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I tre moschettieri e Vent'anni dopo
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I tre moschettieri e Vent'anni dopo
E-book2.045 pagine28 ore

I tre moschettieri e Vent'anni dopo

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Info su questo ebook

Introduzione e premesse di Francesco Perfetti
Traduzione di Luca Premi
Edizioni integrali

Primi due romanzi del ciclo dedicato alle avventure del celebre corpo militare francese, I tre moschettieri, fresco e vivace, lieve e seducente, e Vent’anni dopo, riflessivo e malinconico, raccontano con eccezionale gusto dell’intreccio e con un ritmo narrativo trascinante le imprese di d’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis sullo sfondo della Francia, prima di Luigi XII e di Richelieu, e poi di Mazzarino e Anna d’Austria. Gli intrighi, i complotti, le macchinazioni, i misteri, le avventure galanti della corte francese del XVII secolo fanno da cornice a una narrazione avvincente, ricca di colpi di scena.


Alexandre Dumas

(1802-1870) fu uno degli scrittori più popolari della sua epoca. Autore eccezionalmente fecondo, ha legato il suo nome a più di trecento opere di narrativa (oltre al celebre ciclo de I tre moschettieri, ricordiamo Il Conte di Montecristo, La regina Margot, La Sanfelice, Il tulipano nero), di saggistica, di teatro e di viaggio, molte delle quali destinate a non tramontare, ancora oggi lette e amate in tutto il mondo da milioni di lettori. Di Dumas la Newton Compton ha pubblicato: I tre moschettieri e Vent’anni dopo, Il Visconte di Bragelonne, Il Conte di Montecristo, Garibaldi, Robin Hood, Il tulipano nero, La regina Margot e I Borgia.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854141797
I tre moschettieri e Vent'anni dopo
Autore

Alexandre Dumas

Frequently imitated but rarely surpassed, Dumas is one of the best known French writers and a master of ripping yarns full of fearless heroes, poisonous ladies and swashbuckling adventurers. his other novels include The Three Musketeers and The Man in the Iron Mask, which have sold millions of copies and been made into countless TV and film adaptions.

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    Anteprima del libro

    I tre moschettieri e Vent'anni dopo - Alexandre Dumas

    381

    Titolo originale: Les Trois Mousquetaires, Vingt Ans après

    Traduzione di Luca Premi

    Prima edizione ebook: agosto 2012

    © 1993, 2006 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-4179-7

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Alexandre Dumas

    I tre moschettieri

    e

    Vent’anni dopo

    Introduzione generale e premesse di Francesco Perfetti

    Edizioni integrali

    Newton Compton editori

    Introduzione

    Romanziere tra i più prolifici e amati, caposcuola del teatro romantico dell’Ottocento europeo, scrittore di viaggi, saggista, giornalista, polemista, memorialista, Alexandre Dumas è, ancora oggi, uno degli autori più letti nel mondo, anche se, ma ingiustamente, non dei più apprezzati dalla critica ufficiale, accademica e togata. La sua produzione è sterminata e conta centinaia di titoli di opere di varia natura: l’edizione completa dei suoi scritti, pubblicata fra il 1846 e il 1877 presso gli editori parigini Lévy Frères, comprende 301 volumi. Il pubblico non gli ha mai lesinato il proprio favore e basterebbe questa semplice constatazione per assicurargli un posto di rilievo, più che degno, nella storia della letteratura. Presentando una bella edizione del ciclo dei moschettieri, un assai elegante e accorto scrittore francese, André Maurois - autore anche di un suggestivo e importante lavoro biografico sull’intera famiglia Dumas¹ — ha sostenuto la tesi che una generazione può sì sbagliarsi nel conferire la patente di vitalità perenne a un’opera o a un autore di cui si è infatuata, ma ha aggiunto che difficilmente cinque o sei generazioni possono cadere vittima del medesimo abbaglio. E il nostro maggiore francesista, Giovanni Macchia, ha riconosciuto che Dumas è un personaggio straordinario, la cui produzione è di una mole immensa e tale da ridurre all’impotenza anche i critici più velenosi². Eppure, probabilmente per una sorta di incomprensibile snobismo letterario, l’opera di Dumas, che solo nel Novecento - più in particolare nell’ultimo mezzo secolo, a cominciare proprio dal rammentato lavoro di Maurois e dalla biografia, di poco precedente, di Henri Clouard³ — è divenuta oggetto di un’attenta revisione critica giunta ad assimilarla ad un autentico valore nazionale da difendere e diffondere, non ha ancora trovato nei manuali di storia della letteratura francese quel posto che le dovrebbe competere.

    Poligrafo di incredibile ed eccezionale versatilità, capace di transitare agevolmente da un genere letterario all’altro, Dumas è una forza della natura, un vero e proprio prodigio, la cui stupefacente capacità di lavoro è il precipitato di una energia innata, istintiva ed eccitante, che, di fronte alla pagina bianca, si traduce in un felice, incontenibile, spumeggiante, brioso estro narrativo. La sua stessa personalità, sanguigna e passionale, generosa e prorompente, estroversa ed esuberante, allegra e turbolenta si sviluppa all’insegna dell’eccesso, come testimoniano lo smodato amore per la buona cucina, l’intensa attività erotico-sentimentale che gli fa collezionare centinaia di amori più o meno effimeri, la facilità con cui accumula e distrugge fortune, la tenacia che lo spinge in imprese giornalistiche senza futuro, il desiderio di conoscenza che lo porta a vagabondare in tutti i paesi europei, lo spirito d’avventura che gli fa attraversare, e non da semplice spettatore, le rivoluzioni politiche e letterarie del tempo. La sua stessa biografìa si sviluppa come un romanzo, un lungo e appassionante romanzo, dalle mille e una avventure, che nulla, o ben poco, ha da invidiare alle storie partorite dalla sua fertile fantasia.

    Alexandre Dumas nacque il 24 luglio 1802 nella placida cittadina di Ville-res-Cotterets, nei pressi di Soissons, da Thomas Alexandre Dumas-Davy de la Pailletterie, un generale distintosi nelle guerre della Rivoluzione, e da Marie Luise Lambert, figlia del comandante della Guardia Nazionale del paese. Il padre era figlio illegittimo di un ufficiale del regio corpo di artiglieria, Alexandre Davy marchese de la Pailletterie, che, giunto sul limitare dei cinquantanni e lasciato il servizio militare, si era ritirato a Santo Domingo, dove aveva acquistato una piantagione di canna da zucchero. Qui, appunto, era nato il futuro generale, frutto degli amori dell’orgoglioso aristocratico, la cui famiglia aveva raggiunto onore e ricchezza all’epoca di Luigi XIV, con una bella schiava negra di nome Marie- Cesseti e, chiamata, prima, la «Marie du mas», cioè del maso o fattoria, poi, più semplicemente, «Marie Dumas». Il piccolo bastardo ereditò dal padre il nome di battesimo, Alexandre, ma non il cognome, che poté aggiungere a quello di Dumas soltanto in seguito. Abbracciata la carriera militare, si distinse durante tutto il periodo delle guerre rivoluzionarie e fu al fianco di Napoleone durante le campagne d’Italia e d’Egitto. Di convinzioni intransigentemente repubblicane, ruppe però clamorosamente con il Bonaparte, che vedeva come un potenziale dittatore, e fu costretto a ritirarsi, senza neppure il minimo della pensione, a Villeres- Cotterets dove, minato nel fìsico per un periodo trascorso nelle carceri borboniche, visse dedicandosi alla caccia e alla famiglia fino al 26 febbraio 1806, quando morì lasciando orfano il piccolo Alexandre.

    Il futuro scrittore, nipote di un marchese sia pure di nobiltà non troppo antica (il marchesato era stato concesso alla famiglia Davy nel 1669) e figlio di un generale famoso sia pure caduto in disgrazia, trascorse un’infanzia tutt’altro che agiata, dal momento che la madre riusciva a stento a tirare avanti con i proventi di un rivendita di sali e tabacchi di cui amici di famiglia erano riusciti a farle avere la concessione. Pigro negli studi, ma vivace, esuberante e intelligente, divideva il tempo tra una salutare vita all’aria aperta, girovagando nei boschi come un selvaggio, e le visite, nella vicina Villers-Hellon, al piccolo castello del suo tutore Collard dove aveva la possibilità di attingere, per le proprie letture, a una ricca biblioteca. Costretto dalle necessità economiche della famiglia a impiegarsi, appena quindicenne e con un misero salario, come ragazzo di studio presso il notaio del paese, il giovane Alexandre, irrequieto, insoddisfatto della propria situazione e già appassionato di teatro, si trasferì, raggiunti i diciotto anni, a Parigi, dove, dietro raccomandazione del generale Fay, amico della madre, trovò un impiego fisso al Palais Royal, nella segreteria del duca d’Orléans, il futuro re Luigi Filippo.

    Nella capitale, tra avventure galanti - dalla relazione con una bella ricamatricebionda, Catherine Labay, ebbe, il 27 luglio 1824, un figlio, anch’egli chiamato Alexandre, che avrebbe riconosciuto qualche anno più tardi e che sarebbe, pure, divenuto celebre scrittore - e frequentazioni mondane, tra serate teatrali e conversazioni letterarie, Dumas entrò in stretto e diretto contatto con l’effervescente mondo culturale parigino alle prese allora con le controversie teoriche, le diatribe ideologiche e le logomachie sul romanticismo e sulla poetica romantica. Conosciuto casualmente, in occasione di una serata teatrale, Charles Nodier, responsabile della grande biblioteca dell’Arsenal, il giovane segretario del duca d’Orléans cominciò a frequentarne la casa e le riunioni da questi organizzate, nel corso delle quali, in una singolarissima commistione di propositi letterari e intenti ludici che rinverdiva l’antica e gloriosa tradizione dei salotti culturali francesi, si incontravano e si confrontavano, discutevano e argomentavano personaggi di rilievo come Alphonse de Lamartine, Victor Hugo, Alfred de Vigny, Alfred de Musset, Théophile Gautier, Sainte Beuve e tanti altri, non esclusi pittori, scultori, artisti. In una tale atmosfera protoromantica, feconda di umori e piena di fermenti, calda e appassionata, estremamente variegata nell’approccio stesso, interpretativo e definitorio, al nascente movimento romantico, il giovane Dumas si trovò a proprio agio. La vivacità, l’esuberanza, la simpatia umana, la facondia di parola ne fecero ben presto una presenza ricercata, che animò non solo le riunioni domenicali del Salón de l’Arsenal, ma anche il salotto della colta e affascinante Mèlanie Waldor, presto divenuta sua amante, e gli incontri del Cènacle, fucina dei tentativi di ricondurre sincréticamente a unità i diversi rivoli del romanticismo francese.

    Primo, e mai obliato, amore di Dumas, il teatro fu la strada che egli imboccò per fare l’ingresso ufficiale nel mondo delle lettere. Esordì - insieme all’amico Adolphe Leuben, uno svedese il cui padre era stato implicato nell’uccisione di Gustavo in e che aveva conosciuto a Villeres-Cotterets, e insieme ad altri coautori, come Lassagne e Vulpian - con dei vaudevilles, che furono rappresentati con discreto successo, ma si orientò ben presto verso il dramma storico. Era convinto, già allora, della fecondità della «ricchezza di intrighi» proposta dalla storia alla riflessione e all’immaginazione letteraria e pensava che l’aggiunta di «superuomini» o, per meglio dire, di uomini dotati di poteri e qualità soprannaturali ai personaggi veri, o verosimili, di una qualsiasi vicenda potesse offrire allo scrittore non solo un’ottima materia per l’elaborazione narrativa o drammatica, ma anche una buona opportunità per rendere palesi le proprie convinzioni filosofiche e politiche⁴. L’interesse per la storia, insomma, per una storia di fatti e di intrighi, di amori e di passioni, di avvenimenti pubblici e di eventi privati, per una storia sotterranea che procede parallelamente alla storia ufficiale; quell’interesse, che avrebbe trovato la più completa realizzazione sul terreno narrativo e saggistico, era connaturato, fin dagli esordi letterari, alla personalità del giovane Dumas ed era, altresì, funzionale alle tematiche e alle modalità di evoluzione di un certo romanticismo francese, le cui linee di sviluppo si identificavano con la storia della borghesia⁵ ed i cui capisaldi teorici, per quel che attiene il teatro, erano stati sistematizzati, nel 1827, da Victor Hugo nella Préface ad un suo, peraltro irrappresentabile, dramma storico, Cromwell, affollato da sessantasei personaggi e duecento comparse⁶. In essa, il futuro autore di Les Misérables attribuiva al dramma storico, sublimato dalla trasfigurazione artistica, il compito di riflettere tutto ciò che esisteva nel mondo, nella storia, nella vita, nell’uomo e assegnava all’arte la funzione dì sfogliare i secoli, di interrogare le cronache, di riprodurre nei costumi e nei caratteri la realtà dei fatti, di restaurare insomma quel che gli annalisti avevano tralasciato colmandone le lacune con il ricorso ad una immaginazione che recuperasse sapore e colore del tempo trascorso. Dumas - la cui propensione per la storia anche minuta, la cui curiosità per i risvolti più nascosti delle vicende, il cui gusto per l’intreccio articolato e per tutto ciò che coinvolgeva sentimenti e passioni spinte all’eccesso costituivano una caratteristica della sua personalità non soltanto intellettuale - non poteva non riconoscersi appieno in questa concezione, tanto più che le frequentazioni mondano-letterarie del mondo culturale parigino lo avevano posto a stretto contatto con i centri di elaborazione teorica della sensibilità e delle tematiche romantiche. lì suo drammastorico d’esordio, Christine à Fontainebleau, scritto nel 1828, incentrato sulla fosca e audace vicenda della regina di Svezia che fa uccidere il proprio amante Monaldeschi, rispondeva a questi canoni. Tragedia in versi, in cinque atti, il lavoro era piaciuto al barone Taylor, commissario reale del Théâtre Français (cioè la Comédie), cui era stato sottoposto per interessamento di Nodier, ma non potè essere rappresentato per noie con la censura ed ebbe ronore della ribalta solo due anni dopo, rivisto e modificato anche nel titolo, divenuto Stockholm, Fontainebleau et Rome, trilogie dramatique sur la vie de Christine, quando il trionfo del dramma in prosa, Henri m et sa court (1829), lo aveva già consacrato autore di successo. Per la stesura di quest’ultimo dramma incentrato sui tenebrosi intrighi che sconvolsero la corte francese al tempo delle guerre di religione - sulla cui natura e collocazione gli studiosi sono tuttora discordi, divisi tra quanti, come Mario Bonfantini, ne sottolineano la dimensione romantica o protoromantica sostenuta da sicuro istinto teatrale e da convincente immediatezza espressiva⁷, e quanti, come Silvio D’Amico, lo riconducono a un filone che affonda le proprie radici in Shakespeare, Goethe, Schiller e Scott e negano che abbia portato a livello di poesia il teatro romantico francese⁸ — Dumas attinse a uno studio su Enrico III di un modesto storico del Settecento, Louis-Pierre Anquetil (1723- 1806) e a cronache di incerta e discutibile attendibilità. Su un terreno più propriamente romantico, almeno sotto il profilo delle passioni travolgenti e alogiche che lo attraversano, non supportato, questa volta, dal ricorso a cronache storiche ma sostenuto dalla memoria autobiografica degli amori con Mélanie Waldor, fu il secondo grande successo teatrale di Dumas, il dramma in prosa, Anthony (1831), considerato uno dei capisaldi della drammaturgia romantica francese. Il ritorno alla storia, sia pure ad una storia affatto particolare i cui confini si stemperano e si confondono nei contorni di un passato leggendario e mitico, avvenne con la rappresentazione, nel 1832, del dramma in prosa in cinque atti La Tour de Nesle, scrìtto in collaborazione con Frédéric Gaillardet: Dumas ne ricavò il soggetto da un complesso di truci leggende, di testi cronachistici più o meno apocrifi, di riferimenti letterari e storici legati alle fosche vicende che avrebbero avuto luogo in questa celebre torre medievale, eretta sulle rive della Senna e demolita nel 1663, dove sarebbero maturati e sarebbero stati consumati i disinvolti amori e gli infernali intrighi di Margherita di Borgogna, la disinibita consorte di Luigi X, fatta uccidere, probabilmente per ordine del marito, prigioniera nel castello di Gaillard. Su un troncone di vicende già di per sé assai romanzesche, che avevano attirato, in precedenza, l’attenzione e la fantasia di Villon e di Brantôme, Dumas innestò un fitto reticolo di tresche, di delitti, di avventure, di amori, di efferatezze, destinato ad entusiasmare il pubblico parigino. Anche, in qualche modo, collegata a una dimensione, per così dire, storica, aggrappata, cioè, a un dato reale che ne costituisce lo spunto per l’elaborazione artistica è un ’altra celeberrima opera teatrale di Dumas, Kean ou Désordre et génie, rappresentata nel 1836 e incentrata su un particolare episodio della vita di un grande attore inglese, Edmond Kean, rinomato, sì, per le interpretazioni shakespeariane, ma celebre, pure, per la sua esistenza disordinata e dissoluta. Con questo lavoro si conclude, in un certo senso, una prima fase della produzione letteraria e artìstica di Dumas: è la fase in cui l’interesse dello scrittore francese è concentrato, dal punto di vista creativo, soprattutto, se non esclusivamente, sul teatro, dal momento che le escursioni in altri terreni artistici, dalla poesia alla narrativa (fatta eccezione per la letteratura di viaggio, che attiene a tutt’altra dimensione), appaiono episodiche e del tutto marginali. È peraltro vero che Dumas - e lo si vedrà concretamente di lì a qualche anno ancor più con la creazione del Théâtre Historique che non con la sua fluviale produzione di testi drammatici - non dismise, certo, mai il suo primigenio interesse per il teatro, ma è anche indiscutibilmente vero che, da allora in poi, e nella grande maggioranza, i testi che egli elaborò per le scene furono, pur nel rispetto delle regole e delle tematiche romantiche, di carattere storico e spesso in gran parte dipendenti dai suoi romanzi di maggiore successo. Del Dumas autore teatrale - indipendentemente dai giudizi che possono essere formulati, in positivo, sull’efficacia della dimensione dialogica e sulla rapidità delle azioni sceniche e, in negativo, sulla semplificazione delle psicologie dei protagonisti o sulla inverosimiglianza di talune situazioni - potrà ben dirsi, come ha fatto Descotes, che fu il primo, in Francia, a trovare la giusta formula teatrale capace di dare vita al dramma storico che, pure, non era del tutto assente dalla tradizione letteraria francese⁹.

    Mentre Dumas mieteva successi come autore di teatro e furoreggiava - giovane di bell’aspetto, alto e robusto, occhi chiari e penetranti, capelli crespi, di umore cameratesco e di facile eloquio - nei salotti letterari e mondani e nelle alcove più disparate, la Francia stava attraversando, dal punto di vista politico e istituzionale, un momento particolarmente delicato, era ad una svolta storica. La Restaurazione, prima di Luigi XVIII e poi di Carlo X, si era rapidamente esaurita: si era risolta, di fatto, in una «monarchia limitata», nella quale istanze rappresentative coesistevano con l’accentramento nella persona del sovrano di tutto il potere dello Stato, ma la legittimità cui si era richiamata era ancora quella della «monarchia assoluta» dell’epoca prerivoluzionaria. La rivoluzione parigina del luglio 1830, portando all’abdicazione di Carlo X e all’assunzione al trono di Luigi Filippo, non aveva significato soltanto un mutamento dinastico, il passaggio dai Borbone agli Orléans, quanto piuttosto, nella sostanza politica, un profondo cambiamento: la «monarchia borghese», come fu chiamata, era un regime pervaso da uno spirito nuovo, una «monarchia costituzionale» nella quale la sovranità non era più, quanto a natura, quella della tradizione monarchica francese, ma era esterna al re e apparteneva alla nazione che la delegava al sovrano¹⁰. Dumas, il quale, come si è visto, appena giunto a Parigi, aveva trovato un impiego nella segreteria del futuro Luigi Filippo, prese, subito, parte attiva alle giornate rivoluzionarie di luglio guidando, fucile a tracolla, un pugno di volontari sulle barricate parigine, recandosi in provincia alla ricerca di munizioni e polvere da sparo, cercando di costituire una Guardia Nazionale in Vandea. Convinto che la propria partecipazione ai moti rivoluzionari di luglio dovesse essere ricompensata almeno con un posto di ministro, si fece ricevere dall’antico datore di lavoro, ma il «re borghese» — che, pure, l’anno precedente, aveva manifestato concretamente la sua simpatia per il giovane scrittore al punto da modificare i propri impegni per fargli cosa gradita e accedere alla richiesta di presenziare alla prima di Henri III et sa court —, non ritenne opportuno avvalersi della sua collaborazione politica. Deluso e irritato, risentito e amareggiato, Dumas tacciò il sovrano di ingratitudine lo accusò di voler escludere dalla gestione del potere la gioventù generosa, ardente, lavoratrice, proletaria, cui doveva, a suo parere, il trono e, per lenire la propria amarezza, tra mugugni e recriminazioni, si immerse, oltre che in un lavoro frenetico cui si debbono i ricordati successi teatrali, in una attività politica di risulta, che nel 1832 lo vedrà coinvolto nel velleitario tentativo di sommossa repubblicana nei quartieri orientali di Parigi, e nelle sempre più numerose imprese amatorie e avventure galanti. Tra le sue «conquiste» di questo periodo, a parte il caso di Mélanie Waldor, un cenno meritano, almeno, Bell Krebsamer, attrice nota come M.lle Mélanie, che nel 1831 gli darà una figlia, Marie-Alexandrine, e Marguerite Ferrand, un’altra attrice, in arte Ida Ferrier, che in seguito, nel 1840, riuscirà persino a farsi sposare, anche se il matrimonio si esaurirà nel giro di pochi anni. La Ferrier, donna intelligente ed energica, accorta e benestante, colta e capace di ben figurare in società, ebbe per Dumas una certa importanza e per qualche tempo riuscì a fare un poco di ordine nella vita tumultuosa del suo amante: sul finire del 1832, Dumas si stabifi nella casa che la Ferrier aveva fatto arredare per lui e dove, all’inizio dell’anno successivo, si tenne quel celebre ballo mascherato, ricordato in seguito come «gran ballo dei romantici» cui presero parte i personaggi più noti della vita letteraria, ma anche artistica e politica del tempo, da Victor Hugo a Eugène Delacroix, da Alfred de Musset a Gioacchino Rossini, da La Fayette a Frédérick Lemaitre.

    A partire dalla seconda metà degli anni Trenta - con l’eccezione di una prudente trasferta in Svizzera nel 1832, suggeritagli dai timori per l’incauto coinvolgimento nella ricordata agitazione repubblicana di giugno —, Dumas si dedicò a una intensa attività di viaggiatore e di giornalista. Le impressions de voyages, consegnate alle pagine di tanti periodici dell’epoca, a cominciare dalla Revue des Deux Mondes, e a quelle di tanti volumi - da Impressions de voyage, 1834-1837 a Quinze Jours au Sinai, 1839; da Excursions sur le bords du Rhin, 1841 a Midi de la France, 1841; da Un année a Florence, 1841 a Le Corricolo, 1843 - sono, probabilmente, per la freschezza e la levità della scrittura, per il gusto pettegolo dell’aneddoto, per la capacità di evocare immagini e sensazioni, da annoverare tra le sue cose più valide del periodo antecedente la grande stagione dei romanzi storici. Riferendosi proprio a queste note e registrazioni di viaggio, che egli considera il meglio di quanto Dumas scrisse nel decennio 1832-1842, Giansiro Ferrata osserva, concentrando in particolare la propria attenzione sulle pagine dedicate all’Italia:

    sono libri amabili e suggestivi, dove è rimasta interessante l’evocazione di un’Italia varia nei luoghi e nei tempi. Il Dumas viaggiatore-diarista può ricordarci molte volte Stendhal, in piccolo, sia pur in superficie ma esprimendosi con un’analoga freschezza di colore, di ritmo, d’aderenza immaginosa a un gran numero d’elementi vivaci, senza lasciarsi imporre restrizioni dalla sintassi tradizionale. Questo linguaggio aiuta certamente l’Italia di Dumas a prendere degli aspetti stendhaliani¹¹.

    Degli scritti di viaggio, in effetti, quelli dedicati all’Italia sono i più felici, i più vivi, i più attraenti, anche se il riferimento a Stendhal è pertinente fino a un certo punto e lo è, semmai, più per il volume su Firenze che non per quello, Le Corricolo, su Napoli, la cui piacevolezza e vitalità sono certamente dovute a una sorta di vera e propria consonanza intellettuale che Dumas riuscì a stabilire con la città partenopea.

    Tornato a Parigi nel settembre 1843, lasciando a Firenze la moglie (il matrimonio, che sarebbe stato ufficialmente sciolto l’anno successivo, era di fatto già finito), si ritirò in campagna, insieme al figlio, in una villa sontuosa e si dedicò a scrivere, a ritmo prodigioso, articoli, drammi, ma soprattutto romanzi, in particolare quei romanzi d’appendice, all’epoca di gran voga, garanzia di successo per numerosi giornali e manifestazione paradigmatica di un certo romanticismo, che, com’è stato osservato, esprimeva, in campo letterario, la transizione dal folclorico al popolare ed era funzionale a una società eterogenea, urbana, frammentata¹². Dumas divenne maestro incontrastato in questo genere, scalzando la popolarità di un autore assai ricco di inventiva ma grossolano, come Melchior-Frédéric Souliè, e facendo concorrenza a quella del più dotato, ma non più letterariamente valido, Eugène Sue. Pur nel rispetto delle regole canoniche del cosiddetto feuilleton, egli portò nel genere una forte nota innovativa, che segna il passaggio da un romanzo popolare basato sulla descrizione di situazioni pietose e terrificanti o sulla denuncia sociale a un romanzo popolare che trova, invece, nella storia il terreno di elezione e che privilegia il puro divertissement, lasciando da parte, o relegando in secondo piano, i contenuti e le istanze ideologico-politiche. Sotto questo profilo non sembra affatto accettabile la tesi prospettata da Antonio Gramsci, il quale, tentando una classificazione dei diversi tipi di romanzo popolare, accomuna Dumas a Ponson du Terrail in una categoria di scrittori i cui romanzi, «oltre al carattere storico» avrebbero «un carattere ideologico-politico, ma meno spiccato» di quello riscontrabile, per esempio, nelle opere di un Eugène Sue o, più avanti, di un Victor Hugo, espressione di una «tendenza democratica legata alle ideologie quarantottesche», dal momento che le«rappresentazioni storiche» dell’autore di Les Trois Mousquetaires sarebbero pervase da«sentimenti democratici generici e passivi» e si avvicinerebbero al «tipo "sentimentale"»¹³. Nelle opere narrative di Dumas, a ben vedere, non è possibile rintracciare discorsi moralistici, all’infuori delle naturali contrapposizioni bene-male e buoni-cattivi, né tanto meno messaggi di tipo politico e ideologico, tant’è vero che, per esempio, i romanzi del ciclo dei moschettieri - se proprio si volesse accedere a una lettura in tal senso - finirebbero per proporre una visione idealizzata, e tutto sommato positiva, dell’Ancien Regime.

    L’interesse di Dumas per la storia è autentico e genuino, ma per lui la storia è soprattutto materia che consente di creare una felice e avvincente trama narrativa, anche se, nei suoi propositi, il racconto - pur infiorato di personaggi di fantasia, pur caratterizzato da brusche accelerazioni temporali, pur arricchito di episodi verosimili ma improbabili o del tutto inventati, pur impinguato di situazioni rodomontesche - non dovrebbe tradire lo «spirito» di ciò che veramente accadde e dovrebbe lasciare, alla fin fine, al lettore un’idea, tutto sommato e in prima approssimazione, abbastanza plausibile del senso degli avvenimenti e dei caratteri di un’epoca. A chi lo accusava di violentare la storia, egli, con una fine autoironia, che era tratto caratteristico della sua personalità, ammetteva di farlo, ma aggiungeva che da quegli atti di violenza nascevano bambini bellissimi. La capacità di saper cogliere con sufficiente fedeltà «sostanziale» — malgrado le incongruenze cronologiche, gli scambi di persona, gli errori di datazione, gli accorpamenti di fatti tra loro assai lontani, le invenzioni di episodi funzionali all’intreccio narrativo - i tratti caratteriali di un’epoca storica e la personalità dei principali protagonisti è una dote di Dumas, sottolineata da diversi studiosi, letterati e storici¹⁴, ed è da porsi in rapporto con una larga utilizzazione di fonti memorialistiche. Un attento studioso dumasiano, Claude Schopp, ha giustamente fatto rilevare come Dumas sia convinto che queste ultime rappresentino la base di partenza di un nuovo modo di raccontare la storia e che abbiano, per il narratore, la funzione di umanizzare i semidei dell’Olimpo monarchico, rendendoli più veri, più vivi, più reali¹⁵. Una pagina di Dumas, contenuta nella Préface al volume Louis XIV et son siècle, opera di divulgazione storica, commissionatagli da Fellens e Dufour e pubblicata nel 1843, appare, sotto questo profilo, particolarmente significativa:

    Le memorie private ci hanno introdotto nell’intimità degli dèi della nostra monarchia; ci siamo resi conto che questi dèi, al pari di quelli dell’antichità, avevano, accanto a somme grandezze, un buon numero di piccole debolezze; che abbagliano gli occhi quando li si guarda da lontano, ma perdono parte del loro splendore quando riusciamo a insinuarci di soppiatto sotto l’ombra che essi proiettano. Infine, simili a quei giudici davanti ai quali erano portate le salme degli antichi faraoni e che, dopo averle coronate d’edera, spogliate dello scettro e del mantello regale, le giudicavano degne o indegne di sepoltura, noi abbiamo, a nostra volta, nella nostra giustizia o nella nostra collera, tolto la corona, lo scettro, il mantello ai sovrani morti e qualche volta persino ai re viventi, e abbiamo pronunciato su di essi quel giudizio irrevocabile dei tre giudici antichi, che non costituivano altro che il giudizio della posterità¹⁶.

    Ancora in un’altra assai gustosa prefazione a un romanzo, non dei migliori di Dumas, Les Compagnon de Jèhu (1857), ambientato nella Francia rivoluzionaria, è presentata - sotto forma di dialogo tra un erudito locale e il Dumas stesso, che si fìnge indirizzato a lui per ottenere i dati storici necessari al racconto delle imprese di quella Compagnia - la concezione che lo scrittore francese aveva dei rapporti fra storia e romanzo. In quella introduzione - che Benedetto Croce definì «veramente graziosa e degna ancora di esser letta, come non è il romanzo, uno dei più deboli tra quelli della decadenza letteraria di Dumas» e che «ribocca, da cima a fondo, di quella blague a lui consueta, disinvolta, spiritosa e briosa, e insieme ingenua e trasparente come di chi la dia a bere a se stesso prima che ai lettori»¹⁷ — Dumas sostiene, in garbato contraddittorio con l’interlocutore, la necessità, per scrivere il romanzo storico di «consulter les pièces historiques» e aggiunge di essere, egli, abituato a «faire des recherches très sérieuses». Nella prefazione dumasiana, circola ammiccante, sottintesa ma non troppo, l’idea che la storia debba essere scritta non tanto dagli eruditi e dagli storici, quanto piuttosto dai poeti e dai romanzieri, capaci di meglio cogliere e interpretare lo spirito del tempo. Che questo pensiero non sia neppure da prendere seriamente in considerazione, lo ribadisce ben bene, e senza equìvoci, Benedetto Croce commentando proprio questo gustoso dialogo e sottolineandone la vena sottilmente autoironica e scherzosa:

    Anche ai nostri giorni si odono ripetere queste scioccherie intorno alla storia che dovrebbe essere ricostruita da poeti e romanzieri, i quali possederebbero la miracolosa vista a ciò necessaria, ecc. Ma le si ripete con gonfia ciarlataneria, e perciò riescono tanto spiacevoli quanto piacevole era l’allegra blague del vecchio Dumas, che ancora riconduce sulle nostre labbra il sorriso meritato da chi ci diverte e si diverte¹⁸.

    Alexandre Dumas, insomma, non fu uno storico nel senso proprio del termine - e ne era ben consapevole - anche se era solito vantarsi di aver insegnato ai francesi più storia di quanto non avessero fatto e non facessero gli storici professionisti e togati. Si divertiva, e faceva divertire, con la storia, considerandola lo sfondo necessario sul quale tratteggiare grandi affreschi narrativi: e quello sfondo, quanto a colori se non a particolari, si preoccupava fosse il più possibile aderente alla realtà.

    Al romanzo storico, Dumas si dedicò, in maniera prevalente, se non esclusiva, a partire dalla metà, o poco prima, degli anni Quaranta. Nel 1842 fece una prima significativa e importante sortita in questo campo pubblicando Le Chevalier d’Harmental, centrato sulla congiura ordita dall’ambasciatore di Spagna Cellamare, insieme con il duca e la duchessa di Maine, per sostituire Filippo V di Spagna al duca d’Orléans, reggente di Francia durante la minore età di Luigi XV. Poco dopo, nel 1844, anno di svolta per la carriera letteraria di Dumas, apparve quello che è, forse, il più famoso dei suoi romanzi, Les Trois Mousquetaires, ambientato nella Francia di Richelieu e Luigi XIII e suggerito dalla lettura delle memorie apocrife di d’Artagnan. Incentrato sulle vicende di quest’ultimo e di altri tre moschettieri (Athos, Porthos, Aramis), il romanzo, ha osservato Giansiro Ferrata, si presenta come «una reincarnazione di fenomeni molto antichi» nel senso che è possibile rintracciarvi «una leggerissima specie di poema omerico legata in qualche misura a una serie di avvenimenti reali, ad una tradizione orale e al lavoro di scrittori più o meno sovrapposti l’uno all’altro»¹⁹. Esso fu seguito, nel 1845, da Vingt Ans après, ambientato durante il periodo, dominato dalla prepotente personalità di Mazzarino, dalla reggenza di Anna d’Austria, e, infine, nel 1848-1850 da Le Vicomte de Bragelonne, la cui vicenda si sviluppa durante il regno di Luigi XIV. Parlando di Les Trois Mousquetaires, Benedetto Croce, che di Dumas fu un grande ammiratore pur riconoscendo che le sue opere erano estranee alla poesia²⁰, ne sottolineava la piena godibilità:

    Da parte mia, non provo il rossore di cui altri sentirebbe inondato il volto nel dire che mi piacciono e giudico condotti con grande brio e spregiudicatezza i Trois Mousquetaires di Alessandro Dumas padre. Ancora molti li leggono e li godono senza nessun’offesa alla poesia, ma nascondono in seno il loro compiacimento come si fa per gli illeciti diletti; ed è bene incoraggiarli a deporre la falsa vergogna e il congiunto imbarazzo²¹.

    Dal canto suo, Umberto Eco - il quale, fra l’altro, si è, acutamente, soffermato su Les Trois Mousquetaires e ne ha analizzato con finezza la struttura narrativa alla luce di alcune regole di plausibilità del romanzo storico — presenza di personaggi immaginari che non facciano cose impossibili alla loro epoca e partecipazione integrante alla vicenda narrata di personaggi riconosciuti come storici, il cui operato nella trama narrativa, pur non riportato nei documenti e nelle enciclopedie, non risulti in contrasto con il dato storico²² —, Umberto Eco, si diceva, ha sottolineato la capacità del romanzo di incidere sul codice immaginativo dei lettori elevando personaggi e situazioni a livello tipico:

    I tre moschettieri non sarà un’opera d’arte nel senso che la moderna terminologia estetica conferisce a questo termine, e crocianamente si potrebbe definirla opera di letteratura, ma proprio in questi limiti — e fu proprio Croce a convenirne — è un’opera appassionante. Col suo plot ricco di immaginazione, di situazioni, di imprevisti e colpi di scena, con la sua verve e la sua vitalità, con l’astuzia grossolana ma agguerritissima con la quale l’artigiano Dumas dispone la sua vicenda, I tre moschettieri non solo si fa e si è fatto leggere, ma ha fornito al repertorio immaginativo dei lettori di due secoli una serie di figure e momenti che potremmo ben dire tipici, perché sono citabili, rievocabili, ricorrenti o identificabili ad esperienze comuni, in un certo senso e in un certo tipo di memoria popolare d’Artagnan vale Ulisse od Orlando paladino. Davanti ad una situazione in cui la complessità dell’intrigo venga risolta con picaresca spensieratezza, con baldanza acrobatica e innocente mancanza di scrupoli (e tuttavia con una animale positività) possiamo benissimo evocare d’Artagnan in luogo di Ulisse o viceversa: in particolari condizioni di spirito quello che verrà più facilmente alla memoria sarà proprio il guascone. E quando si dice «alla moschettiera», ecco un altro modo di far ricorso al tipo d’Artagnan²³.

    Al di là della malizia con la quale Antonio Gramsci individuò le origini del superuomo nietzschiano in alcuni dei personaggi dei romanzi popolari, in particolare, per quel che riguarda Les Trois Mousquetaires, in Athos²⁴, è fuor di dubbio che si possa consentire con l’osservazione di Filippo Burzio, il quale intravide, nella prima opera del ciclo dei moschettieri, una personificazione del mito dell’avventura, cioè di un qualche cosa di essenziale alla natura umana progressivamente straniatasi dalla vita moderna²⁵.

    A Les Trois Mousquetaires seguirono un numero davvero incredibile di romanzi storici a cominciare dal celeberrimo e fortunato Le Comte de Monte-Cristo (1845-1846), storia di un marinaio marsigliese, Edmond Dantès, che, imprigionato sotto la falsa accusa di essere un emissario bonapartista per quindici anni, dopo una rocambolesca evasione, entra in possesso del tesoro di Montecristo e realizza inesorabilmente la sua vendetta. Più o meno contemporaneamente, furono pubblicati, fra gli altri, per non ricordarne che alcuni dei più famosi, La Reine Margot (1845), ambientato all’epoca delle sanguinose lotte di religione nella Francia di Carlo IX; Le Chevalier de la Maison-Rouge (1845-1846), che si svolge nell’anno del Terrore e racconta la storia di un velleitario tentativo di sottrarre Maria Antonietta alla ghigliottina; Joseph Balsamo (1846-1848), che narra alcuni rocamboleschi episodi della vita di un avventuriero e ciarlatano settecentesco, il conte di Cagliostro.

    L’eccezionale prolificità letteraria di Dumas, la sua forte carica immaginativa e la sua straordinaria facilità di scrittura, doti che forse non hanno equivalenti nella storia della letteratura di nessun paese, vennero favorite dal fatto che egli, per la stesura di quasi tutti i romanzi, si avvalse dell’aiuto di numerosi collaboratori o nègres, i quali, dietro compenso, si occupavano della raccolta del materiale documentario storico e letterario e della preparazione dei canovacci di base dei lavori. Tra questi collaboratori spiccano i nomi di Paul Lacroix, Emile Souvestre, Anicet Bourgeois, Pier Angelo Fiorentino, Paul Meurice, H. Auger, P. Bocage e soprattutto Auguste Maquet, insegnante di storia in un liceo parigino, presentatogli dal poeta Gérald de Nerval. Peraltro, non deve venire esagerato il peso dell’utilizzazione dei nègres da parte di Dumas, che fu, sempre, il vero, inimitabile, inarrivabile creatore di un universo letterario ineguagliabile per ricchezza di fantasia, capacità di suggestione, freschezza di stile. Si potrebbe semmai, in proposito, come ha suggerito Gino Doria, al più stabilire un parallelo tra Dumas e i grandi pittori del Rinascimento, che, oberati dalle commissioni, erano soliti affidare a giovani di bottega il completamento di questa o quella parte del quadro cui stavano lavorando²⁶. La polemica, con tutto il seguito di insinuazioni e discussioni, venne innescata nel 1845 dalla pubblicazione di un libello di Eugène de Mirecourt, che accusava Dumas di avere creato un’organizzazione, una vera e propria «fabbrica di romanzi» che gli serviva per appropriarsi del lavoro di collaboratori sottopagati. L’accusa, accolta in seguito dal Querard, aveva più dimensione scandalistica che consistenza reale e, a prescindere dalla condanna di de Mirecourt nella causa intentatagli dallo scrittore, i termini della questione furono rimessi al loro giusto posto dagli studi successivi primo fra tutti quello di Lenotre²⁷ ; non a torto Croce ha potuto parlare di «leggenda» della «fabbrica di romanzi Alessandro Dumas e compagnia» e ha potuto constatare, con la legittima soddisfazione di un ammiratore, qual egli era, di Dumas, che quella leggenda era, ormai, andata «a raggiungere tutte le altre leggende simili, concernenti altri scrittori»²⁸.

    La stagione di opulenza economica, iniziata dopo la pubblicazione e il successo strepitoso dei primi romanzi storici, fu di breve durata perché il godereccio, munifico e per certi versi iperbolico Dumas, amante del lusso, della bella vita, delle belle donne era tutt’altro che un economo e accorto gestore delle proprie finanze. La gigantesca villa di Montecristo, fatta costruire fra il 1844 e il 1847 su un terreno acquistato a Saint-Germain nei pressi di Parigi e che venne inaugurata con un ricevimento di 600 invitati, rappresenta, quasi emblematicamente, con la sua incredibile commistione di stili diversi, dal gotico all’arabo al rinascimentale, il gusto e la passione per tutto ciò che era, o appariva, grandioso e fuori del comune.

    La consacrazione come narratore non impedì che egli continuasse a coltivare il primo e antico amore per il teatro. Nel 1847, tornato in Francia dopo un viaggio in Algeria commissionatogli dal ministro della pubblica istruzione per far conoscere attraverso servizi giornalistici o libri la nuova colonia ai connazionali, potè coronare un suo vecchio e ricorrente sogno, inaugurando con un grande successo, La reine Margot — interpretato dall’ultima (per il momento) della sue innumerevoli amanti, la giovanissima attrice Béatrix Person —, quel Théâtre Historique, che aveva avuto il permesso di far costruire e di gestire a Parigi, nel quartiere del Tempie. Almeno fino alla rivoluzione del 1848, il Theâtre Historique si rivelò una iniziativa lucrosa, di grande prestigio e di grande successo, ma le finanze di Dumas non riuscirono mai ad assestarsi su un livello di sufficiente tranquillità.

    Il rapporto dello scrittore con la Francia di Luigi Filippo fu ambiguo. Negli ambienti aristocratici e mondani egli si trovava indubbiamente a proprio agio, circondato da attenzioni e da belle donne, ma non mancarono, in più occasioni, sue manifestazioni pubbliche critiche nei confronti dell’antico datore di lavoro. Quando, nel febbraio del 1848, scoppiò la rivoluzione, Dumas ebbe un sussulto politico, ma non si sa fino a che punto dovuto a una ripresa di ideali liberali e rivoluzionari o a una qualche speranza che la vittoria degli elementi rivoluzionari potesse alleggerire la sua crisi finanziaria aggravata dal passivo crescente del Théâtre e dai debiti personali collegati alla gestione principesca della villa e alla vita dispendiosa e dissoluta. Si schierò, comunque, immediatamente dalla parte dei repubblicani e, alla testa della Guardia Nazionale di Saint-Germain, si presentò a Parigi, dove il suo unico atto rivoluzionario fu quello di piantare un albero della libertà davanti al Théâtre. Risultati vani i tentativi di essere eletto deputato, fu costretto, suo malgrado, a chiudere, nel 1850, il Théâtre Historique e a liquidare con una vendita fittizia la villa.

    Dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851, espatriò raggiungendo a Bruxelles l’amico Victor Hugo: l’esilio belga, dovuto probabilmente più alla necessità di fuggire ai creditori che non alle ire di Napoleone ni, gli conferì l’aureola di esule antinapoleonico, grazie anche alle frequentazioni di quei proscritti che erano in contatto con l’autore di Les Misérables e di Napoléon le petit e lo vide impegnato nella stesura di opere di varia natura e in una vertiginosa ridda di avventure sentimentali più o meno impegnative. Rientrato a Parigi nel 1853 grazie ai buoni uffici di un amico che era riuscito a garantirgli un favorevole concordato per i debiti e a ottenergli l’assicurazione che Napoleone in non lo avrebbe perseguitato per le sue prese di posizione politiche, Dumas fu costretto a vendere il teatro per tacitare i creditori e si reimmerse, pur non tralasciando la sua prodigiosa attività di scrittore, in una vita gaudente ed edonista, circondato da signore e fanciulle, in prevalenza giovani attrici, ma non solo, che gli donarono amore, e, in qualche caso, figli. Effervescente e instancabile come sempre, anche se il peso delle traversie di ogni genere e i segni dell’età cominciavano a farsi sentire, intraprese iniziative giornalistiche del tutto originali, atipiche, legate a fil doppio alla sua attività di scrittore di successo, nella speranza, probabilmente, sia di sfruttare la popolarità delle opere più famose sia di soddisfare il proprio egotismo e la propria vanità. A prescindere dalla lunga e continuata collaborazione a una interminabile filza di giornali e di riviste - da La Presse a Le Siècle, da Le Constitutionnel a Le Pays, da Le Figaro a Le Petit Journal, da La Revue de Paris a La Revue des Deux Mondes e via dicendo —, egli aveva già avuto qualche esperienza direzionale in questo campo. Il primo marzo 1848 aveva fatto uscire il mensile storico e politico Le Mois (che, ben presto, i suoi avversari più maligni avevano ribattezzato Le Moi per sottolineare il fatto che era interamente scritto da lui) di cui furono pubblicati 26 numeri, mentre il 20 maggio dello stesso anno aveva assunto la direzione letteraria del quotidano La France Nouvelle, che, però, non aveva potuto tenere oltre il ventesimo numero. Rientrato, dunque, a Parigi, dopo la parentesi di Bruxelles, fondò il 12 novembre 1853 un quotidiano della sera, Le Mousquetaire, che rimase in vita per tre anni o poco più, fino al 5 febbraio 1857, toccò le diecimila copie di tiratura e annoverò tra i suoi collaboratori Gérard de Nerval, Théodore de Banville, Henri Rochefort, Octave Feuillet. Si trattava dì un giornale dal taglio del tutto originale rispetto a quelli allora in circolazione, poiché ì lettori non vi trovavano tanto una regolare informazione politica o parlamentare quanto piuttosto rubriche di costume, arte, letteratura, curiosità oltre, ovviamente, alle cosiddette appendici. Quando la fortuna del giornale - che, secondo una battuta lapidaria di Victor Hugo non esente forse da un pizzico di ironia, aveva restituito Voltaire alla Francia - declinarono per le difficoltà finanziarie, per le defezioni dei collaboratori, per la disaffezione del pubblico, Dumas si trovò costretto a sospendere le pubblicazioni del quotidiano, ma, non volendo rinunciare alla sua nuova vocazione di editore-direttore, lanciò, subito dopo, il 23 aprile 1857, un settimanale di romanzi, storia, viaggi e poesia, Le Monte-Cristo, interamente scritto e redatto da lui, che rimase in vita, anch’esso, tre anni, fino al 1860 con un timido, ma presto abortito, tentativo di ripresa nel 1862. Rispetto al precedente, il giornale era meno vivace e meno accattivante, anche se un lungo viaggio compiuto in Russia, dal giugno 1858 al febbraio 1859, su invito di alcuni ammiratori, fornì l’occasione per una serie di piacevoli, brillanti, effervescenti corrispondenze che venivano lette, gustate e commentate regolarmente, con grande scandalo del mondo politico e culturale ufficiale della Parigi del tempo, nel salotto della principessa Matilde Bonaparte, cugina di Napoleone III.

    Dopo aver conosciuto in Piemonte, nella primavera del 1860, Giuseppe Garibaldi, Dumas rimase impressionato e conquistato dalla figura seducente e romantica e dalla personalità suggestiva e avventurosa dell’«eroe dei due mondi» al punto da divenirne un convinto seguace. Quando questi dette il via alla «spedizione dei mille», egli noleggiò una goletta, la Emma, e, insieme alla fiamma del momento, la bella Emile Cordier, travestita da marinaretto, raggiunse il condottiero a Palermo, e gli portò anche un carico di fucili e carabine. Nell’ex regno dei Borboni rimase per quattro anni, abitando nello splendido palazzo Chiatamone di Napoli e dirigendo un giornale bilingue, italiano e francese, L’indipendente, di orientamento garibaldino, inizialmente ostile ai piemontesi e alla linea politica cavourriana. Benedetto Croce ha colto assai bene, con la consueta finezza interpretativa, il senso più profondo della partecipazione di Dumas all’impresa garibaldina, che costituì probabilmente, per lo scrittore, un momento di notevole rivitalizzazione psicologica - dopo i dissesti finanziari e la vicenda giudiziaria nella quale era stato coinvolto dall’ex collaboratore Maquet, che lo aveva denunciato rivendicando la paternità dei romanzi scritti in collaborazione, vicenda che si concluse con il riconoscimento per quest’ultimo del 25 per cento dei proventi per diritti d’autore - e gli dette nuova carica, grinta ed entusiasmo. L’impresa garibaldina, con il suo sapore romantico, aveva, infatti, tutte le caratteristiche intriganti adatte a solleticare la fantasia e lo spirito d’avventura di un uomo, come Dumas, che del cimento armato e del duello si era fatto cantore. Scrive, dunque, Croce:

    Trovarsi in mezzo all’impresa di Garibaldi; navigare su e giù tra Napoli e Palermo con la sua goletta l’Emma; assistere dal bordo di questa alla battaglia di Milazzo e lanciarne in fogli volanti il primo racconto; vedere indirizzata, o credere di vedere indirizzata, alla sua goletta qualche cannonata del generale Bosco; parlare con Garibaldi e dargli consigli e fargli profezie (o credere di darli e di farle); offrirsi a compiere una corsa in Francia per acquistare fucili e rivoltelle; indugiarsi nel golfo di Napoli nell’attesa dell’arrivo del duce, e, tra vane ingiunzioni e minacce della polizia borbonica, scrivere e fare stampare proclami che di notte e furtivamente erano attaccati alle mura di Napoli; e adoprarsi a sedurre alla diserzione bavaresi e svizzeri dell’esercito regio, e scendere cinque volte a terra con rischio di essere assassinato, e raccogliere a consulte ed intese sulla sua goletta rivoluzionari e uomini politici e ministri, e mandare a Garibaldi a Salerno l’avviso di venire senz’altro, difilato, a Napoli, anche solo, e insediarlo così nella capitale del Regno: aiutare, insomma, alla redenzione di un popolo e all’abbattimento di un governo assolutistico, egli che si professava repubblicano e promotore di mondiale repubblica; era quanto di più bello, di più sublime, e di più avventuriero e avventuroso, avesse mai desiderato e sperato; era la più inebriante esaltazione di sé stesso, della quale potesse mai godere²⁹.

    L’eco dell’infatuazione garibaldina di Dumas, che si sposava peraltro felicemente con un’antica vocazione italofila, è rintracciabile nella produzione letteraria di questo periodo, non tanto e non solo nell’attività di direttore di L’Indipendente, quanto piuttosto in alcuni dei numerosi volumi, storici o narrativi o memorialistici, redatti o pubblicati in questo pur assai breve arco di tempo: da Mémoires de Garibaldi traduit sur le manuscrit originai (1860), testo apocrifo scritto avendo come modello e riferimento ideale il libro di Gatien de Courtilz, a Les Garibaldiens. Révolution de Sicile et de Naples (1861), fresco resoconto narrativo di quanto aveva potuto osservare e sentire durante l’impresa garibaldina; da I Borboni di Napoli (1862-1864), dieci volumi che giungono fino al 1815 e alla morte di Gioacchino Murat e di cui Croce sottolineò un certo pregio documentario³⁰ a La San-Felice (1864- 1865), romanzo storico dedicato all’infelice eroina napoletana.

    Rientrato in Francia, Dumas, incanutito e ormai avanti negli anni, ma sempre esuberante per carica vitale e capacità lavorativa, continuò a tessere relazioni amorose, da quella con l’ardente attrice italiana Fanny Gordosa fino all’ultima con la scandalosa «cavallerizza nuda» Adah Menken, a compiere viaggi in tutta Europa (particolarmente in Italia, in Germania, in Austria), a elaborare sempre nuovi progetti, come quello per la creazione di un nuovo Théâtre Historique, a scrivere e pubblicare saggi e romanzi di varia natura. Anche l’amore per il giornalismo, sia pure un giornalismo alla sua maniera, non venne meno ed egli si imbarcò in nuove più o meno fortunate imprese editoriali: dal 18 novembre 1866 al 25 aprile 1867 pubblicò un secondo quotidiano Le Mousquetaire, dal 4 febbraio al 4 luglio 1868 diresse il trisettimanale Le Dartagnan, cui fece seguire, dal 5 luglio 1868 al 14 marzo 1869, il settimanale della domenica Théâtre Journal. La morte lo colse il 5 dicembre 1870, proprio mentre le armate prussiane invadevano il paese, in un tranquillo alloggio in Normandia, nel villaggio di Puys, nei pressi di Dieppe, dove si era ritirato per trascorrervi l’estate. La sua ultima opera, incompiuta, fu un Dictionnaire de cuisine.

    Generoso e gioviale, Dumas, epicureo e crapulone, libertino e gaudente, fu eccessivo, lo si è già rilevato, in tutte le sue manifestazioni, fossero quelle legate all’esistenza quotidiana o quelle espresse dalla sua attività artistica. Ma l’eccesso e, con esso, la ricerca di tutto ciò che era esorbitante facevano parte della sua stessa natura. Si vantava, e non a torto, di essere «un romancier intarissable» e di non sentire la necessità di rivedere quello che la penna aveva fissato sul foglio. Cionondimeno, egli fu, davvero, uno scrittore di razza, capace di creare giuste ambientazioni, di costruire solide architetture narrative, di abbozzare, sia pure sommariamente ma sempre con efficacia, caratteri e psicologie dei protagonisti dei suoi romanzi e delle sue opere teatrali. Non ebbe l’onore, cui aspirava, di poter indossare l’abito e cingere lo spadino degli accademici di Francia: più che la mancanza di pregi letterari o le deficienze poetiche della sua opera ostacolarono l’ingresso nella austera e seriosa Académie Française la sua vitalità, il suo essere all’onore delle cronache mondane e salottiere, e, paradossalmente, ma non troppo, la sua prolificità di scrittura e lo stesso favore riservatogli da un pubblico vasto ed assai eterogeneo. Benedetto Croce, pur avanzando in base alle sue categorie estetiche precise riserve sul valore artistico dell’opera di Dumas, lo guardò con profonda simpatia e ne prese le parti contro l’ostracismo, ingiusto e acrimonioso, dei critici letterari:

    Sarà il caso di difenderlo anche dal vilipendio col quale viene di solito trattato nelle moderne storie letterarie francesi? Che egli non fosse fine letterato, si deve ben concedere a quegli storici e critici; e si può aggiungere, con altrettanta verità, che non era uno spirito meditativo, contemplativo e poetico. Ma era uomo d’immaginazione, atto a intrattenere sé e gli altri, i contemporanei e due generazioni di posteri, col giuoco dell’immaginazione e dei fantastici sentimenti; nel qual giuoco lasciava che sempre dominassero e rifulgessero i sentimenti nobili, la grandezza, la generosità, la cavalleria. Non mi pare che ciò meriti vilipendio. Giova certamente tener sano e forte il sentimento così dell’alta poesia come della letteratura di buon gusto, e chi scrive si è altrove assai adoperato e si adopera a tal fine; ma non per questo bisogna dimenticare che, fuori di quelle due, vi sono pure altre cose al mondo degne di qualche pregio, che debbono essere giudicate, non col criterio di quelle, ma per sé stesse³¹.

    La verità è, per dirla con Carlo Bo, che a nulla serve opporre Dumas alla letteratura dei letterati, alla parte più elevata della produzione di un Flaubert o di uno stesso Hugo, proprio perché Dumas è «una ragione della natura» e come tale deve essere considerato³². L’autore di Les Trois Mousquetaires — si potrà dire di lui quel che si vuole - è un incantatore: come il pifferaio magico, egli ha il dono di trascinare irresistibilmente, dietro di sé, nel meraviglioso e fatato regno della fantasia o nel dominio di una storia resa più accattivante con i colori e le sfumature della leggenda e dell’immaginazione, una torma di lettori che diviene sempre più numerosa. Il che, a ben vedere, non è davvero poco.

    FRANCESCO PERFETTI

    ¹ A. Maurois, Les Trois Dumas, Parigi, 1957.

    ² Cfr. il saggio di Macchia pubblicato sulla pagina speciale del Corriere della Sera del 3 dicembre 1970 in occasione del centenario della morte di Dumas.

    ³ H. Clouard, Alexandre Dumas, Parigi, 1955.

    ⁴ M. Bouvier-Ajam, «Alexandre Dumas au travail et dans la vie», in Europe, févriermars 1970, p. 7.

    ⁵ Cfr. C. Pavolini, «Prefazione» a Teatro francese del Romanticismo, Torino, 1963, pp. XVI.

    ⁶ Sulle caratteristiche del teatro romantico francese cfr. F. Doglio, Teatro in Europa. Storia e documenti, III°, Milano, 1989, pp. 418-452.

    ⁷ Cfr. M. Bonfantini, Ottocento francese, Torino, 1966².

    ⁸ Cfr. S. D’Amico» Storia del teatro drammatico, Milano, 1939-1940.

    ⁹ Çfr. M. Descotes, «Dumas», in Enciclopedia dello spettacolo, IV, col. 1105.

    ¹⁰ Cfr. F. Fuiret, li secolo della Rivoluzione 1770-1880, Milano, 1989, p. 407.

    ¹¹ G. Ferrata, «Vita e opere di Alexandre Dumas Pére», introduzione a A. Dumas, I tre moschettieri, Milano, 1990, p. XIV.

    ¹² J.S. Alien, Il romanticismo popolare. Autori, lettori e libri in Francia nel XIX secolo, Bologna, 1990, p. 47.

    ¹³ Cfr. A. Gramsci, Quaderni dal carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, III, pp. 2120-2121.

    ¹⁴ Cfr. la voce Dumas redatta di M. Autrand per il Dictionnaire du Grand Siècie, diretto da F. Bluche, Parigi, 1990.

    ¹⁵ C. Schopp, «Je fus, je suis, je serais...», prefazione a Les grands romans d’Alexandre Dumas, I. Les Mousquetaires. Les Trois Mousquetaires. Vingt Ans Après, Parigi, 1991, p. XIII.

    ¹⁶ A. Dumas, «Préface» a Louis XIV et son Siècie, Parigi, 1844-1845, cit., III C. Schopp, Je fus, je suis, je seraicit., p. XIII.

    ¹⁷ B. Croce, Conversazioni critiche. Serie quartay Bari, 1932, p. 121.

    ¹⁸ Ibidem, p. 123.

    ¹⁹ G. Ferrata, «Vita ed opere» di Alexandre Dumas Pére, cit., p. XVII.

    ²⁰ B. Croce, Aestetica in nuce, Bari, 1985, p. 12.

    ²¹ B. Croce, La poesia, Bari, 1980, p. 57.

    ²² Cfr. U. Eco, «D’Artagnan, che finzione!», in L’Espresso, 23 maggio 1993. Si tratta del testo della conferenza intitolata Passeggiate nel romanzo: dove abitava D’Artagnan? tenuta al Salone del libro di Torino il 22 maggio 1993.

    ²³ U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, 1978², p. ²⁰⁹.

    ²⁴ A. Gramsci, Quaderni dal carcere, cit., pp. 1879-1880.

    ²⁵ F. Burzio, «I tre Moschettieri», in L’Italia letteraria, 9 novembre 1930.

    ²⁶ G. Doria, «Nota» a A. Dumas, Impressioni di viaggio. Il corricolo, I, Rizzoli, Milano, 1963, pp. 17-18.

    ²⁷ Sulla questione dei nègres di Dumas cfr. E. de Mirecourt, Fabrique de romans: Maison Alexandre Dumas et C., Parigi, 1845, nonché J.M. Querard, Les superchieries littéraires dévoilées, Parigi 1869, ed infine il saggio di C. Antona Traversi, «Maison A. Dumas et C.», in Nuova Antologia, 16 settembre 1918 e quello di G. Lenotre, «Alexandre Dumas pére», in Revue des deux mondes, febbraio 1919.

    ²⁸ B. Croce, «Alessandro Dumas a Napoli nei primi anni della nuova Italia», in B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, serie II, Bari, 1945, p. 363.

    ²⁹ Ibidem, p. 342.

    ³⁰ Ibidem, p. 359.

    ³¹ Ibidem, pp. 363-364.

    ³² C. Bo, «La dinastia dei Dumas», in C. Bo, La religione di Serra. Saggi e note di lettura, Firenze, 1967, p. 335.

    Cronologia della vita di Alexandre Dumas

    1802. Alexandre Dumas nasce il 24 luglio a Villeres-Cotterets, nei pressi di Parigi. È figlio del generale creolo Thomas Alexandre Davy-Dumas de La Pailletterie, già compagno di Napoleone nella campagna d’Italia e d’Egitto, e di Marie-Louise Elisabeth Labour et. 1806. Muore il padre, che da anni, ormai, costretto a mettersi da parte per le sue irriducibili idee repubblicane, si era ritirato a Villeres-Cotteretes. Dumas viene allevato dalla madre con l’aiuto del tutore Jacques Collard.> 1817. Terminata la scuola dell’obbligo, per sopperire alle difficoltà economiche della famiglia, trova un impiego come giovane di studio presso un notaio e vi rimane fino al 1822. 1823. Si trasferisce a Parigi, dove lavora come copista nella segreteria del duca d’Orléans, cui è stato raccomandato dal generale Fay. Legge molte opere storiche, le tragedie di Shakespeare, le poesie di Byron, si appassiona ai romanzi storici di Walter Scott. 1824. Da una relazione con una sartina, Marie-Cathérine-Laure Labay, nasce il figlio Alexandre, che egli riconoscerà però soltanto nel 1831 e che sarà destinato pure ad una fortunata carriera letteraria. Egli intanto, scoperta la vocazione teatrale dopo aver assistito ad una rappresentazione dello scespiriano Amleto , utilizzando diversi pseudonimi e il cognome Davy, collabora alla stesura di vaudevilles e di testi di avanspettacolo. Molti sono scritti in collaborazione con il visconte Adolphe Ribbing de Leuven, che gli è stato presentato da Jacques Collard e che nel 1862 diventerà direttore dell’Opéra Comique. 1825. La madre lascia Villers-Cotterets e si stabilisce a Parigi. Stringe amicizia con Victor Hugo e Charles Nodier e partecipa attivamente alla vita culturale francese frequentando salotti e cenacoli letterari. Fa rappresentare un vaudeville dal titolo La chasse et l’amour , scritto in collaborazione con Rousseau e Adolphe. 1828-1829. Decide di dedicarsi alla tragedia e scrive nel 1828 Christine à Fontainebleau , dramma in versi, accettato dalla Comédie Française , ma ritirato dall’autore a vantaggio di una Christine di Frédéric Soulié. Nello stesso anno scrive Henry ni et sa court , che è considerato uno dei primi drammi romantici del teatro francese e che sarà rappresentato con successo al Théâtre-Français nel 1829. Frattanto cessano le sue funzioni presso il principe di Orléans con il quale da qualche tempo si erano manifestati contrasti. In questo periodo conosce e frequenta personalità eminenti della cultura francese del tempo: Lamartine, De Vigny, De Musset, Beranger. 1830. Svolge una campagna a favore del romanticismo. La rivoluzione lo vede in Vandea per organizzare la Guardia Nazionale. 1831-1843. Tornato a Parigi, fa rappresentare, con discreto successo diversi drammi, tragedie e commedie, scritti spesso in collaborazione. Il maggior successo di pubblico lo ottiene con Kean ou désordre et génie. Frattanto si dedica a molteplici viaggi in Italia, in Spagna e in Algeria e scrive volumi di impressions de voyage , oltre a romanzi, lavori teatrali, racconti. 1844-1846. Sono gli anni considerati più importanti nella biografia dumasiana, perché vedono la pubblicazione dei primi grandi romanzi storici tra i quali: Les Trois Mousquetaires, La reine Margot, Vingt Ans après, Le Comte de Monte-Cristo, Le Chevalier de la Maison- Rouge, La Dame de Monsoreau. Nel 1846 va ad abitare a Saint-Germain e ottiene l’autorizzazione a fondare un proprio teatro, il Théâtre Historique che rimarrà attivo fino all’ottobre 1850. 1847. Stringe amicizia con Jules Michelet, che sta iniziando la pubblicazione della sua Histoire de la Révolution françaisey e con Théophile Gautier. 1848. Si dedica a imprese giornalistiche fallimentari: il primo marzo fonda la rivista Le Mois , che durerà 26 numeri e uscirà sino al febbraio 1850; il 20 maggio assume la direzione letteraria del quotidiano La France Nouvelle di cui usciranno solo 30 numeri fino al 24 giugno. Durante la rivoluzione sostiene la necessità della «indispensabile unione dei repubblicani sinceri», ma il suo impegno politico non è preso molto sul serio vista la sua frequentazione di persone ideologicamente assai distanti fra di loro. Ha contrasti passeggeri con Lamartine. Inizia con un grande lancio pubblicitario la pubblicazione di Le Vicomte de Bragelonne , ultimo romanzo del ciclo dei moschettieri. 1849-1851. Malgrado il successo delle opere teatrali e dei romanzi, Dumas è pieno di debiti. È costretto a chiudere il Théâtre Historique. Prende posizione contro il colpo di Stato di

    Napoleone in del 2 dicembre 1851. Più per sfuggire ai creditori che alle conseguenze del suo, peraltro, blando impegno politico repubblicano, si rifugia in Belgio dove già si trova il suo amico Victor Hugo e dove inizia la redazione dei Mémoires. 1852-1853. Viaggia moltissimo visitando Inghilterra, Svizzera, Austria, Russia, Turchia. Nel 1853 può rientrare in Francia dove i suoi amici hanno, senza grandi difficoltà, ottenuto una promessa di «neutralità» da parte di Napoleone hi nei suoi confronti, e dove sono riusciti, soprattutto, a ottenere la garanzia di una moratoria per i suoi debiti. Nell’ultimo scorcio dell’anno fonda il quotidiano della sera Le Mousquetaire. 1854-1858. Intensifica la propria attività giornalistica, che si aggiunge a quella di saggista, di autore di teatro e di romanziere e scopre la vocazione del conferenziere. Le sue finanze cominciano a migliorare rimanendo però sempre ben lontane dalla perduta floridezza. Dopo la chiusura di Le Mousquetaire, fonda e scrive interamente il settimanale di romanzi, storia, viaggi e poesia Le Monte-Cristo. 1859-1865. Moltiplica gli spostamenti in provincia, intervallandoli con viaggi in Inghilterra, Svizzera, Belgio, Paesi Bassi. Nel 1860 segue Giuseppe Garibaldi impegnato nella «spedizione dei mille» e viene nominato sovrintendente ai musei di Napoli. Fonda e dirige il quotidiano garibaldino L’Indipendente redatto in lingua italiana e in lingua francese. Scrive, oltre a romanzi storici e ad articoli giornalistici, le memorie aprocrife di Garibaldi, una storia dei Borboni e una cronaca dell’impresa garibaldina. 1866-1870. Si reca in Inghilterra. Rilegge i romanzi di Walter Scott, che avranno una certa influenza sull’ultima fase della sua attività di scrittore. Nel 1868 fonda il trisettimanale Le Dartagnan e nel 1869 il domenicale Théâtre Journal. Muore a Puys, nei pressi di Dieppe, il 5 dicembre 1870, assistito dal figlio, proprio mentre i prussiani invadono la Francia.

    Nota bibliografica

    OPERE DI ALEXANDRE DUMAS

    Le edizioni delle opere di Dumas sono innumerevoli. Segnaliamo, fra tutte, le seguenti: Oeuvres complètes, 17 voll., Parigi, 1850-1857; Théâtre complet, 15 voll., Parigi, 1863-1874; Oeuvres de Alexandre Dumas, 35 voll., Parigi, 1922-1944. Una splendida edizione critica delle opere più famose di Dumas è stata iniziata, sotto la direzione di Claude Schopp, nella bella collana economica Bouquins dell’editore Robert Laffont. Della serie sono finora stati pubblicati: Joseph Balsamo, Parigi, 1990; La Collier de la reine - Ange Pitou, Parigi, 1990; La Comtesse de Charny - Le Chevalier de la Maison-Rouge, Parigi, 1990; Les Trois Mousquetaires - Vingt Ans après, Parigi, 1991; Le Vicomte de Bragelonne, 2 voll., Parigi, 1991; Mes Mémoires - Quid d’Alexandre Dumas, 2 voll, Parigi, 1992. Altre edizioni significative di opere di Dumas sono: Souvenirs dranmtiques et littéraires, a cura di R. Benjamin, Parigi, 1928; Théâtre romantique, a cura di A. Bellesort, Parigi, 1930; Mes Mémoires, a cura di P. Josserand, Parigi, 1954-1968; La San Felice, a cura di J. Grenier, Parigi, 1954: Le grand dictionnaire de la cuisine, a cura di Leconte de Lisle e A. France, con introduzione di A. Maurois e R. Olivier, Parigi, 1958; Voyage en Russie, a cura di A. Maurois e J. Suffel, Parigi, I960; Les Trois Mousquetaires - Vingt ans après - Le Vicomte de Bragelonne, a cura di G. Sigaux, Parigi, 1962; Vingt ans après, a cura di Ch. Samaran, Parigi, 1962; Les Trois Mousquetaires - Vingt ans après - Le Vicomte de Bragelonne, a cura di A. Maurois, Parigi, 1965; Paris-Grenade, a

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