La bella vampirizzata
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Alexandre Dumas
Alexandre Dumas (1802-1870), one of the most universally read French authors, is best known for his extravagantly adventurous historical novels. As a young man, Dumas emerged as a successful playwright and had considerable involvement in the Parisian theater scene. It was his swashbuckling historical novels that brought worldwide fame to Dumas. Among his most loved works are The Three Musketeers (1844), and The Count of Monte Cristo (1846). He wrote more than 250 books, both Fiction and Non-Fiction, during his lifetime.
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Anteprima del libro
La bella vampirizzata - Alexandre Dumas
Alexandre Dumas
La bella vampirizzata
Sono polacca, di Sandomir (Sandomierz, cittadina dalla grande tradizione storica nel sud della Polonia, n.d.t.), cioè una cittadina dove le leggende diventano atti di fede, e tutti crediamo alle tradizioni famigliari come e forse più che ai Vangeli. Non c'è un castello qui che non abbia il suo fantasma, non c'è casupola che non abbia il suo protettore.
Nella dimora del ricco e in quella del povero, nel castello come nella casupola, tutti riconoscono il principio del bene e il principio del male. Questi due principi qualche volta lottano fra di loro, si fronteggiano. Allora, nei corridoi, si ascoltano rumori così misteriosi, un ruggire così terrificante nelle torri antiche, un vibrare così forte fino alle fondamenta, che gli abitanti scappano dalla loro casupola come dal castello, e contadini e gentiluomini corrono fino alla chiesa in cerca della croce benedetta o delle sante reliquie, le uniche difese contro i demoni che ci torturano.
Ma altri due principi più terribili ancora, più accaniti ed implacabili, si fronteggiano nella mia terra: la tirannide e la libertà. Tra la Russia e la Polonia, nel 1825, ebbe inizio, infatti, una di quelle lotte nelle quali tutto il sangue d'un popolo sembra debba essere versato fino ad esaurirsi, come si esaurisce il sangue di una famiglia intera.
Mio padre e i miei due fratelli, erano andati a schierarsi contro il nuovo Zar, sotto il vessillo dell'indipendenza polacca, sempre calpestato e sempre risorto. Un giorno venni a sapere che mio fratello minore era stato ucciso: un altro giorno mi dissero che mio fratello maggiore era stato colpito a morte; e dopo una giornata angosciosa, durante la quale avevo sentito atterrita il rombare sempre più vicino del cannone, vidi arrivare mio padre con un centinaio di cavalieri, ciò che era rimasto dei tremila uomini che comandava. Era venuto per rinchiudersi nel nostro castello, con l'intenzione di seppellirsi sotto le sue macerie.
Mentre non temeva nulla per se stesso, tremava per me. Per lui, infatti, l'unico rischio era morire, perché era sicurissimo che non sarebbe caduto vivo tra le mani del nemico; ma io sarei diventata una schiava, sarei stata disonorata, avrei provato vergogna.
Fra i cento che gli restavano mio padre scelse dieci uomini. Chiamò l'aiutante e gli consegnò tutto il denaro e gli oggetti preziosi che possedevamo; poi ricordandosi che mia madre, durante la seconda spartizione della Polonia, ancora quasi bambina, aveva riparato a Sahastru, tra i Carpazi, in un inaccessibile monastero, gli ordinò di condurmi in quell'eremo, che avrebbe aperto le sue porte alla figlia, come già aveva fatto un tempo con la madre.
In spregio al grande amore che mio padre provava per me, i nostri saluti non furono lunghi. Secondo le previsioni, i Russi dovevano arrivare il giorno dopo in vista del castello, e per questo non c'era molto tempo da perdere. Indossai in fretta la mia veste da amazzone, con la quale, di solito, accompagnavo a caccia i miei fratelli. Mi venne sellato il miglior cavallo delle scuderie; mio padre infilò nelle tasche della sella le sue pistole, un capolavoro delle manifatture di Tula, quindi mi abbracciò e diede l'ordine di partire.
Durante la notte e la giornata dopo percorremmo venti leghe, costeggiando uno di quei fiumi senza nome che sfociano nella Vistola. Questa prima tappa ci aveva allontanati dal pericolo di cadere nelle mani dei Russi. Il sole stava per tramontare quando vedemmo risplendere le cime innevate dei Carpazi.
Sul far della sera del giorno seguente arrivammo alle loro pendici; e la mattina del terzo giorno incominciammo a inoltrarci in una gola. I Carpazi non assomigliano ai monti verdeggianti del vostro Occidente. Tutto ciò che la natura ha di straordinario e di bello è lì racchiuso in tutta la sua maestosità. Le loro cime tempestose si confondono tra le nubi ricoperte di nevi eterne. Le loro sconfinate foreste d'abeti si adagiano sullo specchio lucente di laghi così grandi da sembrare mari: mai nemmeno una barca, quantunque piccola, ha solcato quelle onde, mai le reti dei pescatori hanno incrinato quel cristallo, profondo