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Draghi, maghi ... e altre quisquilie
Draghi, maghi ... e altre quisquilie
Draghi, maghi ... e altre quisquilie
E-book183 pagine2 ore

Draghi, maghi ... e altre quisquilie

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Info su questo ebook

In un ambiente medioevale, condizionato da una millenaria guerra tra uomini e draghi, un ragazzo ed una ragazzina si ritrovano a percorrere la stessa strada che porta ad un paese dove sembra ne sia stato avvistato uno. Lo scopo di ciascuno non potrebbe essere più distante. Lui è il figlio di un cacciatore di draghi da poco ucciso in uno scontro e vuole solo vendicarsi dell’animale che ha incenerito suo padre. Lei è un tipo molto indipendente e un po’ selvatico, nel suo peregrinare per i boschi ha trovato un piccolo drago con un’ala spezzata e, dopo averlo nascosto, curato e nutrito, si è resa conto che per metterlo davvero al sicuro deve trovare il modo di riconsegnarlo a qualcuno della sua specie.
Il primo approccio tra i due è a dir poco complicato e violento, il loro modo di pensare agli antipodi, ma alla fine decideranno di proseguire insieme. Li attendono grandi difficoltà ed avventure che trovano origine in incredibili storie del passato custodite dalla congregazione dei maghi. E' un romanzo fantasy per ragazzi sull’amicizia, la tolleranza e la determinazione necessaria e realizzare i propri sogni.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2018
ISBN9788829572878
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    Anteprima del libro

    Draghi, maghi ... e altre quisquilie - Luigi Ticci

    Epilogo

    Ragazzi

    Burhan stava correndo come un matto su per la salita, voleva arrivare prima possibile alla casa appollaiata proprio in cima al cucuzzolo, la casa del suo amico Volkan.

    Volkan era più grande di lui di qualche anno, ma si era sempre dimostrato bendisposto nei suoi confronti, anche dopo aver ereditato da suo padre l'ambito titolo di ammazzadraghi del villaggio. Tutto era accaduto troppo in fretta e forse lui non si era reso conto in che guaio si stava andando a cacciare, ma ormai le cose erano andate come erano andate e quando finalmente aveva aperto gli occhi non se l’era sentita di dire scusate, mi sono sbagliato, ci ho ripensato, … rimettendo tutto in discussione.

    Qualche tempo prima, infatti, Volkan era andato nel bosco alla ricerca di un bel favo selvatico pieno di miele, una cosa che non faceva molto spesso, e dopo quelle vicende si era chiesto tante volte perché proprio quella mattina gli fosse venuta in mente quell’idea malsana. Ne aveva buttato giù uno bello grosso, aiutandosi con la corta picca che si era portato dietro, e stava accendendo un focherello di foglie umide per fare fumo e mettere in fuga le api che ci giravano ancora intorno, quando vide cadere un piccolo drago a pochi passi da lui, probabilmente in seguito ad una delle sue prime prove di volo andata male.

    Quell’essere schifoso e immondo non gli aveva fatto pena per niente, lo aveva inseguito, chiuso in un angolo e gli aveva infilato la sua picca proprio in mezzo al petto, premendo con tutta la forza che era riuscito a tirare fuori. La sua placca era ancora tenera, altrimenti non sarebbe mai riuscito a trapassarla con quell’arma rudimentale, quello non era certo uno dei punti vulnerabili che suo padre gli aveva indicato. Proprio quando stava per soccombere, il piccolo drago aveva fatto l’ultimo tentativo per difendersi, spalancando la bocca e cercando di sputargli contro una bella vampata di fuoco, ma ormai era allo stremo delle forze, così gli era uscita solo qualche fiammella ed un po' di fumo, prima di soccombere, e così lui non aveva riportato neppure una bruciatura, davvero una fortuna sfacciata.

    La tradizione di famiglia esigeva che, dopo una uccisione, una parte della carcassa fosse esposta come trofeo in cima alla pertica accanto a casa, quella che per le feste serviva anche per issare i vessilli del villaggio. Forse c’era anche un po’ di esibizionismo in questo rito, ma lo scopo principale era ricordare ai compaesani che il loro cacciatore stava continuando a fare il proprio dovere, di conseguenza loro avrebbero dovuto fare altrettanto, non sottraendosi al pagamento della quota annuale a suo tempo pattuita.

    In questo caso la dimensione ridotta della preda e l'orgoglio paterno imposero che quel piccolo corpo inerte fosse tirato per intero su per il lungo palo. In così bella mostra non poteva sfuggire a nessuno che avesse alzato gli occhi verso la cima, tanto meno alla madre del cucciolo, che da ore lo stava cercando affannosamente in lungo ed in largo. Il poderoso animale aveva sentito trasformare l’apprensione per la sorte del suo piccolo in un desiderio di vendetta irrefrenabile.

    Per impedire che demolisse la casa, con ovvie conseguenze per chi ci si era rifugiato dentro, suo padre era stato costretto ad affrontarla brandendo il primo attrezzo che si era trovato tra le mani e ciò che rimase di lui fu solo un mucchietto di cenere ancora fumante al centro di una ampia zona scura. Maledetti draghi e maledette quelle fiamme inestinguibili!

    Adesso lui si ritrovava proprietario dell’attrezzatura che aveva ricevuto in eredità, delle poche nozioni teoriche acquisite da suo padre e di quel titolo impegnativo che gli abitanti del villaggio gli avevano riconosciuto, nonostante non potesse vantare alcuna esperienza sul campo, forse anche perché nel frattempo nessuno si era fatto avanti per occupare quel posto.

    La madre aveva provato a dissuaderlo, ma sul momento lui si era sentito onorato di tanta considerazione e la voglia di vendicare suo padre aveva fatto il resto, inducendolo ad accettare l’incarico senza porre tempo in mezzo o condizioni particolari.

    «Volkan, Volkan» gridò Burhan da fuori della porta «ne hanno avvistato un altro».

    Volkan era uscito di corsa: «Dove? Quando?».

    «Al villaggio di Ozgur, non più di qualche ora fa, è appena arrivato un colombo a mio padre» aveva risposto Burhan pieno di eccitazione.

    «Ma era lei?» e quella domanda poteva significare solo una cosa. Burham perse subito tutto il suo fervore: «Non lo so, non c'era scritto niente di più». Gli dispiaceva di non poter essere più preciso, capiva che quella informazione per lui era la più importante.

    Alyna aveva solo tre anni quando sua madre silenziosamente se ne era andata. Era stata una terribile malattia a portarsela via in pochi giorni, e nessun medicamento, neppure il sangue di drago, era riuscito a contrastarla, a ridare un po' di colore a quel viso pallido e smunto.

    Un tempo il padre era stato un uomo forte e possente, un grande cacciatore di draghi, ma dopo la morte della moglie sembrava aver perso tutte le sue energie ed ormai sapeva solo passare le giornate nelle taverne a bere, vivendo dell’elemosina di coloro che ancora si ricordavano delle sue imprese.

    Così Alyna era dovuta crescere da sola, diventando sempre più selvatica ed indipendente. Passava la maggior parte delle sue giornate girovagando per i boschi, aveva imparato dagli scoiattoli ad arrampicarsi sugli alberi e dai serpenti a strisciare nell'erba senza far rumore. Al villaggio l'avevano soprannominata Alyna la bestiolina, per questa sua affinità con gli animali e per un certo suo odore caratteristico, dovuto al fatto che non amava lavarsi troppo spesso.

    Fu proprio durante una di queste sue scorribande che aveva trovato qualcosa di meraviglioso, un cucciolo di drago con un'ala spezzata. Aveva atteso la madre per tutto il resto della giornata inutilmente. Ma dove sarà finita? si chiedeva mentre lo osservava lamentarsi per il dolore. Poteva essere stata uccisa o forse l'aveva cercato a lungo, senza trovarlo, ed alla fine si era rassegnata, credendo di averlo perduto per sempre.

    Alyna aveva deciso di tenerlo con sé. Gli aveva steccato l’ala, lo aveva nascosto per bene, sfamato e curato, e dopo un paio di settimane sembrava stare molto meglio. Soprattutto era cresciuto a vista d'occhio, ormai il suo corpo era un po' più grande di un tacchino e poi bisognava aggiungere la lunga coda che terminava a punta di freccia. Adesso che il piccolo drago era quasi guarito, bisognava pensare al futuro, non era possibile continuare in quel modo. Anche se lei prendeva sempre tutte le precauzioni possibili, cambiando spesso strada ed orari, alla fine quel suo andare continuamente al nascondiglio sarebbe stato notato e qualche ficcanaso avrebbe voluto controllare perché lo facesse. Anche cambiare posto di tanto in tanto avrebbe solo rimandato il problema e poi là intorno di buoni rifugi non ce n’erano poi molti. No, doveva pensare a qualcosa di diverso, una vera casa, un luogo dove sarebbe stato per sempre al sicuro dai pericoli, ad iniziare da quei feroci ed implacabili cacciatori, sempre alla ricerca di qualche drago da massacrare.

    Al villaggio aveva sentito più volte raccontare la storia di una valle misteriosa, protetta da un enorme drago dominatore, dove le femmine crescevano i loro piccoli, ma lei non ci aveva mai creduto troppo, aveva sempre pensato che fossero solo delle favole per tenere buoni i mocciosi. Adesso però quell’idea che potesse esistere un posto del genere, dove il piccolo Ozji, così l'aveva chiamato, avrebbe potuto crescere insieme ai suoi simili, le aveva stimolato quella voglia di avventura che da parecchio tempo stava covando dentro di lei.

    Della sua partenza il padre non se ne sarebbe neppure accorto o forse avrebbe capito, in ogni caso non sarebbe certo andato a cercarla. E così, raccolte poche cose in una sacca, un piccolo specchio ricordo di sua madre ed un coltello regalatole da suo padre qualche tempo prima, era uscita di buon'ora dal villaggio, era andata a prendere Ozji al nascondiglio, se lo era caricato sulle spalle ed insieme erano partiti alla ventura.

    Qualche ora più tardi, erano arrivati ai piedi di una collina sulla quale si potevano vedere alcune case sparse qua e là. Era quasi mezzogiorno e si sentivano entrambi stanchi ed affamati.

    Aveva trovato un buon posto dove nasconderlo e si era avviata su per la salita alla ricerca di un po' cibo, era arrivata quasi in cima quando delle grida avevano richiamato la sua attenzione: «Volkan, Volkan, ne hanno visto un altro». Alyna si era avvicinata senza farsi vedere, aveva teso le orecchie e ciò che aveva udito l'aveva convinta di essere sulla strada giusta: nel villaggio di Ozgur si aggirava un drago, forse era una madre in cerca del suo cucciolo.

    Anche senza quell'informazione, Volkan aveva deciso che valeva la pena di andare a vedere come stavano le cose e così aveva iniziato a preparare tutto il necessario per un viaggio a piedi di un paio di giorni. Oltre alla mantella per ripararsi in caso di pioggia, qualcosa da mangiare ed alcuni piccoli arnesi che potevano tornare utili, ma soprattutto la sua arma: il grande arco costruito da suo padre che era appeso nell'angolo opposto a quello del camino. Gli aveva spiegato più di una volta l'importanza di non tenerlo vicino al fuoco o esposto al sole dell'estate, ed anche di tenerlo scarico, quando non doveva essere utilizzato, due regole auree perché conservasse la sua elasticità. Quindi, per prima cosa avrebbe dovuto metterlo in tensione, andando ad agganciare l'anello all'estremità della robusta corda di crine di cavallo a quel piccolo incavo in cima al braccio libero. E questa era già una mezza impresa, ci aveva messo più di un giorno per imparare il modo corretto di farlo.

    Quando l'arco fu pronto, prese la faretra, estrasse ed allineò sul letto le cinque frecce che conteneva, quelle speciali con le punte di ossidiana, l'unico materiale che poteva avere qualche speranza di perforare la spessa pelle di un drago, ed iniziò a controllarle una per una, anche se non c’era alcun bisogno di farlo: le frecce non erano state usate da mesi e non potevano essersi rovinate nel frattempo, ma aveva visto suo padre fare sempre così prima di partire per qualche impresa e si sentiva in dovere di comportarsi nello stesso modo, anche solo per celebrarne la memoria. E poi quel rito gli serviva per estraniarsi un attimo da Burham che continuava a dargli il tormento: «Dai Volkan, per favore, portami con te, non ti sarò d'impaccio. Anzi ti posso aiutare a trasportare qualcosa. Ti prego, ti prego» Burhan stava andando avanti con quella litania da un bel po’, anche se lui gli aveva già detto di no più di una volta. Ma lo considerava un fratello minore e gli dispiaceva non poterlo accontentare.

    «Ascolta, se tua madre ti manda, sono disposto a portati» aveva detto ormai sfinito da quella specie di assedio e quella frase si dimostrò risolutiva.

    «Mia madre non mi lascerà mai partire con te» rispose il ragazzino mogio, mogio.

    «E allora ci vediamo al mio ritorno, sempre che riesca a tornare».

    Si caricò addosso tutto ciò che aveva preparato ed uscì di casa, seguito dal suo amico, che lo accompagnò fino all'attacco del sentiero che lo avrebbe portato ad Ozgur. Lì lo avrebbe lasciarlo proseguire da solo.

    E così fu, lo guardò allontanarsi fino a scomparire dietro la curva e solo allora si decise a tornare verso casa sua, tenendo la testa incavata in mezzo alle spalle, una posizione che gli dava una espressione proprio contrariata. Ma fu questione di poco, il cane dei vicini era scappato di nuovo e questo bastò a fargli dimenticare lo smacco subito, in men che non si dica era già al suo inseguimento.

    Erano ormai due ore che Volkan stava camminando ed iniziava a sentire un po' di fame. Fino a quel momento non aveva incontrato nessuno, quello non era un percorso molto frequentato, portava a quel paese, che non era neppure molto importante, e da poche altre parti. Eppure qualcosa gli stava dando la sensazione di non essere da solo. Niente di definito, un presentimento forse, ma anche qualche fruscio, qualche piccolo schiocco qua e là, cose che non gli sembrava facessero parte dei soliti rumori della campagna.

    Ogni tanto si era girato di scatto a guardare nella direzione da cui gli era sembrato provenisse il rumore sospetto, ma non era mai riuscito a vedere niente. Anzi, ogni volta che aveva preso un atteggiamento più guardingo, quei suoni erano cessati del tutto, almeno per un po', per tornare a farsi sentire più avanti, quando forse credevano che si fosse dimenticato. Illusi, lui ne sapeva una più del diavolo.

    E così aveva scelto per bene il posto dove fermarsi a mangiare, in vetta ad un masso enorme proprio a metà di una curva, con il versante più scosceso della collina alle spalle e la strada che da lassù si poteva controllare nelle due direzioni per qualche centinaio di passi. Lì sopra non potevano proprio prenderlo di sorpresa. Aveva tirato fuori solo un po' di pane ed un pezzetto di formaggio, doveva stare attento con le provviste, e stava per addentarli quando all'improvviso sentì una voce alle sue spalle, davvero troppo vicina.

    «Me ne puoi dare un po' anche a me? Ho davvero molta fame». Per la sorpresa Volkan era schizzato su come un grillo, rischiando di cadere di sotto, fine che aveva fatto il suo pranzo a causa di quel brusco movimento.

    «Ma … ma come sei riuscita a salire fin qui senza farti vedere?» aveva detto un po' balbettando, dopo essersi reso conto che si trattava solo di una ragazzina. E poi, senza attendere la risposta, aveva iniziato a calarsi giù per cercare la sua colazione. L'aveva trovata per terra, ai piedi del masso, un paio di formiche stavano già studiando come trasportare via quel regalo inaspettato.

    Raccolse i due pezzi, cercò di rimuovere sommariamente i granelli di terra ed i piccoli frammenti di erba e foglie che vi erano rimasti appiccicati, poi tornò a risalire. In cima non c'era più nessuno e nessuno si vedeva là intorno. Ma com'era possibile? Volkan era davvero perplesso e cominciò a rimuginare.

    Forse quella che aveva visto non era davvero una ragazzina … eh già, era comparsa così, dal nulla, come era riuscita a farlo? … mmm. Magari era una strega, una strega che sa diventare invisibile, questo poteva spiegare quello che era successo … anche quei rumori che aveva sentito durante il tragitto senza riuscire a vedere nessuno … certo, poteva essere sempre lei che l’aveva seguito fin dall’inizio senza farsi vedere … grazie alla magia…

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