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La Morale Universale
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E-book1.248 pagine14 ore

La Morale Universale

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La Morale Universale è un'opera composta da tre tomi, qui riuniti in un unico volume, pubblicata nel 1776 dal filosofo illuminista d'Holbach. L'opera, tradotta per la prima volta in italiano, inizia con la trattazione dei principi della morale: essi sono fondati sulla natura dell'uomo, che cerca sempre di conservarsi e di rendere la propria esistenza felice. Segue l'analisi delle virtù e dei vizi degli uomini, ossia delle disposizioni che li possono portare alla felicità o all'infelicità. Infine, sono delineati i doveri della vita pubblica e della vita privata, ovvero come sia saggio comportarsi in ogni condizione della vita.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2018
ISBN9788827850145
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    Anteprima del libro

    La Morale Universale - Paul

    Indice

    Introduzione

    Biografia

    Pensiero

    La produzione letteraria

    Nota sulla traduzione

    Prefazione

    Sezione I - Principi generali & Definizioni.

    Capitolo I - Sulla Morale, sui Doveri, sull’Obbligazione morale.

    Capitolo II - Sull’Uomo & sulla sua Natura.

    Capitolo III - Sulla Sensibilità; sulle Facoltà intellettuali.

    Capitolo IV - Sul Piacere & sul Dolore; sulla Felicità.

    Capitolo V - Sulle Passioni, sui Desideri, sui Bisogni.

    Capitolo VI - Sull’Interesse, o sull’Amor di sé.

    Capitolo VII - Sull’Utilità delle Passioni.

    Capitolo VIII - Sulla Volontà & sulle Azioni.

    Capitolo IX - Sull’Esperienza.

    Capitolo X - Sulla Verità.

    Capitolo XI - Sulla Ragione.

    Capitolo XII - Sull’Abitudine, sull’Istruzione, sull’Educazione.

    Capitolo XIII - Sulla Coscienza.

    Capitolo XIV - Sugli Effetti della Coscienza nella morale.

    Sezione II - Doveri dell’Uomo nello stato di Natura & nello stato di Società. Sulle Virtù Sociali.

    Capitolo I - Doveri dell’Uomo isolato o nello stato di Natura.

    Capitolo II - Sulla Società, sui doveri dell’Uomo Sociale.

    Capitolo III - Sulla Virtù in generale.

    Capitolo IV - Sulla Giustizia.

    Capitolo V - Sull’Autorità.

    Capitolo VI - Sul Patto sociale.

    Capitolo VII - Sull’Umanità.

    Capitolo VIII - Sulla Compassione o sulla Pietà.

    Capitolo IX - Sulla Beneficenza.

    Capitolo X - Sulla Modestia. Sull’Onore. Sulla Gloria.

    Capitolo XI - Sulla Temperanza. Sulla Castità. Sul Pudore.

    Capitolo XII - Sulla Prudenza.

    Capitolo XIII - Sulla Forza, sulla Grandezza d’animo, sulla Pazienza.

    Capitolo XIV - Sulla Veracità.

    Capitolo XV - Sull’Attività.

    Capitolo XVI - Sulla Dolcezza. Sull’Indulgenza. Sulla Tolleranza. Sulla Compiacenza. Sulla Cortesia,

    Sezione III - Sul Male morale, o sui Crimini, sui Vizi & sui Difetti degli Uomini.

    Capitolo I - Sui Crimini, sull’Ingiustizia, sull’Omicidio, sul Furto, sulla Crudeltà.

    Capitolo II - Sull’Orgoglio & sulla Vanità. Sul Lusso.

    Capitolo III - Sulla Collera, sulla Vendetta, sull’Umore, sulla Misantropia.

    Capitolo IV - Sull’Avarizia & sulla Prodigalità.

    Capitolo V - Sull’Ingratitudine.

    Capitolo VI - Sull’Invidia. Sulla Gelosia. Sulla Maldicenza.

    Capitolo VII - Sulla Menzogna. Sull’Adulazione. Sull’Ipocrisia. Sulla Calunnia.

    Capitolo VIII - Sulla Pigrizia. Sull’Ozio. Sulla Noia & sui suoi effetti. Sulla passione del Gioco,

    Capitolo IX - Sulla Dissoluzione dei Costumi. Sulla Deboscia. Sull’Amore. Sui Piaceri disonesti.

    Capitolo X - Sull’Intemperanza.

    Capitolo XI - Sui Piaceri onesti & disonesti.

    Capitolo XII - Sui Difetti, sulle Imperfezioni, sulle Ridicolaggini, o sulle qualità sgradevoli nell

    Sezione IV - Morale dei Popoli, dei Sovrani, dei Grandi, dei ricchi, ecc., ovvero doveri della Vita

    Capitolo I - Sul diritto dei Popoli o sulla Morale delle Nazioni, & sui loro doveri reciproci.

    Capitolo II - Doveri dei Sovrani.

    Capitolo III - Doveri dei Sudditi.

    Capitolo IV - Doveri dei Grandi.

    Capitolo V - Doveri dei Nobili & dei Guerrieri.

    Seguito del Capitolo V - Sui Doveri dei Nobili & dei Guerrieri.

    Capitolo VI - Doveri dei Magistrati & delle Persone di Legge.

    Capitolo VII - Doveri dei Ministri della Religione.

    Capitolo VIII - Doveri dei Ricchi.

    Capitolo IX - Doveri dei Poveri.

    Capitolo X - Doveri dei Sapienti, delle Persone di Lettere & degli Artisti.

    Capitolo XI - Doveri dei Commercianti, Manifatturieri, Artigiani & Coltivatori.

    Sezione V - Sui doveri della vita privata.

    Capitolo I - Doveri degli Sposi.

    Capitolo II - Doveri dei Padri & delle Madri, & dei Figli.

    Capitolo III - Sull’Educazione.

    Capitolo IV - Doveri dei parenti o dei membri di una stessa Famiglia.

    Capitolo V - Doveri degli amici.

    Capitolo VI - Doveri dei Padroni & dei Servitori.

    Capitolo VII - Sulla condotta nel mondo. Sulla gentilezza; sulla decenza; sullo spirito; sulla gaiez

    Capitolo VIII - Sul Gaudio.

    Capitolo IX - Sulla Morte.

    Indice analitico

    Paul-Henri Thiry d’Holbach

    la

    MORALE

    UNIVERSALE

    ovvero

    i doveri dell’uomo

    fondati sulla sua natura.

    Natura duce utendum est: hanc ratio observat, hanc consulit:

    idem est ergo beate vivere et secundum naturam.

    [Dobbiamo prendere la natura come guida:

    questa la ragione osserva, questa consulta:

    dunque vivere felici e secondo natura è la stessa cosa.]

    Seneca, de vita beata, cap. VIII iniz.

    A cura di Mattia Vadori

    Introduzione

    di Mattia Vadori

    Per apprezzare appieno la Morale Universale, ritengo sia opportuno avere qualche nozione sulla vita e sul pensiero del suo autore, il barone d’Holbach. Ho realizzato pertanto questa breve introduzione, che, volendo essere concisa, non potrà necessariamente essere esauriente. Su questi temi sono stati scritti libri interi, ai quali rimanderò di volta in volta il lettore interessato che voglia approfondirli. In questa sede ci limiteremo a guardare dallo spioncino la filosofia di d’Holbach, soprattutto nella sezione riguardante il pensiero, che potrebbe essere estesa in ogni sua parte. Non ho voluto tuttavia appesantire il testo con una prefazione eccessivamente approfondita: il mio obiettivo è fornire al lettore gli strumenti per comprendere i punti essenziali del pensiero d’holbachiano e come si colloca la Morale Universale all’interno della sua produzione letteraria.

    Biografia

    Questa breve biografia è basata sul libro di Naville¹, a cui rimando chi la volesse approfondire.

    1723

    Paul-Henri Thiry d’Holbach nasce a Edesheim, nel Palatinato, una regione tedesca al confine con la Francia. Si sa poco dei genitori, la figura fondamentale nell’educazione di d’Holbach è lo zio Franciscus Adam d’Holbach, che riesce a fare fortuna a Parigi, e nel 1722 riesce persino a ottenere un titolo nobiliare. Proprio questo zio lascerà alla sua morte il titolo di barone e gran parte della sua fortuna a Paul-Henri. All’età di dodici anni lo zio lo conduce a Parigi e lo introduce all’alta società.

    1744

    Lo zio manda Paul-Henri a studiare all’università di Leida, in Olanda, una terra nella quale si respirava un’atmosfera di tolleranza.

    1750

    Paul-Henri si sposa con Basile-Geneviéve-Suzanne d’Aine (figlia di sua cugina) e inizia a vivere tra Parigi, dove acquista un palazzo in rue Saint-Roch, e il Grandval, proprietà vicina a Sucy e appartenente alla suocera. Non si tratta di un matrimonio di interesse, d’Holbach è realmente innamorato della moglie². Nel 1753 muore lo zio che gli lascia l’eredità sopracitata. Nelle sue residenze incomincia a riunire le menti più brillanti in circolazione, organizzando dei pranzi abituali il giovedì e la domenica, durante i quali si discute di temi letterari, filosofici, politici. Tra gli ospiti più importanti ricordiamo Voltaire, d’Alembert, Walpole, Garrick, Buffon, Hume, Helvetius, Beccaria. Ci sono poi gli amici più intimi Diderot, Boulanger, Damilaville, Naigeon, La Grange. Dopo aver conosciuto Diderot, collabora al progetto dell’Enciclopedia, scrivendo oltre 400 articoli³ e spesso lo finanzia. Inoltre fino al 1760 pubblica anche molte traduzioni di opere scientifiche tedesche, principalmente riguardanti la chimica e la metallurgia.

    1754

    Muore la moglie del barone, alla giovane età di 25 anni, ed egli ne rimane profondamente afflitto. Dopo due anni circa si sposa nuovamente con la sorella della prima moglie, Charlotte-Suzanne d’Aine. Il barone ha in totale quattro figli, un maschio dalla prima moglie ed un maschio e due femmine dalla seconda. Sempre dalla corrispondenza di Diderot, sappiamo anche che è stato un buon marito ed un buon padre.

    1761-76

    In questo periodo d’Holbach pubblica le sue opere, che approfondiremo nella sezione riguardante la produzione letteraria. Nel 1770, pubblica sotto falso nome il Sistema della Natura, la sua opera più importante. Questa riscuote un grande successo, ma viene subito condannata al rogo dal Parlamento di Parigi, come del resto tutte le sue opere precedenti.

    1789

    Malato da tempo di gotta, d’Holbach muore il 21 gennaio 1789, prima dell’inizio della Rivoluzione Francese.

    Pensiero

    Sistema della Natura

    Come ho già detto, cercherò di trattare solo pochi concetti ma, spero, in maniera chiara. L’opera principale di d’Holbach è il Sistema della Natura, pubblicato nel 1770, nel quale viene esposto il suo pensiero in modo sistematico. Seguirò allora il percorso tracciato in quest’opera e mi avvarrò di numerose citazioni, al fine di far parlare, per quanto possibile, d’Holbach stesso.

    La natura

    L’universo, questo vasto assemblaggio di tutto ciò che esiste, ci presenta dappertutto solo materia e movimento: il suo insieme ci mostra solo una catena immensa ed ininterrotta di cause ed effetti[...].

    Così la natura, nel suo significato più esteso, è il grande tutto che risulta dall’assemblaggio delle differenti materie, delle loro differenti combinazioni e dei differenti movimenti che vediamo nell’universo⁴ .

    Già da questa prima citazione si può notare una concezione meccanicistica della natura, anche se parlare di meccanicismo è riduttivo nel caso della filosofia di d’Holbach. Nel Settecento, infatti, era una concezione piuttosto comune derivante dall’influenza di Cartesio, ma per il barone è diverso: come scrive Pierre Naville, "il monismo di d’Holbach rappresenta un’eccezione nel secolo XVIII, perché il dualismo natura-spirito rimane dominante nella maggior parte degli enciclopedisti, sebbene la Natura tenda in loro a prevalere sempre più sullo Spirito⁵". Non viene infatti preservato il dualismo, il barone afferma chiaramente che tutto ciò che esiste è materia, dove

    la materia in generale è tutto ciò che agisce sui nostri sensi in una maniera qualunque

    D’Holbach compie quindi un passo importante: secondo la concezione dominante la materia era inanimata, inerte, e richiedeva quindi un principio agente che la muovesse; al contrario il barone fa risiedere la differenza tra animato e inanimato in una differente organizzazione della materia. La natura è, per così dire, viva e tutto ciò che accade è dovuto al movimento della materia, ma si noti bene: questo movimento è essenziale alla materia, non è dovuto ad altro. Quindi, la presenza di esseri animati è una conseguenza dell’essenza della natura. Inoltre, questo movimento è necessario, non può essere altrimenti da come è, e produce la catena immensa ed ininterrotta di cause ed effetti che vediamo continuamente intorno a noi.

        La natura è quindi considerata come un tutto autosufficiente. Il materialismo e il determinismo sono i punti fondanti della filosofia di d’Holbach e da questi principi deriva tutto il resto.

    Esperienza

    Gli uomini si inganneranno sempre quando abbandoneranno l’esperienza per sistemi partoriti dall’immaginazione. L’uomo è l’opera della natura, esiste nella natura, è sottomesso alle sue leggi, non può affrancarsene, non può, anche col pensiero, uscirne; vanamente il suo spirito vuole slanciarsi al di là dei limiti del mondo sensibile, è sempre costretto a rientrarvi⁷ .

    La conoscenza umana deriva dai rapporti che l’uomo, essere materiale, ha con gli oggetti al di fuori di sé, che sono materiali per definizione, se si possono percepire. In questo modo fa delle esperienze, ma queste da sole non sono sufficienti per avere conoscenza, è necessario anche l’intervento della ragione:

    La facoltà che abbiamo di fare queste esperienze, di rammentarcele, di presentirne gli effetti per scansare quelli che possono nuocerci o procurarci quelli che sono utili alla conservazione del nostro essere e alla sua felicità, solo scopo di tutte le nostre azioni sia corporee che mentali, costituisce ciò che in una parola si designa sotto il nome di ragione⁸ .

    Grazie allora all’esperienza e alla ragione, l’uomo ha la possibilità di conoscere. Se si limitasse a queste due facoltà, potrebbe studiare la natura, scoprire le sue leggi invariabili, conoscerebbe se stesso, i suoi veri interessi, i rimedi per i suoi mali, e giungerebbe alla felicità. Tuttavia le cose non sono così semplici, l’uomo infatti usa spesso l’immaginazione per sopperire alla mancanza di esperienza, e questo lo induce in errore:

    tutti gli errori del genere umano, in ogni campo, derivano dal fatto che ha rinunciato all’esperienza, alla testimonianza dei sensi, alla retta ragione, per lasciarsi guidare dall’immaginazione spesso ingannatrice e dall’autorità sempre sospetta⁹ .

    Errori

    Nessun errore può essere vantaggioso al genere umano: esso è sempre fondato unicamente sull’ignoranza o sull’accecamento del suo spirito¹⁰ .

    Vediamo allora quali sono i principali errori del genere umano. Innanzitutto l’uomo si è sbagliato ogni volta che ha supposto qualcosa di immateriale per spiegare ciò che non riusciva a capire, ad esempio la nozione di spirito:

    se domandiamo cos’è uno spirito, i moderni rispondono che il frutto di tutte le loro ricerche metafisiche si è limitato ad insegnare loro che ciò che fa agire l’uomo è una sostanza sconosciuta, talmente semplice, indivisibile, priva di estensione, invisibile, impossibile a cogliere con i sensi, che le sue parti non possono essere separate neppure per astrazione o con il pensiero. Ma come concepire una simile sostanza la quale non è che una negazione di tutto ciò che conosciamo? Come farsi un’idea di una sostanza priva di estensione e nondimeno agente sui nostri sensi, cioè su organi materiali che hanno estensione? Come un essere senza estensione può essere movente e mettere materia in movimento? Come una sostanza sprovvista di parti può corrispondere successivamente a differenti parti dello spazio¹¹ ?

    Di norma l’anima è considerata come l’agente spirituale che muove il corpo, ma d’Holbach dice che "non è altro se non il corpo stesso considerato relativamente a talune delle funzioni o facoltà, di cui la sua natura e la sua organizzazione lo rendono suscettibile¹²".

    L’uomo sarà sempre un enigma per se stesso, finché si crederà doppio e mosso da una forza inconcepibile, di cui ignora la natura e le leggi. Le sue facoltà che chiama intellettuali e le sue qualità morali saranno inintelligibili per lui, se non le considera con lo stesso occhio con cui considera le sue qualità o facoltà corporee e non le vede soggette in tutto alle stesse regole¹³ .

    Ora si inizia ad intravedere perché gli errori degli uomini siano funesti. Credere l’uomo doppio infatti non ci permette di capirlo, e quindi ci sbarra la strada verso la morale.

        Inoltre, dato il determinismo, anche il libero arbitrio è una chimera:

    La nostra vita è una linea che la natura ci ordina di tracciare sulla superficie della terra, senza mai poter allontanarcene un istante. Nasciamo senza il nostro volere, la nostra organizzazione non dipende affatto da noi, le nostre idee ci vengono involontariamente, le nostre abitudini sono in potere di quelli che ce le fanno contrarre, siamo continuamente modificati dalle cause, sia visibili che nascoste, che regolano necessariamente il nostro modo di essere, di pensare e di agire¹⁴ .

    Ma questi errori rimangono piuttosto lievi, rispetto all’ultimo che consideriamo.

    Religione L’altro ente spirituale per eccellenza è Dio. Gran parte del Sistema della Natura è dedicata a dimostrare l’impossibilità del concetto di divinità, tanto che ad un certo punto si legge: "i principi dell’ateismo o il sistema della natura [...]¹⁵", quasi a voler identificare i due. Il tema della religione è di capitale importanza nel pensiero di d’Holbach, infatti buona parte delle opere che ha scritto è rivolta contro la religione.

        Sono presenti due capitoli nel primo tomo riguardanti l’origine del fenomeno religioso; il secondo tomo è poi quasi interamente dedicato alle idee contraddittorie della teologia, all’esame delle prove dell’esistenza di Dio, alle varie forme di religione, alle conseguenze della religione. Cercherò quindi di presentare i tratti essenziali della sua teoria della religione.

        Secondo d’Holbach la religione trae origine dalla paura che gli uomini antichi provarono di fronte alle calamità naturali e dall’ignoranza che non permise loro di comprendere quale fosse l’origine dei loro timori:

    Fu in queste circostanze fatali che le nazioni, non vedendo affatto sulla terra oggetti abbastanza potenti da operare gli effetti che la sconvolgevano in una maniera così notevole, rivolsero i loro sguardi inquieti e i loro occhi bagnati di lacrime verso il cielo, in cui supposero dovessero risiedere gli agenti ignoti la cui inimicizia ne distruggeva quaggiù la felicità.

    È nell’ignoranza, nelle apprensioni e nelle calamità che gli uomini hanno sempre attinto le loro prime nozioni sulla divinità¹⁶ .

    In seguito gli uomini diedero dei tratti umani a queste divinità:

    supposero negli elementi o negli agenti nascosti che li regolavano, una volontà, vedute, bisogni, desideri simili a quelli dell’uomo. Di qui i sacrifici escogitati per nutrirli, libagioni per dissetarli, fumo ed incenso per pascerne l’odorato¹⁷ .

    Si può dunque notare che gli uomini hanno sempre indicato queste cause nascoste con la parola Dio, senza però riuscire a comprenderle in questo modo. Hanno iniziato adorando esseri materiali, passando poi ad esseri spirituali, al politeismo ed infine al monoteismo. Ma come fanno le opinioni religiose a passare di generazione in generazione? Tramite la fede, che secondo il barone acceca la ragione e ci impedisce di vedere le cose come realmente sono.

    Quelli che per primi hanno avuto la sfrontatezza di dire agli uomini che, in materia di religione, non era loro permesso di consultare né la loro ragione né gli interessi della società, si sono evidentemente proposti di farne i giocattoli o gli strumenti della propria malvagità. È dunque da questo errore radicale che son partite tutte le stravaganze che le differenti religioni hanno portato sulla terra, i furori sacri che l’hanno insanguinata, le persecuzioni disumane che hanno tante volte gettato nella desolazione le nazioni, in una parola, tutte le orribili tragedie, di cui il nome dell’Altissimo fu la causa ed il pretesto quaggiù¹⁸ .

    Ecco quanto sono funeste le conseguenze delle religioni nel mondo. Ed ecco perché il barone vi si oppone con tanta tenacia. Rimandiamo tuttavia per un momento questo discorso, per occuparci dell’ultimo punto che tratteremo del pensiero di d’Holbach.

    Concezione etico-politica Una volta che l’uomo si sarà liberato dai pregiudizi, dalle religioni, una volta che avrà finalmente acquisito la ragione, potrà facilmente capire le leggi immutabili che lo legano agli altri esseri umani e che costituiscono la base della morale. Vediamone gli aspetti principali, partendo da un’importante constatazione:

    Ma qual è lo scopo dell’uomo nella sfera che occupa? È di conservarsi e di rendere la propria esistenza felice¹⁹ .

    Attraverso l’esperienza l’uomo impara a conoscere cosa lo avvicina e cosa lo allontana dal suo scopo. Impara cioè a distinguere la virtù dal vizio:

    la virtù è tutto ciò che è veramente e costantemente utile agli esseri della specie umana vivente in società; il vizio è tutto ciò che è loro nocivo²⁰ .

    Ciò che l’uomo cerca è la felicità, che è "un modo di essere di cui ci auguriamo la durata o nel quale vogliamo perseverare²¹". La morale si occupa di spiegare dunque la condotta che l’uomo deve tenere per essere felice. Non mi dilungherei oltre su questo argomento, perché sarà trattato poi ampiamente nella Morale Universale.

    Per quanto riguarda la politica, invece:

    La politica dovrebbe essere l’arte di regolare le passioni degli uomini e di dirigerle verso il bene della società [...].

    La politica, per essere utile, deve fondare i suoi principi sulla natura, cioè conformarsi all’essenza e al fine della societಲ .

    Il fine della società è quello di procurare agli individui che la compongono una felicità maggiore rispetto allo stato di natura, anche se d’Holbach è piuttosto scettico circa l’esistenza di questo stato, come si avrà modo di vedere anche nella Morale Universale. In società l’uomo può godere degli aiuti dei propri associati, ma ad un prezzo: la rinuncia a parte della propria libertà, che non è più illimitata, ma deve fare spazio a quella degli altri.

    Gli uomini, avvicinandosi gli uni agli altri per vivere in società, hanno fatto, sia espressamente che tacitamente, un PATTO, attraverso cui si sono impegnati a rendersi servigi e a non nuocersi²³ .

    I vantaggi principali che la società deve procurare sono la libertà, la proprietà e la sicurezza. È importante notare che quando l’associazione non procura alcun bene ai suoi membri, perde i suoi diritti su questi: "i capi che nuocciano alla società perdono il diritto di comandarla²⁴, e una società oppressa contiene solo oppressori e schiavi; degli schiavi non possono essere cittadini²⁵".

    Il governo influisce necessariamente e ugualmente sul fisico e sul morale delle nazioni²⁶ .

    Quindi è importante che questo governo sia illuminato e si basi sulla sana morale.

    La produzione letteraria

    Letteratura clandestina Le opere di d’Holbach sono sempre uscite sotto falso nome oppure anonime, alcune anche retrodatate. Nel primo caso, usava nomi di personaggi famosi che avevano scritto opere antireligiose, di norma morti da poco, in modo da farle sembrare delle opere postume. Si tratta di contromisure che il barone ha adottato per non essere scoperto, dato che in quel periodo era difficile sfuggire all’Inquisizione. Per far capire al lettore quanto fosse pericoloso scrivere libri contro la religione nel periodo in cui è vissuto d’Holbach, vorrei citare Diderot:

    Un giovane di buona famiglia, commesso, secondo gli uni, di farmacia, secondo gli altri di spezieria, [...] aveva ricevuto a pagamento o altrimenti, due esemplari del Cristianesimo svelato da un tale Lécuyer, venditore ambulante, e ne aveva venduto uno al suo padrone. Questi lo denuncia al luogotenente di polizia. L’ambulante, sua moglie e l’apprendista [il commesso] sono arrestati tutti e tre e sono stati testé esposti alla gogna, fustigati e marchiati, l’apprendista condannato a nove anni di galera, l’ambulante a cinque e la moglie ad essere internata a vita²⁷ .

    Questo accadeva a chi possedeva soltanto delle copie di libri proibiti, la sorte dei loro autori era molto più tragica. Voltaire stesso era andato a vivere al confine per ragioni di sicurezza²⁸.

        Si diffuse allora in Francia, fin dall’inizio del XVIII secolo, il fenomeno della letteratura clandestina. Limitiamoci al caso del nostro autore, vedendo in che modo pubblicò gran parte delle sue opere. Il barone si servì in particolare di due collaboratori, i fidati fratelli Naigeon: affidava al maggiore i suoi manoscritti, che li portava al minore a Sedan, città di frontiera, il quale li ricopiava. Dopodiché li consegnava a Madame Loncin, che viveva a Liegi, che infine li consegnava a Marc-Michel Rey, il suo editore ad Amsterdam²⁹.

        Purtroppo tutta questa segretezza ha fatto sì che fosse poi difficile risalire alle opere autentiche di d’Holbach. Fino al 1815 furono ristampate alcune delle sue opere, ma mai a nome suo (ad eccezione degli Elementi di morale universale, pubblicati postumi da Naigeon nel 1790). Poi nel 1820 e nel 1821 furono nuovamente ristampate e di nuovo soppresse. In quegli anni Naigeon, dopo la morte della vedova del barone, rese noto l’elenco delle principali opere di d’Holbach³⁰, ma su alcune si dibatte ancora. Quando fu finalmente possibile ristampare le opere di d’Holbach sotto il suo vero nome, l’interesse verso di lui era ormai scemato, nonostante lo scalpore che suscitarono alcuni suoi scritti, primo tra tutti il Sistema della Natura. Per questo d’Holbach è caduto in una specie di oblio e tutt’oggi rimane poco famoso.

    Pars destruens A mio parere, il proposito che ha spinto d’Holbach a scrivere i suoi libri può essere riassunto nella seguente citazione:

    Consultiamo dunque la ragione, chiamiamo l’esperienza in nostro aiuto, interroghiamo la natura, e troveremo ciò che bisogna fare per lavorare efficacemente alla felicità del genere umano. Vedremo che l’errore è la vera causa delle disgrazie della nostra specie; che, rassicurando i nostri cuori, dissipando i vani fantasmi le cui idee ci fanno tremare, portando la scure alla radice della superstizione, potremo tranquillamente cercare la verità e trovare nella natura la fiaccola che potrà guidarci alla felicità³¹ .

    Si è soliti distinguere nella produzione letteraria del barone una pars destruens ed una pars contruens. La prima ha luogo tra il 1760 ed il 1770, periodo nel quale pubblica Le Christianisme dévoilé (1761), Théologie portative (1767), La Contagion Sacrée (1768), Lettres à Eugénie (1768), L’Esprit du Judaïsme (1770), Essai sur le préjugés (1770), Examen critique de la vie et des écrits de saint Paul (1770), Histoire critique de Jésus-Christ (1770), Tableau des Saints (1770) per concludere con il Sistéme de la Nature (1770). In verità anche Le bon sens (1772)³² viene fatto rientrare in questa categoria, sebbene sia stato pubblicato dopo il Sistema.

        Viene chiamata pars destruens perché in questi libri d’Holbach si impegna a combattere la religione, soprattutto, come si può evincere dai titoli, quella cristiana. Si occupa quindi in primo luogo di dissipare i vani fantasmi e di portare la scure alla radice della superstizione. In queste opere

    Adopera l’invettiva, la prosopopea, l’invocazione, non meno che l’analisi e la dimostrazione sistematica. I capitoli sono talvolta pesanti, le ripetizioni continue; ma non manca, in lui, la facezia popolare, immediata. Possiede l’indignazione autentica, vibrante, accompagnata dalla fredda efficacia del ragionamento sperimentale. L’insieme che ne risulta è molto coerente, e fa sempre capo agli stessi leitmotiv, con un effetto incontestabilmente impressionante³³ .

    Per rendere l’idea penso sia opportuno un esempio, tratto da La Contagion Sacrée:

    tutte [le religioni] si fanno un principio di soffocare la ragione, di interdire l’esame, di proporci dei misteri, di gettare la nostra mente in tenebre profonde; tutte ci mostrano un Dio incomprensibile, dei misteri impenetrabili, degli oracoli inintelligibili, delle leggi opposte ai lumi del buon senso [...]. Da tutto ciò si è obbligati a concludere che non esiste affatto una Religione vera sulla terra, che gli uomini non hanno che delle superstizioni, cioè dei Sistemi di condotta ridicoli, arbitrari, insensati, e delle opinioni destituite di fondamento³⁴ .

    Oppure, da Le bon sens:

    Dio è l’autore di tutto; eppure ci assicurano che il male non proviene da Dio. Donde proviene, allora? Dagli uomini. Ma chi ha fatto gli uomini? Dio. Dunque è da Dio che proviene il male. Se egli non avesse fatto gli uomini come sono, il male morale, il peccato, non esisterebbe nel mondo. Bisogna dunque prendersela con Dio se l’uomo è così perverso³⁵ .

    Probabilmente è questo il volto più conosciuto di d’Holbach. Ma non è l’unico, come vedremo. Tutte queste opere culminano nel Sistema della Natura, che abbiamo già avuto modo di analizzare.

    Pars construens Fanno invece parte della cosiddetta pars construens il Systéme social (1773), la Politique naturelle (1773), la Morale Universelle (1776) e l’Étocratie (1776).

        Ormai d’Holbach ha portato a termine il "lavoro di demolizione³⁶", ha fatto quanto era in suo potere per liberare gli uomini dai loro pregiudizi religiosi. Ora vuole convincere il maggior numero possibile di persone della bontà del suo sistema etico-politico, e per fare ciò decide di mettere da parte (e non di abbandonare) la critica della religione:

    Come già nel Sistema sociale, il naturalismo, l’ateismo ed il fatalismo dell’autore sono non meno reali, ma meno accusati, meno infangati che nel Sistema della natura, nella Morale Universale sono ancora più rimossi. Sarebbe un errore pensare che, da un libro all’altro, d’Holbach abbia riveduto radicalmente le sue posizioni e rinunciato gradualmente al suo pieno e totale materialismo a favore di una sorta di spiritualismo. Ma ciò che è vero, è che procedendo in questo modo egli ha moderato, contenuto, se non ritirato, il suo sistema, che qui non è più presente se non ad uno stato latente, in qualche modo, la sua Morale Universale, se non si conoscono i legami che la uniscono intimamente alle sue due altre opere, passerebbe per un trattato di morale ordinaria, nel quale la sensualità a forza di essere addolcita e trattata, si farebbe, non dimenticare, ma notare di meno, tollerare di più e quasi ammettere, tanto che sembrerebbe inoffensivo e corretto³⁷ .

    Questo cambiamento di intenti è certamente degno di nota. Concentriamoci ora sulla Morale Universale.

    La Morale Universale

    Abbiamo quindi visto che la pars construens non rappresenta in realtà che la "punta di un iceberg³⁸", e lo scopo di questa introduzione è appunto rendere il lettore cosciente della parte sommersa. La filosofia di d’Holbach, nel corso della sua produzione letteraria, è sempre la stessa: ciò che cambia è il tema da esporre ed il modo di farlo. Per quanto riguarda il tema della morale, esso è presente fin dalle sue prime opere, come possiamo notare da questa citazione tratta dal Il Cristianesimo svelato:

    Si dirà, senza dubbio, che la religione, lungi dal contraddire la morale, le serve da sostegno, rendendo i suoi obblighi più sacri e dandole la consacrazione della Divinità. Rispondo che la religione cristiana, lungi dal sostenere la morale, la rende vacillante e incerta³⁹ .

    Si legge più avanti che "la morale deve essere fondata su regole invariabili⁴⁰". In molte delle opere della pars destruens, d’intento critico-distruttivo, alla morale religiosa viene opposta una morale naturale. Ebbene, qual è questa morale? Com’è fatta? Per avere una risposta soddisfacente bisogna aspettare il Sistema della Natura, anche se a questo tema viene riservato un solo capitolo, contenente, comunque, tutti i concetti fondamentali che verranno poi approfonditi. Il Sistema sociale contiene una parte dedicata alla morale ed una dedicata alla politica, parti che verranno poi espanse rispettivamente nella Morale Universale e nella Politica naturale. Spero, dunque, che ora sia più chiaro come si colloca la Morale Universale all’interno della produzione del barone.

        Ritengo infine opportuno approfondire il rapporto tra d’Holbach e Diderot, perché l’influenza di quest’ultimo è certamente presente in molte delle opere del primo. I due sono legati da una profonda amicizia, che consiste di "lavoro comune, di esperienze, di discussioni animate, di una vita consacrata alle migliori possibilità umane, in cui ciascuno, al di là delle sue doti personali, collabora all’impresa collettiva⁴¹". Già dal periodo dell’intensa collaborazione per la pubblicazione dell’Enciclopedia, i due consolidano la loro amicizia, anche durante i lunghi soggiorni di Diderot alla residenza di d’Holbach, ed entrambi, a partire dal 1754-55, professano la medesima filosofia, ma questa filosofia corrisponde, in loro, a temperamenti diversi⁴². Hanno le stesse idee soprattutto riguardo alla morale, ma ricordiamo comunque che Diderot apprezzava molto anche il Sistema della Natura⁴³. Inoltre questi aveva uno stile di scrittura migliore di quello di d’Holbach, e quindi il barone gli chiedeva spesso consigli prima di pubblicare un’opera. Probabilmente questo è successo anche con la Morale Universale:

    a proposito della morale [Diderot] osserva: "Si stampa attualmente ad Amsterdam, sotto questo titolo, un’opera in cui son certo che si troveranno cose eccellenti. Bisognerebbe compendiare e analizzare il Sisteme social e la Politique naturelle." Questa indicazione ci mostra che Diderot corresse forse ad Amsterdam, dal Rey, le bozze della Morale universelle, che uscì infatti nel 1776. La sua penna dovette certo lasciarvi qualche traccia, e questa può essere stata un’altra ragione perché egli lodasse l’opera⁴⁴ .

    Vediamo quindi le parole che Diderot riserva alla Morale Universale:

    Qualunque cosa accada in futuro, sia benedetto per sempre quello di loro a cui dobbiamo la Morale universelle! Possano i padri e le madri raccomandarne la lettura quotidiana ai loro figli! Possano i miei mantenersi fedeli alla promessa, che mi hanno fatta, di meditarne per tutta la vita le utili e sagge lezioni⁴⁵ !

    Nota sulla traduzione

    Ho deciso di riunire in un unico volume i tre tomi della Morale Universale, data la sostanziale continuità degli stessi. Questi erano infatti divisi come segue: nel Tomo Primo (Teoria della Morale) erano presenti l’indice, la prefazione e le sezioni I, II, III; nel Tomo Secondo (Pratica della Morale) era presente la sezione IV; nel Tomo Terzo (Sui doveri della Vita Privata) erano presenti la sezione V e l’indice analitico.

        Ho eseguito la traduzione sui tomi intitolati La Morale Universelle ou les devoirs de l’homme fondés sur sa nature, rispettivamente Tome Premier. Théorie de la Morale, Tome Seconde. Pratique de la Morale, e Tome Troisieme. Des Devoirs de la Vie privée pubblicati ad Amsterdam presso Marc-Michel Rey nel 1776 (in ottavi)⁴⁶.

        Dato che lo stile di scrittura di d’Holbach è notoriamente pesante, in un primo momento avevo pensato di eseguire una traduzione vicina al lettore, cercando quindi di modernizzare il linguaggio settecentesco per renderlo più comprensibile e vicino ai giorni nostri. Tuttavia, nel corso della traduzione, ho notato che una scelta del genere avrebbe allontanato il lettore dal significato originale dell’opera. Ritengo questo punto molto importante perché vorrei cercare di giustificare, almeno in parte, la difficoltà del testo (che non è che un riflesso della difficoltà dell’opera originale). Per fare un esempio riporterò qui la prima frase della prefazione scritta da d’Holbach in francese, per poi mostrare due possibili traduzioni:

    Quoique depuis un grand nombre de siecles l’esprit humaine se soit occupé de la Morale, cette science, la plus digne d’interesser les hommes, ne semble pas avoir fait tous les progrès que l’on avoit lieu d’attendre; ses principes sont encore sujettes à des disputes, et le Philosophes ont été de tout temps peu d’accord sur le fondements que l’on devoit leur donner.

    a) Anche se da molti secoli la mente umana si è occupata della morale, questa scienza, che è la più degna di interessare gli uomini, non sembra aver fatto tutti i progressi che ci si sarebbe aspettati: i suoi principi sono ancora discussi e i filosofi sono sempre stati poco d’accordo sui suoi fondamenti.

    b) Benché da un gran numero di secoli l’intelletto umano si sia occupato della Morale, questa scienza, la più degna di interessare gli uomini, non sembra aver fatto tutti i progressi che ci si sarebbe potuti aspettare: i suoi principi sono ancora soggetti a delle dispute, e i Filosofi sono sempre stati poco d’accordo sui fondamenti che si dovevano dare loro.

    La traduzione a) è più vicina al lettore, più comprensibile, mentre la traduzione b) è più vicina al testo originale. Sono entrambe lecite, ma chi conosce un po’ di francese noterà che la traduzione b) è molto più fedele. Ci sono diversi motivi che mi hanno spinto verso una traduzione del tipo b) e vorrei discutere ora il motivo principale.

        Ci sono alcuni termini usati da d’Holbach che per essere resi al meglio richiedono parole poco comuni: ad esempio inizialmente traducevo opiniâtreté con ostinazione, dato che così è indicato in molti dizionari. In seguito però ho trovato anche il termine obstination, che, proprio come può sembrare, vuol dire ostinazione. Ho dovuto allora rivedere ed approfondire il significato di opiniâtreté. In un dizionario monolingue ho trovato, come significato, un attaccamento ostinato a delle idee, delle opinioni, o anche ad un comportamento. Ho cercato anche all’interno dell’opera, dato che d’Holbach cerca sempre di essere chiaro e spesso definisce i termini che usa, e ho trovato questa definizione:

    La vera Forza è la fermezza nel bene; l’opiniâtreté è la fermezza nel male⁴⁷ .

    Sinonimi di ostinazione sono caparbietà, tenacia, ma non hanno l’accezione negativa necessaria. Oppure accanimento, testardaggine (che però uso già per tradurre entêtement), cocciutaggine, che possono avere un’accezione negativa, ma non è esattamente ciò che sto cercando. Dopo qualche ricerca ho trovato il termine pervicacia, che significa rimanere ostinatamente fermi nelle proprie opinioni, o anche nell’atteggiamento, nel comportamento: è la parola che fa al caso mio. Mi rendo conto che questa parola sia meno comune delle altre che ho citato, ma è anche quella che si avvicina maggiormente al significato di opiniâtreté.

        Per motivi come questo ho preferito tradurre in modo molto fedele, dato che il mio obiettivo è riportare nel modo più aderente possibile il pensiero di d’Holbach, per quanto questo possa rendere più impegnativa la lettura. Ho quindi mantenuto il suo stile, con la stessa disposizione delle frasi; in qualche punto ho cambiato la punteggiatura per renderla corretta nella lingua italiana. Ho lasciato certe parole con la lettera maiuscola, perché spesso d’Holbach la usa, quando non necessaria, per enfatizzare una parola, come nell’esempio riportato in precedenza. Inoltre ho lasciato i riferimenti bibliografici originali, non essendo nella condizione di poterli verificare tutti, quindi è possibile che alcuni siano errati o che oggi siano leggermente differenti. Anche l’indice analitico è così come l’ha compilato d’Holbach.

        Tutto ciò che si trova tra parentesi quadre è stato aggiunto da me. Principalmente ho tradotto le citazioni dal latino e ho fornito qualche informazione in più su alcuni personaggi meno noti menzionati da d’Holbach.

        Infine ci sono alcune parole di cui vorrei discutere la traduzione, così da permettere al lettore di associare il giusto significato alla parola che userò nel testo.

    Bonheur e Felicité Di norma questi due termini vengono tradotti entrambi con felicità, in questo caso però ho ritenuto doveroso distinguerli, dato che sono presenti due capitoli: uno dedicato in parte a bonheur e l’altro a felicité⁴⁸. Riprendendo le parole di d’Holbach:

    La felicité è uno stato costante, inalterabile che non si può trovare né in ciò che si desidera, né in ciò che ci manca, ma in ciò che si possiede. I piaceri non sono che dei bonheur istantanei; essi non possono procurare questa continuità, questa permanenza necessaria alla nostra felicité: così i doni della fortuna, la gloria, i vantaggi che dà il pregiudizio, dipendenti dal capriccio della sorte o dalla fantasia degli uomini, non possono dare all’intelletto questa fissità dalla quale il suo bonheur deve dipendere, né bandire le inquietudini che possono turbarla. I piaceri dei sensi sono ancora meno capaci di fornirci la contentezza e la sicurezza dell’anima; per quanto vari li si supponga, finiscono sempre per smorzarsi con prontezza e per piombarci in seguito nel languore della noia. In una parola, gli oggetti esteriori non possono dare all’uomo una felicité continua, che sarebbe impossibile e per la natura dell’uomo e per la natura delle cose.⁴⁹

    Come si può intuire dalla citazione il bonheur è uno stato istantaneo, passeggero di felicità, spesso dovuto ad altro, ad esempio un evento fortunato. Felicité, invece, è uno stato di felicità continua, inalterabile, dovuta allo stesso individuo. Ho scelto quindi di rendere bonheur con felicità, mentre felicité con gaudio, poiché si riferisce ad una gioia intensa e duratura. Tuttavia, bisogna notare che la differenza di significato tra i due termini in francese è minore di quella tra i due in italiano, tanto che non sarebbe errato tradurli entrambi con felicità.

    Bienfaisance Letteralmente bienfaisance significa fare del bene in generale, e la parola migliore che ho trovato per rendere questo termine è beneficenza. Tuttavia quest’ultimo termine ha correntemente l’accezione di aiuto delle persone bisognose, quindi ho ritenuto necessario spiegare in che senso userò questa parola. Allo stesso modo il sostantivo che userò sarà benefattore e l’aggettivo benefico. Quindi quando parlerò di un uomo benefico, intenderò con ciò un uomo che fa del bene in generale.

    Esprit Questa parola ha principalmente due significati: il primo è mente, intelletto, il secondo è spirito. Ritengo sia utile per il lettore conoscere questa fonte comune per capire espressioni come uomo di spirito, che indica un uomo ricco di risorse intellettuali, colto, di un gusto raffinato, che spesso ho tradotto anche come intellettuale, dove il contesto lo permetteva. Oppure il termine bello spirito, che indica una persona brillante e piacevole.

    Nella pagina seguente è presente l’immagine del frontespizio originale del primo tomo. Quest’immagine è stata presa da Google Books, dove si possono trovare tutti e tre i tomi originali.



    Prefazione

    Benché da un gran numero di secoli l’intelletto umano si sia occupato della Morale, questa scienza, la più degna di interessare gli uomini, non sembra aver fatto tutti i progressi che ci si sarebbe potuti aspettare: i suoi principi sono ancora soggetti a delle dispute, e i Filosofi sono sempre stati poco d’accordo sui fondamenti che si dovevano dare loro. Tra le mani della maggior parte dei Saggi dell’antichità, la Filosofia morale, fatta per illuminare ugualmente la condotta di tutti gli uomini, è divenuta comunemente astratta e misteriosa; per una fatalità che le è comune a tutte le conoscenze umane, essa trascurò l’esperienza, e si lasciò dapprima guidare dall’entusiasmo e dall’amore per il meraviglioso. Da ciò tutte le ipotesi così varie di tanti Filosofi antichi e moderni che, ben lungi dal chiarire la Morale e dal renderla popolare, non hanno fatto che avvolgerla di tenebre talmente spesse che lo Studio più importante per l’uomo gli divenne quasi inutile per la cura che ci si prese al fine di renderla impenetrabile. Per una debolezza comune a quasi tutti i primi Sapienti, essi diedero alle loro lezioni un tono d’ispirazione e di mistero, con l’intenzione di renderle più rispettabili al volgare stupito.

    L’antichità non ci mostra alcun sistema morale molto coeso: non ci offre negli scritti della maggior parte dei Filosofi che delle parole vaghe, sprovviste di definizioni esatte, dei principi slegati e spesso contraddittori; non vi troviamo che un piccolo numero di massime, qualche volta molto belle e vere, tuttavia isolate e che non contribuiscono affatto a formare un insieme, una dottrina intera capace di servire da regola costante nella condotta della vita.

    Pitagora, che per primo prese il nome di Filosofo o di amico della saggezza, attinse le sue conoscenze misteriose presso i Preti dell’Egitto, dell’Assiria, dell’Indostan; non abbiamo di lui che qualche precetto oscuro, o piuttosto degli enigmi, raccolti dai suoi discepoli, con i quali sarebbe molto difficile formare un insieme. Socrate, che si considera come il Padre della Morale, la fece, si dice, discendere dal Cielo per illuminare gli uomini; ma i suoi principi, così come ci sono presentati da Senofonte e Platone suoi discepoli, benché ornati del fascino di un’eloquenza poetica, non offrono alla mente che delle nozioni ingarbugliate, delle idee poco stabili, accompagnate dagli slanci di un’immaginazione brillante poco capace di fornirci un’istruzione reale.

    Lo Stoicismo, tramite le sue virtù fanatiche e poco socievoli, non rese la virtù per niente attraente agli uomini; le perfezioni impossibili che esigeva non poterono fare del saggio che un essere di ragione. Ogni Morale che pretenderà di trarre l’uomo dalla sua sfera, di elevarlo al di sopra della natura, che gli dirà di non sentire affatto, di essere indifferente al piacere e al dolore, di rendersi impassibile a forza di ragionamenti, di cessare di essere un uomo, potrà ben essere ammirata da degli entusiasti, ma non converrà mai a degli esseri che la Natura ha fatto sensibili e pieni di desideri. Gli uomini ammirano sempre una Morale austera; riveriscono coloro che la predicano; li considerano come degli uomini rari e divini; ma non la praticano mai.

    Se la Morale di Epicuro fu tale quale ci è presentata dai suoi avversari, che l’accusano di aver sciolto le briglie a tutte le passioni, essa non fu per niente adatta a regolare la condotta dell’uomo; ma se, come i suoi partigiani affermano, questa Morale invitava l’uomo alla virtù presentata con i nomi di piacere, di benessere, di voluttà, essa è vera, non ha niente da temere da parte delle accuse dei suoi nemici, non pecca che per non essersi sufficientemente spiegata.

    Quale Morale si poteva fondare sui principi esagerati e bizzarri dei Cinici, che sembravano non essersi proposti che di attirare gli sguardi del volgare tramite la loro impudenza sconveniente e la loro singolarità? La scienza dei costumi non ha dovuto fare grandi progressi nella scuola di un Pirrone e dei suoi settatori, il cui principio era dubitare delle verità meglio dimostrate: essa non poteva che offuscarsi, divenire molto incerta e vaga con Aristotele, i cui discepoli, a forza di distinzioni e sottigliezze, sembravano avere il progetto di ingarbugliare le verità più semplici e più chiare: eppure la dottrina di questi ultimi Filosofi, servendo a lungo da guida all’Europa, impedì di scoprire i veri principi di ogni filosofia, e tenne l’intelletto umano incatenato sotto il giogo di un’autorità tirannica che si fu obbligati a riverire come infallibile. Presso gli Scolastici la Morale non fu che un gioco d’ingegno, un ammasso di sofismi e di trappole dalle le quali fu quasi impossibile districare la verità.

    Queste riflessioni, che tutto conferma, possono farci vedere cosa si deve pensare del pregiudizio che vorrebbe senza sosta metterci in adorazione dinnanzi alla saggezza antica, così come di colui che si persuade che sulla Morale tutto è stato detto. Si scoprirà che gli antichi Filosofi non hanno affatto avuto delle idee ben chiare sui veri principi di questa scienza; se qualche volta li hanno scorti, li hanno spesso persi di vista e non ne hanno quasi mai tratto le conseguenze più immediate. Quanto a coloro che pensano che non resti più niente da dire sulla Morale, crediamo di poter mostrare loro che finora non si è fatto che mettere insieme i materiali adatti a costruire un edificio, che le meditazioni raccolte dagli uomini potranno un giorno condurre alla sua perfezione: gli antichi ci hanno fornito gran parte di questi materiali; alcuni moderni vi hanno poi ampiamente contribuito; la posterità, approfittando e dei lumi e degli errori dei suoi predecessori potrà, con il tempo, porre l’ultima pietra a questa grande opera. Il famoso Tempio di Efeso fu costruito con l’aiuto di tutti i Re e i Popoli dell’Asia; il Tempio della Saggezza deve elevarsi attraverso il lavoro comune di tutti gli esseri pensanti.

    In generale si può dire che i primi sforzi della Filosofia, in mancanza di principi sicuri, non produssero che degli errori mescolati a qualche verità. L’intelletto sottile dei Greci li allontanò dalla semplicità; la loro immaginazione portò le cose all’estremo; la Filosofia non divenne spesso per loro che una pura ciarlataneria, che ciascuno esercitò al proprio meglio; l’amor proprio di ogni capo di setta gli fece credere che lui solo avesse incontrato la verità, mentre tutte le sette se ne allontanavano ugualmente per strade differenti; questi presunti saggi non sembravano proporsi di norma che contraddirsi, denigrarsi, combattersi, imbarazzarsi reciprocamente con dei sofismi e delle scaramucce interminabili. La sana Filosofia, sinceramente occupata della ricerca di ciò che è utile e vero, non deve essere affatto esagerata, né proporre delle cose impraticabili o inintelligibili; deve mettersi in guardia e contro l’entusiasmo, e contro una vanità puerile, e contro lo spirito di contraddizione: sempre in buona fede con se stessa, sempre calma, non deve seguire che la ragione illuminata dall’esperienza, che sola ci mostra gli oggetti tali quali sono: deve accettare la verità da tutte le mani che la presentano, e rigettare l’errore e il pregiudizio, qualunque sia l’autorità su cui li si vuole appoggiare.

    I Filosofi dell’antichità sembrano inoltre aver spesso avvolto apposta la loro dottrina di nuvole: la maggior parte di loro, per renderla più inaccessibile al volgare, ha avuto una doppia dottrina, una pubblica e l’altra particolare, che è difficile distinguere nei loro scritti, soprattutto dopo che un gran numero di secoli ne ha fatto perdere la chiave. La Filosofia, per essere utile in tutte le epoche e a tutti gli uomini, dev’essere franca e sincera; quella che non è intellegibile che per un periodo o per qualche iniziato, diventa un enigma inesplicabile per la posterità.

    Pertanto non seguiamo alla cieca le idee degli antichi; non adottiamo i loro principi o le loro opinioni fintanto che l’esame non li mostrerà evidenti, luminosi, conformi alla natura, all’esperienza, all’utilità costante degli uomini di tutti i secoli; approfittiamo con riconoscenza della folla di massime sagge e vere che i Filosofi più celebri dell’antichità ci hanno spesso trasmesso con una folla di errori; distinguiamole, se possibile, da quelle che l’entusiasmo ha prodotto. Seguiamo Socrate quando ci raccomanda di conoscere noi stessi; ascoltiamo Pitagora e Platone quando ci danno dei precetti intellegibili; riceviamo i consigli di Zenone, quando li troviamo conformi alla natura dell’uomo; dubitiamo con Pirrone delle cose di cui finora i principi non sono stati sufficientemente sviluppati; impieghiamo la sottigliezza di Aristotele per districare il vero, così spesso confuso con il falso. Non appena l’errore è manifesto, che l’autorità di questi nomi rispettati non ci si imponga più.

    Trattando la Morale non infossiamoci affatto negli abissi di una metafisica sottile o di una dialettica tortuosa; essendo le regole dei costumi fatte per tutti, devono essere semplici, chiare, dimostrative, alla portata di tutti; i principi sui quali i nostri doveri si fondano devono essere così lampanti e così generali che ciascuno se ne possa convincere, e trarne le conseguenze relative ai suoi bisogni e al rango che occupa nella Società.

    Delle nozioni oscure, astratte e complicate, delle autorità spesso sospette, un fanatismo esaltato non possono illuminare né guidare in modo sicuro. Affinché la Morale sia efficace è necessario rendere ragione all’uomo dei precetti che gli si danno; è necessario fargli sentire i motivi pressanti che devono portarlo a seguirli; è necessario fargli conoscere in cosa consiste la virtù; è necessario fargliela amare, mostrandola come la fonte della felicità. L’entusiasmo e l’autorità, se hanno qualche utilità, non sono adatti che a governare per qualche tempo dei popoli ignoranti e senza esperienza, il cui intelletto non è affatto ancora sufficientemente esercitato.

    Stupire gli uomini per persuaderli, deviare l’intelletto umano con degli enigmi, abbagliarlo con delle meraviglie; tale fu comunemente il metodo dei primi Saggi che si occuparono dell’istruzione e del governo delle nazioni grossolane: ma se questi primi Legislatori ricorsero al soprannaturale per sottometterle alle regole che vollero prescrivere loro; se si servirono per guidarle dell’entusiasmo, che non ragiona molto, e del meraviglioso, che impressiona maggiormente il volgare rispetto ai migliori ragionamenti; questi mezzi non sono più adatti quando si tratta di parlare a dei popoli meno selvaggi e usciti dall’infanzia. L’uomo divenuto più ragionevole deve essere condotto con la ragione; i Filosofi devono ricordargli la sua propria natura; la funzione dei Legislatori è quella di invitarlo e obbligarlo a seguirla.

    I Moralisti moderni, molto spesso trascinati dall’autorità degli antichi, hanno seguito troppo fedelmente le loro tracce, senza preoccuparsi molto di aprirsi delle strade nuove per scoprire la verità: la maggior parte di loro, non avendo esaminato l’uomo con abbastanza attenzione, non l’ha affatto visto tale quale è; hanno creduto, come alcuni antichi, che ricevesse dalla Natura delle idee che hanno chiamato innate, con l’aiuto delle quali egli giudicava sanamente e del bene e del male: hanno considerato la ragione, la virtù, la giustizia, la benevolenza, la pietà come delle qualità essenzialmente inerenti alla Natura Umana: secondo loro, questa Natura ha inciso in tutti i cuori le verità primitive, l’amore del bene, l’odio del male morale, che l’uomo giudica sanamente con l’aiuto di un senso morale, cioè di una qualità occulta, di un certo Criterium che reca nascendo e che lo mette in grado di pronunciarsi con certezza sul merito o il demerito delle azioni. Invano il profondo Locke ha provato che le idee innate non erano che delle chimere; questi Moralisti persistono nel loro pregiudizio; vogliono credere, o persuadere, che l’uomo, anche senza aver sentito il bene o il male che risulta dalle azioni, è capace di decidere se sono buone o cattive. Noi faremo vedere, in base a dei Filosofi più illuminati, che l’uomo non possiede venendo al mondo che la facoltà di sentire, e che il suo modo di sentire è il vero Criterium, o la sola regola dei suoi giudizi, o delle sue opinioni morali sulle azioni o sulle cause che gli si fanno sentire; verità così tangibile, che è molto sorprendente che vi siano uomini a cui lo si debba ancora provare! Infine faremo vedere che le leggi o le regole che si sono supposte scritte dalla Natura in tutti i cuori non sono che delle conseguenze necessarie del modo in cui gli uomini sono conformati dalla Natura, e della maniera in cui le loro disposizioni sono state coltivate. Il vero sistema dei nostri doveri dev’essere quello che risulta dalla nostra propria natura convenientemente modificata.

    Altri, in base a Cudworth⁵⁰, hanno fondato la Morale su delle regole, delle convenzioni eterne e immutabili, che hanno supposto anteriori all’uomo e totalmente indipendenti da lui. Da ciò si vede che non hanno fatto che realizzare delle astrazioni pure; che hanno supposto delle modifiche o delle qualità anteriori agli esseri o ai soggetti suscettibili di riceverle, e dei rapporti indipendenti dagli esseri tra i quali possano sussistere. Eppure, se la Morale è la regola degli uomini che vivono in Società, non può che coesistere con gli uomini, e fondarsi sui rapporti che si stabiliscono tra di loro. Una Morale anteriore all’esistenza degli uomini e dei loro rapporti è una Morale aerea, una chimera veritiera. Non possono esservi né regole, né doveri, né rapporti tra gli esseri che non esistono se non nelle regioni immaginarie.

    Non parleremo affatto qui della Morale religiosa, dato che, essendo il suo oggetto condurre gli uomini per delle vie soprannaturali, non riconosce affatto nella sua marcia i diritti della ragione. Non intendiamo proporre in quest’opera che i principi di una Morale umana e sociale, conveniente al mondo in cui viviamo, nel quale la ragione e l’esperienza sono sufficienti per guidare verso il gaudio presente che si propongono degli esseri che vivono in Società; i motivi che questa Morale espone sono puramente umani, cioè unicamente fondati sulla natura dell’uomo, tale quale si mostra ai nostri occhi, astrazione fatta dalle opinioni che dividono il genere umano, alle quali una Morale fatta ugualmente per tutti gli abitanti della terra non deve affatto fermarsi. Si è uomini prima di avere una Religione, e qualunque Religione si adotti, la sua Morale dev’essere la stessa che la Natura prescrive a tutti gli uomini, altrimenti sarebbe distruttiva per la Società.

    I Filosofi, in effetti, sono stati e sono ancora divisi sulla natura dell’uomo, sui principi delle sue operazioni e delle sue facoltà tanto visibili quanto nascoste; gli uni, e sono il più gran numero, sostengono che i suoi pensieri, le sue volontà, le sue azioni non debbano affatto essere attribuite al suo corpo, che non è che un assemblaggio di organi materiali, incapaci di pensare e di agire, se non fossero mossi da un’anima, o da un agente spirituale, distinto da questo corpo, che serve loro da involucro o da strumento. Gli altri, ma in numero più piccolo, rigettano l’esistenza di questo motore invisibile, e credono che l’organizzazione umana sia sufficiente per operare gli atti, per produrre i pensieri, le facoltà, i movimenti di cui l’uomo è suscettibile.

    Non ci fermeremo affatto a discutere queste opinioni diverse; per sapere ciò che l’uomo deve fare nella Società non c’è bisogno di risalire così in alto. Così non esamineremo né la causa segreta che può muovere il corpo, né le molle invisibili da cui è composto questo corpo, lasciamo queste ricerche alla metafisica e all’anatomia. Per scoprire i principi della Morale, accontentiamoci di sapere che l’uomo agisce, che il suo modo di agire è in generale lo stesso in tutti gli individui della sua specie, nonostante le sfumature che li differenziano. Il modo di essere e di agire comune a tutti gli uomini è abbastanza conosciuto per poter dedurre con certezza la maniera in cui devono comportarsi nella strada della vita. L’uomo è un essere sensibile; a qualunque causa sia dovuta la sua sensibilità, questa qualità risiede essenzialmente in lui, ed è sufficiente per fargli conoscere e ciò che deve a se stesso, e ciò che deve agli esseri con i quali è suo destino vivere sulla terra.

    La varietà quasi infinita che si riscontra tra gli individui di cui la specie umana è composta non impedisce che una stessa Morale convenga a tutti; si accordano tutti sull’essenza e non è che nella forma che variano: tutti desiderano essere felici, ma non possono esserlo nello stesso modo. Se si trovassero degli uomini conformati in modo tale che i principi della Morale non possano loro convenire, questa Morale non sarebbe per ciò meno certa; sarebbe necessario concluderne semplicemente che essa non è fatta per degli esseri costituiti diversamente da tutti gli altri. Non esiste affatto Morale per i mostri o gli insensati; la Morale Universale non è fatta che per degli esseri suscettibili di ragione e ben organizzati; in questi la Natura non varia affatto, non si tratta che di osservarla bene, per dedurre le regole invariabili che devono osservare.

    Non è più questo il luogo per esaminare se l’uomo è destinato ad un’altra vita; cioè se la sua anima è fatta per sopravvivere alla rovina del suo corpo, o se la morte annienta l’uomo del tutto: è alla metafisica e alla Teologia che spetta discutere queste questioni, che non pretendiamo di toccare qui in alcuna maniera. La Morale che presentiamo è la conoscenza naturale dei doveri dell’uomo nella vita di questo mondo: qualunque sia l’opinione che si adotta sulla propria anima o sulla propria sorte a venire, sia che questa anima sia immortale o meno, i doveri della vita sociale saranno sempre gli stessi, e per districarli sarà sufficiente sapere che l’uomo è suscettibile di provare del piacere e del dolore, e che vive con degli esseri che sentono come lui, dei quali è obbligato a meritare la benevolenza per ottenere ciò che gli piace e allontanare ciò che gli può dispiacere.

    Quali che siano le speculazioni che si adottano; a qualunque grado si porti lo scetticismo e l’incredulità; mai, se si è in buona fede, ci si potrà illudere al punto di dubitare della propria esistenza e di quella degli esseri che ci assomigliano, da cui siamo circondati, sui quali influiscono le nostre azioni, e che reagiscono su di noi, secondo la maniera in cui sono affetti dalle nostre azioni. In una parola, non si dubiterà mai del fatto che sussistono dei rapporti necessari tra gli uomini che vivono in società, e che essi contribuiscono al loro benessere o alla loro infelicità reciproca.

    Se anche qualcuno adottasse il Sistema di Berkeley, questo scettico stravagante che sosteneva che non esistesse niente di reale al di fuori di noi, e che tutti gli oggetti che la Natura presenta all’uomo non fossero che nella sua immaginazione, nel suo proprio cervello; questa ipotesi sottile e bizzarra non escluderebbe la Morale; così, come questo Filosofo suppone, tutto ciò che vediamo nel mondo non è che un’illusione, un sogno continuo. Seguendo i precetti della Morale gli uomini si procureranno almeno dei sogni ininterrotti, piacevoli, utili al loro riposo, conformi al loro benessere durante il periodo del loro sonno in questo mondo, e gli individui che sogneranno non si disturberanno affatto gli uni gli altri con dei sogni funesti.

    Io credo, dice un illustre moderno, che vi siano il vizio e la virtù, come vi sono la salute e la malattia⁵¹. Le nozioni primitive della Morale non possono essere in alcun modo contestate; esse sono sufficienti per dedurre tutti i doveri dell’uomo sociale, e per fissare la strada che deve condurlo alla felicità nella vita presente, nei differenti ceti in cui il destino lo pone, nei rapporti diversi che si stabiliscono tra lui e gli esseri della sua specie.

    Detto ciò, il sistema che tentiamo di presentare non attacca in alcun modo né i culti né le opinioni religiose stabilite presso i differenti popoli della terra; si propone unicamente di mostrare agli uomini, di qualunque paese o di qualunque religione siano, i mezzi che la Natura fornisce loro per ottenere il benessere che essa li obbliga a desiderare e a indicare loro i motivi naturali fatti per stimolarli sia a fare il bene sia a evitare il male. In una parola, lo ripeto, una Morale umana non ha per oggetto che la condotta degli uomini in questo mondo, essa lascia alla Teologia la cura di condurli all’altra vita. Le religioni dei popoli variano nelle differenti contrade del nostro globo, ma gli interessi, i doveri, le virtù, il benessere sono gli stessi per tutti quelli che lo abitano.

    Alcuni Saggi dell’antichità hanno sostenuto che la Filosofia non fosse che la meditazione sulla morte⁵²; ma delle idee più conformi ai nostri interessi e meno lugubri ci faranno definire la filosofia come la meditazione sulla vita. L’arte di morire non ha bisogno di essere appresa; l’arte di vivere bene interessa maggiormente degli esseri intelligenti, e dovrebbe occupare tutti i loro pensieri in questo mondo. Chiunque avrà ben meditato i propri doveri, e li avrà fedelmente praticati, godrà di una felicità veritiera durante la propria vita, e la lascerà senza timore e senza rimorsi. La vita, dice Montaigne, non è di per sé né un bene né un male; è il luogo del bene e del male, a seconda di come la si vuole condurre. A mio avviso, è vivere felicemente, e non morire felicemente, che costituisce il gaudio umano. Una vita ornata di virtù è necessariamente felice, e ci conduce tranquillamente verso un termine, dove nessun uomo potrà pentirsi di aver seguito la strada che la sua natura gli ha tracciato. Una Morale conforme alla Natura non può mai dispiacere all’essere che si riverisce come l’autore di questa Natura.

    L’uomo è ovunque un essere sensibile, cioè suscettibile di amare il piacere e di temere il dolore: in ogni Società è circondato da esseri sensibili che, come lui, cercano il piacere e temono il dolore; questi non contribuiscono al benessere dei loro simili se non quando ve li si determina tramite il piacere che si procura loro, essi si rifiutano di contribuire non appena si fa loro del male. Ecco i principi sui quali si può fondare una Morale universale o comune a tutti gli individui della specie umana. Dato che misconoscono questi principi incontestabili, gli uomini si rendono spesso così infelici che molti Saggi hanno creduto che il gaudio fosse per sempre bandito dal loro soggiorno.

    Non adottiamo affatto queste idee affliggenti;

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