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Sofia è mio fratello
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E-book290 pagine4 ore

Sofia è mio fratello

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Info su questo ebook

Sofia è mio fratello è un romanzo che affronta il delicato tema della disforia di genere. Racconta infatti la storia di una ragazza – la Sofia del titolo – che durante l’adolescenza si rende conto di identificarsi nel sesso opposto a quello biologico relativo alla sua nascita. Scopre in altre parole di essere un transgender, un maschio intrappolato in un corpo femminile. La cosa getta nello sconforto i suoi genitori, che non avevano mai avuto a che fare con una situazione del genere, e non li aiuta nemmeno il contesto in cui vivono, un piccolo paese della Sardegna, che vive di pettegolezzi e pregiudizi. Sofia, che desidera cambiare il suo nome in Gabriele e assumere fattezze maschili, dovrà così affrontare un lungo percorso di terapie e burocrazia per trovare finalmente la pace interiore. Insieme a questa storia, inoltre, si sviluppa parallelamente il racconto di un viaggio del fratello maggiore Riccardo che, durante una vacanza in Provenza, perderà la testa per una giovane francese, riuscendo finalmente a superare il trauma per la fine di una tormentata storia durata cinque anni.
LinguaItaliano
Data di uscita13 mag 2019
ISBN9788831617116
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    Anteprima del libro

    Sofia è mio fratello - Levi P. Mumps

    Indice

    Uno

    Due

    Tre

    Quattro

    Cinque

    Sei

    Sette

    Otto

    Nove

    Dieci

    Undici

    Dodici

    Tredici

    Quattordici

    Quindici

    Sedici

    Diciassette

    Diciotto

    Diciannove

    Venti

    Ventuno

    Ventidue

    Ventitré

    Ventiquattro

    Venticinque

    Ventisei

    Ventisette

    Ventotto

    Ventinove

    Trenta

    Trentuno

    Epilogo

    Levi P. Mumps

    Sofia è mio fratello

    Youcanprint

    Titolo | Sofia è mio fratello

    Autore | Levi P. Mumps

    ISBN | 9788831617116

    Copyright House 2018 Levi P. Mumps

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    A mia moglie per i suoi preziosi consigli.

    A mia nipote, per la forza con cui ha affrontato la sua battaglia.

    Un romanzo ispirato ad una storia vera, dove la fantasia è intervenuta per smussare la realtà.

    Nomi, eventi e personaggi presenti nel libro sono frutto della libera espressione artistica dell’autore. Pertanto ogni riferimento a fatti, luoghi e persone realmente esistenti è del tutto casuale.

    Se anche ci fosse una sola famiglia a leggere questa storia,

    io avrò vinto.

    Personaggi

    Adeline Castel, la madamoiselle francese

    Adriano, un amico di Gabriele

    Agnese, che si chiamò Adriano

    Alessandra, la ragazza di Gabriele

    Alessio Gandolfi, medico di famiglia

    Amandine, amica d’infanzia di Adeline

    Angela, l’amica del cuore di Sofia

    Antoine, amico di famiglia di Adeline

    Bisou, il gatto di Adeline

    Cantoni, dottoressa psicoterapista

    Carla Azzena, compagna delle elementari di Sofia

    Carletto, compagno della scuola materna

    Carlotta Paciotti, la professoressa di Sofia al liceo

    Carmela, madre di Federica e nonna di Riccardo e di Gabriele

    Charlotte, madre di Adeline

    Cristopher, un compagno di corso di Gabriele

    Delia, ex fidanzata di Riccardo

    Don Fabio, il prete anziano

    Federica Giagoni, moglie di Lorenzo e madre di Sofia e Riccardo

    Gabriele Oggiano, il figlio minore di Lorenzo e Federica, fratello di Riccardo

    Gianna, madre di Lorenzo e nonna di Riccardo e Gabriele

    Gianni, Nicola, Marisa, gli amici del D.I.G.

    Gilda, maestra della scuola materna con mentalità del passato

    Helen, la madre ospitante straniera

    Lorenzo Oggiano, marito di Federica e padre di Sofia e Riccardo

    Luca e Gian Giacomo, amici d’infanzia di Lorenzo

    Lucio Derossi, l’endocrinologo di Gabriele

    Luigina, maestra anziana di scuola materna

    Marisa, maestra di scuola materna amata dai più piccoli

    Martina, compagna di banco di Sofia al primo anno di liceo

    Maurice Masse, agricoltore che avvistò l’UFO

    Mecotteri, dottoressa del centro D.I.G.

    Nicola, compagno del centro

    Paola, cognata di Federica e madre di Rachele

    Pasquale, il fidanzato di Sofia

    Patrizio, amico del cuore della scuola materna di Sofia

    Pierangelo, padre di Lorenzo, nonno di Riccardo e di Gabriele

    Pierre, padre di Adeline

    Rachele, la cugina di Gabriele e Riccardo

    Riccardo Oggiano, il figlio maggiore di Lorenzo e Federica, fratello di Gabriele

    Sofia, proprio lei

    Zia Lidia

    Zia Paola

    Zio Gianmario

    Zio Tullio

    Uno

    È tempo che i genitori insegnino presto ai giovani

    che nella diversità c’è bellezza e c’è forza.

    (Maya Angelou)

    «Mio Dio, Federica! Come dobbiamo chiamarla ora…?»

    «No! Io non ci riuscirò mai, sento dal profondo del mio cuore che mi verrà spontaneo pronunciare il suo nome… no! Proprio no. Quel nome che abbiamo deciso insieme seduti in riva al mare, fantasticando sulla sua nascita. Ricordi?»

    Lorenzo annuì. Lei continuò guardandolo di sottecchi: «Era una notte speciale, illuminata da una vivida luna, accarezzata dalla calura opprimente di agosto che ispirava il nostro desiderio. Era bellissimo e seducente quel nome, si librava nell’aria quando lo pronunciavi, come se le fosse sempre appartenuto.»

    Poi lei si raschiò la gola, asciugò una lacrima colata su una fievole ruga e si torturò il naso arrossato. Lui le allungò la mano, la strinse accarezzandola con il pollice, lei sospirò trafelata, appoggiando la testa sulla sua spalla. La cinse con le braccia, cercò di rassicurarla. Poi la mano di Lorenzo si levò ad accarezzarle i capelli. Lei indugiò, si tirò un po’ indietro e poi disse:

    «Sarò capace di amarla ancora? Riuscirò a provare gli stessi sentimenti che provavo prima, quando accedeva alle profondità della mia anima? Saranno gli stessi di prima, oppure dovrò far finta che lo siano?» continuò Federica con lo sguardo nel vuoto, chiudendo nel pugno stretto la medaglietta di preghiera di San Pio, che in certe occasioni teneva con sé per l’intera giornata. Si avvicinò ancora a Lorenzo, lo tirò a sé. Appoggiò la testa sul suo petto, e lo avvolse con le braccia.

    «Sì! Amore ci riusciremo, perché è nostra figlia, e sappiamo entrambi che i sentimenti più profondi a volte possono trarci in inganno, ma ricordati che sono comandati dallo stesso cuore che l’ha amata prima. Non credi?»

    «Che ne sarà della sua bellezza, della sua sensibilità, dell’acume del suo carattere che già si proiettava nel futuro?» rispose Federica con voce roca, poi ciondolò la testa e sprofondò nei suoi pensieri più reconditi.

    «Be’, non so cosa risponderti… non so se saremo tanto saggi, lungimiranti, con le dovute conoscenze e la giusta dose di sensibilità e serenità per affrontare la nostra vita futura, ma so per certo che ce la faremo» disse Lorenzo a ragione manifesta.

    «Va bene, vuol dire che imparerò ad amare con dolore.»

    Vissero quei giorni disprezzandosi e rimproverandosi di aver cercato una famiglia e di averla trovata con dei figli inadeguati. Insomma una torta in cui si erano dimenticate le uova nell’impasto, una lista della spesa senza segnare il pane, una ciambella con lo stesso gusto di sempre, ma senza il buco.

    Con questi pensieri, mi siedo alla mia scrivania, in lontananza vedo il mare mosso da una spumeggiante brezza che lo incalza, come il tempo che trascina via ogni timore, ogni debolezza e, con la mia solita indiscrezione, decido di affrontare il problema. Sì, voglio scrivere tutto, a costo di farmi male con le mie stesse mani. Confesso che in questi giorni Lorenzo e Federica attendono un giudizio. Quello probabilmente cambierà la vita, del loro figlio e dell’intera famiglia. Non so se avrò il coraggio di affrontare certi argomenti che toccano il cuore, i sentimenti, le ansie, la rabbia e la felicità, inglobati in una cultura e in una società impreparata e omologata nella consapevolezza del genere. Certo può essere che si tratti di una mia ossessione, ma in questo contesto e per queste circostanze mi rimetterò alla valutazione del lettore. Mi rendo conto che è necessario scrivere tutto, unire le parole, i periodi con i sentimenti e la mortificazione con i momenti più intimi della vita. Ritornare indietro a qualche anno fa sarà molto doloroso. Dovrò, soprattutto, usare la chiarezza, i momenti di vita e il realismo scientifico. Altrimenti nessuno potrà capire i giri di parole, l’esplicita esplosione di avvenimenti che hanno investito una famiglia come un treno in corsa. Non si può attraversare il nitore senza passare dal dolore, né la costernazione senza giungere alla dignità. Perciò sconfesserò l’indignazione di alcuni, varcherò la soglia della disperazione di molte persone e di famiglie intere, che leggendo queste righe potrebbero sentirsi offese. Ma spero che almeno una di esse trovi la forza di reagire.

    Sì! Voglio urlare come fece Paul McCartney e voglio azzardare il tono aggressivo di John Lennon quando assieme cantavano con i Beatles:

    Chi ha detto che i mali, quando vengono per nuocere, non sono mai soli e a volte arrivano uno dietro l’altro? Infatti non si sono fatti mancare nulla: sfigati, trombati, distratti, irascibili, depressi, incasinati e infine anche proprietari legittimi di un disturbo d’identità di genere.

    Ma anche se fosse così crediamo semplicemente al detto che non tutti i mali vengono per nuocere. Soprattutto uno di essi, se così può definirsi, perlomeno ha dato un senso alle tante sofferenze e incertezze ascose per anni. Anche se il turbamento ha sconvolto il loro equilibrio familiare, senza purtroppo venirne a capo in tempi ragionevoli. Ora hanno raggiunto la contezza e la vera ammissione di colpa, di non essere stati lungimiranti prima. Almeno su questo fronte si rasserenarono e attinsero linfa l’uno dall’altra, riuscendo a trovare la quasi azzardata parola, e non è un eufemismo, chiamata felicità. Accertarono, con grande soddisfazione e tranquillità d’animo, che non si trattava di chissà quale malattia morbosa professata da molti stolti e di cui si sarebbero dovuti vergognare, ma qualcosa di reale e normale che fa parte della vita stessa. Molti, ancora oggi, sputano sentenze discriminanti, bacchettano e deridono chi è investito di un disturbo tale. Pensano che tale affezione non sia risolvibile e colui che ne è affetto sia da emarginare buttandolo nella fossa dei lebbrosi: un’erbaccia da estirpare, prima che contagi gli altri sani e la moralità dell’intero nucleo familiare di coloro che vantano l’appellativo di famiglia perbene. Gli individui che ignorano e rifiutano la conoscenza di tale disturbo, voltano la testa dall’altra parte, affrontano il problema con dicotomica insensibilità. Sono convinti, nella loro incompetenza, di poter essere contaminati, o quantomeno, se sono in possesso di un quoziente intellettivo non superiore alla media, affermano che possa influire sulla sfera psicologica dei loro figli, e magari un giorno portarli a contrarre la medesima malattia… per cui meglio tenersi alla larga.

    Quel pomeriggio, forte del suo bagaglio di sensibilità, coraggio e forza d’animo, Sofia affrontò anche l’atteggiamento egocentrico del bietolone di suo zio Andrea, fratello di Lorenzo. Tra i due non correva buon sangue per questioni caratteriali e di incompatibilità su alcuni sani principi. Malgrado la sua condizione speciale, lei ostentava il suo solito sorriso cordiale, anche davanti alle vicissitudini più disparate che il destino le aveva iniquamente riservato. Si apprestava ad affrontare una delle più importanti sfide della sua vita. Nonostante ciò cercò di contenersi nell’elaborare pensieri inconsulti al momento della sua partenza. Si fece accompagnare dalla madre un pomeriggio dopo aver già preparato la valigia, inspirò profondamente, inghiottì la saliva ed entrò nella villa:

    «Ciao zio, sono venuta per salutarti, io sto per partire…»

    «Scusa se ti ricevo in mutande, madido di sudore, ma sto preparando la cena per gli ospiti di questa sera e con questo caldo, purtroppo sono ancora in alto mare… il sugo non è pronto, i tramezzini ancora da preparare, l’arrosto, i bambini da sistemare. Tua zia è uscita per fare una commissione, ma arriverà subito, sai com’è…» rispose Andrea con aria insofferente, turbato dall’inopportuna visita della nipote, anche se lui era già a conoscenza dello sconvolgimento che avveniva dentro il corpo di lei. Ma non le disse mai una parola sul suo stato, dopo averne appreso la notizia.

    «Non ti preoccupare zio, dammi un bacio velocemente, non smettere… continua pure a sbrigare le tue faccende che sono più importanti, tanto stavo proprio per andare via. Devo ancora fare le valigie» mentì, «volevo solo disturbarvi per un minuto, per salutare voi e i bambini» rispose sorniona Sofia con un leggero ghigno. Ma Andrea, sciatto e sempre pieno di sé – pensando al da farsi per gli ospiti che sarebbero giunti da un momento all’altro – non recepì la sfumatura e la sagacia della nipote.

    Il sorriso le scomparve dal volto e con grande dignità, ma con l’angoscia nel cuore, salutò i bambini che amava molto; non attese l’arrivo della zia e si allontanò da quella splendida e lussuosa casa, dall’atmosfera apatica e colma di indifferenza. Per lo zio forse la sua partenza era una liberazione – così non avrebbe dato scandalo, se magari improvvisamente l’avessero trovata in casa in coincidenza con qualche ospite di un certo spessore, al quale non poteva dare alcuna spiegazione che non destasse imbarazzo.

    Lo zio Andrea amava molto quel tipo di ospite, dal quale si faceva sfruttare senza che lui se ne accorgesse. Ma questa gente rappresentava una élite che gli dava forza e visibilità, che gradiva i suoi lanci di bottiglie di champagne dalla barca e i suoi barbecue nei giorni di festa. Insomma, proprio quel genere di persone che pensate. Ma presto o tardi, quando lui avesse avuto bisogno di loro, si sarebbero negati. La sua avidità e indifferenza offuscava la palese sofferenza interiore di Sofia. Lei soffriva quando percepiva l’emarginazione e l’indolenza di suo zio, i cui figli erano per lei l’unica fonte di sentimento amorevole che la legava ancora per un filo sottile a quella misera parentela di sangue. Be’, non si può misconoscere a Sofia che in momenti come questi pensò anche a una trasfusione di sangue per cancellare drasticamente ogni vincolo affettivo. Purtroppo i geni non poteva cambiarli, ma poteva sparire dalla sua vista. Per questi motivi riuscì a capire l’acredine che correva tra il padre e lo zio, nonostante i suoi tentativi di dissuadere il padre dal cattivo pensiero e dall’indignazione di aver avuto un fratello con tali sentimenti. Perciò le vennero in mente alcuni discorsi con il padre:

    «Tanto certe persone non cambiano, papà. Lascia perdere e non pensare ai suoi comportamenti. Altrimenti lui penserà che tu sia geloso della sua brillante carriera… e dei suoi soldi» ripeteva sempre Sofia al padre. E lui puntualmente le rispondeva:

    «Sai benissimo, tesoro, che tuo zio non pensa solo che io sia geloso di lui, ma che lo siano tutti. E inoltre pensa che tutti, attratti dalla sua agiatezza proveniente dal nulla, gli lancino degli anatemi malefici e il malocchio. Insomma oltre ad essere stronzo è anche fissato e ha le manie di persecuzione.»

    Poi lei ciondolava la testa e sorrideva ironicamente.

    Sofia si accomiatò con grazia e partì.

    Due

    Non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo, è la differenza di opinioni quella che rende possibile le corse dei cavalli.

    (Mark Twain)

    L’ultimo anno delle scuole elementari, Sofia rappresentava quella parte della classe più apprezzata dall’insegnante: sviluppo precoce, capelli lunghi, viso rotondo, pelle liscia color pesca, scaltra e diligente, e nonostante la sua tenera età, a giudizio dei suoi compagni maschi, aveva già le forme al punto giusto. La sua maestra era entusiasta delle sue capacità nell’esprimersi, della passione con cui scriveva un racconto e dell’impegno che profondeva nelle attività sportive: soprattutto nel calcio, ove primeggiava come promessa della prima squadra della scuola elementare. La sua passione comunque restava sempre quella di indossare la divisa da portiere: pantaloncini bianchi, comodi e corti, scarpette con i tacchetti e maglietta nera con il numero uno scritto sulla schiena.Alessandro Manzoni era il nome della scuola di Sofia, nel pieno centro di un paesino baciato dal sole della Gallura. Il rapporto con le compagne era enfatizzato dalla sua disponibilità e generosità, soprattutto quella didattica, che a volte scadeva in conflitti adolescenziali davanti alla cattiveria conclamata di alcune di esse. Così da rammaricarsi a volte, per aver collocato qualche ceffone davanti alle ingiustizie persistenti.

    Una splendida giornata di primavera, arrivò l’ora della supplente di italiano, un’insegnate del posto, che conosceva tutte le famiglie e le parentele di tutti. Visto che la classe era piuttosto indisciplinata, l’acquietò con la chiamata per l’appello. Iniziò dalla compagna di banco di Sofia, Carla Azzena, che rispose con una smorfia e un mezzo inchino. «Presente». Era la solita bambina esibizionista: convinta di essere anche la più brava e la più bella della classe, sempre con vestiti nuovi alla moda. Purtroppo si imprigionò presto nel tunnel della perfidia e delle cattiverie, anche se resta difficoltoso recepire tale termine nel descrivere una bambina di poco meno di undici anni. Purtroppo era la triste realtà. Poi la maestra proseguì l’appello e chiamò Sofia. «Chi è Sofia Oggiano?». Non la vedeva perché si era chinata a raccogliere la matita di Carla, che qualche secondo prima l’aveva buttata per terra appositamente per distrarla.

    «Sono io Sofia Oggiano, signora maestra» rispose concitata Sofia. Poi guardò Carla con gli occhi stretti, ridotti ad una piccola fessura.

    «Ti stavi nascondendo, Oggiano…»

    «No signora maestra, mi era caduta la matita per terra.»

    «Gli Oggiano…» indugiò, «per caso quelli di Tempio, sono tuoi parenti?»

    «Credo siano loro, signora maestra» rispose titubante e incerta, scavando velocemente nella memoria. Poi si ricordò di aver sentito un discorso tra il padre e la madre su una causa che stava seguendo proprio l’avvocato Andrea Oggiano. Lorenzo infatti in tale occasione aveva accennato a una lontana parentela. E poi, non voleva dimostrare alla maestra che non conosceva il suo parentato di Tempio Pausania.

    «Quindi tu sei parente di Lorenzo Oggiano e di Federica Giagoni, eh?»

    «Sì, signora maestra, sono i miei genitori» confermò.

    «Bene, bene» rispose la maestra, dimostrando dal tono e dall’ondeggiamento della testa che conosceva il padre e la madre perfettamente, anche se Sofia non sapeva se tale conoscenza le avrebbe giovato o meno. Si accomodò al suo posto con una sorta di dubbio e con l’amaro in bocca per lo scherzetto di Carla. Niente a che vedere con il sorriso con cui si era accomodata la compagna, dopo aver sbandierato di essere la figlia del professor Azzena.

    Be’, dovete sapere che Carla Azzena, quel giorno, non riuscendo a ottenete dalla compagna di banco la sbirciatina sulla soluzione di un problema piuttosto complesso, iniziò a disturbare Sofia, dandole il tormento con calci e graffi. Sofia, educata da Federica e Lorenzo a non sottostare mai alle provocazioni, desistette per almeno tre volte dal reagire alle angherie di quella bambina, viziata e con la puzza sotto al naso come le avevano insegnato ad essere i suoi genitori. Carla era addestrata a raggiugere sempre il suo scopo, anche calpestando gli altri se necessario, dietro la sua aria da dolce bambina acqua e sapone. Dopo l’ultima provocazione di Carla, resistendo alla tentazione di rifilarle uno scappellotto, Sofia sbottò. Le afferrò le braccia e gliele strinse fortemente, fissandola con gli occhi stretti pieni di rabbia, e le disse quasi in lacrime: «Devi smetterla di graffiarmi e farmi i dispetti!». Le lasciò i lividi ai polsi.

    Carla scoppiò a piangere con urla isteriche richiamando l’attenzione dell’insegnante: «Sofia mi ha picchiato!»

    Inutile raccontare che Sofia chinò la testa e non si giustificò davanti alla supplente, che non avrebbe certamente capito che la perfidia non ha età. Incassò energicamente il rimprovero, con relativa informativa ai genitori.

    Sofia aveva conosciuto Carla l’ultimo anno della scuola materna e la sorte volle unirle anche alle scuole elementari: nella stessa classe e nello stesso banco. In quarta elementare Sofia era considerata una ragazzina altruista e solare, di statura alta oltre la media delle compagne: il viso tondo, in cui spiccava il nasino piccolo e delicato, e una bocca carnosa. I suoi capelli castani erano folti e lisci, tirati indietro sulle spalle; era dotata di grandi potenzialità per le attività sportive e didattiche. Carla, invece, era il suo contrario, sia fisicamente che caratterialmente: un viso lungo e delicato con dei bei lineamenti, ma con orecchie grandi coperte da lunghi capelli lisci, magrissima e propensa già da piccola ad evidenziare le sue doti femminili. Si truccava di nascosto e metteva lo smalto. Di questo i genitori fingevano sin dalla prima elementare di arrabbiarsi; in realtà erano orgogliosi che una bambina così piccola già mettesse in evidenza un carattere del genere. Ma soprattutto voleva apparire la più simpatica e brava in tutte le attività scolastiche, a volte intervenendo a sproposito per attirare l’attenzione dell’insegnante. All’inizio della quinta elementare Sofia aveva già sviluppato il seno e i fianchi da adolescente. Un giorno di novembre, nel primo pomeriggio, una macchia rossa sancì l’inizio di una pubertà troppo precoce per essere accettata da se stessa. Quella giornata i due genitori non la dimenticarono mai. Fu una celebrazione e una disperazione allo stesso tempo. L’urlo rabbioso e assordante che lanciò Sofia dalla sua camera raggiunse spaventata Federica, che poi capì il problema e cercò di consolarla dandole le dovute indicazioni e raccomandazioni. Le spiegò che quello era l’inizio di una strada che presto l’avrebbe portata a diventare una donna, e che lei stessa, alla sua età aveva affrontato tale esperienza, che si chiamava ciclo mestruale, e che non era una brutta cosa. Insomma le solite spiegazioni e confessioni che una madre amorevole affronta con una figlia di dieci anni e mezzo. Lorenzo, angosciato e impreparato sulla questione, sentiva il pianto della figlia, seduto sulle scale fuori della cameretta. Si fece forza e cercò di fare la sua parte, rassicurando la sua bambina.

    «Quello che ti è successo è la dimostrazione che stai diventando grande e presto sarai una donna. Anche tua mamma ha avuto il ciclo alla tua età e non ha pianto così tanto» e così via, proseguì con le solite stronzate che un uomo può dire ad una figlia che sta entrando nell’adolescenza, senza capire un cazzo del vero problema. Anzi cercò di festeggiare l’avvenimento con proposte fuori luogo e non desiderate in quel momento. Fu buttato nuovamente fuori dalla cameretta e si sedette nuovamente sul primo gradino delle scale con la testa tra le mani e con un muso lungo un chilometro. Sofia pianse per tutto il pomeriggio, abbinando l’irrazionalità delle sue apparenti certezze con le contrapposizioni che si evidenziavano nel suo inconscio. Immagini disorganizzate e minacciose si materializzavano nella sua testa, proiettandosi come una laida mortificazione del suo corpo: qualcosa che la spaventava e la faceva sentire sporca. Nel lungo pianto accusava i genitori – che pur avendola preparata che quel giorno, prima o poi, sarebbe arrivato – di averle mentito sull’arrivo del ciclo mestruale, che le avevano promesso sarebbe arrivato dopo la quinta elementare, almeno all’inizio della prima media. Inveì ancora dicendo che a nessuna delle compagne era ancora arrivato, e che non era giusto ciò che la natura le stava arbitrariamente infliggendo. Come se le fosse stato sottratto un anno e mezzo di vita rispetto alle sue compagne,

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