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Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do: Dove vanno a finire i pensieri di una mamma nel suo correre quoitdiano?
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Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do: Dove vanno a finire i pensieri di una mamma nel suo correre quoitdiano?
E-book108 pagine1 ora

Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do: Dove vanno a finire i pensieri di una mamma nel suo correre quoitdiano?

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Info su questo ebook

“È vero sono stanca, non mi sono mai fermata, in questo periodo ho sempre cucinato, perché quando non lavoro cucino e invito a casa, ho bisogno che il mio cervello si spenga dalle luci dei traumi dei mie pazienti e si accendano solo le mie mani desiderose di creare cibi nuovi, di mescolare profumi, di comporre pietanze colorate, di unire dolcemente i miei familiari, il mio cervello deve lasciar spazio alla pura manovalanza, a quella casalinga un po’ frustrata che tutti i giorni viene chiusa in uno studio e sostituita da una tata che poco capisce ma tutto fa. In me si fa largo il bisogno in quei giorni di rimarcare il mio territorio, sono io la padrona di casa, sono io che cucino, che pulisco, che riordino, che decido chi entra e chi esce da casa mia, sono io che oltre a essere la regina della casa, sono anche la Befana, che il 6 gennaio di ogni anno si sveste di tutto e si traveste da vecchia ingobbita con un grande sacco pieno di calzette per i miei figli e i loro amichetti.”
LinguaItaliano
Data di uscita13 set 2022
ISBN9788869601613
Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do: Dove vanno a finire i pensieri di una mamma nel suo correre quoitdiano?

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    Anteprima del libro

    Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do - Chiara Gambino

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    www.altrimediaedizioni.com

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    Titolo dell’opera:

    Ninna Nanna Ninna Oh questa mamma a chi la do

    © 2022 Altrimedia Edizioni

    ISBN: 9788869601613

    © Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    Prima edizione digitale: Settembre 2022

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Prefazione

    Lorena Bianchetti

    Nella mia vita c’è un primo e un secondo tempo. C’è il prima e il dopo l’arrivo di Estelle. Lo ricordo ancora quell’istante, quando me l’hanno data in mano dopo il cesareo. I nostri occhi si sono incrociati e quell’attimo di luminosa eternità ha segnato lo start di una vita completamente nuova. 

    Sì, mia figlia mi ha cambiato la vita, l’ha stravolta, sviscerata, rivoluzionata, ribaltata, riempita, addolcita… mia figlia mi ha risvegliato alla vita. È arrivata dopo quasi quattro anni dal mio matrimonio, nel momento in cui mi ero messa l’anima in pace, in fondo avevo il mio lavoro, le mie amiche, i miei viaggi. Non mi potevo lamentare ma in realtà non sapevo esattamente cosa mi stavo perdendo. Per me la maternità è uno dei doni più belli che una donna possa avere. Borse firmate, successo, denaro o potere non possono colmare quell’infinito che, miracolosamente, si apre nel cuore per poi essere colorato e riscaldato d’amore. Ricordo la frase della mia ginecologa quando le comunicai l’esito positivo delle analisi: «Da oggi smetterai di essere tranquilla» e sorrise. Ne avvertii la gioia, ma forse non ne afferrai la verità della quotidianità. Per una donna un figlio è un prolungamento della sua pelle, dei suoi organi, del suo sangue, del suo respiro. Si respira nel figlio e un figlio respira nell’amore di una mamma. Proteggendolo, coccolandolo, bucando lo stomaco ogni qual volta una lacrima scende sul suo visino anche per un semplice capriccio. La maternità mi ha cambiata, tanto. Sono da una parte molto più forte, dall’altra molto più debole, più sensibile rispetto a tutto. Sento, sento tutto, oltre i muri, oltre il silenzio, oltre il cemento. Il mio cuore è sintonizzato su ogni sfumatura, accento o colore. E questo lo devo a Estelle. 

    Ma se la maternità dona chiavi di lettura sul mondo inaspettate, contemporaneamente praticità e rinunce. La rinuncia a vedere una casa in ordine, al rispetto di un obiettivo pianificato in agenda, al tempo libero con le amiche, alle cene fino a tarda sera per chiacchierare. Sapete a che ora vado a dormire? Alle 21.40, lasciando a metà una storia che le racconto accarezzando i capelli, abbracciandola fortemente a me e crollando appena mi ubriaco del suo respiro cullato dal sonno.

    La mia giornata è una corsa, continua, tra una riunione Zoom con la redazione e un nascondino consumato con lei prima di inviare qualche mail.

    È un risveglio ogni ora di notte per controllare che non si sia scoperta per il caldo. È un fingere tranquillità quando la vedo correre tra gli spigoli di casa per non trasmetterle allarmismi. È parlarle con dolcezza dopo qualche arrabbiatura o stress sul lavoro. È farla giocare con i palloncini o ad acchiapparella subito dopo la diretta. È dare il massimo anche mentre scende l’adrenalina alla fine della trasmissione per non deludere la sua attesa.

    Essere mamma è essere Wonder Woman, è essere altro dalle comodità presentate da questa società ma è qualcosa che non ha eguali e Chiara Gambino in questo libro lo racconta molto bene. I suoi racconti sono uno spaccato di verità, di autenticità della vita di una mamma. Ognuna può ritrovarsi in quello che scrive. Ognuno può bere velocemente gli stati d’animo che propone. Le sue parole non lasciano respiro, coinvolgono con il desiderio di vedere come va a finire, proprio come nei film in cui un eroe affronta varie peripezie. Si sa che ce la farà ma lo spettatore è sempre con il fiato sospeso.

    È così, le mamme sono un po’ quell’eroe, saltano muri, distraggono mostri e coccodrilli feroci. Volano tra i grattacieli, si tuffano dalle cascate senza farsi nulla e vincono, vincono sempre. O quasi, dipende anche da chi le circonda. Eh sì, perché una mamma ha l’energia di un supereroe ma se lo spettatore è dalla sua parte lei non si sente sola e respira. Recupera energie. Io sono stata molto fortunata, ho un marito speciale, presente. Un uomo che vuole essere un vero padre. Ho una mamma che mi ha insegnato a essere mamma, che mi aiuta, sempre, soprattutto quando lavoro, un fratello che è uno zio adorabile ma non sempre è questa la cornice.

    Questa società non è a misura di maternità, quasi mai. E allora le donne spesso rinunciano, spesso sono ingoiate da quel mostro che loro non riescono a strozzare. Spesso sono un intralcio a questo mondo che sembra prendere in considerazione una persona solo se produce denaro, solo se è macchina utile al profitto.

    E allora arriva l’inverno, sì quello demografico che, di certo, non scalda non solo il presente ma anche il futuro, quello delle nuove generazioni.

    Introduzione

    Tre figli, triplo amore, triple gioie e dolori, tripli salti mortali, tripli bicipiti per sorreggere tutto.

    A volte penso alla mia vita come ai pensili di una cucina a incastro costruita al millimetro. Per far sì che tutto sia in armonia, ogni pezzo deve essere perfettamente incastrato e calibrato, così il mio tempo, che diviene per me una variabile da sfruttare all’ennesima potenza – un secondo sprecato è già un lusso troppo grande e così ogni cosa, ogni impegno, ogni progetto, ogni desiderio, ogni dovere e ogni piacere trova la sua precisa collocazione in uno di questi pensili. Le giornate sono scandite secondo gli orari e i minuti della mia agenda che parte dalle sette del mattino fino alle 8 di sera e verso l’infinito e oltre.

    Tutto da fuori sembra perfetto ma, regolarmente come tutte le cose della vita che noi ci affanniamo invano a controllare, accade sempre qualcosa che ci fa saltare i piani, che sposta le mensole e i pensili di qualche millimetro se non a volte di qualche centimetro o più. In tal caso, la cucina a incastro al millimetro patinata da rivista diviene una di quelle cucine vissute un po’ più sgangherate, in disordine e scapigliate dove l’odore di arrosto e gli schizzi di sugo sulle piastrelle bianche si mescolano al sapore intenso delle emozioni che attraversano l’esistenza.

    Nel mio correre quotidiano, che è il correre di tutte le mamme che oggi oltre alla famiglia hanno anche la pretesa di realizzarsi sul piano lavorativo e di inseguire i propri sogni e passioni, c’è il ritmo beffardo del tempo che mi insegue sghignazzando e prendendomi in giro urlandomi: «Tu non puoi allungarmi, non puoi trasformarmi, non puoi dilatarmi, chi sei tu per affermare che un giorno duri più di 24 ore?» E io impettita e risentita gli rispondo: «E chi sei tu per impormi le tue regole e restrizioni, io sono la padrona del mio tempo, il tempo è relativo, lo dice anche Einstein!»

    E mentre litigo con il tempo per cercare di incastrare tutto e fare tutto ciò che è inserito nei miei programmi, il tempo si diverte a farmi a volte degli sgambetti terribili che mi fanno scivolare a terra in modo fantozziano, insieme ai miei pensieri, che con me corrono la mia maratona quotidiana.

    Noi mamme siamo abituate a portare conforto, a trovare soluzioni, a coccolare, ad accudire, a cantare ninne nanne per ore intere nella speranza di placare quel diavoletto calcitrante che ci ritroviamo in braccio e poi a trovare le parole più o meno giuste mano a mano che i figli crescono e gli impegni montano come la panna.

    Ma chi si occupa dei nostri pensieri, dei nostri affanni? E dopo tanto cercare conforto nella mamma, nel compagno, nei figli, nelle amiche, in Tizio o Caio, giunge un momento nella vita di noi donne in cui si comprende che sei sempre e solo tu la figura di riferimento principale, quella mamma buona che può occuparsi di quella piccola

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