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Marfisa da Este Cybo: La vera storia della Principessa Estense
Marfisa da Este Cybo: La vera storia della Principessa Estense
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E-book284 pagine3 ore

Marfisa da Este Cybo: La vera storia della Principessa Estense

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Marfisa figlia di Francesco d’Este, vedova del cugino Alfonsino e rimaritata con Alderano Cybo marchese di Carrara, fu l’ultima della sua Casa rimasta a Ferrara dopo la partenza di Cesare duca di Modena, la morte di Lucrezia duchessa di Urbino e quella di Violante marchesa di Montecchio. Il suo nome ariostesco (per dire della diretta derivazione di esso), la sua stessa nascita adulterina, qualche aneddoto sparso e le calunnie, la deteriore letteratura che imperversò nel secolo scorso e la fece una sorta di Circe dannata con i suoi amanti al fuoco, ne hanno completamente travisato la figura e qualche sprovveduto, senza arrivare a tanto, ha preso tutto alla lettera e ha applicato a lei il carattere di “Marfisa bizzarra”. (G.L.M.Z.)
LinguaItaliano
Data di uscita18 mar 2020
ISBN9788835387817
Marfisa da Este Cybo: La vera storia della Principessa Estense

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    Marfisa da Este Cybo - Gian Lodovico Masetti Zannini

    DIGITALI

    Intro

    Marfisa figlia di Francesco d’Este, vedova del cugino Alfonsino e rimaritata con Alderano Cybo marchese di Carrara, fu l’ultima della sua Casa rimasta a Ferrara dopo la partenza di Cesare duca di Modena, la morte di Lucrezia duchessa di Urbino e quella di Violante marchesa di Montecchio. Il suo nome ariostesco (per dire della diretta derivazione di esso), la sua stessa nascita adulterina, qualche aneddoto sparso e le calunnie, la deteriore letteratura che imperversò nel secolo scorso e la fece una sorta di Circe dannata con i suoi amanti al fuoco, ne hanno completamente travisato la figura e qualche sprovveduto, senza arrivare a tanto, ha preso tutto alla lettera e ha applicato a lei il carattere di Marfisa bizzarra. (G.L.M.Z.)

    INTRODUZIONE

    Marfisa figlia di Francesco d’Este, vedova del cugino Alfonsino e rimaritata con Alderano Cybo marchese di Carrara, fu l’ultima della sua Casa rimasta a Ferrara dopo la partenza di Cesare duca di Modena, la morte di Lucrezia duchessa di Urbino e quella di Violante marchesa di Montecchio.

    Il suo nome ariostesco (per dire della diretta derivazione di esso), la sua stessa nascita adulterina, qualche aneddoto sparso e le calunnie, la deteriore letteratura che imperversò nel secolo scorso e la fece una sorta di Circe dannata con i suoi amanti al fuoco, ne hanno completamente travisato la figura e qualche sprovveduto, senza arrivare a tanto, ha preso tutto alla lettera e ha applicato a lei il carattere di «Marfisa bizzarra». ¹

    Di tutto questo nulla vi è accertato che ne possa compromettere la virtù, ma al contrario c’è molto che la esalta: l’amore alla nutrice, la cura del primo suo sposo ammalato, le maternità e i figli, la carità soprattutto quella verso il Tasso relegato in Sant’Anna, sono tratti della sua umanità che avrebbe ro dovuto troncare tante dicerie. Ma così è accaduto ad altre della sua casata: si pensi alle due Lucrezia, la Borgia e la duchessa di Urbino, diffamate e, la seconda, non ancora riabilitata dalla critica storica.

    La decadenza, accompagnata da calamità naturali, ma anche dalla avidità della corte ducale che difendeva, usando pure il capestro, i privilegi della caccia e, quantunque fiorissero arti e mestieri, «i frutti dell’economia ferrarese erano per la maggior parte prosciugati dai pesanti oneri fiscali imposti dal duca Alfonso II d’Este (al governo 1559-1597) e dai suoi ministri che vedevano le attività produttive unicamente come fonti di reddito». ²

    E «spolpando fino all’osso i suoi poveri sudditi con le tasse più esose onde far fronte alle spese inconsulte della propria corte, il duca non temette di giuocarsi quel che poteva rimanere della sua popolarità con gli editti più odiosi e irragionevoli. Non solo ordinò bandita generale di caccia nei suoi Stati, ma non consentì neppure il taglio delle macchie, l’espurgo dei fossi, la potatura delle siepi allo scopo di non disturbare la selvaggina, naturalmente riservata agli spassi della sola famiglia ducale. Nel 1557 penzolarono dalle forche innalzate nella piazza di Ferrara i cadaveri di sei cacciatori, ai cui piedi erano sta ti legati venti fagiani da essi uccisi». Qualche tempo dopo fu necessario chiamare dal reame di Napoli cacciatori provetti per sterminare i lupi che si erano moltiplicati nel Ferrarese attratti dalla abbondante selvaggina e nascosti tra la vegetazione dei luoghi. ³

    Nella Ferrara del tardo Cinquecento ed ancora nei primi anni della dominazione pontificia, Marfisa dimorò (salvo le vacanze in villa e gli anni trascorsi a Massa) in quel gioiello che è la palazzina da lei denominata. Ma di tutto questo si è scritto e documentato, per cui bisognava sondare qui prevalentemente altre fonti. Così da una lettera conservata nel secondo volume della Legazione di Ferrara, alla ricca documentazione sempre in Vaticano del contrasto tra Marfisa e Violante Segni, vedova del suo primo suocero, per il matrimonio di una educanda che le due Estensi volevano sposasse un loro familiare, tentai la ricostruzione della biografia della figlia di Francesco d’Este. Le fonti consultate in Vaticano, Firenze, Modena, Massa e Ferrara, hanno consentito di raccogliere materiale che crediamo utile allo scopo.

    E assai mi hanno giovato gli ultimi studi su Marfisa da Este Cybo, per il loro valore scientifico e per il reperimento delle fonti e della bibliografia. ⁴

    Sono trascorsi ormai quattro secoli dalla morte della principessa estense, e la coincidenza con le celebrazioni della sua casata e della civiltà ferrarese, nonché, ma avrei dovuto già dirlo, il cordiale invito della centenaria Ferrariae Decus, alla quale mi onoro di appartenere, mi hanno incoraggiato a concludere e pubblicare queste ricerche iniziate vari anni orsono e a consentirne la stampa.

    Un po’ ferrarese anch’io, avendo avuto le due bisnonne paterne ferraresi, e possedendo memorie anche di Marfisa e di Carlo I suo figlio, aggiungo questo ad altri libri e studi che ho compilato intorno alla città estense fin da quando mi muovevo nel mito per passare con altrettanta passione alla ricerca storica. Ed ora, compiendosi il IV Centenario della morte di Marfisa, ne rendiamo omaggio con queste pur modeste ricerche biografiche.

    Debbo non da ultimo un grazie di cuore a mio figlio Alessandro Vincenzo che ha curato con diligente perizia la trascrizione di queste pagine e la loro stampa.

    G.L.M.Z.

    Bologna, 15 agosto 2008

    Note

    1. Carlo GOZZI, Marfisa bizzarra , Venezia, 1774. Su questo poema in dodici canti sulla rovina della Francia carolingia, presagio di quella di Venezia, Giovanni ZICCARDI, La Marfisa bizzarra , «Rassegna critica della letteratura italiana», Napoli, 1919, pp. 1-33, 73-111, 145-163. Si vedano anche Danese CATANEO, Dell’amor di Marfisa , Venezia, 1562, e la seconda edizione a cura di Loris Jacopo BONONI, Carrara, 1995 pubblicata nel quarto Centenario di Torquato Tasso con una introduzione critica dello stesso curatore che evidenzia uno speciale rapporto tra Danese Cataneo ed il Tasso.

    2. Alfredo SANTINI, Cenni sull’economia ferrarese tra Cinquecento e Ottocento, in ID., Etica, banca, territorio: il Monte di Pietà di Ferrara, Ferrara, 2005, p. 27.

    3. Luciano CHIAPPINI, Gli Estensi, Milano, 1967, p. 302.

    4. Ranieri VARESE, Ferrara. Palazzina Marfisa, Bologna, 1980; Angelo SPAGGIARI, Marfisa d’Este nelle carte dell’Archivio di Stato di Modena, in Alberico I Cybo Malaspina. Il Principe, la Casa, lo Stato, Modena, 1995, pp. 243-252; La Palazzina di Marfisa d’Este a Ferrara. Studi e catalogo, a cura di Anna Maria VISSER TRAVAGLI, Ferrara, 1998; Gianni VENTURI, Il mito letterario di Marfisa, ivi, pp. 109-123; Luciano CHIAPPINI, I personaggi della Palazzina. Francesco d’Este, Marfisa, Bradamante e Alderano Cybo, ivi, pp. 91-107; Adriano CAVICCHI, Marfisa ritrovata, in L’Aquila bianca. Studi di storia estense per Luciano Chiappini, a cura Antonio SAMARITANI e Ranieri VARESE, Ferrara, 2000; Mario GERMANI, Alderano, Marfisa e dintorni, in Carlo I Cybo Malaspina, Principe di Massa e Marchese di Carrara, i luoghi, le immagini, le istituzioni, a cura di Olga RAFFO MAGGINI e Bernardo FUSANI, coordinamento scientifico Olga RAFFO MAGGINI e Paolo PELÙ, Massa, 2005.

    DUE ALBERI GENEALOGICI

    Gli affollati alberi genealogici degli Estensi e dei Cybo Malaspina si sono intrecciati attraverso il matrimonio di Marfisa figlia di Francesco d’Este marchese di Massa Lombarda con Alderano figlio di Alberico I marchese di Massa e signore di Carrara.

    Dopo il breve matrimonio con il consanguineo Alfonsino d’Este, il destino di Marfisa si unì a quello di Alderano Cybo Malaspina, discendente dalla nobile famiglia di origine genovese che acquisì il Marchesato, poi Ducato, di Massa, mediante il matrimonio tra Lorenzo Cybo e Ricciarda Malaspina.

    I due alberi genealogici semplificati che seguono prendono l’avvio dagli avi di Marfisa e Alderano: l’uno da Alfonso I d’Este il duca artigliere l’altro dalla citata unione Cybo-Malaspina, per arrivare ai numerosi nipoti di Marfisa, nati dal primogenito ed erede Carlo Cybo principe di Massa e marchese di Carrara e dalla nobile Brigida Spinola.

    Angela Ghinato

    LA MASCHERA E IL VOLTO

    Nel carnevale dell’anno 1578 fece irruzione alla Giovecca in carrozza scoperta, e lei mascherata, una principessa di Casa d’Este, «di corpo bellissima, lietissima d’animo». ¹ Era Marfisa figlia di don Francesco marchese di Massa Lombarda.

    Nella allegra e confusa baraonda carnevalesca, l’ambasciatore mediceo si affrettò ad informare il granduca, sempre così ghiotto di storie, storielle e di tutto quanto insomma riguardava il rivale Ducato, i suoi signori, le loro feste, i loro fatti e, veri o non veri, i loro misfatti.

    Hier sera - scriveva il 31 gennaio Leonardo Conosciuti - si vide in Giudecca la signora donna Marfisa mascherata, su una carrozzina discoperta, bella come un angelo del Paradiso. ²

    Marfisa si era appena affacciata al gran mondo e già, secondo l’uso, si era pensato di accasarla, senza dubbio convenientemente, come lo sarà tra poco, e la sua apparizione sulla festosa Giovecca aggiungeva nuova nota a quanto, in mancanza d’altro, l’oratore fiorentino comunicava al suo signore con la stessa cura che avrebbe potuto mostrare nel riferire intorno ad argomenti più seri.

    A carnevale gli altri estensi, duchi e cardinali compresi, amavano travestirsi e mescolarsi al popolo ferrarese e ad altri personaggi in incognito, pronti sempre però a far valere la loro autorità con quanti oltrepassassero il limite con troppa confidenza. E gli esempi non mancano. ³ La festa perenne, talora esclusiva della corte, ma anche estesa, con le carnevalate e gli spettacoli offerti al popolo, mascherava (è il caso di dirlo) una irreversibile decadenza già in atto. Da molti anni si era pubblicamente avvertito lo stridente contrasto tra la corte gaudente ed il popolo che soffriva; ⁴ una triste realtà che non era sfuggita a Bernardo Canigiani, altro oratore granducale che, proprio in occasione di feste, aveva messo il dito sulla piaga.

    In quel tempo il duca, ormai prossimo alle nozze con l’arciduchessa Barbara d’Austria, continuava a rimandare le cerimonie, come scrive l’ambasciatore:

    per mettere insieme questi denari, il che potrebbe forse parere che havessi qualche riscontro col veder il duca aggravar la mano straordinariamente in far danari, tanto che con grandissime strida di questi popoli il paese ci si va dishabitando, et chiudendo et dismettendo i traffici, tal ch’il duca, credendo accrescere le sue entrate le conduce al niente con odio assai scoperto per tutto questo paese come gli fu detto il dì di Natale in una pubblica predica da un cappuccino pistoiese in vescovato, in mia presenza in proposito che la città e gli Stati si empivano e si arricchivano col farsi ben voler dai sudditi, e con accarezzarli, privilegiarli et habituarli, et non con scorticarli l’osso, che queste furon le parole formali.

    La decadenza si copriva con una bella maschera, ma era già in atto e progrediva assai velocemente, mentre in città ed in villa nelle sontuose dimore estensi convenivano poeti e artisti a decorare quella che forse appariva la città più festaiola di allora. ⁶

    La Giovecca lungo la quale correva Marfisa, era un po’ il simbolo di esultanza che accomunava principi e popolani e scacciava presentimenti e pensieri ormai affioranti negli uni e negli altri.

    «Terrata e selciata», dopo l’abbattimento delle vecchie mura e della Zudeca de Toresini, la Giovecca designata dal duca Ercole II quale via regia, assumeva un ruolo di straordinaria importanza, per ampiezza stradale, decoro di palazzi e giardini, e come spazio appunto di publica hilaritas. Quando cessò di essere una sorta di emblema de «la felicità dello Stato estense, retto da signori inseriti nei giochi delle diplomazie», essa mantenne il suo primato, situata come era al limite della città vecchia ed al principio di quella in formazione. Sin dalla fine del Quattrocento, la strada fu sempre «il cuore delle due città che essa unisce». ⁷

    E l’anonimo autore del Ragguaglio della prospettiva eretta in capo alla Giovecca di Ferrara l’anno 1703, ne testimoniò la perdurante funzione, con queste parole:

    Osservasi pertanto - egli scrive - che tra le più cospicue strade di codesta città, quella che chiamasi la Giovecca tiene il primato non tanto per la spaziosità et ordine leggiadro, di cui va pomposa, quanto per la sontuosità degli edificij che d’ogni banda l’adornano onde fra tutte meritò d’essere lei sola destinata per iscena a divertimenti carnevaleschi, ed anfiteatro alle più nobili e maestose comparse che nei tempi più propicij il genio natio sapesse fantasticare nutrendo ella intanto dilettazione negli abitanti, meraviglia ne’ stranieri ed invidia in qualunque altra città più rinomata d’Italia. ⁸

    Lungo quella strada Marfisa con l’esuberanza dei suoi anni e il miraggio di un avvenire da lei certamente vagheggiato, proseguiva la corsa dai casini di San Silvestro al castello, ardita e sicura di sé nello splendore e fascino di cui sarà preso l’infelice poeta che lei consolò nella solitudine di recluso in Sant’Anna, e condusse a godere momenti di non obliata libertà nelle ospitali delizie di Medelana. E se il diplomatico toscano colse la bella Estense mascherata nella corsa lungo la Giovecca, il Tasso la raffigurò in un altro atteggiamento di spontaneità, che qualche altro considerò, rileggendo quei versi, il manifesto programmatico di una nuova moda. ⁹

    Così canterà, certamente più tardi, il poeta:

    Portano l’altre il velo,

    voi le chiome dorate forse per alterezza al sol mostrate.

    Ma, s’a sdegno prendete ogni esempio terreno,

    con alti esempi il ciel vi mova almeno:

    col vel d’Alba vedete e lei che nacque in Delo

    e l’Iri il suo colore anco nel cielo. ¹⁰

    Anticonformismo, o licenza comune ad altre gentildonne (basta guardarne i ritratti), o semplice finzione poetica, ad imitazione del Petrarca ed in riferimento ai capei d’oro all’aura sparti? Non una novità forse, eppure anche questi versi contribuirono alla leggenda che coperse il vero volto di Marfisa ed il suo spirito; una storiella che si avvalse e presto si accrebbe d’altri ingredienti, fino a trasformare nel cocchio in fiamme e negli amanti trascinati da lei nella notte, l’apparizione della giovane principessa al popolo festante. E così si assimilò in qualche modo Marfisa più che alla eroina dell’Ariosto, a quella del Boiardo, «la titanica eroina che con indomabile furia attraversa in lungo e in largo l’ Innamorato». ¹¹

    La bizzarria di Marfisa, come si intitola un famoso romanzo che non ha nulla a che fare con la omonima principessa estense, ¹² fu sic et simpliciter attribuita anche al suo carattere così come lo furono alcune peculiarità della eroina cantata dai due poeti che si divisero in Ferrara, il ruolo preponderante di genius loci.

    In questa rinnovata città festeggiante scrive Francesco Ceccarelli trova posto l’eredità di un mondo cavalleresco che oltre ad avere a disposizione il ricchissimo inventario dei materiali simbolici offerti dal Boiardo e dall’Ariosto, manifesta sintonia e continui rimandi con quanto si elabora presso la corte di Francia punto di riferimento per Alfonso la cui formazione giovanile si era svolta alla corte dei Valois. ¹³

    Ma anche Francesco d’Este marchese di Massa Lombarda, dopo aver ricevuto educazione letteraria dall’Ariosto e recitato il prologo della Lena, aveva frequentato e più tardi servito alternativamente con l’Impero, quella stessa corte di Francia. Divenuto padre di due bambine impose loro i nomi di Marfisa e di Bradamante, rendendo omaggio al maestro ed al suo poema, affermando: «un valore e un destino che le due eroine hanno incarnato nel romanzo dell’Ariosto». ¹⁴ Quando la sua prole vide la luce, don Francesco non aveva for se ancora per la primogenita quei disegni di grandezza che maturarono in lui, allorché la infecondità del suo matrimonio, il suo mancato accasamento dopo la vedovanza, e la sterilità dei due primi connubi del nipote, misero una ipoteca sulla successione ducale di Ferrara.

    Il nome di Marfisa, la cui imposizione, dopo il matrimonio della Estense con Alderano Cybo «divenne quasi una moda» in Carrara, ¹⁵ oggi sembra in disuso, ma poiché multa renascentur, tornerà forse in auge. Quel nome, è noto, ha una lunga storia, e le sue remote origini amazzoniche furono tali da secondare fantasie, non tutte armigere però, se è vero, come espose con le dovute cautele Pio Rajna, che il nome di Marfisa sarebbe una corruzione per metastasi di Formosa. ¹⁶

    Giuniano Giustino, epitomate delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo il «misterioso scrittore dell’epopea augustea», era per così dire di casa alla corte estense e considerò Marfisa con Antiope, regina delle Amazzoni. Ma fu il solo a farlo. Ciò non toglie, scrive Paolo Baldan, che questo sia «il sintomo di una diffusa presenza del nostro storico nella cultura del tempo». ¹⁷ L’amazzone come la eroina del Boiardo, regina a sua volta dell’India, era dotata di tal abilità «che non ha cavalier tutto il levante che la contrasti sopra della sella». ¹⁸

    Dal De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio ¹⁹ fino alla Bella storia di Orlando innamorato e poi furioso di Alfredo Panzini, la guerriera amazzoni ca occupa il suo spazio e si dilata nella nostra letteratura eroica, nulla avendo a che fare però con il maldestro coinvolgimento della principessa estense, a partire dalle Faville del maglio gonfiandosi in una congerie d’opere minori e minime di arte e poesia.

    Alla Estense dalla chioma d’oro cantata dal Tasso, ²⁰ pensava forse il Panzini, e mirando Angelica dal Boiardo collocata vicino «alla bella guerriera Marfisa»? Egli scrive che la amazzonica donna «è brunetta e alquanto grande di persona. Bruna, ma bionda perché in tal secolo il colore biondo dei capelli era obbligatorio come oggi», notando ancora «le chiome bionde al capo rivoltate». ²¹

    Le virtù e la fama di Marfisa, molti anni prima che la primogenita del suo antico allievo nascesse, furono cantate dall’Ariosto con versi che potrebbero aver valore profetico e forse questa esaltazione non solo piacque a Francesco d’Este, ma lo spinse a rinnovarne il nome di quella che avrebbe sopravanza to con i suoi meriti la mitica eroina.

    Canta il poeta:

    Ben mi par di veder ch’al secol nostro

    tanta virtù tra belle donne emerga

    che può dar opra di carte e ad inchiostro

    perché ai futuri anni si disperga

    e perché odiose lingue il mal dir vostro

    con vostra eterna infamia si sommerga,

    e le lor lodi appariranno in guisa

    che di gran lunga avanzeran Marfisa. ²²

    Sembrano questi versi l’anticipazione di una doverosa giustizia nei confronti della principessa estense e non credo si possa decentemente contestare la sua virtù con stupide storie (non diversamente da quanto ormai si è verificato per sua nonna paterna, Lucrezia Borgia ²³). Ma il contrario si è propalato e dagli sprovveduti creduto.

    Ludovico Ariosto aveva ancora cantato i propositi guerreschi e sanguinari della sua Marfisa:

    che uccider tutti et abbruciar volea, ²⁴

    mentre ben si può riferire anche alla Estense, con valore profetico, il verso che suona:

    Marfisa che gentil fu da che nacque. ²⁵

    La «bella Marfisa» della collezione di legni incisi della Galleria Estense di Modena ritratta in tenuta di guerriero da Luca Kilian ²⁶ è l’eroina dei poemi cavallereschi e forse anche la Estense nei famosi balletti, ma sulle cui fattezze benché si sappia di vari ritratti, non si è ancora avuta la parola risolutiva. La sua bellezza, tanto cantata e decantata persino, rimane consegnata al documento storico ed ancor più a quello poetico.

    Un solo ritratto della Estense è sicuramente autentico ed affiorò nei restauri promossi dalla Ferrariae Decus ²⁷ nella casa stessa di Marfisa in una sala, detta delle Marchesine perché di fronte a quel dipinto è raffigurata Bradamante l’altra figlia del marchese di Massa Lombarda. Tra i primi a vederle fu Giuseppe Agnelli che così descrisse la fanciulla di cui parliamo:

    Il ritratto è di bambina tra i dieci e gli undici anni; bionda, sana di colorito, con bel li occhi azzurri.

    Indossa un abito di broccato rosso-cupo, a liste tessute di giallo un po’ stretto in cintura; le maniche leggermente rigonfie e un collaretto rigido dietro la nuca attestano della nascente moda spagnola, un vezzo di

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