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Le stagioni di Teresa: Un libro da leggere assolutamente, uno dei romanzi più venduti
Le stagioni di Teresa: Un libro da leggere assolutamente, uno dei romanzi più venduti
Le stagioni di Teresa: Un libro da leggere assolutamente, uno dei romanzi più venduti
E-book169 pagine2 ore

Le stagioni di Teresa: Un libro da leggere assolutamente, uno dei romanzi più venduti

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Info su questo ebook

Teresa è una ragazza che odia il fiume e la golena in cui vive, ma che, più di ogni altra cosa, odia il padre, rozzo e violento, il quale la costringe a un’esistenza misera e priva di futuro.

Lo odia a tal punto da desiderarne la morte. Anche Anna, la madre, rassegnata e sottomessa, subisce la furia del marito; ma il destino metterà sul cammino delle due donne la visionaria Ada, a cui un grave lutto ha offuscato la mente. Sarà questo misterioso incontro a mutare le sorti dei protagonisti.

Un romanzo al femminile, intenso e crudo, a tratti struggente. Una narrazione dove, tra magia e realtà, i personaggi entrano con prepotenza nell’immaginario del lettore, coinvolgendolo in un viaggio che lo travolgerà, come sa travolgere la piena del grande fiume che fa da sfondo alla vicenda.

Teresa odiava la golena, il fiume e i pesci che squamava, ma, sopra ogni cosa, odiava suo padre, che la teneva ancorata a quella palude. Un odio viscerale, che non lasciava spazio a dubbi o ripensamenti, a incertezze o tentennamenti: un odio assassino, senza confini, come la nebbia, un odio denso, nutrito dalla rabbia e dalla paura, gonfio e potente come le acque alimentate dalle piogge torrenziali di maggio.
LinguaItaliano
Data di uscita20 nov 2023
ISBN9791222470290
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    Le stagioni di Teresa - Elisabetta Baraldi

    copertina
    Elisabetta Baraldi

    Le stagioni di Teresa

    © 2023 – Gilgamesh Edizioni

    Via Giosuè Carducci, 37 – 46041 Asola (MN)

    gilgameshedizioni@gmail.com – www.gilgameshedizioni.com

    Tel. 0376/1586414

    È vietata la riproduzione non autorizzata

    In copertina: Progetto grafico di Dario Bellini.

    © Tutti i diritti riservati

    UUID: 720bf7db-62e2-4bdb-b17a-a1f3a2e63064

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Le stagioni di Teresa

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    Della stessa autrice disponibili in tutti gli store online e in libreria sia in e-Book, sia cartacei

    Un REGALO per te dalla nostra Casa Editrice

    ANUNNAKI

    Narrativa

    223

    A mia sorella Paola,

    sempre vicina anche da così lontano.

    I ricordi non sono nell’anima

    a causa di impressioni depositate in lei,

    ma perché l’anima risveglia in sé il suo potere,

    sicché essa possiede anche ciò che non possiede.

    Plotino, Enneadi, III

    Ho sempre creduto che i nostri tempi

    fossero

    passato presente futuro

    Ora mi accorgo di avere due tempi supplementari:

    della nostalgia e del sogno

    Uno scrigno misterioso di sguardi, dolori, passioni

    Apparizioni curiose, scombinate, enigmatiche

    Mi delizio in queste luci impreviste, dilatate

    Caleidoscopio di presenze e assenze

    Luciana Bianchera, Quale tempo, L’arte dell’affanno

    Le stagioni di Teresa

    Sua nonna Elvira doveva celare un gran segreto se, imprigionata in un ovale di peltro, non troneggiava sul comò della stanza da letto, tra un’accozzaglia di cianfrusaglie e un vaso di fiori finti, come si conviene ai defunti di famiglia, ma giaceva in fondo a un cassetto, tra federe ingiallite e polvere di tarlo. Qui l’aveva scovata un giorno Teresa, che di quella nonna non aveva alcun ricordo. Della cupa immagine l’attraevano gli occhi di giada: da qualsiasi lato li si osservasse, parevano inseguirla, tanto da avere la sensazione che da un momento all’altro Elvira avrebbe potuto comparire e, ridestatasi dal lungo sonno, chiedere di questo e di quell’altro e informarsi sul tempo, sul fiume e sulla pesca. Si sarebbe diretta poi in cucina, a prepararsi un pranzo frugale, due pesci e un orlo di polenta da consumare seduta alla finestra, come era solita fare. Inquietava quel viso mutevole: le labbra parevano schiudersi in un fuggevole sorriso, per tornare in un lampo a serrarsi nella severità che più si addice a chi ha avuto una prematura morte. Quello sguardo Teresa lo sentiva incollato addosso, tanto che, intimorita, riponeva velocemente il ritratto, giurando tutte le volte che mai più avrebbe riaperto quel cassetto; ma sollecitata da chissà quali fantasie, la tentazione tornava, come un atavico richiamo al quale non poteva sottrarsi. Quando Teresa chiese di Elvira alla madre, Anna le disse che se l’era portata via il fiume e non aggiunse altro. Parlare di quella nonna paterna in casa era tabù, ma in paese la storia di Elvira era entrata a far parte dell’immaginario collettivo. Leggenda e realtà si intrecciavano a tal punto che quel nome veniva da alcuni pronunciato alzando gli occhi al cielo, come si parlasse di una santa, e da altri con il reverente timore riservato al mistero di certe vite. In entrambi i casi, il segno della croce era il gesto con cui veniva chiuso il discorso, quasi si fosse fatto peccato nel nominare la fanciulla.

    ***

    Il bosco si risvegliava con il leggiadro cinguettio dei passeri e tra le fronde dei pioppi gorgheggiavano le allodole. Il sole non aveva ancora asciugato la rugiada, ma tra il vilucchio già ronzavano le api. Di prima mattina un boscaiolo si era recato a far legna e, giunto nei pressi di una radura, aveva udito uno strano curioso cinguettio. Pensando si trattasse di una nidiata di gufi, l’uomo avanzava con lo sguardo rivolto verso l’alto, alla ricerca del nido. Improvvisamente il cinguettio si era fatto vagito e grande era stato lo stupore quando, infilato tra i verdeggianti rami di una giovane farnia, anziché un covo di rapaci, l’uomo vi aveva scorto un paniere di vimini dal quale sbucavano due candidi braccini. Sbigottito, il boscaiolo aveva recuperato il paniere e, con il cuore in gola, fissava attonito due rifulgenti occhi di smeraldo, così sfavillanti che parevano contenere tutta la luce del giorno che stava nascendo. L’uomo, incerto sul da farsi, si guardava attorno, alla ricerca di un segno, una traccia che svelasse il mistero di quel magico ritrovamento. Al centro della radura notò i resti di un falò, con la cenere ancora tiepida e, tra i cespugli, alcuni stracci e un secchio bucato. Gli sovvenne che nei giorni addietro era transitata per il paese una carovana di nomadi diretta lungo il fiume. Si erano dunque accampati nelle vicinanze e nel trambusto della partenza avevano scordato il bimbo, si chiese? Oppure gli zingari non c’entravano nulla? Chiunque fosse il responsabile di quell’abbandono, si disse, aveva avuto a cuore il destino della creatura, poiché si era premurato di lasciarla in un luogo sicuro, al riparo dai temporali estivi e dagli animali selvatici. E se, invece, dopo una notte di festa i gitani se ne fossero scordati, si domandò di nuovo il boscaiolo? Allora sicuramente da lì a poco sarebbero tornati a riprendersi il bimbo, congetturò, e dunque meglio lasciare tutto com’era. Seppur a malincuore, rimise il paniere dove l’aveva trovato. Rimuginando l’uomo si era incamminato lungo il sentiero, ma sentendo un ronzio nel cuore si disse che se il destino glielo aveva fatto trovare, una ragione certo doveva esserci e lui, pure ormai canuto e curvo, avrebbe accolto quel dono senza porsi tante domande. In fondo, sentenziò, era giusto così: il figlio che non gli aveva dato la vita, glielo aveva donato il bosco al quale lui aveva dedicato l’esistenza. Ritornò sui suoi passi e, caricato il cesto sul carretto, si diresse velocemente verso casa. Nell’emozione del momento, l’idea che non fosse propriamente un bimbo non lo sfiorò nemmeno e si disse che l’avrebbe chiamato Libero.

    ***

    — La chiameremo Elvira — disse la donna mentre la piccola, immersa in un bacile d’acqua, strillava come una poiana.

    — E se gli zingari vengono a cercarla? — L’uomo si era improvvisamente rabbuiato e ora lo angustiava il pensiero che qualcuno potesse reclamare la bimba.

    — Gli zingari non hanno gli occhi verdi e poi, non vedi la coperta com’è fine? Io dico che qualcuna ha combinato un guaio e si è liberata della piccola. — I toni decisi della moglie parvero rassicurarlo ma quella notte il boscaiolo non riuscì a prendere sonno e non appena fece giorno tornò alla radura. Non sapeva bene di che cosa andasse in cerca ma, con la schiena curva e lo sguardo a terra come un cane da tartufo, girovagava qua e là, frugando con un randello tra l’erbe e i cespugli. Ciò che vi trovò fu uno strano bastone di corniolo avvolto in una benda di lana alla cui cima era legata una pigna. Girò e rigirò tra le mani lo strano oggetto, ma non riuscì a capire a che cosa potesse servire quel singolare pezzo di legno e lo abbandonò tra gli arbusti.

    ***

    Elvira cresceva libera: amava il bosco e il canto degli uccelli e pareva appartenere più a quel mondo che a quello degli uomini. Zufolava come un’alzavola mentre si arrampicava sui gelsi per cogliere le more là, tra i rami più alti, dove il sole rendeva i frutti dolci e succosi. Quando, nella calura estiva, allegra e scalza si recava lungo il fiume, i pesci guizzavano in superficie per rimirarla. Della natura però Elvira portava i segni dell’imperfezione. Era cresciuta solo nel corpo: minuta e di belle fattezze, la pelle ambrata, con fiori di campo intrecciati ai lunghi capelli bruni, pareva una ninfa. Ma i gesti e le parole erano rimasti quelli dell’infanzia e ciò era la grande preoccupazione dei genitori che nell’innocenza della figlia intravedevano i mille pericoli. La vita di Elvira era affidata all’istinto: a guidarla era il corpo, non la ragione. Ma la ragazza, inconsapevole, viveva spensierata e gaia e, nella sua ingenuità, andava incontro al mondo gioiosa, con il sorriso e il cuore aperto. Aveva però un lato oscuro che si manifestava in certe giornate tumultuose, in cui nulla pareva calmare l’inquietudine da cui era pervasa. Allora vagava ore e ore per la golena e l’istinto la conduceva ogni volta alla radura dove, piangente e scarmigliata, si accovacciava ai piedi della maestosa farnia. Solo così pareva ritrovare la serenità.

    Non si seppe mai chi incontrò nel bosco, ma da quel giorno i suoi occhi divennero opachi, offuscati da un velo di cenere. Man mano che il ventre si gonfiava, il legame tra Elvira e la natura si faceva più forte, più intimo: confidava i suoi pensieri ai fiori, abbracciava gli alberi e imitava il canto degli uccelli. Con la nascita di Cesare era germogliata una nuova Elvira: i pensieri erano più definiti, le parole scorrevano chiare e l’anima riacquistava l’armonia perduta.

    Nella golena la vita scorreva umida, scandita dal succedersi delle stagioni e delle piene del fiume. Dopo la morte della moglie, il boscaiolo, anch’egli ormai vecchio, sentendo vicina la fine, dovette prendere una decisione dolorosa che avrebbe irrimediabilmente minato la fragile psiche di Elvira. In quel novembre triste e piovoso, a portare via Cesare non fu la corrente, ma un decreto del tribunale che lo affidava a un istituto fino al compimento della maggior età. Gli eventi si susseguirono con una rapidità tale che non fu possibile porvi rimedio, né prevederne il drammatico epilogo. A Elvira fu taciuta la verità e, per colmare lo straziante vuoto, la sua mente ne costruì una propria, necessaria, tragica e crudele. Come una giumenta imbizzarrita, la ragazza correva per la golena e vagava lungo la riva, invocando il nome del figlio. La cercarono per un giorno intero e, a sera tarda, la trovarono addormentata nella radura, sotto alla grande quercia. Infreddolita e confusa, non volle sentir ragione e dovettero riportarla sulla riva. — Sentite la voce — ripeteva — sentite, è Cesare che mi chiama dal fondo del fiume. Devo andare o la corrente lo trascinerà via. — La accompagnarono a casa ma il mattino seguente il suo letto era di nuovo vuoto e freddo; Elvira aveva ricominciato a peregrinare chiedendo del figlio ai pioppi, alle folaghe e alle carpe. Così fu per giorni e giorni, fino a quando, un pomeriggio, si era spinta là, dove il salice specchiava le sue foglie nella corrente, a un passo dal greto. Forse l’impatto con l’acqua gelida le aveva fatto perdere i sensi o forse aveva inseguito la scia delle voci che la possedevano; era scivolata mentre il fiume si faceva improvvisamente silenzioso e il bosco taciturno. La trovarono che ancora galleggiava, bianca e radiosa come una sposa; era poi scomparsa tra il gorgoglio dell’acqua e le carezze del vento. Le ricerche furono inutili e il corpo non fu mai restituito. Non ci fu una tomba sulla quale piangere o portare un fiore. Della fragilità di quella giovane vita restava Cesare che, raggiunta la maggior età, era tornato alla golena. Il boscaiolo, seppur divorato dalle pene e dagli acciacchi, aveva resistito all’avanzare dell’età e ora, con il nipote accanto, pareva aver riacquistato un poco del vigore di un tempo. I due trascorrevano le giornate tra il bosco e il fiume; Cesare imparava a gettare le reti, a calare le nasse e a conoscere la profondità dell’acqua, la corrente e la stagione delle piene. Assisteva incredulo al passaggio dei cefali e alla pesca miracolosa. Il ragazzo, taciturno e

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