il corpo con quella spazzola grezza di crine, per eliminare tutta la sporcizia che aveva su di sé ogni notte quando rientrava dai suoi giochi. Ma quella non era la cosa peggiore, piuttosto lo era l’impegno che sua madre ci metteva a far sì che non solo fosse pulito, ma che avesse anche un buon profumo. Non sopportava l’odore di fiori che gli rimaneva addosso dopo essere stato sfregato con quel sapone aromatico.

    Era umiliante.

    «Abbiamo eliminato il signor Mills e abbiamo permesso che tutti i nostri compagni si godessero un meraviglioso pomeriggio. Siamo entrati nel bosco, hai scoperto una cosa curiosa che ha attirato la tua attenzione... Abbiamo l’opportunità di curiosare un po’! La corrente non è così forte, se non porta via me, non muoverà nemmeno te!»

    Jop era un ragazzo grosso, ma non troppo; Seb invece era molto magro, e fibroso.

    Jop rise.

    «Andiamo! Non è pericoloso, non è molto alta e ci sono un sacco di rocce per potersi aggrappare se procediamo con cautela... Poi, lì dentro ne vedo anche di più grandi! Dai Jop, abbiamo tutto il pomeriggio davanti a noi! Un pomeriggio prezioso e inaspettato! Abbiamo fatto qualcosa di inaspettato! E abbiamo scoperto un mistero! Dove andrà l’acqua? Non è pericoloso. Poi è impossibile perdersi. Questa è come una strada piena d’acqua. Quello che si vede da qui scorre tra le due montagne. Dovremmo solo fare marcia indietro tra un po’ se vediamo qualche pericolo. Solo un po’, usciamo e ci asciughiamo. Non lo saprà nessuno».

    Jop continuava a pensare che non fosse una buona idea immergersi nel fiume. Questo non era ciò che era stato programmato. In effetti, non erano arrivati nemmeno a immaginarselo. Ed era sicuramente gelata! Sapeva già che aveva fatto male ad addentrarsi fino a quel luogo e che, nonostante quello che dicesse quel pazzo del suo amico, continuare ad andare avanti ancora per un po’ attraverso l’acqua sì che avrebbe peggiorato le cose.

    Per il momento, avrebbero sempre potuto dire che erano arrivati solo fino al luogo dove si trovava la pozza. Ciò che conoscevano. Da quel luogo in poi, nonostante quello che diceva Seb, non sapevano ciò che avrebbero trovato. La sua idea era quella di curiosare ed esplorare un po’ attraverso un paesaggio simile a quello che già conoscevano. Il suo prolungamento, di fatto. O meglio, cercare di trovare quella ricompensa personale che il trionfo della ribellione concede rispetto a ciò che è proibito.

    «Non ci penso nemmeno a immergermi nell’acqua. Lasciamo stare, forse un altro giorno possiamo trovare un altro accesso. Tempo fa a scuola Sam mi ha detto che suo padre porta lui e sua sorella al bosco da casa sua, a nord della città, fino a una radura dove pranzano di solito le domeniche quando il tempo lo permette. Potremmo convincerlo un giorno ad avvicinarsi e a mostrarcelo, e giocare lì. Sarebbe un luogo sconosciuto per noi».

    Seb guardò l’acqua e, pensieroso, alzò lo sguardo per chiedere con espressione di incredulità a Jop:

    «Chi è Sam?»

    «Per l’amor di Dio Seb! Quel pel di carota della nostra classe. Sam Plazcan, il fratello di Teodora... Teodora Plazcan!» gridò Jop ripetendo il suo nome.

    «Ahhhhh!» esclamò con sorriso beffardo Seb. «Quel Sam!»

    Teodora Plazcan aveva diciassette anni. Per Jop e Seb era una vera e proprio donna, e il suo aspetto fisico non passava inosservato a nessuno, così come il suo modo di vestire, di muoversi o di comportarsi con il sesso opposto. Nulla a che vedere con suo fratello Sam, quel poveretto era l’antitesi di Teodora.

    «Non sarebbe la stessa cosa!» replicò Seb con aria infastidita. «Non sarebbe una scoperta, ma piuttosto una visita guidata da parte di quel presuntuoso pel di carota. Non sarebbe un’avventura, la nostra avventura. Non saremmo avventurieri né esploratori. L’unico modo per andare con quello lì, è che sua sorella Teodora ci accompagni...» Si scambiarono uno sguardo pieno di malizia, e un piccolo sorriso nervoso gli fece perdere la testa per un attimo. «Viviamocelo!» gridò Seb, riportandoli alla loro piccola discussione sul continuare o meno l’avventura. Una controversia che portava ciascuno di loro verso una direzione diversa.

    «Non ci penso proprio a entrare nell’acqua e a seguirti dentro quella specie di tunnel».

    «Va bene. Facciamo una cosa. Resta qui e controlla che non arrivi nessuno. Io andrò avanti da solo ancora per un po’. Fino a svoltare dietro quell’angolo».

    A pochi metri, la parete dal lato di Jop sporgeva come un ventre che si lanciava sul lato opposto. E nella posizione dove si trovava Seb, la montagna sembrava ritrarsi, senza che le due pareti arrivassero a toccarsi.

    In questo modo il letto del fiume dal quale scorreva l’acqua si apriva abbastanza verso sinistra, per poi continuare fino a destra disegnando una specie di esse tra le due montagne.

    «Per fare che cosa?»

    «... per dare uno sguardo, per vedere come continua...» continuò Seb.

    «Controllare che cosa?»

    «Controllare che non passi nessuno».

    «E cosa risolviamo con questo? Se a qualche persona salta in mente di passare di qui e ci vede, i nostri genitori lo verranno a sapere. E non vorrai che mi nasconda dentro il bosco e ti lasci lì dentro se sento o vedo arrivare qualcuno. E come ti avviso? Grido? Fin qui possiamo dare una spiegazione più o meno logica, ma, come spieghiamo che sei immerso nell’acqua vestito? Non è una buona idea!»

    «La gente ora è nei campi o al mercato e le donne sono nelle loro case! È martedì, sarebbe una strana coincidenza! Quante probabilità ci sono?»

    «Sì, tante coincidenze e tante probabilità, tante quanto il fatto che noi siamo qui di martedì!»

    «Ma vaaaaaaaa, solo un po’. È tutto calcolato...»

    Seb sapeva che quel tipo di discussioni con Jop potevano essere eterne e non li avrebbero portati da nessuna parte. Non l’aveva visto mai ritrattare una decisione già presa. Quando parlava aveva già valutato qualsiasi opzione e le sue parole rappresentavano già la migliore scelta possibile. Ma sapeva anche che non glielo avrebbe impedito. Perciò, senza aver quasi finito la frase, cominciò ad avanzare appoggiato alla parete e scansando le pietre che incontrava lungo il cammino. Poco dopo cominciò già a svoltare verso sinistra costeggiando il ventre della parete opposta, fino a perdersi alla vista di Jop attraverso questo.

    A Jop, tuttavia, preoccupavano le situazioni calcolate di Seb. Non gli piaceva l’idea di non riuscire a vedere il suo amico, ma sapeva che questi era troppo cocciuto da non avanzare qualche metro più in là, dato che si trovava in quel posto e lui, con la sua osservazione sull’acqua, aveva risvegliato nella sua testa quel piccolo mistero. Ma era anche cosciente che non sarebbe andato molto lontano da solo. Perciò si mise a osservare il ventre della montagna nella speranza che il suo amico saziasse vagamente il suo spirito avventuriero e apparisse di nuovo da quella parte.

    Passati circa tre minuti, cominciò a spazientirsi e a gridare il nome dell’amico, chiedendo prima, e implorando poi, che rientrasse.

    Non ci fu risposta. Il silenzio che si respirava, rotto solo dal fluire dell’acqua e da quel picchiettio costante contro la roccia, lo faceva preoccupare mentre attendeva di rivedere Seb da un momento all’altro.

    Dopo dieci minuti, gli sembrò di sentire delle pietre colpire contro l’acqua. Dato il rumore dovevano essere abbastanza grandi, come se si stessero staccando dalla montagna.

    Ora sì che era spaventato e gridò di nuovo il nome dell’amico, ma invece di un grido straziante, uscì dalla sua gola un suono gutturale.

    Iniziò a sentirsi sempre più nervoso, erano passati venti minuti ed era costantemente incerto tra correre a cercare aiuto, rendendo così di pubblico dominio la loro piccola escursione ai limiti dell’imprudenza, e dirigersi direttamente al muro del castigo che li aspettava. Sempre che Seb fosse uscito. Non smetteva di affliggersi, di domandarsi più e più volte perché lo avesse lasciato andare da solo.

    E se gli era successo qualcosa?

    Timoroso e nervoso nelle sue dissertazioni, improvvisamente fu lui a sentire la voce dell’amico che lo chiamava.

    «Jop ... Jop ... devi vedere questo! È incredibile!»

    Seb riapparve dietro il ventre della montagna che gli impediva di vedere il tragitto del fiume, incollato di nuovo alla parete opposta. Tornò tutto sorridente com’era prevedibile. Inzuppato, esausto ma raggiante, cercando di attirare l’attenzione di Jop.

    Quest’ultimo in quel momento non sapeva se doveva partecipare alla felicità del suo amico o, semplicemente, se doveva ammazzarlo per il brutto momento che gli aveva fatto passare. Ci mise un paio di secondi a reagire, sperando che l’anima che era rimasta in bilico durante l’attesa ritornasse dentro il suo corpo. Ma, dopotutto, Seb stava bene. Non gli sarebbe più passato per la mente di fare una cosa del genere.

    «Sei pazzo? Dove cavolo eri finito? Stavo arrivando al punto di accoglierti con i nostri genitori al lato. C’è mancato poco che li andassi a cercare...» Jop mostrava il pollice e l’indice della mano destra a un passo dal toccarsi.

    «Bah! Sapevo che non l’avresti fatto. Tu non mi faresti mai una cosa simile! Prima saresti entrato tu stesso a cercarmi».

    «Sì, be’, questa era l’altra opzione» disse con tono d’astio.

    «Non c’è tempo né per rimproveri né per spiegazioni. Questo devi vederlo con i tuoi occhi. Vieni, seguimi. Devi vederlo» ripeté Seb mentre i suoi occhi lasciavano trasparire l’emozione che lo pervadeva in quel momento. Brillavano e si spalancavano quasi sino a uscirgli dalle orbite.

    «Vedere che cosa? Dove sei stato? Non ci penso nemmeno a immergermi nell’acqua se non mi dai altre spiegazioni».

    «Fidati di me».

    Questa era bella. Ma non c’era niente da fare, perché l’unica risposta era che si fidava davvero di quell’imprudente. Persino quando si cacciava in qualche guaio e sua madre Iduna gli chiedeva come mai nonostante fosse così intelligente seguiva Seb. La sua risposta fu sempre «non lo so». Lo chiamava: l’irrazionale che dà senso al razionale. L’eccezione che conferma la regola. Inoltre, la verità era che alla fine, per una cosa o per un’altra, non ne uscivano poi così tanto male. Soprattutto tenendo conto della percentuale di marachelle che sin dall’età di cinque anni avevano fatto insieme, rispetto al numero di castighi che avevano subito. O meglio, di quelle di cui i genitori si erano resi conto.

    Seb faceva segni con la mano al suo amico perché gli venisse incontro.

    «Di cosa mi devo fidare?» Era sempre bene insistere e cercare di far ragionare Seb. «Che hai visto?»

    «È proprio qui a fianco. Andiamo».

    «Be’ ci hai messo un bel po’...»

    «È che non ho resistito a curiosare un po’».

    «Curiosare che? Dove?»

    «Dammi retta. Non te ne pentirai» Seb cambiò la sua intonazione con una più debole e misteriosa. «Ho scoperto la nostra nuova tana segreta. Vieni, non ci tratteniamo molto. Ti prometto che la vedremo solo oggi. Avremo tempo per ritornare e divertirci».

    Il mistero ebbe la meglio su di lui. Sapeva che Seb non avrebbe aperto bocca se non fosse andato lui stesso a vedere cosa aveva scoperto.

    Con attenzione, entrò nell’acqua e, per cercare appoggio, si attaccò alla montagna emergente e imitò Seb nel modo di spostarsi. L’acqua era fredda, ma si poteva sopportare. Non ricordava di aver mai visto gli occhi dell’amico brillare in quel modo. Doveva essere una grande scoperta.

    E la verità era che poteva essere lui a controllare la corrente e non viceversa. Non aveva così tanta forza. «Seb era leggero come una piuma», pensò.

    Questa fiducia gli giocò un brutto scherzo quando la parete finì e arrivò il momento di attraversare il fiume per arrivare alla parte opposta. Posò leggermente il piede d’appoggio mentre faceva un passo, e l’acqua lo sbarellò abbastanza da costringerlo ad appoggiarsi con una mano su una roccia che emergeva dall’acqua, spruzzandogli tutta la faccia.

    «Visto che non è così fredda?» rise Seb.

    Jop arrivò vicino all’amico che, tendendo la mano, gliela avvicinò per aiutarlo ad arrivare fino a lui. Non si era ancora aggrappato del tutto, quando gli fece un segno, portando la testa verso sinistra.

    «Andiamo!»

    Seguì Seb cercando di appoggiarsi il più possibile alla roccia e tenendosi più lontano possibile dalla parte centrale, dove la corrente sembrava essere più forte, soprattutto una volta che l’acqua entrava dalla cavità, aumentando il suo caudale e obbligando il fiume ad allargarsi nel passaggio tra le montagne. Lo allargava all’improvviso di più di un metro.

    Continuarono in quella posizione fino a che non girarono intorno al ventre che sporgeva dalla montagna di fronte.

    Da dove si trovavano, il fiume scorreva per una trentina di metri, attraverso una specie di corridoio dritto e sommerso, per poi svoltare ad angolo retto verso destra. Proprio di fronte a dove si trovavano, dato che Seb aveva smesso di camminare, c’erano varie rocce ammucchiate che sporgevano un bel po’ dall’acqua e che sembravano essersi staccate dalla montagna.

    Jop pensò al pericolo di una frana sopra le loro teste, con loro ancora dentro quella gola sommersa a causa del fiume.

    «Andiamocene, potrebbe essere pericoloso».

    «Non preoccuparti, è qui.»

    «Qui? Quindi è qui?»

    Jop vedeva solo avanzare quell’acqua imprigionata, che si perdeva rapidamente più avanti verso destra e che, certamente, entrando in quel corridoio che si allargava aveva aumentato in modo considerevole la sua profondità, ricoprendoli ora fino alla vita.

    «È tutto qui? Per questo mi hai fatto bagnare fino al midollo? Per vedere una specie di strada attraverso cui circola solo acqua? Ti conosco Seb, non vado oltre. Esco adesso stesso. E tu farai lo stesso. Usciamo e asciughiamoci».

    «Ah il mio giovane discepolo!» Seb adottò un atteggiamento comico e accondiscendente.

    Niente gli piaceva di più al mondo che dover essere lui a spiegare qualcosa a Jop. Ci prendeva gusto a farlo arrabbiare godendosi il fatto di essere stato lui ad aver captato qualcosa che al suo amico era passata inosservata. Non era cattiveria, semplicemente lo divertiva e gli piaceva far uscire un po’ dai gangheri il suo compagno di avventure. Inoltre, quel tipo di avvenimenti, non capitava spesso. Bisognava approfittarne.

    «Lo vedi che sta succedendo qualcosa sotto l’acqua e non sei capace di vedere ciò che hai di fronte? Giovane studioso». Ora corrugava il naso e chiudeva un po’ gli occhi, cercando di imitare il signor Mills. «Non mi dica che lei non è capace di apprezzare ciò che si erge di fronte a lei». Seb scherzava un pochino.

    Jop smise di guardare il corridoio e osservò la parete che avevano proprio di fronte. La montagna si ergeva tra le rocce che sembravano essersi staccate, terminando in modo scosceso un paio di metri scarsi sopra le loro teste, formando una piccola cornice per poi ergersi di nuovo come una parete liscia.

    A eccezione di quella piccola erosione, la montagna si estendeva alla loro sinistra formando quell’enorme corridoio di pietra grigia, cosparsa da qualche altro cespuglio verde che la sfidava aprendosi alla vita in quel luogo.

    «Sì, sembriamo due stupidi a bagnarci fino alle ossa, immobili, appoggiati contro una parete gelida, in un’acqua gelida, ad un passo dal prenderci una polmonite dentro qualcosa che sembra un’enorme gola formata da due montagne».

    «Questo è ovvio giovane Jop». Seb proseguiva con la sua pessima imitazione del signor Mills. «Di fronte al suo nasino da segugio principiante!»

    «Va bene. La montagna si erge e forma una specie di piccola cornice. Cosa vuoi, che saliamo lì?»

    «Sì ...! Non è mica un ripiano» rispose, mentre sorrideva maliziosamente.

    «Come?»

    «Da qui sotto, in questa posizione, gli assomiglia, vero? Sembra che la parete prosegua il suo corso dopo essersi addentrata su sé stessa, diminuendo il suo spessore, per poi riprendere il proprio cammino fino a su disegnando una specie di piccola panca con schienale, vero?»

    «Sì.»

    «Be’ non è la stessa parete. Credo che non sia neanche la stessa montagna. Infatti, c’è una linea di demarcazione tra le due. È quella rispettiva che ci hanno spiegato in classe».

    «Quale rispettiva ...? La prospettiva!»

    «E io cos’ho detto? Be’ quello ... la prospettiva!» A Seb dava fastidio quell’espressione che a volte Jop faceva quando non sapeva cosa fare con lui. Gli ricordava la stessa cosa che faceva sua madre quando alzava lo sguardo verso il cielo e, facendo gli occhi bianchi, domandava a voce alta, come se sperasse che qualcuno le rispondesse, a chi avesse assomigliato. «La montagna non si appiattisce all’improvviso in quel tratto, né si erode perdendo parte della sua superficie formando il ripiano. Quella parte della montagna termina lì, e basta. In quel pezzo che sembra formare un belvedere. Ma, la cosa certa è che, in quel punto la parete arriva solo fin lì. Termina. Quella che vedi, e che sembra continuarla fino a su, è un’altra. Nasce da dietro e da qui sembrano attaccate, ma non lo sono. O è così o la tua amata natura ha praticato un foro proprio in quel punto. Da qui sembra il suo prolungamento, ma non c’è questo prolungamento. Sono... separate». Concesse di nuovo un breve momento di silenzio che avrebbe aumentato la tensione e la gioia della sua spiegazione; Seb si stava divertendo. «La loro distanza è tale che potrebbe entrarci perfino uno grosso tanto quanto te ... ah, ah».

    «E ne sei così sicuro? Ci sei già sceso?»

    «Tira una pietra contro la parete. Non molto forte, in modo che non rimbalzi e torni da noi. Cerca di lanciare in modo da colpirla delicatamente, cioè, in modo da farla rimanere sul piccolo ripiano».

    Jop si inchinò e raccolse una pietra di media misura dal fondo del fiume. Mirò verso il suo obiettivo e decise di lanciare a cucchiaio, come facevano le bambine, gli diceva Seb. In quel modo avrebbe posato meglio e più delicatamente la pietra sul ripiano e, se cadeva, lo avrebbe fatto dopo aver rimbalzato sulla sua superficie e non sulla parete. Lanciò con delicatezza la pietra e il suo viso cambiò quando questa sparì sotto quello che doveva essere il pavimento di quella falsa cornice.

    «Lo vedi? È caduta dietro».

    «Come l’hai scoperto?»

    «Ti sembra strano, eh?» Seb rise. «Sai bene che a me osservare o cose simili non riesce bene. Non ho pazienza per la concentrazione ... ah, ah. Semplicemente arrivando qui non so cosa pensavo di trovare... magari, girando intorno a quella montagna, il bosco sarebbe tornato alla sua normalità e così ti avrei convinto a continuare ancora per un po’. Ma vedendo questo lungo corridoio, la maniera smisurata in cui si vedeva questa gola da qui giù, mi sono reso conto che era da stupidi continuare. Quando mi sono girato per ritornare indietro, sono scivolato, e nell’intento di appoggiarmi a una pietra che spuntava di lì per non cadere e recuperare l’equilibrio, per via della pressione, la roccia si è rotta nella sua parte più larga e me la sono ritrovata in mano. Essendo così deluso dall’escursione e a momenti furioso a causa della caduta, ho scagliato la pietra contro la parete, proprio all’altezza del ripiano, e questa ha picchiato contro la parete posteriore, rimbalzato contro quella anteriore ed è sparita dalla mia vista quando invece immaginavo che sarebbe tornata indietro verso di me. Il mio primo impulso è stato di coprirmi la testa. Quindi, ho preso un’altra pietra e l’ho tirata nello stesso modo in cui l’hai appena fatto tu, per vedere se riuscivo a depositarla proprio sopra, e niente. La pietra scompariva di nuovo dietro. Perciò...»

    «Perciò hai deciso di uscire, chiaro».

    «Mi sono praticamente visto costretto a farlo, ah, ah! Sarei potuto forse rimanere all’oscuro di cosa c’era lì dietro dopo essermi immerso nell’acqua solo per vedere da dove usciva questa!» Entrambi risero. «Vieni, è molto più facile uscire da qui usando quelle pietre a mo’ di scalinata. Scivolosa, questo sì. Quindi occhio a dove metti i piedi e le mani».

    Ancorato a una mano del suo compagno, per non vedersi trascinati via dalla corrente e colpiti da qualche pietra o roccia sporgente, Seb iniziò il passaggio verso l’altro lato, dove si trovavano le pietre precipitate dalla montagna.

    Jop gli afferrava la mano mentre attraversava e lui rimaneva immobile sulla parete opposta perché, una volta arrivato, fosse Seb ad attrarlo verso di sé.

    Jop osservava il mucchio di pietre umide e scivolose mischiate con sassi secchi sulle parti posteriori, più lontane dall’acqua, e che si ammucchiavano dove loro si appoggiavano ora.

    «Non preoccuparti. Non c’è pericolo. Io ti indico quali sono quelle su cui devi salire. So quali sono quelle sicure e ben fissate. L’unica pietra staccata che c’era sulla cornice, me la sono già mangiata io prima».

    Jop ricordò di aver sentito una pietra grande che cadeva verso il fiume mentre aspettava Seb.

    Sorrise immaginando il suo amico e l’incontro con quella roccia sporgente e staccata mentre si aggrappava a questa.

    «Tu seguimi e basta e, in queste prime pietre, sali dove salgo io. Metti il piede dove lo metto io e aggrappati a ciò a cui mi aggrappo io. Una volta su arriveremo senza problemi al ripiano. Ho aggiunto un paio di pietre per arrivarci meglio, perché in realtà c’è davvero una piccola sporgenza abbastanza ampia per potersi aggrappare e salirci sopra. La cosa positiva è che l’altro lato non è così tanto alto ed è più facile tornare indietro. Inoltre, ho anche già sistemato un paio di pietre come qui. È per questo che ci ho messo tanto a tornare indietro. Non sarei sceso se non fossi stato sicuro di poter risalire».

    Cominciarono la loro piccola salita.

    Seb per primo. Si arrampicò con facilità sulle pietre fino ad arrivare a una tonda che si trovava nella parte alta del mucchio e, da lì, si appese con un salto sulla piccola cornice lasciando le gambe a penzoloni. Con

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