Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I dubbi di Miss Felicity: Harmony History
I dubbi di Miss Felicity: Harmony History
I dubbi di Miss Felicity: Harmony History
E-book231 pagine3 ore

I dubbi di Miss Felicity: Harmony History

Valutazione: 4 su 5 stelle

4/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Inghilterra, 1814
Dopo essere rimasta orfana e aver trovato ospitalità presso uno zio che l'ha costretta a guadagnarsi da vivere come istitutrice, Miss Felicity Grantham decide di trasferirsi per qualche tempo a Broadley Town. Qui conosce l'ex ufficiale dell'esercito Darius Yelverton, un uomo solitario e chiuso nel proprio dolore, che ha un'unica missione: trovare una donna ricca da sposare per poter mantenere le sorelle e ristrutturare Owlet Manor, che versa in uno stato di totale incuria e abbandono. Tra i due l'attrazione è immediata, ma la diffidenza di Darius e la paura di Felicity che lui le faccia la corte solo per la sua ricca eredità li allontanano sempre di più...
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2020
ISBN9788830514584
I dubbi di Miss Felicity: Harmony History
Autore

Elizabeth Beacon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

Leggi altro di Elizabeth Beacon

Autori correlati

Correlato a I dubbi di Miss Felicity

Titoli di questa serie (3)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su I dubbi di Miss Felicity

Valutazione: 4 su 5 stelle
4/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I dubbi di Miss Felicity - Elizabeth Beacon

    successivo.

    1

    Fliss cercò di ignorare il panico che l'assalì al pensiero di non riuscire più a ritrovare il cane della sua amica, in mezzo a quel fitto bosco. Forse sarebbe dovuta tornare nella casa di Miss Donne e confessare di averlo perso ma, dal momento che si era persa lei stessa, tanto valeva continuare a cercarlo.

    Si precipitò giù per un sentiero scosceso, rammaricandosi di non aver insistito per uscire da sola, quella mattina, nonostante le proteste della sua ex istitutrice.

    Tutto il paese gioiva, lei invece si sentiva smarrita mentre tentava di ritrovare la strada in quell'intricato bosco. Napoleone aveva abdicato due mesi prima e la guerra che aveva tenuto in scacco l'Europa per buona parte della vita di Fliss si era conclusa. Lei era sana e salva in quella bella giornata di giugno, aveva dei buoni amici e una professione che le piaceva, fino a quando non aveva avuto fine il suo ultimo impiego, e il sole splendeva radioso. Oh, ed era anche ricca, grazie al lascito della sua madrina, che ammontava a trentamila sterline. Aveva ricevuto una proposta molto vantaggiosa su cui riflettere mentre faceva una vacanza insieme a Miss Donne e aveva ancora tutto il tempo di cercare quell'odioso animale prima che qualcuno si accorgesse della sua assenza.

    Poi rammentò l'ultima lettera bagnata di lacrime di Juno Defford e aggrottò la fronte, nonostante avesse innumerevoli motivi per essere felice. La sua ex allieva detestava le folle di estranei e i saloni rumorosi, e soffocanti, ma la nonna di Juno, la Viscontessa Stratford, aveva ignorato le paure della ragazza e le proteste di Fliss e aveva insistito affinché Juno facesse il suo debutto in società, dato che era ancora nel fior fiore della gioventù. Era stato un disastro totale. Quella povera ragazza si sentiva triste e sola, nonostante Londra fosse en fête per la visita dei sovrani alleati vittoriosi, accorsi per celebrare la pace. Ma Juno si trovava a Londra, e Fliss era lì e doveva trovare a tutti i costi quel cane, quindi avrebbe dovuto rimandare a più tardi le preoccupazioni per la sua ex allieva.

    «Luna!» chiamò senza molta speranza di essere udita. «Luna!» gridò di nuovo, pur sapendo che quella piccola peste di certo non avrebbe obbedito se avesse avvertito la rabbia, nella sua voce. «Maledetto animale» borbottò.

    Ma ecco, sì, aveva udito un guaito distante, quasi in risposta al suo richiamo e impulsivamente si fece strada tra gli arbusti di quel bosco mal tenuto. Luna le era parsa vicina – non che sarebbe arrivata, se lei l'avesse chiamata – il che era senza dubbio meglio che se fosse stata lontana e sperduta chissà dove. Fliss affrettò il passo e poi iniziò addirittura a correre quando l'abbaiare di Luna le parve ancora più vicino. Quasi osò sperare che il cane fosse stanco di giocare a nascondino e che sarebbe corso da lei, se fosse riuscita ad avvicinarsi abbastanza, prima di chiamarlo di nuovo. Cercò di valutare quanto tempo prima avessero lasciato la città di Broadley dalla lunghezza delle ombre degli alberi.

    Di conseguenza, non stava guardando dove metteva i piedi quando inciampò in una radice affiorante. Mentre roteava le braccia nel tentativo di riacquistare l'equilibrio, si rese conto che era ormai troppo tardi per evitare la pozzanghera di fango ai piedi dell'albero. Fu quindi sbalzata in avanti e atterrò con tale violenza che le si mozzò il respiro, mentre dalle labbra le usciva un sospiro spezzato.

    Lunga distesa in quella pozza dall'acqua sorprendentemente fredda, che si trovava ancora lì, in estate, solo grazie all'ombra di quella maestosa quercia, Fliss si rallegrò di essere almeno atterrata sul morbido, nonostante la rovinosa caduta. Il fango aveva inzuppato il suo leggero abito estivo, dandole la sensazione di essersi immersa nuda in quella pozza di acqua putrida. Arricciò il naso e represse il conato che le salì in gola sentendo l'odore di quella melma stagnante. Adesso, oltre a essersi persa, era sporca, fradicia e ancora senza l'amato cagnolino della sua amica.

    Ricacciando indietro lacrime di rabbia e di frustrazione, inspirò a pieni polmoni e controllò i danni riportati, prima di rammaricarsi del fatto di essere zuppa dalla testa ai piedi e di dover ancora ritrovare la strada per tornare a Broadley e alla casa di Miss Donne in quello stato pietoso. A parte un ginocchio sbucciato, qualche escoriazione qua e là e le abrasioni sulle mani per aver cercato di attutire la caduta, non aveva riportato niente di grave, e pensò che le sarebbe potuta andare molto peggio. Era disgustosamente sporca e dolorante, ma almeno non aveva nulla di rotto e non sanguinava.

    Un paio di imprecazioni le sfuggirono di bocca prima che riuscisse a impedirselo, mentre si rimetteva in piedi barcollando. Ora che era passato lo spavento, si rendeva conto di avere dolori ovunque. Aveva imprecato così anche suo padre, a mezza voce, quando lei era bambina e inciampava durante le loro lunghe scorribande per la campagna del Devonshire. Il ricordo della rabbia e dell'indignazione di sua madre quando udiva Fliss ripetere con candore quelle imprecazioni le rammentò che i suoi genitori erano ormai scomparsi da tanto tempo, che a volte le riusciva persino difficile ricordare i loro volti.

    Però non avrebbe pianto. Luna non si vedeva ancora e, dopo averla trovata, Fliss avrebbe dovuto percorrere un lungo tragitto in quello stato pietoso. Le lacrime non l'avrebbero di certo aiutata a superare quella dura prova.

    Devi affrontare la situazione senza paura, Felicity, si ammonì con determinazione. Guaiti eccitati provenienti dalla parte opposta della grande quercia la spinsero ad allontanarsi dalla pozza fangosa e a dimenticare le membra indolenzite per cercare di riacciuffare il cane della sua amica. Se fosse riuscita a prendere quel piccolo, orrido animale sarebbe potuta tornare in gran fretta a casa di Miss Donne e darsi una ripulita. Se fosse stata molto fortunata, nessuno l'avrebbe vista in quello stato e avrebbe sentito quel disgustoso odore.

    Anche Darius Yelverton aveva udito gli stessi guaiti in lontananza, ed era furibondo con chi aveva lasciato un cane libero di scorrazzare sulle sue terre. A giudicare dal tramestio e dalla concitazione che sentiva poco più avanti era evidente che le sue pecore e i suoi agnelli si sentivano minacciati dalla presenza del cane. Procedendo lungo il sentiero con ai piedi gli stivali da lavoro a cui non si era ancora abituato, si rammaricò di non calzare gli stivali dell'esercito e di non avere con sé il suo fucile, con cui avrebbe potuto sparare a quel cane. Detestava la sola idea, dopo essere stato costretto a uccidere per anni per il suo paese in qualità di ufficiale dell'esercito di Wellington, ma era determinato a proteggere il suo gregge e la sua nuova vita fino all'ultimo respiro. Era tornato a casa dopo la sfortunata battaglia di Tolosa, un ufficiale di fanteria provato dalla guerra, senza un'idea precisa di quel che avrebbe fatto per il resto della sua vita. Aveva una sola certezza: con l'aiuto di Dio non avrebbe combattuto mai più. Poi, come per miracolo, gli erano cadute dal cielo Owlet Manor e la fattoria, e per mantenerle era disposto a lottare ancora più strenuamente di quanto avesse fatto in battaglia.

    Con il cuore in gola per la paura di quel che avrebbe potuto vedere, iniziò a correre, maledicendo il terreno sconnesso, il groviglio degli arbusti e il muretto di pietra che gli impediva di vedere il suo prezioso gregge. Raggiunto il cancello, tirò un sospiro di sollievo; le pecore belavano allarmate ammassandosi presso il cancello per allontanarsi il più possibile dal predatore, ma per il momento erano salve.

    Doveva acciuffare quel maledetto cane prima che raggiungesse le pecore, facendo uno scempio. La vista del loro pastore forse avrebbe tranquillizzato il gregge, ma in quel momento l'uomo era impegnato a riparare muretti e staccionate per spostare le pecore più vicine alla casa. Darius si era quindi offerto volontario per controllare il gregge al posto suo, ma lui era ancora un estraneo, per le pecore, le quali non si calmarono vedendolo apparire. Doveva proprio rintracciare quel cane, prima che combinasse guai. Per fortuna, in quel periodo dell'anno le pecore non erano gravide, altrimenti avrebbero potuto abortire per la paura.

    Sebbene non conoscesse ancora tutta l'estensione delle sue terre, niente l'aveva preparato al senso di possesso che aveva provato la prima volta che aveva visto quel luogo negletto, ma dall'atmosfera quasi magica. Non aveva alcuna intenzione di lasciar andare alla deriva la vecchia casa e la fattoria annessa. Se solo fosse riuscito ad avere entrambe le sue sorelle sotto il proprio tetto, sarebbe stato un uomo molto felice.

    Darius si arrampicò sulla scaletta traballante addossata al muretto e saltò giù dalla parte opposta. Quanto avrebbe voluto potersi permettere un guardaboschi, pensò, soprattutto dopo che rimase impigliato in un cespuglio di rovi e fu costretto a fermarsi per districarsi, prima di riprendere la corsa. Il cane continuava ad abbaiare, eccitato. Se stava inseguendo una volpe rischiava di essere ammazzato, e in quel modo il problema si sarebbe risolto da sé, ma Darius aveva visto troppa morte e distruzione, in continente, per rallegrarsene.

    Sembrava che il cane, che non riusciva ancora a scorgere, si stesse avvicinando alla sua preda. Il sentiero girava intorno a una vecchia quercia. Darius fu costretto a rallentare, quando senza rendersene conto rimase impantanato con gli stivali in una pozza fangosa, sorprendentemente ancora piena d'acqua nonostante fosse estate. Orme umane e impronte di mani nel fango gli fecero capire che qualcun altro era passato di lì, di recente. Si rammaricò che qualcuno fosse caduto in quella pozza sulle sue terre, benché probabilmente si trattasse del negligente proprietario di quel cane che non la smetteva di abbaiare e che lui aveva ripetutamente maledetto. Il bosco aveva davvero bisogno di essere ripulito prima dell'inverno. Se fosse stato necessario, lo avrebbe fatto personalmente.

    «Vieni qui, piccola creatura di Satana» mormorò una delicata voce femminile, proveniente dall'altra parte dell'albero e oltre un altro intricato cespuglio di rovi.

    Alcune accorate imprecazioni non proprio adatte a una signora lo fecero sorridere mentre evitava accuratamente di seguire le sue impronte infangate e aggirava la grossa radice affiorante che probabilmente aveva fatto cadere la malcapitata nel fango.

    «Quando finalmente riuscirò a prenderti ti strozzerò e ti caverò il fegato con un cucchiaio, dannato essere infernale» riprese la donna con voce suadente.

    Un fruscio di foglie fece capire a Darius che l'animale era riuscito a sfuggirle ancora una volta.

    Girò intorno al tronco enorme del vecchio albero, oltrepassò silenziosamente il cespuglio di rovi e poté così vedere per la prima volta la padrona del cane. Lei cercò di agguantare di nuovo il piccolo, furbo terrier, e cadde a terra carponi, mentre il cane fuggiva via e i rovi le strappavano l'abito, già irrimediabilmente rovinato. Darius fu felice che, data l'incresciosa situazione, lei non pensasse di alzare lo sguardo e non lo sorprendesse a fissarla come un idiota. Sapeva di dover distogliere gli occhi, ma dopotutto era un uomo, oltre che un ex ufficiale e, di conseguenza, un gentiluomo.

    La sua figura formosa e i riccioli rossi che le ricadevano scompigliati sulle spalle avrebbero costretto a un furtivo secondo sguardo qualsiasi maschio adulto senziente anche se lei non avesse avuto l'abito intriso d'acqua incollato al magnifico corpo come un amante appassionato. I seni e i fianchi generosi erano evidenziati dal leggero abito estivo bagnato. La donna non si era accorta che la stava osservando, e lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quella Venere dei boschi di cui poteva intuire le forme come se fosse stata nuda. E per di più si trovava nel suo bosco! Darius non riusciva a credere ai propri occhi. Anche di spalle la vista era deliziosa. Lui cercò di controllare l'inevitabile reazione maschile a una tentazione esibita con tanta innocenza.

    La ragazza si rimise in piedi e corse dietro il piccolo cane bianco e marrone, e la vista dei suoi seni che ondeggiavano sotto l'abito infangato che le aderiva al corpo gli rimescolò il sangue. Darius era così affascinato da quella donna – così inconsapevole che i suoi più bassi istinti maschili fossero stati risvegliati da quelle curve sinuose – che per qualche istante dimenticò di essere un gentiluomo e rimase a fissarla come un allocco mentre lei correva dietro al cane come una seducente ninfa dei boschi.

    Darius era troppo affascinato dal contrasto tra le gambe agili e snelle e la curva piena dei seni e la rotondità tutta femminile dei fianchi per prestare attenzione all'animale a cui stava dando la caccia. Non aveva mai visto una figura femminile tanto perfetta, in un dipinto, e nemmeno nuda nel suo letto, e in quel momento avrebbe tanto desiderato averla. Ma il suo accento, aveva notato, era molto raffinato, nonostante il vocabolario. Probabilmente si trattava di una giovane donna di buona famiglia che era uscita di casa per una passeggiata nel bosco. Prima che fosse costretta a inseguire per ore quel piccolo terrier indemoniato, ovviamente.

    Lui, invece, si stava comportando come un vecchio satiro. Avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso. Anche se fosse stata la morigerata moglie di un signorotto di campagna e non la ragazza nubile che lui sperava ferventemente che fosse, le doveva più rispetto. Non doveva importunare con le sue attenzioni le donne altrui, e di certo non poteva permettersi di mantenere una moglie con la sua rendita attuale e le molte responsabilità cui doveva far fronte.

    Disgustato di se stesso per aver anche solo pensato che, se fosse stata la moglie di un altro, avrebbe potuto essere una facile preda, Darius rammentò le terribili violenze perpetrate contro le donne di cui era stato testimone durante la guerra in Spagna. Per un istante si detestò, perché desiderava una donna che non aveva idea di essere spiata con desiderio lascivo e con tutti i bisogni disdicevoli e tipicamente maschili che torturavano il suo corpo irrequieto.

    Meriti di soffrire le pene dell'inferno, si rimproverò con severità distogliendo lo sguardo dallo spettacolo tentatore di una donna così intenta a rintracciare quella piccola bestiola da essere del tutto ignara del fatto che lui la stesse spiando con bramosia.

    Meglio così, dichiarò severamente il capitano Yelverton a Darius. Non meriti di essere visto, fino a quando non metterai a tacere le tue vergognose fantasie. Doveva seppellirle all'istante, si impose.

    Sforzandosi di pensare a qualcosa di molto sgradevole e che gli procurava ansia e dicendosi quanto sarebbe stato furioso se un uomo qualsiasi avesse guardato le sue sorelle con altrettanta cupidigia, Darius riuscì a sopraffare i suoi peggiori istinti animaleschi e decise di intervenire prima che lei risvegliasse di nuovo il suo demone interiore. Meglio cogliere il cane e la donna di sorpresa, si disse, calcolando le distanze e gli ostacoli con la mente di un soldato. Convinto che fosse il modo migliore per avere successo, si lanciò verso il cane ed ebbe fortuna, perché riuscì ad avvicinarsi abbastanza da agguantarlo.

    «Ti ho preso, piccolo demonio!» esclamò rivolto al piccolo, agile terrier che ora si contorceva tra le sue braccia nel disperato tentativo di liberarsi dalla stretta di un perfetto sconosciuto.

    Darius si preparò a essere morso e tenne l'animale per la collottola per allontanare il più possibile i suoi denti, fino a quando non si fosse calmato. Il cane doveva essere stato educato bene, però, perché non tentò di morderlo e dopo qualche istante Darius si arrischiò ad avvicinarlo di nuovo. Il terrier si sistemò nell'incavo del suo braccio come se fosse esausto dopo quell'avventurosa mattinata e giunse persino a fingere di essere un docile e obbediente cane di compagnia.

    «Chi diavolo siete voi?» domandò la giovane donna ricoperta di fango senza mostrare alcun segno di gratitudine.

    Avrebbe dovuto provare gratitudine, invece si mostrò sfrontata nel risvegliare il suo demone interiore, guardandolo come se indossasse il più elegante e rispettabile degli abiti e lui avesse osato violare la sua solitudine, pensò Darius.

    «Questo lupo travestito da cane possiede un collare e un guinzaglio, o vi affidate al...» Darius esitò per un momento, tenendo di nuovo l'animale a distanza di sicurezza. Il cane si contorse nel tentativo di leccarlo, e lui se lo rimise nell'incavo del braccio, dove la piccola terrier si accoccolò serenamente. «Vi affidate, dicevo, al suo carattere mansueto per tenerla sotto controllo? Se è così, sembra che abbiate miseramente fallito.»

    «Non vi ha morso, no?»

    «Be', no, ma oserei dire che le sarebbe piaciuto farlo.»

    «Per paura, non certo per cattiveria.» Lei difese la piccola creatura che solo pochi secondi prima aveva maledetto.

    «Se non la tenete sotto controllo, un fattore furibondo finirà per spararle. Con il suo abbaiare ha fatto spaventare il mio gregge, quindi, in futuro, imparate a tenerla al guinzaglio, oppure è meglio che restiate a casa.»

    «Sì, so che dovrei tenerla al guinzaglio» ammise lei senza però fare alcun tentativo di scusarsi.

    Darius intuì il suo desiderio di rispondergli a tono e poi prendere il cane e fuggire via. Avendo udito il linguaggio con cui poco prima aveva inveito contro il cane, pensò che quella ragazza fosse ben lontana dalla donna compunta che fingeva di essere. Forse, sotto quei capelli fiammeggianti si nascondeva un'anima altrettanto ribelle. Un'idea fin troppo eccitante per il suo corpo ancora in fermento. Darius si costrinse a relegarla in un angolino della mente e cercò di assumere uno sguardo scettico mentre restava in attesa di una spiegazione migliore.

    «Il cane non è mio» dichiarò lei. «Quando siamo uscite per fare una passeggiata nel bosco, aveva collare e guinzaglio. Forse non avevo stretto bene il collare, dal momento che le è stato tanto facile sfilarselo, mentre io non le prestavo attenzione. Poi è scappata senza che io riuscissi più ad acciuffarla, e adesso non so nemmeno di quante miglia ci siamo allontanate da dove siamo partite. Prima ha sentito un odore, poi un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1