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Elementi di Diritto Privato Sportivo
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E-book481 pagine7 ore

Elementi di Diritto Privato Sportivo

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Info su questo ebook

Il presente volume si propone come strumento per gli operatori, i ricercatori, gli studiosi e gli studenti delle attività motorie e sportive. Per questi ultimi, in particolare, è stato predisposto un percorso formativo volto ad accrescerne la professionalità e consentire un rapido ed efficace inserimento nel mondo del lavoro.
All'uopo, a quelle che ormai possono essere definite le aree tematiche classiche del diritto privato sportivo (illecito sportivo, sponsorizzazione, pubblicità, merchandising, lavoro sportivo e doping) sono state affiancate aree che possono essere considerate le frontiere della materia: le attività motorie ed i disabili, da un lato, i grandi impianti sportivi, dall'altro. Due rami che, peraltro, sono complementari in alcuni casi perché l'accessibilità dei disabili negli impianti sportivi è un'esigenza che tende a superare il mero target dello spettatore per fondersi con quello dell'atleta disabile, soggetto di diritto in evidente evoluzione.
Ma l'impianto sportivo non deve essere solo un luogo accessibile per tutti ma un moderno contenitore di eventi, sportivi e non, capace di indirizzare l'intero assetto urbanistico di un'area metropolitana.
Non è possibile pensare di superare l'imbarazzo dell'attuale situazione impiantistica in Italia senza coinvolgere nel processo di ammodernamento tutti i soggetti che in esso vi confluiranno, atleti e tecnici del settore in primis.

Pierluigi Raimondo, cultore della materia, collabora alla cattedra di diritto costituzionale della Facoltà di Giurisprudenza ed alle cattedre di diritto pubblico e di diritto privato della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Bologna, ed è autore di diverse pubblicazioni dedicate all’approfondimento del diritto delle attività motorie e sportive.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2013
ISBN9788861555488
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    Anteprima del libro

    Elementi di Diritto Privato Sportivo - Pierluigi Raimondo

    Pierluigi Raimondo

    ELEMENTI

    DI DIRITTO

    PRIVATO

    SPORTIVO

    Prefazione di

    Angelo Piazza

    Copyright © 2013 Giraldi Editore

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-548-8

    Proprietà letteraria riservata

    © 2013

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    INDICE

    Prefazione

    I. L’illecito sportivo

    11. Le attività motorie e l’illecito sportivo

    12. La classificazione degli sport

    13. L’esimente sportiva

    14. Il limite del rischio consentito

    15. Rischio consentito e sport a violenza eventuale

    16. Gli sport pericolosi

    17. Le responsabilità sportive: gli atleti

    18. Allenatori, istruttori e maestri

    19. Arbitri e ufficiali di gara

    10. Le società e le associazioni sportive

    11. Il medico sportivo

    12. Il proprietario e il gestore dell’impianto sportivo

    13. L’organizzatore di eventi sportivi

    14. Lo sci

    15. Il danno risarcibile e l’utilizzabilità delle prove

    II. Il rapporto di lavoro sportivo

    11. L’idoneità sportiva e il tesseramento

    12. Il rapporto di lavoro sportivo dilettantistico

    13. La legge 23 marzo 1981, n. 91

    14. Il contratto di lavoro sportivo professionistico

    15. Disciplina del rapporto di lavoro sportivo professionistico

    16. La risoluzione delle controversie sportive

    III. Sponsorizzazione, pubblicità e merchandising nello sport

    11. Elementi del contratto di sponsorizzazione

    12. La sponsorizzazione sportiva

    13. Dalla sponsorizzazione di una società o associazione sportiva a quella del singolo atleta

    14. La sponsorizzazione di una manifestazione sportiva

    15. Le norme sportive

    16. L’abbinamento

    17. La pubblicità

    18. Il merchandising

    19. Il diritto all’immagine

    10. I regolamenti sportivi sullo sfruttamento dell’immagine

    IV. Costruzione e ristrutturazione degli impianti sportivi

    11. Il modello inglese

    12. Il sistema italiano

    13. La ricerca di un nuovo modello

    14. Gli iter tecnici ed amministrativi

    15. I regolamenti sportivi e le norme tecniche

    16. L’accessibilità per i disabili

    17. Il disegno di legge sull’impiantistica sportiva

    18. Il modello tedesco

    19. Criticità del modello italiano

    V. Il doping

    11. Sport e farmacodipendenza

    12. La

    Wada

    e il Codice mondiale Antidoping

    13. L’attività delle organizzazioni internazionali

    14. Le norme antidoping in Italia

    15. I regolamenti sportivi

    16. Farmaci ed integratori

    17. Il doping genetico

    VI. Il diritto di esercizio delle attività motorie dei disabili

    11. La condizione del disabile e l’approccio con le attività motorie e sportive

    12. La definizione di disabilità e la Costituzione italiana

    13. Dalla legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104, alla legge-quadro 8 novembre 2000, n. 328

    14. Handicap e Diritto privato

    15. L’amministrazione di sostegno

    16. L’idoneità sportiva per i disabili

    Prefazione

    di Angelo Piazza

    Il presente manuale si pone l’obiettivo di formare lo studente di Scienze motorie abbinando alle nozioni di Diritto privato l’analisi dei principali istituti giuridici che a esso si collegano nell’ordinamento sportivo.

    In questo modo lo studente, dopo aver affrontato i temi dei soggetti del diritto civile, può verificare come si siano evoluti gli istituti giuridici in favore delle cosiddette fasce deboli, i diversamente abili, cui dovranno dare ausilio nel loro percorso di inserimento nelle attività motorie e sportive, sino ai livelli agonistici per loro disegnati dalle federazioni. Per questo motivo l’Autore ha ritenuto opportuno soffermare l’attenzione sull’amministrazione di sostegno, definita dalla legge n. 6/2004, che sdogana la persona fisica dai limiti cui veniva relegata attraverso l’interdizione e l’inabilitazione, aprendo in suo favore nuovi scenari e possibilità di movimento meno degradanti ed afflittive.

    Per quanto riguarda il novero dei beni e della proprietà, il tema cogente dei grandi impianti sportivi permetterà di comprendere le difficoltà riscontrabili in Italia in un settore che dimostra una certa inadeguatezza infrastrutturale e la necessità di arrivare a una nuova definizione dell’impiantistica sportiva, essendo il nostro Paese arrivato a un bivio cruciale: passare dall’assetto proprietario pubblico (essendo la maggior parte degli impianti esistenti comunali) a quello privato. Per questo il relativo capitolo analizza le norme vigenti unitamente alle scelte effettuate da altri Paesi europei, con particolare riguarda al Regno Unito e alla Germania.

    In merito ai contratti, gli studenti non possono non conoscere il principale strumento di accesso per loro nel mondo del lavoro: il contratto di lavoro sportivo, dilettantistico prima, professionistico dopo. Non conoscerne le norme, le clausole e gli iter previsti implica il rischio di accedere al mondo del lavoro senza tutele o con formule oggetto di quelle controversie che invece la legge n. 91/1981 aveva inteso limitare. In una realtà fortemente scossa dalla crisi economica e vittima del lavoro che non c’è, il futuro professionista dello sport deve sapere anche inventare il lavoro e partire dalla costituzione di una piccola attività sportiva. Un percorso affrontabile in tal senso è quello della copertura degli iniziali costi fissi attraverso la stipulazione di piccoli contratti di sponsorizzazione con piccole aziende locali, desiderose di aumentare la propria visibilità inserendosi in spazi pubblicitari all’interno di piccoli impianti e palestre oppure finanziando manifestazioni sportive. Il contratto di sponsorizzazione prima e quello di merchandising e di pubblicità poi, quando il livello di notorietà è conclamato, sono gli strumenti ottimali per quella piccola e media imprenditorialità sportiva ormai diffusissima nel nostro Paese.

    Infine, era indispensabile affrontare e completare il collegamento con le obbligazioni attraverso la disamina dell’illecito sportivo e del doping. Gli obblighi civilistici da un lato e della normativa speciale dall’altro (si pensi al relativamente recente d.lgs. n. 81/2008) impongono nuove o quanto meno aumentate professionalità in grado di arginare le insidie e i pericoli presenti in tutti gli sport, specie per quelli a violenza eventuale o necessaria. Per quanto riguarda il doping il fronte è sempre aperto: da un lato la scienza produce costantemente tecniche e metodi idonei a influire sull’organismo umano e quindi sulle performance, dall’altro i neofiti dello sport e i futuri campioni sempre più desiderosi di arrivare ai massimi livelli attraverso la strada facile, la più breve, la meno onesta. Nel mezzo, la norma statale sul piano penale, e soprattutto quella sportiva per quello disciplinare, aventi lo scopo di inibire sempre più il ricorso a tale fenomeno e porre inderogabilmente lo sportivo di fronte a una scelta: o far parte dell’ordinamento sportivo, che non tollera nemmeno il tentativo d’uso, o rimanere severamente puniti se non addirittura esclusi.

    Per ovvie esigenze di ottimizzazione del tempo a disposizione non sono stati considerati rami del Diritto privato sportivo che di certo non sono meno importanti, anzi, ma che possono essere affrontati in un secondo momento e in altri ambiti.

    L’obiettivo è quello di fornire agli studenti strumenti giuridici indispensabili da un lato, e dall’altro rimarcare la necessità di comprendere i tempi e saper fornire risposte in grado di rimanere competitivi sul mercato, senza dimenticare che il motivo per cui vengono svolte le attività motorie e sportive è principalmente uno: divertirsi, formare i giovani, aiutare lo sviluppo della salute e del benessere dell’individuo e della società.

    I. L’illecito sportivo

    Sommario: 1. Le attività motorie e l’illecito sportivo. – 2. La classificazione degli sport. – 3. L’esimente sportiva. – 4. Il limite del rischio consentito. – 5. Rischio consentito e sport a violenza eventuale. – 6. Gli sport pericolosi. – 7. Le responsabilità sportive: gli atleti. – 8. Allenatori, istruttori e maestri. – 9. Arbitri e ufficiali di gara. – 10. Le società e le associazioni sportive. – 11. Il medico sportivo. – 12. Il proprietario e il gestore dell’impianto sportivo. – 13. L’organizzatore di eventi sportivi. – 14. Lo sci. – 15. Il danno risarcibile e l’utilizzabilità delle prove.

    1. Le attività motorie e l’illecito sportivo

    Qualsiasi attività sportiva, come ogni attività umana, può essere foriera di pericoli e insidie da cui possono derivare danni agli atleti e non solo. Parliamo di responsabilità sportiva per indicare i casi in cui vengano cagionati danni dall’attività sportiva, intesa come attività particolare e come organizzazione dell’evento sportivo. Orbene, la pratica sportiva deve essere una libera attività esercitata nel rispetto delle regole volte ad assicurarne il corretto svolgimento, nell’interesse di coloro che lo praticano, anche a tutela dell’incolumità di terzi¹. Partendo da tale assunto è considerabile illecito sportivo il comportamento tenuto nel corso di un avvenimento sportivo ledente le regole dello sport ove il mancato rispetto dei fondamentali principi di lealtà e correttezza, ovvero la semplice inosservanza delle specifiche regole del gioco, possono arrecare danni a terzi o agli stessi atleti, con conseguenze peraltro civili o penali. Ovviamente, necessita contemperare l’esigenza degli sportivi di avere una certa libertà di esercizio della pratica sportiva con la tutela dell’integrità fisica e la salvaguardia della salute degli atleti, degli addetti sportivi e del pubblico. Il fenomeno sportivo e l’ordinamento giuridico generale sono due entità che presentano delle zone di reciproca permeabilità. Quantunque connotato dai caratteri della originarietà, perché autonomamente esistente e non creazione dello Stato sul cui territorio agisce, l’ordinamento sportivo è legato a quello giuridico statale da un rapporto di riconoscimento, così come già evidenziato dalla legge istitutiva del Coni. A quest’ultimo veniva attribuita personalità giuridica, la cui natura pubblica è stata sancita espressamente nell’art. 1, d.lgs. del 23 luglio 1999, n. 242.

    Il Coni, infatti, si articola in una pluralità di federazioni sportive, le quali sono suoi organi e stabiliscono con regolamenti interni le norme tecniche e amministrative per il loro funzionamento e le norme per l’esercizio dello sport². Dal momento che l’ordinamento sportivo disciplina l’organizzazione, l’esercizio e lo svolgimento dell’attività sportiva, ne deriva che i regolamenti federali delle singole discipline possono prevedere obblighi e divieti, a carico dei soggetti dello stesso ordinamento, nonché le relative sanzioni³. Pertanto, costituisce illecito sportivo "la violazione di obblighi o divieti contemplati da regolamenti federali per i quali sia prevista la comminazione di sanzioni amministrative sportive e il conseguente riconoscimento di una responsabilità di tipo disciplinare"⁴. Giova precisare che non è previsto un intervento normativo statuale né tantomeno dell’autorità giudiziaria ordinaria dal momento che le predette violazioni possono essere commesse solo da soggetti riconosciuti dall’ordinamento sportivo che con il tesseramento hanno accettato l’assoggettabilità ai predetti regolamenti. Ovviamente questo nella misura in cui l’illecito sportivo non si configuri anche quale fonte di obbligazione, come nel caso dei comportamenti colposi o volontari che si verificano sul campo di gioco o le inadempienze contrattuali e di lavoro fra società e affiliati. Ne consegue che l’illecito sportivo può dar luogo alla reazione dell’ordinamento sportivo (responsabilità disciplinare) ma può essere fonte di responsabilità civile (contrattuale o extracontrattuale) o penale, con l’applicazione da parte dell’ordinamento statale della sanzione civile, sotto la forma dell’obbligazione di risarcire il danno, o della sanzione penale⁵. Non tutti gli eventi lesivi in ambito sportivo comportano la perseguibilità penale della condotta dell’atleta dal momento che vi sono regole la cui violazione rileva solo per l’ordinamento sportivo e altre la cui violazione rileva anche per l’ordinamento generale. Il rispetto delle regole sportive non esclude l’eventuale colpa dello sportivo anche se la giurisprudenza tende a riconoscere che la loro osservanza può rendere l’autore esente da responsabilità. Profili di responsabilità derivano sempre e comunque dalle eventuali violazioni del generale dovere di diligenza che grava sui soggetti specificamente preposti a garantire che i rischi derivanti da determinate attività sportive siano contenuti il più possibile⁶.

    2. La classificazione degli sport

    Tutte le attività umane possono divenire in vario modo pericolose e così anche quelle sportive possono essere fonte di danni all’incolumità delle persone. Il gesto sportivo può essere per sua stessa natura di tipo violento ma lo spirito con cui viene azionato, dal contesto ludico a quello agonistico, si chiede sia contemperato dal senso vigile e umanitario del rispetto altrui, scaturente da un sentimento di lealtà, correttezza e probità. Sorge, quindi, il problema di come correttamente qualificare e accettare il concetto di violenza sportiva. Una corretta disamina della sua fenomenologia deve necessariamente partire da una suddivisione in categorie degli sport che, in base al potenziale rischio lesivo, possiamo così idealtipizzare⁷:

    a) a violenza necessaria (boxe, lotta libera, arti marziali, ecc.);

    b) a violenza eventuale (calcio, rugby, basket, pallanuoto, hockey, ecc.);

    c) pericolosi (automobilismo, motociclismo, ciclismo, sci, sport estremi, ecc.);

    d) a contatto assolutamente proibito (atletica leggera, tennis, nuoto, pallavolo, golf).

    Per sport a violenza necessaria (di contatto o da combattimento⁸) devono intendersi quelle discipline in cui si persegue la vittoria sull’avversario secondo uno schema di regole prestabilite e mediante l’impiego di forza, tecnica e violenza fisica, ammessa e tollerata a seconda dei casi; violenza evidentemente in re ipsa⁹. Da ciò si evince che elementi naturali di queste discipline siano il contatto fisico e una dose variabile di violenza, fattori questi che, al di fuori di quest’ambito, sarebbero socialmente non accettabili e rilevanti civilmente e penalmente. In tali contesti l’atleta, titolare del diritto alla vita e all’integrità fisica, deve dare il proprio consenso non solo per subire lesioni ma anche per arrecarle a terzi. La questione che qui rileva non è tanto se le lesioni cagionate o patite siano lecite o meno, quanto se sia considerabile giuridicamente ammissibile la stessa pratica sportiva che, nella sua specifica condotta di gara, fuori da tale contesto mai lo sarebbe.

    Gli sport da combattimento sono disciplinati da un regolamento che codifica, indirizza, delimita e valuta la prestazione dell’atleta; lo stesso viene interpretato e applicato da uno o più arbitri che possono essere aiutati da mezzi obbiettivi (apparati di segnalazione automatici e strumenti di misura dei tempi e delle distanze). A fattor comune, necessita comunque tutelare la sicurezza degli atleti attraverso:

    1) previsione di divieti e sanzioni¹⁰;

    2) adozione di protezioni su parti del corpo¹¹;

    3) adozione di materiali dalle caratteristiche particolari¹².

    La potestà normativa delle federazioni in tale ambito trova particolare applicazione nelle c.d. regole tecniche, destinate a disciplinare lo svolgimento della gara fin dalla fase preparatoria integrando i canoni di condotta dell’atleta. Loro obiettivo è quello di garantire l’equilibrio della competizione o la prevenzione di veri e propri eventi dannosi a carico dei partecipanti. A questo punto sorge il problema di come individuare il parametro attraverso il quale l’infrazione tecnico-sportiva diventi elemento costitutivo della responsabilità, ovvero stabilire il rapporto tra colpa sportiva e colpa ordinaria. Naturale punto di partenza costituiscono le disposizioni degli artt. 43 c.p. e 2043 c.c., che valutano rispettivamente la colpevolezza sotto un profilo penalistico e civilistico. La questione rilevante si incentra sul valore dell’osservanza delle regole tecniche di condotta, relativamente alla non punibilità di quegli eventi (violenza privata, percosse, lesioni e, talvolta, omicidio) che possono ricorrere talvolta nella competizione sportiva, specie quando essa comporti necessariamente l’uso della forza fisica.

    Per quanto riguarda gli sport a violenza eventuale, in caso di lesioni personali verificatesi durante lo svolgimento di una gara, non tutte le violazioni delle regole del gioco, né la commissione di un’azione per semplice ansia di risultato, possono dar luogo a una responsabilità penale dell’atleta ma soltanto quelle scorrettezze cagionate per scopi estranei alla competizione. Ne consegue l’esclusione della rilevanza penale delle lesioni conseguenti ad una violazione involontaria delle regole di gioco, come nel caso di un fallo derivante da azione maldestra piuttosto che da ansia di risultato. Pertanto, la volontarietà dell’atto sarà il sicuro ponte di collegamento tra l’illecito sportivo e quello penale, mentre maggiori difficoltà risiedono nell’individuazione di una c.d. linea di confine superata la quale, in caso di episodi violenti, si fuoriesce dal campo del semplice illecito sportivo per entrare in quello dell’illecito penale. Orbene, in tali sport si fa riferimento alla nozione di violenza base, concetto relazionale che muta in funzione della natura della specifica disciplina sportiva, dipendendo strettamente dal contenuto dei regolamenti federali. Le lesioni accettabili rientranti nella violenza base saranno di entità lieve o media a seconda dello sport in questione e della specifica condotta di gioco che potrebbe condurre anche a lesioni gravi dell’incolumità fisica dell’avversario¹³. In ogni caso v’è esclusione della rilevanza penale di tutte quelle lesioni frutto di violazioni involontarie dei regolamenti federali, poste in essere per goffagine, incapacità, scarsa accortezza, foga, ecc.¹⁴

    Nel caso degli sport pericolosi, si noti che l’ordinamento giuridico ne riconosce e consente numerosi tipi, comparandone vantaggi e rischi, e all’uopo acconsentendo al relativo esercizio fissandone modalità che delineano limiti ma senza impedirlo; modalità subordinate alla costante presenza del consenso del titolare dell’interesse contrapposto, giacché sarebbe inconcepibile che la legge autorizzasse tali attività prescindendo dall’accettazione dei rischi da parte degli interessati¹⁵. L’illecito penale si avrà nel caso in cui il concorrente ponga in essere un comportamento che esuli dai normali rischi derivanti dall’esercizio dell’attività sportiva con il fine di recare danno ad altri concorrenti, agendo, quindi, con dolo, oppure imprudenza, negligenza o con imperizia. In tali sport l’esercizio dell’attività è permeata da copioso elenco di misure preventive, tra cui le regole di gioco, volte a salvaguardare l’incolumità fisica dei competitori e non solo; regole tecniche che hanno il fine di assicurare che la condotta non dia luogo a risultati offensivi. Ma la sola osservanza di tali regole non garantisce il contenimento delle offese entro limiti accettabili: pertanto, anche in questo caso eventuali conseguenze lesive comporteranno il problema della qualificazione giuridico-penale del comportamento cagionante. Infatti, non essendo previsto alcun contatto fisico per la maggior parte di tali sport, non si può prevedere alcun illecito sportivo ma solo penale, nella forma della colpa grave o del dolo, dal momento che l’ambito sportivo rappresenta solo il contesto all’interno del quale l’evento lesivo si è realizzato. Fra questi rilevano gli sport estremi, i cui regolamenti di gioco prevedono che l’atleta non si commisuri direttamente con altri atleti ma con i propri limiti fisici mettendo a repentaglio la propria incolumità in situazioni che normalmente non sarebbe in grado di sopportare¹⁶.

    Naturalmente, per le discipline in cui il contatto fisico è proibito, non sorge problema alcuno in ordine all’individuazione della responsabilità penale degli atleti, essendo sufficiente il richiamo alle norme sull’illecito penale. In tali casi non è operabile il ricorso all’illecito disciplinare, dal momento che non è rinvenibile alcuna involontaria violazione delle regole che disciplinano quella data attività sportiva ma mera espressione di condotte contraddistinte da dolo o colpa grave, rappresentando la competizione agonistica esclusivamente l’occasione all’interno della quale l’evento lesivo si è verificato. In tali contesti, avventarsi sull’avversario intenzionalmente significa prescindere dallo spirito sportivo e dai quei principi di lealtà, prudenza e perizia necessari per classificare una eventuale responsabilità per colpa.

    3. L’esimente sportiva

    Qualsiasi sia lo sport praticato, il confine della liceità sportiva sarà dettato dai regolamenti sportivi che predeterminano i tipi di condotte ammesse avendole astrattamente ritenute idonee e conformi alla specifica attività agonistica. L’osservanza delle regole del gioco configura una componente scriminante della responsabilità dell’atleta, fatta salva la valutazione di quegli elementi che devono sempre e comunque presenziare, ovvero: la prudenza, la diligenza e la perizia. Tali parametri restano gli unici criteri valutativi della condotta in grado di sopperire eventuali lacune della regolamentazione della disciplina sportiva¹⁷. Comune orientamento giurisprudenziale e pacifica accettazione in dottrina¹⁸ ritengono vi sia esclusione di responsabilità penale dell’atleta quando è dimostrabile che:

    a) vi sia stato assoluto rispetto delle regole tecnico-sportive;

    b) vi sia stato esclusivo raggiungimento delle finalità agonistiche;

    c) l’azione sia rimasta nello stretto esercizio e nei limiti dell’attività sportiva.

    Ovviamente non operano i predetti criteri nel momento in cui:

    a) si tratti di competizioni illecite (clandestine) per le quali non sono chiaramente applicabili i regolamenti di federazione alcuna;

    b) quando l’azione di gioco è stata fermata, ancorché prima dell’inizio dell’incontro, durante le pause o dopo il termine della competizione.

    Nel Codice penale vigente non è espressa alcuna attenuante riferita all’esercizio della pratica sportiva anche se negli sport a violenza necessaria, ma anche in quelli a violenza eventuale, elevata è la pericolosità determinata dalla mera esecuzione del gesto sportivo, a discapito di beni tutelati dall’ordinamento quali la vita e l’incolumità personale.

    Il diritto penale non è l’unica fonte chiamata in causa in materia di lesioni sportive¹⁹ ma l’indagine penale ha l’onere di verificare il contemperamento di due interessi a volte in antitesi: da un alto la tutela dell’integrità fisica e della salute dei praticanti le attività motorie, attraverso la repressione di tutti i comportamenti lesivi di tali diritti; dall’altro la possibilità di esercitare tali attività con quella libertà senza la quale lo sport verrebbe privato di quella specificità e quella funzione sociale per cui è promosso dallo Stato.

    Esistono cause non codificate di esclusione del reato per le lesioni dell’integrità fisica dell’avversario arrecato dall’atleta, in gara lecita e con l’osservanza delle regole del gioco. Invece, nell’antichità si era affermato il principio in base al quale era immune da responsabilità chiunque, partecipando a gare lecite o alle esercitazioni preparatorie, avesse cagionato la morte o lesioni all’avversario²⁰. Nel tempo tali principi non si tradussero in specifiche norme di esenzione di responsabilità aquiliana o penale ponendo tale onere a carico della dottrina e della giurisprudenza. Alcuni autori hanno ricondotto la non punibilità all’esercizio di un diritto, di cui all’art. 51 c.p. (l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità), in modo da valorizzare una rilevanza immediata della regola sportiva nell’ordinamento generale, ma tale tesi non tiene conto che in questo modo la scriminante opererebbe solo per l’attività sportiva svolta in competizioni ufficiali, sotto l’egida del Coni o delle sue federazioni²¹, restandone escluse le competizioni libere²². La stessa escluderebbe la punibilità per le condotte che rientrano all’interno dell’esercizio di un diritto e poggia essenzialmente su un principio di non contraddizione: l’ordinamento non può contemporaneamente accordare a un soggetto una facoltà di azione e al tempo stesso sanzionare i fatti conseguenti il comportamento che esso stesso autorizza²³. Sarebbe incoerente che lo Stato prima autorizzasse l’attività sportiva riconoscendola e poi punisse l’atleta che, nell’esercizio di tale attività e nel rispetto delle regole del gioco, cagionasse delle lesioni a un avversario ovvero a terzi²⁴.

    Più pacifica appare l’accettazione del principio del consenso dell’avente diritto²⁵, in base al quale è dato sostenere che il partecipante a una competizione presterebbe il proprio consenso, ex art. 50 c.p. (non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne²⁶), a subire offese alla propria integrità fisica, accettando tale rischio derivante dalla specifica disciplina praticata. La tesi potrebbe essere contestata sulla base dell’enunciato dell’art. 579 c.p., omicidio del consenziente, e dell’art. 5 c.c., relativamente agli atti di disposizione del proprio corpo che causino una lesione permanente dell’integrità fisica, ma di fatto l’art. 50 c.p. è pienamente considerabile esimente sportiva, pertanto causa di esclusione della responsabilità penale, avendo operativa capacità di comprimere il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 5 c.c. Infatti, la gamma dei pregiudizi all’incolumità personale provocabili da pratiche sportive violente è ampia e abbraccia numerose offese (percosse, lesioni lievi, violenza privata) che possono essere oggetto di consenso in quanto rientranti nei limiti di disponibilità del bene dell’integrità fisica²⁷, tant’è vero che per la perseguibilità penale di tali reati necessita specifica condizione di procedibilità ex art. 120 c.p. Tutto ciò sempre che alla base del consenso dell’avente diritto vi sia la considerazione della libera disponibilità della propria sfera giuridica, dal momento che il consenso di chi subisce l’azione delittuosa per integrare gli estremi della scriminante in questione necessita di un consenso validamente e spontaneamente prestato da una persona capace di intendere e di volere. Nessun rilievo rivestirebbe il consenso prestato da un soggetto incapace, così come nessuna decisività assumerebbe un consenso estorto con la violenza o con l’inganno.

    Quanto alla valida manifestazione del consenso, occorre ricordare che tale estrinsecazione può avvenire essenzialmente in due modi: espressamente o tacitamente. Per quanto riguarda tale ultima ipotesi è ragionevole porsi il dubbio se:

    a) debba intendersi un comportamento concludente dal quale si evinca la volontà del soggetto, intesa come volontà consapevole ed effettivamente maturata e manifestatasi, sia pure tacitamente, in ordine ad un dato oggetto;

    b) possa riguardarsi come sufficiente la presunzione circa il fatto che un soggetto, se avesse conosciuto i propositi dell’agente, avrebbe prestato il proprio consenso, ovvero trattasi del cosiddetto consenso presunto.

    In ogni caso il consenso dell’avente diritto non può scriminare qualsivoglia comportamento o azione delittuosa. Il bene della salute, tutelato anche costituzionalmente attraverso l’art. 32 Cost., non tollererebbe compressioni così marcate. Pertanto la scriminante non può operare laddove abbia ad oggetto un comportamento lesivo in maniera definitiva e permanente, dell’integrità fisica, come quello che causa la morte del consenziente, azione punita ex art. 579 c.p., come diretto effetto a seguito di manifestato consenso²⁸. All’uopo, si applica tale esimente sia nell’ambito delle attività sportive gestite dalle organizzazioni riconosciute dallo Stato, ma anche nell’ambito delle gare aventi mero scopo ricreativo e di svago, purché vi sia stato il rispetto delle regole di gioco e la liceità della gara. Il campo di applicazione della scriminante è costituito da tutte le discipline sportive ad eccezione degli sport senza contatto fisico. L’operatività del consenso dell’avente diritto risiede nel fatto che siano coperte dall’esimente, pertanto giustificate, tutte quelle azioni oggettivamente integranti gli estremi di talune fattispecie delittuose, che però vengano poste in essere durante lo svolgimento della competizione sportiva, e nel rispetto delle sue regole. Quindi, sino a quando l’azione delittuosa non venga commessa trascendendo i confini dello sportivamente accettabile, ponendosi in palese distonia con lo spirito del gioco. Il consenso trasforma il fatto, togliendogli il carattere di illecito giuridico e, pertanto, in assenza di quel danno sociale che è la ragione della non punibilità di tutte le scriminanti viene meno anche l’interesse alla repressione: il danno non ha conseguenze giuridiche rilevanti perché non proviene da una causa estranea al danneggiato²⁹.

    L’attività sportiva assurge a causa di esclusione del reato, poiché esclude l’antigiuridicità di un fatto tipico lesivo dell’integrità fisica, traducendosi in una vera e propria esimente in quanto derivante da un corretto procedimento interpretativo, in cui, accanto alla interpretazione logica, sistematica e teologica, svolge un ruolo non trascurabile quella storica³⁰. L’esimente, tuttavia, presuppone necessariamente che non sia travalicato il dovere di lealtà sportiva e il rispetto delle norme sportive, così come sancito dall’art. 35 del d.p.r. 28 marzo 1986, n. 157³¹. Secondo tale teoria, la linea di demarcazione tra condotta lecita e quella illecita sarà rilevabile in base alla verifica della condotta dell’atleta, ovvero se abbia volontariamente o meno violato i regolamenti disciplinari. Pertanto, infrangendo deliberatamente le regole della competizione, dà luogo ad una violazione della menzionata lealtà sportiva, con la conseguenza che la lesione eventualmente cagionata per effetto di tale condotta comporterà il configurarsi di un’ipotesi di responsabilità penale. In alcuni casi si è fatto riferimento all’esistenza di una causa di giustificazione atipica o non codificata, la cui ratio è rappresentata dal fatto che la competizione sportiva è non solo ammessa ed incoraggiata per gli effetti positivi che svolge sulle condizioni fisiche dei praticanti, dalla legge e dallo Stato, ma anzi ritenuta dalla coscienza sociale come una attività assai positiva per l’armonico sviluppo dell’intera comunità. In tal modo, la responsabilità sussisterebbe soltanto nel caso in cui l’evento dannoso si sia verificato superando la soglia del c.d. rischio consentito della disciplina sportiva; in particolare siffatta soglia sarebbe superata nel caso in cui il fatto lesivo si verifichi perché il giocatore ha violato volontariamente le regole del gioco, disattendendo i doveri di lealtà verso l’avversario. La responsabilità sarebbe collegata prevalentemente al dolo: ravvisabile quando la gara sia soltanto l’occasione dell’azione volta a cagionare l’evento oppure quando il comportamento posto in essere dal giocatore autore del fatto lesivo non sia immediatamente rivolto all’azione di gioco, ma piuttosto ad intimorire l’antagonista e a dissuaderlo dall’opporre qualsiasi contrasto – casi deplorevoli che purtroppo non sono infrequenti, per esempio, sui campi di calcio – oppure a ‘punirlo’ per un fallo involontario subito – il c.d. ‘fallo di reazione’, anche esso piuttosto frequente. In entrambi i casi indicati, come è evidente, la condotta dell’agente fuoriesce dagli schemi tipici del gioco e la violazione delle regole non è diretta in via immediata al compimento di una azione di gioco, ma al perseguimento di altri fini del tutto estranei alla competizione o, se connessi alla stessa, non perseguibili perché illeciti³².

    4. Il limite del rischio consentito

    Ovviamente, vi sono attività sportive foriere di un elevato rischio per l’incolumità fisica ed altre a bassissimo rischio. Quella che possiamo considerare una scala di gravità è costruibile attraverso regole cautelari che possono essere costruite sulla base dei tradizionali criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento ma che comunque devono permettere lo svolgimento dell’attività sportiva al contempo mantenendo entro limiti accettabili il livello di pericolosità. Pertanto, solo il superamento di tali limiti, individuabili nei margini del rischio consentito, può essere fonte di responsabilità colposa. Non si può escludere aprioristicamente che durante una determinata pratica sportiva un atleta subisca lesioni all’integrità fisica che superano quella soglia della violenza ammessa dai regolamenti e strettamente necessaria per lo svolgimento del gioco, il rischio consentito, la cui definizione in concreto spetta in ogni caso al solo giudice di merito.

    Il primo criterio da individuare risiederà nell’accertamento della involontarietà o meno della condotta di gioco fallosa: nel primo caso la condotta di gioco contraria alle regole rileverà quale fallo di gioco, integrando un mero illecito sportivo, in quanto tale specificamente sanzionabile solo nella disciplina dell’attività sportiva prescelta e quindi in sede di giustizia sportiva; nel secondo caso, la deliberata violazione delle medesime regole, segno della slealtà del giocatore, la cui condotta si colloca al di fuori degli schemi tipici del gioco, non sarà idonea a sortire effetto scriminante, con conseguente configurazione di responsabilità penale che, a seconda dell’atteggiamento psicologico dell’autore, potrà assumere connotazione colposa o dolosa. Naturalmente, il limite del rischio consentito sarà superato solo quando il fallo di gioco, oltre che essere volontario, sia di tale durezza da comportare la prevedibilità del pericolo serio dell’evento lesivo a carico dell’avversario, che in tal caso viene esposto ad un rischio superiore a quello accettabile dal partecipante medio. Il discrimine tra attività lesive lecite e colpose verrà individuato dal giudice caso per caso, utilizzando quale parametro di valutazione il rispetto delle regole della gara e dei fondamentali principi di lealtà e correttezza, tenendo conto altresì delle concrete circostanze in cui l’evento si è configurato, giacché suscettibili di modificare la soglia di rischio accettabile dal partecipante medio³³. Il problema è che non sempre risulta agevole individuare i comportamenti scriminanti dalla causa di giustificazione, dovendo quindi valutare quale sia per ogni disciplina la soglia del rischio consentito, di quel rischio cioè inteso come accettazione delle conseguenze lesive riconducibili all’alea normale connaturata all’attività praticata. Pertanto, il comportamento dello sportivo, rispettoso delle regole del gioco e cagionante un evento lesivo ad un avversario, non è connotato da quella antigiuridicità che legittima la pretesa punitiva dello Stato e l’inflazione di una sanzione. Il rischio sarebbe allora il rovescio della medaglia della condotta dell’atleta medio, nel senso che da un lato egli non dovrà rispondere di un’azione che in via ordinaria sarebbe penalmente o civilmente rilevante, e dall’altro avrà l’onere di sopportare la medesima condotta contro di lui esplicata. Seppure la condotta violenta posta in essere assuma contorni di sproporzione rispetto al normale svolgimento del gioco, non è detto che per ciò stesso superi la soglia del rischio consentito: un gareggiante può provocare una lesione all’integrità fisica dell’avversario di natura eccezionale per il tipo di gioco praticato, nel rispetto dei regolamenti o in loro violazione, ma nell’ambito di un’azione di gioco col fine esclusivo di perseguire la vittoria e senza alcuna intenzionalità lesiva, ovvero perché trascinato dalla foga ed ardore agonistici. In questo modo, rimarrebbero scriminate solo le violazioni involontarie dei regolamenti dovute essenzialmente alla foga agonistica ed alla incapacità di interrompere tempestivamente la propria azione o corsa al fine di non ostacolare l’avversario, mentre rimarrebbero normalmente perseguibili le violazioni volontarie, segno della slealtà del giocatore, la cui condotta si colloca al di fuori degli schemi tipici del gioco. Con l’ulteriore distinzione fra condotte colpose e dolose, dovendosi ritenere configurabile la colpa quando vi sarà il superamento del rischio consentito in una determinata pratica sportiva. Ma non ogni competizione si connota per la medesima carica agonistica, in quanto questa dovrebbe essere proporzionata all’importanza ed alle finalità della gara, l’area del rischio consentito è normalmente proporzionale al rilievo esterno della competizione, riducendosi rispetto a competizioni di natura amichevole o prive di ufficialità quali il tipo di attività sportiva esercitata, se cioè rientri tra quelle a violenza necessaria, ovvero solo eventuale; il tipo di gara espletata, se cioè di allenamento, esibizionistica o agonistica, ed in tale ultima ipotesi a quale livello agonistico sia riconducibile; come pure dovrebbe essere proporzionata al tipo di preparazione atletica dei partecipanti, se cioè siano amatori, dilettanti o professionisti³⁴. Pertanto, è ammissibile in allenamento un incidente da cui siano derivate una tumefazione o una distorsione, non è ammissibile una frattura o una grave menomazione fisica configurandosi, in tale ipotesi, lesioni gravi o gravissime, che senza ombra di dubbio lasceranno al soggetto offeso un’invalidità permanente.

    In considerazione di tali elementi, e con riferimento alle diverse categorie sportive, occorre valutare se il comportamento tenuto dall’offensore possa essere ricondotto al normale esercizio di una certa violenza, necessariamente connessa al tipo di attività praticata, ovvero al rispetto delle regole del gioco, da cui sia comunque derivata una lesione, ovvero ancora se l’esercizio della violenza ecceda i limiti consentiti ed il giocatore abbia violato le regole della competizione, nonché quelle della ordinaria prudenza e lealtà, oltrepassando la soglia del rischio consentito.

    L’eventuale reato configurabile può essere di natura omissiva, se commesso trascurando le cautele e le precauzioni che rientrano nella diligenza del pater familias, oppure di natura commissiva, determinato cioè dall’attività del soggetto. La violenza esercitata può essere determinata dall’animosità del gioco, e quindi tollerata dall’ordinamento, oppure fine a se stessa, e quindi punibile, se il comportamento tenuto dall’atleta non rientra nella casistica di specie, o nella necessità di conseguire un risultato, sia esso di prevalenza o di contrasto con l’avversario, che comunque deve essere commisurato al modo di porsi atleticamente di questi³⁵. Tale assunto non vale in assoluto per la categoria degli spettatori: non è mai invocabile il principio dell’assunzione del rischio da parte loro ai fini di un esonero da responsabilità qualora subiscano danni. Diverso è il discorso per l’arbitro, ovvero del soggetto super partes che certifica il regolare e corretto svolgimento della competizione, interpretando ed applicando le regole tecniche che regolano la disciplina sportiva. Quando partecipa a sport a violenza necessaria non può indossare sistemi di protezione fisica (limiterebbero il dinamismo e la funzione di controllo del corretto svolgimento della gara). Eventuali danni sofferti ad opera di un competitore non possono dar luogo ad alcuna pretesa risarcitoria, perché implicitamente accettati per effetto dell’assunzione del rischio sportivo.

    5. Rischio consentito e sport a violenza eventuale

    Il principio del neminem laedere, trasposizione nell’ordinamento giuridico del concetto biblico del non fare agli altri ciò che non si vuole venga fatto a se stessi, impone uno specifico obbligo di corretto comportamento nelle molteplici relazioni intercorrenti tra gli individui, sanzionando la violazione di tale precetto in diversi modi³⁶. In caso di lesioni cagionate nel corso dello svolgimento di una competizione a violenza eventuale si configura una responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.³⁷ dal momento che:

    a) la condotta dell’atleta ha violato un diritto (quello alla salute e all’integrità fisica) dell’altro in modo assoluto (verso tutti i consociati);

    b) tra i due giocatori non sussisteva, prima dell’azione di gioco, nessun vincolo di tipo contrattuale che obbligasse al risarcimento del danno e, pertanto, la condotta del primo atleta non può sicuramente qualificarsi alla stregua di inadempimento nei confronti del secondo alla stregua di quanto previsto dall’art. 1218 c.c.

    In caso di infortunio occorso ad un atleta durante una competizione sportiva, i danni per le lesioni riportate non sono normalmente risarcibili, a meno che non venga dimostrata l’intenzionalità della condotta o quantomeno la colpa grave dell’agente, sotto il profilo di una violazione delle regole del gioco, perpetrata con la coscienza di mettere a repentaglio l’incolumità fisica dell’avversario. Occorre, pertanto, l’intenzionalità della violazione delle regole di gioco, ovvero la colpa grave. L’attività sportiva in questione è caratterizzata da una serie di regole che gli atleti accettano nel momento in cui entrano in competizione: tra queste, ovviamente, anche la possibilità che si addivenga a scontri fisici, con la conseguenza che eventuali danni non potrebbero mai essere risarciti, in considerazione dell’assenso implicito che gli stessi giocatori hanno fornito in ordine al verificarsi di falli di gioco, anche violenti. Anche per l’ordinamento sportivo tali scontri non possono essere consentiti al di là dei normali limiti di tollerabilità e prevedibilità rispetto alla disciplina praticata, con la conseguenza che, qualora risulti accertato che l’infortunio occorso ad un atleta durante una competizione sportiva, anche contraddistinta da elevato agonismo, è stato provocato da un gesto avulso dalla dinamica del gioco e diretto a ledere l’avversario, va dichiarata la responsabilità dell’autore del gesto. In questa tipologia di sport gli interventi potenzialmente lesivi sono proibiti ma l’agone sportivo e le azioni in movimento rendono difficoltoso definire i confini del rischio consentito ed accettato dagli atleti.

    Oltre il caso del fallo volontario, non è consentito quello di durezza tale da comportare la prevedibilità del pericolo serio dell’evento lesivo a carico dell’avversario, che in tal caso viene esposto ad un rischio superiore a quello accettabile dal partecipante medio. Il rischio accettabile varia a seconda che si tratti di gara fra professionisti, fra dilettanti, allenamento o gara amichevole, sino a dover diventare minimo in caso di gara fra

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