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L'Occhio del Matematico. Da Pitagora alle Piramidi
L'Occhio del Matematico. Da Pitagora alle Piramidi
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E-book228 pagine4 ore

L'Occhio del Matematico. Da Pitagora alle Piramidi

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Info su questo ebook

L’Occhio del Matematico di Claudio Zanetti è un libro che sarebbe sicuramente piaciuto a Piero Della Francesca e a Arturo Reghini. Ma che cosa potrebbe mai accomunare due personalità apparentemente così diverse e vissute per di più a cinque secoli di distanza? Che cosa potrebbe accomunare uno dei massimi artisti del Rinascimento ad un filosofo, esoterista e libero muratore del XX° secolo?
Molto più di quanto si pensi! Furono entrambi due grandissimi iniziati, costantemente alla ricerca della conoscenza della natura e della comprensione delle forze che la regolano, appartennero entrambi ad una delle massime tradizioni misteriche della storia, quella eleusino-pitagorica, ma furono soprattutto due grandi matematici.La Matematica è l'alfabeto con il quale Dio ha scritto l'Universo, amava dire Galileo Galilei, e questo Claudio Zanetti ce lo ricorda in ogni singola pagina del suo libro, prendendoci per mano su un sentiero che ci permette di capire chi siamo e come è fatto l’universo che ci circonda, passando dai misteri dei numeri all’enigma delle piramidi e ai segreti degli antichi costruttori, fino ad arrivare alle inconfessabili verità dell’economia, della finanza e della politica.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788898635375
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    L'Occhio del Matematico. Da Pitagora alle Piramidi - Claudio Zanetti

    Τεληστήριον

    CLAUDIO ZANETTI

    L’OCCHIO

    DEL MATEMATICO

    Edizioni Aurora Boreale

    Titolo: L’Occhio del Matematico

    Autore: Claudio Zanetti

    Collana: Telestèrion

    Con prefazione di Nicola Bizzi

    Editing e illustrazioni a cura di Nicola Bizzi

    ISBN versione e-book: 978-88-98635-37-5

    Edizioni Aurora Boreale

    © 2019 Edizioni Aurora Boreale

    Via del Fiordaliso 14 - 59100 Prato

    edizioniauroraboreale@gmail.com

    Questa pubblicazione è soggetta a copyright. Tutti i diritti sono riservati, essendo estesi a tutto e a parte del materiale, riguardando specificatamente i diritti di ristampa, riutilizzo delle illustrazioni, citazione, diffusione radiotelevisiva, riproduzione su microfilm o su altro supporto, memorizzazione su banche dati. La duplicazione di questa pubblicazione, intera o di una sua parte, è pertanto permessa solo in conformità alla legge italiana sui diritti d’autore nella sua attuale versione, ed il permesso per il suo utilizzo deve essere sempre ottenuto dall’Editore. Qualsiasi violazione del copyright è soggetta a persecuzione giudiziaria in base alla vigente normativa italiana sui diritti d’autore.

    L’uso in questa pubblicazione di nomi e termini descrittivi generali, nomi registrati, marchi commerciali, etc., non implica, anche in assenza di una specifica dichiarazione, che essi siano esenti da leggi e regolamenti che ne tutelino la protezione e che pertanto siano liberamente disponibili per un loro utilizzo generale.

    TRADIZIONE E SACRALITÀ DEI NUMERI,

    FRA MACROCOSMO E MICOCOSMO

    di Nicola Bizzi

    Non credo di esagerare o di peccare di eccesso di elogio quando affermo che L’occhio del matematico, questo nuovo saggio di Claudio Zanetti che mi accingo a presentare, sarebbe piaciuto a due personaggi che mi stanno particolarmente a cuore: Piero Della Francesca e Arturo Reghini. Ma, vi chiederete, che cosa potrebbe mai accomunare due personalità apparentemente co-sì diverse e vissute per di più a cinque secoli di distanza l’una dall’altra? Che cosa potrebbe accomunare uno dei massimi artisti del Rinascimento, autore di opere immortali come la Flagellazione di Cristo, il Polittico della Misericordia, la Madonna del Parto e la Pala di Brera, ad un matematico, filosofo, esoterista e libero muratore del XX° secolo?

    Molto più di quanto si pensi! Furono entrambi due grandissimi iniziati, costantemente alla ricerca della conoscenza della natura e della comprensione delle forze che la regolano, appartennero entrambi ad una delle massime tradizioni misteriche che la storia abbia mai conosciuto, quella eleusino-pitagorica, e furono soprattutto due grandissimi matematici. Ma c’è anche molto di più, e tenterò qui di spiegarvelo.

    Un manoscritto segreto del XVIII° secolo, recentemente rinvenuto nell’archivio di una famiglia fiorentina e che ho pubblicato per la prima volta sul numero di Febbraio 2019 della rivista Archeomisteri¹, è scritto in forma dialogica e in un passo recita testualmente:

    «Salute vecchio, disse un giorno un giovane apprendista al suo Maestro. Non ho la sufficiente creatività per diventare un artista. Voglio che tu mi insegni la matematica. Dicono che sono bravo quando si tratta di essere logico e razionale».

    «Mi spiace deluderti, rispose il Maestro. Qualcuno giudicò, un tempo, un giovane come te che non aveva la sufficiente fantasia per fare il matematico, ma si poteva dedicare all’arte, alla pittura, alla retorica, alla scultura. Non so se mi sono spiegato. Ti sorprende, vero?».

    «Sì, rispose il giovane».

    «Ascolta! – proseguì il vecchio Maestro – Piero de la Francesca, il monarca de li tempi suoi, era prima matematico, poi pittore. Ebbe la fortuna e le qualità per raggiungere la fama quando era ancora in vita, ma gloria controversa e alterna raccolse fra i posteri. Pensa ai suoi allievi, ai quali egli insegnò l’arte arcana e antichissima dei poliedri. Ebbero ancora più fortuna e gloria, fra i posteri, del loro stesso Maestro. Se oggi un pittore fosse anche un matematico, non sarebbe pittore. Se un artista oggi fosse Cristiano, non sarebbe un Eleusino. Perché allora Piero era un matematico e al contempo un pittore, un Cristiano e, segretamente, un Eleusino?».

    Ma perché mai, come sentenzia lo sconosciuto Maestro del ma-noscritto, se oggi un pittore fosse anche un matematico, non sarebbe veramente un pittore? E perché, di conseguenza, se ribaltiamo il concetto invertendo l’ordine dei fattori, se un oggi un matematico fosse anche un artista, non sarebbe veramente un artista? Perché Arte e Matematica vengono considerati due mondi distinti e addirittura inconciliabili?

    La risposta è presto pronta, è proprio dinanzi a noi: nella seconda metà del ‘700, quando il manoscritto è stato verosimilmente composto, l’Illuminismo e il suo razionalismo materialista avevano già sconvolto e stravolto una visione integrale del mondo e della realtà che perdurava intatta da millenni, e questo nonostante (e non certo grazie) oltre quindici secoli di affermazione e imposizione del monoteismo cristiano e della Scolastica aristotelica. Nell’antichità, in sintesi, e in un cero qual modo anche nel Medio Evo e nel Rinascimento, non vi era quella separazione netta e artificiosa fra la sfera del sacro, dello spirituale e quella della conoscenza scientifica. E con quest’ultima non dobbiamo intendere solo la Matematica, la Geometria, la Fisica, l’Astronomia e la Medicina, ma anche l’Arte edificatoria e l’Ingegneria, sia civile che militare.

    Uno dei punti di forza della civiltà romana era stato non solo il non interferire con le istituzioni religiose dei popoli vinti, ma addirittura il tutelarne e difenderne, anche a livello istituzionale, la libertà di culto. Con l’integrazione e l’assorbimento della cultura ellenica da parte dei Romani, questo punto di forza fondato sul rispetto e la tolleranza toccò notoriamente uno dei propri apici, determinando un notevole accrescimento morale, filosofico e spirituale, ma al contempo anche scientifico e tecnologico, della società, con l’acquisizione, da parte di Roma, non solo della Filosofia degli Elleni, ma anche delle straordinarie conquiste scientifiche, geografiche, matematiche ed astronomiche dell’età ellenistica, dell’Egitto, della Mesopotamia.

    Grandi Imperatori come Lucio Domizio Enobarbo, conosciuto comunemente come Nerone, e, successivamente, gli Antonini, in primis Marco Aurelio e Publio Elio Adriano, furono fautori e artefici di uno splendido e vincente connubio fra la spiritualità e religiosità tradizionale latina e quella ellenica, cimentandosi in prima persona nello studio della Filosofia e nella conoscenza - anche iniziatica e scientifica - della Weltanschauung ellenica ed orientale.

    A Roma e in tutte le città dell’Impero, dalla Gallia alle coste africane, dalla Pannonia alla Bitinia, dall’Illirico al Ponto Eusino, convivevano in armonia, a fianco dei Templi dedicati alla Triade Capitolina, Templi di Iside, Mitrei, Serapei, Santuari di Artemide e di Astarte, di Cibele e di Asclepio, di Demetra e Kore Persefone. Persino nell’ambito del più importante collegio sacerdotale di Roma, quello dei Fratres Arvales, del quale l’Imperatore Ottaviano Augusto fu Pontefice Massimo, si celebravano i Riti ed i Misteri della Dea Dia, un’esoterica personificazione latina della Dea Demetra. E, a fianco dei Templi e dei grandi Santuari, fiorivano le Accademie, dove non veniva insegnata soltanto la Filosofia, ma si apprendevano le leggi del Cosmo, i moti delle stelle e dei pianeti, i segreti della Matematica, della Geometria, della Geografia e dell’Architettura.

    Quando i Cristiani presero a Roma il potere politico, arrivando ad acquisire saldamente nelle loro mani le redini dell’Impero, è tristemente noto che da perseguitati si trasformarono in persecutori e intrapresero una serie di crescenti azioni discriminatorie nei confronti di tutte le altre dottrine, tradizioni e religioni che fino a quel momento erano state pienamente tutelate dalle autorità e dalle istituzioni dello Stato e avevano pacificamente convissuto per secoli all’insegna della tolleranza, del reciproco rispetto e del Mos Maiorum, che rappresentava uno dei cardini dell’Impero stesso e dell’universalità romana.

    A partire dal IV° secolo d.C., e soprattutto dopo la promulgazione, nel 380 d.C., da parte di Teodosio e di Graziano del famigerato Editto di Tessalonica che imponeva il Cristianesimo quale unica religione, vietando di fatto a tutte le altre di continuare ad esistere, buona parte del mondo allora conosciuto si apprestava così a cadere in un’assolutamente inedita morsa di pensiero unico, esclusivo ed ottenebrante, e a scivolare sotto una pesante cappa di intolleranza e di persecuzioni. Da Teodosio in poi, tutto ciò che era riconducibile alla religiosità ed alla spiritualità tradizionali, dalle opere d’arte all’architettura sacra, dalla Filosofia alla letteratura, fino alle semplici espressioni della antica religiosità popolare, venne spregiativamente bollato come pagano e di fatto vietato, distrutto, sottoposto a censure e a damnatio memoriae. E, per secoli, anche le straordinarie conquiste scientifiche dell’antichità subirono la stessa sorte. Le orde di fanatici che distruggevano i Templi, le Accademie e davano alle fiamme le biblioteche, non facevano certo distinzione fra trattati di Religione e Filosofia e compendi di Astronomia, Geometria, Matematica, Medicina e carte nautiche e geografiche. Tutto ciò, nel suo insieme, veniva bollato come pagano, e doveva essere inesorabilmente distrutto, cancellato!

    Ma questa cancellazione, nonostante il sopraggiungere di questa morsa di pensiero unico e totalizzante che si apprestava a condizionare la società in tutte le sue espressioni, fortunatamente non avvenne, o almeno non del tutto. Molte antiche Tradizioni e Scuole misteriche, che da secoli rappresentavano l’alveo della Conoscenza e della più autentica elevazione umana, seppero sopravvivere come un fiume carsico, mantenendo accesa la fiaccola della Sapienza e preservando buona parte del proprio patrimonio di conoscenze, anche scientifiche, matematiche e astronomiche. Conoscenze che già riemersero e rifiorirono nel Medio Evo, anche grazie alla Scuola di Baghdad dell’ermetista, matematico e astronomo Thābit Ibn Qurra e alle straordinarie Scuole di erudizione della Spagna islamica (Cordova, Granada, Siviglia), che permisero la sopravvivenza di fondamentali trattati di età ellenistica. Conoscenze che si riversarono poi su tutta l’Europa, permettendo a molte Scuole misteriche dell’Occidente di rialzare la testa e di dare il fondamentale impulso per l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento.

    Come scrisse il grande esoterista irlandese John Heron Lepper, si potrebbe dire che l’esistenza di società segrete o chiuse, nelle quali certi insegnamenti o certe pratiche si trasmettono a persone scelte e sottoposte a prove, risponde ad una tendenza assai generale della natura umana. Ciò è indubbiamente vero, ma si tratta di una spiegazione non del tutto esaustiva, in quanto la nascita e la diffusione, nel mondo antico, di riti a carattere misterico, fondati sul principio della iniziazione quale prerogativa per l’accesso a determinate conoscenze, non può essere spiegabile esclusivamente in un’ottica antropologica e sociologica.

    Ezio D’Intra, nella sua introduzione all’edizione italiana dell’opera di Victor Magnien I Misteri di Eleusi, ha giustamente sottolineato che «l'uomo antico in genere, e le gerarchie spirituali di un tempo in ispecie, avevano accesso a esperienze del Sacro con una frequenza, una certezza e una lucidità che le rendevano assolutamente non paragonabili a quelle - monche, saltuarie e fuggevoli, oppure falsate da pregiudizi, o artificiosamente autoindotte da strane ginnastiche interiori - che costituiscono quella distesa, per lo più paludosa e malsana, dello spiritualismo moderno».

    Nel mondo classico e nell’antichità pre-cristiana l’uomo era più vicino agli Dei e, al contempo - in un reale scambio e connubio - gli Dei erano più vicini all’uomo. E proprio dagli Dei gli uomini avevano ricevuto precisi insegnamenti, regole e dottrine e le risposte ai più grandi quesiti che l’umanità, sin dalla sua uscita dalle caverne, aveva iniziato a porsi: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?

    E, proprio a proposito della Catena Aurea della trasmissione iniziatica e della salvaguardia della Tradizione Misterica, e della Prisca Philosofia, come da molti eruditi del passato tale com-plesso di conoscenze è stato definito, facendo adesso un balzo temporale che ci porterà dal V° fino al XV° secolo, non possiamo fare a meno di menzionare la figura ed il ruolo di Giorgio Gemisto Pletone, grandissimo Filosofo e umanista del Quattrocento e suprema guida degli Eleusini Pitagorici, nonché uno dei principali fautori e animatori del Rinascimento.

    Del ruolo avuto da Pletone, della sua storia personale e della particolare linea di trasmissione di cui fu erede, protagonista e continuatore (quella Pitagorica) ho parlato molto e dettagliatamente nel mio saggio Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta. Mi limiterò in questa sede ad affrontare esclusivamente alcuni aspetti del suo pensiero e dei suoi insegnamenti proprio in relazione all’indissolubile legame fra Filosofia, conoscenza scientifica e Tradizione Misterica.

    Giorgio Gemisto Pletone collegava i principi primi, gli stessi fondamenti del pensiero (λογικαί ἀρχαί) allo studio delle antichità, invitando quindi coloro che si avventuravano nello studio della Filosofia ad andare sempre alla fonte, alla sorgente, piuttosto che alle torbide acque della foce, ricercando quindi l’essenza di un’antica saggezza, sviscerandola dalle pericolose e fuorvianti contaminazioni successive. Egli esprimeva chiaramente il suo pensiero in questo passaggio, tratto dal Trattato delle Leggi:

    «Ecco i maestri che seguiamo tra i legislatori ed i sapienti: innanzi tutto il più antico il cui nome ci sia pervenuto, Zoroastro, che ha rivelato con la massima brillantezza ai Medi, ai Persiani e alla maggior parte degli antichi popoli dell’Asia la verità sulla Teologia e sulla maggior parte delle altre importanti questioni. Dopo di lui vengono, fra gli altri, Eumolpo, che ha istituito presso gli Ateniesi i Misteri Eleusini per insegnarvi l’immortalità del-l’anima; Minosse, legislatore dei Cretesi; Licurgo, degli Sparta-ni. Aggiungiamo Ifito e Numa, di cui il primo, insieme a Licurgo, istituì a Olimpia i Giochi (...), mentre il secondo dettò ai Romani un gran numero di leggi, la maggior parte

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