Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il tramonto nei tuoi occhi
Il tramonto nei tuoi occhi
Il tramonto nei tuoi occhi
E-book399 pagine6 ore

Il tramonto nei tuoi occhi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

" E' che l'amore, alle volte fa davvero dei giri strani immensi prima di arrivare a destinazione, e quasi mai è come te lo aspetti veramente. Certe volte è peggio, e ti fa stare male da morire. Ma altre invece...altre è talmente meglio da levarti il respiro e farti tremare di paura, fino a lasciarti senza parole. Questa è una di quelle volte... "
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2019
ISBN9788834195901
Il tramonto nei tuoi occhi

Correlato a Il tramonto nei tuoi occhi

Ebook correlati

Per bambini per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Il tramonto nei tuoi occhi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il tramonto nei tuoi occhi - Avery Pope

    Avery Pope

    IL TRAMONTO

    NEI TUOI OCCHI

    Il tramonto nei tuoi occhi

    © 2019 – Avery Pope - Flavia Lucioli

    EDITRICE GDS

    VIA POZZO 34

    20069 VAPRIO D’ADDA-MI

    Tel 02.90970439

    www.gdsedizioni.it

    www.gdsbookstore.it

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Copertina di Flavia Lucioli

    Distribuito da satellite libri www.satellitelibri.it

    Centro libri- Brescia

    DISPONIBILE ANCHE IN FORMATO CARTACEO

    Siamo usciti insieme,abbiamo condiviso lo stesso banco, lo stesso piatto, lo stesso bicchiere. Non ci siamo vergognati di condividere anche i più imbarazzanti segreti e avremmo giurato che saremmo

    stati amici per sempre. Ci sbagliavamo!

    Quello che c’era tra noi era qualcosa di diverso, superiore,e le nostre labbra, loro sì lo sapevano.

    Perché la definizione l’abbiamo trovata in un lampo, in un istante, in un bacio…

    A M O R E

    ANTON VANLIGT

    1 ALEX

    …come tutto è cominciato

    Sono un casino. Lo sono sempre stato. Un completo disastro nascosto sotto un corpo da sballo ed un paio d’occhi viola capaci di far cadere le ragazze ai miei piedi nel tempo di un sorriso. Quel genere di calamità che fa rimpiangere alla propria madre di averti messo al mondo per intenderci. Non che la mia avesse molto da rimproverarmi a dire il vero, visto la vita dissoluta ed incasinata che aveva sempre condotto prima e dopo avermi messo al mondo.

    La verità è che sono praticamente cresciuto da solo, in un vecchio prefabbricato di mattoni rossi sulla 49 st. Ave a Long Island City; come ninna nanna il rumore costante dei treni della linea 7 e per migliore amico un vecchio randagio malandato con il quale, il più delle volte, dividevo un pasto freddo in una sudicia scatola di cartone unto. A pensarci bene è un vero miracolo che sia arrivato vivo fino alla soglia dei miei 25 anni, ed il mio personale miracolo ha anche un nome bellissimo: June, come il mese in cui sono nato, il periodo dell’anno in cui la primavera cede il passo all’estate e anche un

    posto di merda come quello dove ho avuto la sfortuna di venire al mondo, sembra trasformarsi nel tuo personalissimo angolo di paradiso.

    Ho incontrato la mia furia dai capelli rossi in un torrido pomeriggio d’agosto, mentre vagavo con il fedele sacco di pulci al mio fianco. Avevo da poco compiuto 14 anni e semplicemente odiavo la mia vita, ma quella sciagurata di mia madre era fuori dalle palle da due giorni, probabilmente troppo fatta per degnarsi di tornare a casa dal suo unico figlio, ed io mi stavo godendo quel breve ed inebriante attimo di quiete senza i suoi casini a rovinarmi l’esistenza. Niente scenate, niente tossici incazzati in giro per casa, e soprattutto nessuna delle sue amiche puttane intente a provare in tutti i modi ad infilarmi quelle luride mani nei pantaloni. Dio, quanto detestavo il fatto che glielo lasciasse fare, come se io fossi un pezzo di carne da esporre per il loro godimento, un premio succulento per chi le procurava la dose più buona…

    La ragione per cui si comportavano così? Semplice, ero bello da fare schifo. Dalla sciagurata drogata avevo ereditato i tratti delicati della Virginia ed un paio di incredibili, inquietanti, occhi color indaco, mentre tutto il resto era al cento per cento farina del sacco italiano di quel bastardo di mio padre. Altezza imponente, carnagione olivastra, ed una muscolatura che ben prima della maggiore età, mi aveva fatto sembrare un uomo fatto e finito.

    Ad essere del tutto onesto non mi dispiace essere come sono; voglio dire si, il più delle volte il mio aspetto si era rivelato una vera seccatura visto che quasi tutte le donne, e non pochi uomini, che frequentavano casa mia si sentivano in diritto di mettermi le mani addosso, smaniosi di farmi perdere la verginità…ma non posso negare che essere nato così attraente abbia avuto anche i suoi bei vantaggi, soprattutto con le ragazze se capite che intendo. Ma non con June. Lei fin dal primo istante si era mostrata diversa da tutte le altre. Unica. Speciale…in una parola: perfetta!

    Quando la incontrai per la prima volta se ne stava seduta alla fine del Recreational Dock del Gantry Plaza State Park di Long Island. Io ed il bastardino camminavamo ogni giorno fin lì da casa mia, e non importava che ci fosse il sole o la pioggia, che fosse estate o inverno, io sapevo che dovevo andare in quel posto a godermi il tramonto sul profilo perfetto di Manhattan, fosse anche solo per ricordarmi tutte le cose belle della vita per cui valeva la pena tenere duro ed andare avanti. E quando quel giorno vidi June, i suoi lunghi capelli ramati brillare come seta al sole mentre se ne stava elegantemente seduta con lo sguardo rivolto verso i grattacieli scintillanti, capii immediatamente che avevo appena trovato la ragione più bella di tutte per uscire vivo da quella fogna.

    ‹‹Ehi bello, che ci fai qui?›› si era voltata appena, un movimento leggero come il soffio di vento che sollevò una ciocca di capelli fiammanti sul profilo perfetto del suo volto, mentre si piegava per accogliere con una carezza il muso del mio cane corso ai suoi piedi prima ancora che riuscissi a fare qualcosa per impedirlo. Mi bastò quello per capire che lei era il genere di persona capace di attirare ogni sguardo su di se, una calamita alla quale sapevo non avrei potuto resistere nemmeno se per farlo avessi impiegato ogni singola fibra del mio essere. Non che mi fosse passato per la mente di provarci, in effetti, dato che tutto quello che desideravo dopo aver visto i minuscoli pantaloncini jeans che indossava sulle lunghe gambe snelle, era rimanere intrappolato per sempre nel suo centro di gravità. Ricordo di avere pensato che mai prima di allora avevo visto una ragazza della mia età portare con una tale, disinvolta eleganza una semplice canottiera bianca; una delle bretelline fine era scesa lungo la spalla abbronzata, disegnando con spudorata sensualità la linea perfetta della clavicola, mettendo in evidenza la schiena dritta e le braccia tornite. Una sportiva, decisi in un istante deglutendo a fatica; nuoto, o forse tennis, a giudicare dal guizzo deciso dei muscoli tonici dei dorsali. Ma non fu certo il suo corpo, per quanto sexy, ad attirare la mia attenzione, o no… La cosa che quel giorno di tanti anni fa mi colpì più di ogni altra fu l’espressione del suo volto: decisa e fiera, spavalda ma allo stesso tempo fragile e dolcissima.

    Due grandi occhi color caramello incendiati dal tramonto ed incorniciati da una fitta rete di ciglia lunghissime che mi squadravano con assorta curiosità, il naso dritto ed elegante puntellato di lentiggini arricciato in un adorabile cipiglio snob, e quella bocca…Dio cosa era quella bocca per un assetato d’amore come me? Una strada piena di curve che avrebbe risvegliato un uomo in coma profondo portandolo dritto in paradiso.

    Morbida. Carnosa. Sensuale. Bellissima.

    In poche parole? Uno.Sballo.Assoluto. Di quelli che da soli bastano a farti schizzare in orbita e dimenticare il tuo nome.

    ‹‹Come si chiama?›› lei continuava ad accarezzare il muso di quel bastardino fortunato, ed in un lasso di tempo che sembrò dilatarsi all’infinito, mi ritrovai ad immaginare quelle mani su di me, intente a fare la stessa cosa, provando per la prima volta in vita mia una strana fitta di desiderio e gelosia allo bocca dello stomaco.

    ‹‹Chi?›› chiesi, schiarendomi la voce mentre tentavo, con scarsi risultati, di tornare sulla terra dal mio viaggio interstellare nella stratosfera. Allora ero già abbastanza sveglio da sapere perfettamente che mi stavo comportando come un perfetto idiota, e ricordo che all’improvviso l’idea d’uscire di casa senza farmi una doccia, od almeno radermi quella ridicola peluria che aveva preso a crescermi sulla faccia, mi era sembrata una stronzata pazzesca, di certo la peggiore fatta negli ultimi tempi.

    ‹‹Come chi? Il cane!›› rise, e giuro…il mio mondo andò in pezzi. Milioni di minuscoli pezzi che sapevo già non sarei stato più capace di rimettere al loro posto. Mai più!

    ‹‹Harlock›› risposi in un soffio, sedendomi sulla panca ad almeno un metro abbondante da lei. Perfino a quella distanza mi sembrava di percepire le ondate di calore che il suo giovane corpo irradiava verso di me.

    ‹‹Ma certo, come il pirata da un occhio solo…›› così dicendo passò un dito sulla benda di fortuna che avevo messo al mio bastardo molti anni prima, quando era tornato gravemente ferito, nella carne e nell’orgoglio, dall’ennesima rissa tra i randagi del quartiere. Credo fu proprio in quell’esatto momento che decisi che non lo avrei mai più mandato la fuori a combattere da solo, in un mondo di merda. Anche perché di combattere da solo, ad essere onesti, ne avevo le palle piene anche io.

    ‹‹Conosci Capitan Harlock?›› la squadrai sbalordito, approfittando di quella banale scusa per registrare nella memoria ogni singolo centimetro del suo corpo. Dolce Gesù, quella ragazza non aveva solo l’aria appetitosa e succulenta di una pesca matura, ma anche l’aspetto di una che se la passava piuttosto bene. Ora che ero più vicino, complice un venticello tiepido ed i miei superpoteri da meticcio, potevo sentire il suo profumo fruttato ed esotico solleticarmi le narici. Sicuramente una fragranza costosa e di classe, come costosi e di classe, notai scandagliando meglio ogni dettaglio, erano i suoi sandali griffati.

    Tutto di lei gridava Piani Alti, mentre io ero più il genere di ragazzo che, nonostante il volto da angelo, amava pescare le sue prede nei bassifondi da cui proveniva limitando i danni collaterali di una relazione interclasse che sapevo per esperienza non avrebbe portato a nulla di buono. Eppure, per una ragione a me incomprensibile, non riuscivo a scollare i miei occhi dai suoi, e a giudicare da come vibravano quelle iridi zuccherine, per la rossa dallo sguardo di brace doveva essere più o meno la stessa cosa.

    ‹‹Leggo molti fumetti giapponesi, e poi tutti conoscono il sexy pirata dall’occhio bendato. E tu?››

    ‹‹Io cosa?›› Maledizione. Più mi guardava, e meno riuscivo a togliermi di dosso la sensazione che mi stessi comportando come un povero idiota. Forse perché la verità era che lo stavo facendo davvero.

    ‹‹Tu come ti chiami?›› Lo chiese e basta. Senza sorridere, senza ammiccare, senza lanciarmi i soliti sguardi lascivi che mi gettavano addosso tutte le donne della mia vita.

    ‹‹Mi chiamo Alex›› risposi fissandola serio.

    ‹‹Alex e…?››

    ‹‹Alex e basta!›› forse la mia voce era uscita più secca e scortese di quanto volessi, e lei non aveva certo l’aria d’essere il genere di ragazza abituata alla scortesia. Eppure non si scompose, anzi! Piegò le labbra in una specie di sorriso che fece apparire due fossette adorabili agli angoli della bocca divina… Dio, avrei incendiato New York per quella bocca.

    ‹‹Piacere Alex e Basta, io sono June…June Anderson.›› tese la mano tra noi, e sono quasi certo di aver boccheggiato prima di sollevare la mia per stringerla. Aveva una stretta forte e decisa, la stretta di chi sotto un corpo da sballo ed un faccino da urlo, nasconde un carattere di ferro. Mi piaceva. Molto più di quanto fosse lecito. Molto più di quanto potevo permettermi. Molto più di quanto avrei ammesso a me stesso una volta da solo.

    ‹‹Ho traslocata qui da poco, fino a un paio di settimane fa vivevo a Washington D.C. Poi mio padre è stato trasferito a New York per lavoro… ed eccomi qua.›› fece spallucce, alzando gli occhi al cielo. Riconoscevo la puzza della tristezza a chilometri di distanza, forse perché da quando ero nato c’ero stato immerso fino al collo. E questa ragazza stupenda, qualunque fosse stata la sua storia, sotto il sorriso gentile e gli occhi vivaci era triste, fottutamente triste, ed io non potevo permetterlo.

    ‹‹Io ed Harlock potremmo farti da guida qualche volta…insomma…se ti va…›› ascoltai la mia stessa voce esclamare quelle parole e mi sorpresi di averlo fatto sul serio. Stavo veramente chiedendo a questa ragazza di uscire con me? Magari non era suonato come un vero appuntamento, ma cazzo se lo era. Volevo rivedere June Anderson, le sue lunghe gambe, i suoi incredibili occhi caramello, i suoi sandali costosi, e perfino quelle buffe lentiggini che puntellavano la curva del naso da snob. E se per farlo avrei dovuto rendermi ridicolo fingendomi un perfetto chaperon, beh…lo avrei fatto eccome.

    ‹‹Dici sul serio?›› il suo volto si accese di una luce nuova, e per un attimo ebbi come l’impressione che il tanfo della tristezza fosse sparito, sostituito da questa euforia improvvisa.

    ‹‹Perché no? Sono nato e cresciuto nel Queens e spesso io e Harlock ce ne andiamo a zonzo per Manhattan. Ci piace confonderci nella folla…›› Non sapevo nemmeno io perché le stessi dicendo tutte quelle cose, so solo che ad un tratto farla entrare nella mia vita mi sembrava l’unica priorità a cui avrei dato ogni briciola di me stesso, se solo fosse servito a tenerla vicino a me.

    ‹‹Anche a me piace confondermi nella folla! Sai che ti dico? Credo che diventeremo grandi amici Alex e Basta›› sentii lo stomaco contrarsi.

    Amici? Chi cavolo aveva parlato di amicizia? Io nemmeno ce l’avevo un amico, a parte il peloso orbo al mio fianco, si intende.

    ‹‹E come lo sai?›› ingoiai a fatica il resto della domanda che suonava più o meno "E tu come fai a sapere che invece non finiremo a letto insieme a fare il migliore sesso della nostra vita?" perché infondo, dentro di me, sapevo fin troppo bene che una con la sua classe non avrebbe mai permesso ad uno scarto come me di oltrepassare quel confine invisibile che tiene separati due elementi tanto diversi. L’idea di noi due insieme era come quella di servire una coppa del migliore champagne in una mensa dei poveri alla stazione centrale: Assolutamente Inconcepibile. Eppure, qualcosa mi diceva che June non era il genere di ragazza facilmente impressionabile, e che ci sarebbero voluti molto più di una storia strappa lacrime ed un paio d’occhi viola per farla spaventare o cadere ai miei piedi. Nonostante ciò, l’idea che in pochi minuti avesse già deciso che tra di noi non ci sarebbe stata altro che amicizia, proprio non mi andava giù. Un formicolio dispettoso bruciava a fil di pelle, come una elettricità che andava accumulandosi in più parti alla sola idea che per sempre mi sarebbe stato vietato sfiorare la seta dorata della sua pelle, od assaporare il gusto paradisiaco nascosto tra i respiri leggeri della sua bocca schiusa.

    Io. La. Volevo. E più mi ripetevo che era una pazzia, più il desiderio cresceva, così come la convinzione che era tutto uno sbaglio, un meraviglioso, incantevole sbaglio.

    ‹‹Lo so è basta, ho un sesto senso per queste cose. Prendi il nostro incontro di oggi ad esempio. Continuavo a ripetermi che sarei dovuta venire su questo molo prima o poi, ma non l’ho mai fatto, fino ad ora almeno, e guarda caso… proprio oggi dal nulla spunti tu!›› terminò la frase fissandomi come se fossi il suo miracolo personale. Ma ehi, andiamo… io ero più il genere Incubo Personale, e sapevamo bene entrambi che se lei non fosse stata attenta, molto più che attenta, avrebbe finito con odiare se stessa più di quanto avrebbe odiato me.

    ‹‹Non per smorzare il tuo entusiasmo, ma mi sento in dovere di rivelarti che io ed Harlock veniamo tutti i giorni da queste parti in realtà›› la verità è che volevo smorzare eccome il suo entusiasmo, perché se avesse continuato a guardarmi così, con quella luce fiammeggiante negli occhi di brace, non so se avrei trovato la forza per ricordare a me stesso tutti i motivi per cui non sarebbe stata una buona idea saltarle addosso, anche se ammetto che il pensiero che lei vedesse la mano del destino nel nostro fortuito incontro, mi faceva fremere di piacere.

    ‹‹E vediamo tu ed Harlock venite ogni giorno sempre su questo stesso pontile?›› mi chiese mordicchiandosi il labbro. E FU LA FINE. Il mio cervello andò letteralmente in TILT alla vista di quella lingua rosea che guizzava leggera sulla piega morbida della bocca.

    Ma la cosa peggiore di tutte fu capire che aveva ragione! Io non mi ero mai spinto fin laggiù al tramonto. Di solito mi fermavo più a sud, a Waterfront Park, dove potevo lasciar scorrazzare Harlock nel parco riservato ai cani e godermi la vista della città tra decine di altri invisibili come me…. Ma quel pomeriggio, chissà perché, i piedi mi avevano condotto altrove, fino a confine nord di Gantry. Sorrisi pensando che forse, tutto sommato, la mia buona stella alla fine si era decisa a tornare a farmi visita, se per un caso inaspettato mi aveva fatto conoscere questa rara meraviglia che era June Anderson.

    ‹‹Lo sapevo›› sorrise soddisfatta incrociando le braccia al petto, intuendo dalla espressione divertita e colpevole della mia faccia che aveva colto nel segno ‹‹Come ti dicevo, diventeremo grandi amici Alex…››

    ‹‹…De Luca›› la interruppi di colpo, e lei mi fissò accigliata, come se in quelle poche sillabe si celasse l’intero mistero della mia vita. ‹‹In realtà mi chiamo Alessandro, ma mia madre mi ha sempre chiamato Alexander per fare incavolare quello stronzo di mio padre. Ma io odio entrambi, perciò ti sarei molto grato se mi chiamassi Alex›› Perché diavolo continuavo a rivelarle tutte quelle cose io proprio non lo so. Aveva un culo da urlo, questo è certo, ma fino ad allora non era di certo mai bastato un corpo da copertina per farmi comportare così. La verità è che fin da subito capii che c’era qualcosa in quella ragazza che avrebbe sconvolto il mio mondo per sempre, ed io glielo avrei lasciato fare…

    ‹‹Alex andrà bene›› Non aggiunse altro, non chiese altro. Non le interessava sapere perché portavo un nome italiano, né perché detestavo entrambi i modi in cui i miei terribili genitori decidevano di chiamarmi. Non le importava se indossavo dei jeans troppo larghi presi alla svendita parrocchiale, o se avessi l’aria di uno che non metteva niente sotto i denti da giorni. Tutto quello di cui June Anderson aveva bisogno era un nome sotto il quale registrarmi sulla rubrica del suo costosissimo telefono. E che io sia maledetto, questo mi fece innamorare di lei all’istante.

    2 JUNE

    New York, maggio 2017

    ‹‹Perché nel tuo frigo non possono esserci birre normali June? Cristo Santo… io nemmeno so come si pronuncia Menabrea››

    ‹‹Smettila di lagnarti socio, prendi due birre e raggiungimi in camera da letto prima che cambi idea›› Brian trascina la testa fuori dal frigo alzando lo sguardo su di me, prima di avvicinarsi con un bel sorriso malizioso stampato sulla faccia. Anche se è piuttosto alto, con i tacchi che ho indossato per il ventesimo anno di servizio del nostro Capitano, arrivo praticamente ad eguagliarlo. Perciò non mi rimane troppo difficile vedere brillare nei grandi occhi blu cobalto, un guizzo di desiderio che freme da ore sotto pelle. Mi porge la bottiglia scura dal vetro ghiacciato, cingendomi la vita con l’altra mano.

    ‹‹E’ tutta la sera che sogno di sfilarti da questo tubino nero. Le donne con il tuo fisico dovrebbero procurarsi il porto d’armi prima di indossare una cosa del genere.›› mi sfiora le labbra con le sue. Un tocco leggero, umido, che sa di luppolo e promesse.

    ‹‹Dimentichi che ne ho già uno tenente…›› aggancio la fibbia sottile della sua cinta, tirandolo verso di me. Io e Brian siamo partner a lavoro da circa un anno, ma il ragazzone del Colorado ha aspettato ben sei mesi prima di chiedermi di uscire. Naturalmente, io non mi sono fatta pregare, né tantomeno sfuggire l’occasione di avere una storia con uno degli uomini più sexy dell’intero dipartimento di polizia di New York. Soprattutto perché mio padre è il Procuratore Distrettuale dello Stato, e nessuno dei miei colleghi, prima di lui, era stato mai tanto stupido o tanto coraggioso da invitarmi a bere qualcosa dopo il lavoro. Ma Brian Wess…lui fin da subito si era mostrato diverso. Non è solo perché è bello da morire, ma anche gentile, educato e con un talento naturale a gestire anche le famiglie più impegnative come la mia; ma soprattutto, cosa che avevo apprezzato fin dal primo istante, determinato ad avermi completamente e disinteressatamente nella sua vita. Una piacevole novità, dal momento che per la prima volta mi trovavo ad avere a che fare con un ragazzo capace di provare dei veri sentimenti per la sottoscritta senza lasciarsi influenzare dal mio ingombrante cognome. Un uomo che desidera davvero stare insieme alla bisbetica June Anderson, non perché figlia di uno degli uomini più importanti e potenti del Paese, ma solo perché la semplice idea di stare lontano da lei gli era insopportabile.

    Ho vissuto la maggior parte della mia vita circondata da figli di papà che non pensavano ad altro se non impalmarmi per usarmi come moglie copertina da mandare in prima linea in qualche esclusivo Country Club sotto campagna elettorale, e se si esclude il mio migliore amico Alex, nessun ragazzo prima di Brian si era mai mostrato davvero interessato a chi fossi veramente.

    ‹‹Se è per questo possiedi anche una pistola Tenente Anderson, e io so meglio di chiunque altro quanto tu sia brava ad usarla…ma il fatto che giri armata non è mai stato un deterrente per me›› Sorride. La voce roca mentre si china in avanti pronto a divorarmi di baci ‹‹Ora…che ne diresti di finire la conversazione a letto, socia?›› mi solleva la stoffa del vestito fino a metà cosce, lasciando scivolare le mani grandi sulla pelle liscia fino a lambire l’orlo delle mutandine di pizzo.

    ‹‹Mi sembra un ottima idea, socio›› Mi piace il modo in cui mi tocca. Deciso, forte, senza fronzoli. Ho avuto altri ragazzi prima di lui, ma dopo qualche poco romantica esperienza sessuale, e l’aver scoperto chi era mio padre, come da copione, si erano dati tutti alla macchia. Niente cuori spezzati, nessuna scenata, di certo nessun rimpianto da parte mia.

    La verità è che so di aver donato il mio cuore ad un ragazzo di 14 anni, molto tempo fa, e per quel che mi riguarda, non ho mai avuto davvero intenzione di riprendermelo indietro, perché in qualche modo, strano e perverso, saperlo nelle mani di Alex De Luca fa di me la donna che sono. Solida, sicura, indistruttibile dal punto di vista emotivo, impenetrabile da quello sentimentale. Dove per impenetrabile so fin troppo bene cosa voglio intendere. Non sono innamorata di Brian, anche se lui mi piace così tanto da farlo entrare affondo nella mia vita, ma ho comunque bisogno di credere che sia possibile farlo. D’altra parte come si può pretendere di amare davvero qualcuno, se si ha già dato il proprio cuore a qualcun’altro?

    Per fortuna Brian non fa troppe domande, non fa mai il prezioso, e di sicuro è il genere d’uomo che ogni donna sogna di avere al suo fianco. Lui si prende cura di me in tanti piccoli modi gentili, e quando si tratta di scopare, lo fa senza freni, donandomi tutto il divertimento che mi serve per dimenticare anche solo per un instante quei maledetti occhi viola.

    Mi solleva per le natiche stringendo tanto da lasciare le impronte delle sue dita decise sulla pelle soda, ed io gli circondo la vita con le gambe prima che lui getti entrambi sull’ampio futon alle mie spalle.

    ‹‹La prima cosa che farò quando verrò a vivere in questa casa, sarà regalarti un letto vero›› Rido di gusto mentre mi sfila il tubino scintillante dalla testa.

    ‹‹Se... verrai a vivere in questa casa›› mi piace stuzzicarlo, soprattutto quando resta inebetito a fissare il mio corpo nudo sotto il suo. So di essere bella. Mi è stato rinfacciato così tante volte d’aver perso il conto. Forse anche per questo, fin da ragazzina, ho preso a comportarmi come un maschiaccio ed a ficcarmi in ogni genere di casino possibile in cui riuscire a trascinare anche il povero Alex. A 18 anni poi, l’avevo fatta davvero grossa.

    In barba ai sogni dei miei genitori, che già mi vedevano alla facoltà di legge di Harvard, ero entrata in accademia. Diventare una agente di polizia del NYPD era il mio sogno da sempre, e non avrei permesso a nessuno di strapparmelo dalle mani. Mi rasai perfino i capelli come il soldato Jane, prima di partire. Ok, lo ammetto, un filino troppo melodrammatico, ma in questo modo mi assicurai che almeno per i primi mesi di corso, la gente mi prendesse davvero sul serio, smettendola di trattarmi come fossi l’eterna reginetta del ballo di fine anno.

    ‹‹Nessun Se, June...come puoi anche solo pensare che io rinunci a te quando le tue fantastiche tette mi fissano in questo modo?›› Brian sa sempre come sdrammatizzare uno dei miei momenti di incertezza. E di solito tra i suoi metodi, il sesso è quello che predilige. Non che la cosa mi dispiaccia, anzi.

    ‹‹Passiamo ogni ora del giorno lavorando fianco a fianco, Tenente Wess. Se vivessimo anche insieme, non vorresti più saperne né della mia faccia né delle mie tette in capo ad una settimana, ed io questo non posso permetterlo›› replico, la voce smorsata dal piacere mentre la lingua di Brian prosegue la sua discesa in caduta libera. Dal collo lungo la spalla, fino a lambire la tenera carne intorno l’aureola rosa.

    ‹‹Credimi June, forse potrei non poterne più della tua faccia a lavoro, ma dubito che potrei stancarmi di questo›› e per sottolineare il concetto, stringe tra i denti un capezzolo facendomi sobbalzare di piacere e dolore. Decido che è arrivato il momento di lasciarlo fare, e di godermi tutto il buono che questo ragazzone di Denver, emigrato nella Grande Mela, può darmi. Lo aiuto a liberarsi dei vestiti eleganti, ed ora che il suo completo Brioni giace ammucchiato accanto al mio vestitino Alexander McQueen, posso godermi il guizzo energico e potente dei suoi muscoli nudi sotto le mie mani. Quando scivola dentro di me, tra le pieghe calde del mio corpo, lo sento sussurrare il mio nome. Chiudo gli occhi e per un istante immagino come mi sentirei se al suo posto ci fosse un fusto dagli occhi viola ed il corpo ricoperto di tatuaggi, e mi maledico. Maledico il mio cuore che non ne vuole sapere di tornare al suo posto. Maledico il mio corpo perché mi è bastato solo pensarlo per sentirmi inondata di piacere, mentre un altro uomo si fa strada dentro di me. Mi maledico perché nonostante la mia vita sembri andare alla grande, da quando Alex si è allontanato, mesi fa, sento come se ci fosse sempre qualcosa di guasto da rimettere a posto.

    Brian pianta i gomiti al lato del mio viso per non gravare troppo su di me, e mi bacia mentre continua a penetrarmi a fondo, con foga, con disperazione, con amore. Si, Brian mi ama. Lo so già da tempo, ma non voglio pensarci, non posso pensarci. E’ già abbastanza grave che due tenenti dello stesso distretto, e per di più partner, intreccino una intensa relazione sessuale. Ma se uno dei due si innamora…beh, questo è un guaio a cui onestamente ora non voglio proprio pensare.

    ‹‹Dio come sei bella June…›› sussurra staccandosi dalla mia bocca prima di stringere gli occhi e raggiungere la vetta. Crolla su di me esausto, e come sempre riesco ad essere abbastanza brava da fargli credere che per me è stato bello allo stesso modo. Intendiamoci, fare l’amore con Brian è appagante in tanti piccoli modi, e ho abbastanza esperienza per capire che lui ci sa fare davvero. Ma il problema purtroppo vive nella mia testa. Piccolo parassita bastardo.

    Durante la nostra breve relazione, le uniche volte in cui ho raggiunto un orgasmo da sturbo è stato quando mi sono concessa il lusso di pensare ad Alex per tutto il tempo. Non che io abbia niente contro le fantasie sessuali, ma non credo che pensare ad un altro, per di più tuo amico, mentre il tuo ragazzo ti fotte alla grande, sia il genere di cosa su cui si possa basare una intesa coniugale. Così, finii col giurare a me stessa di smettere di pensare al ragazzo dagli occhi viola, almeno quando mi rotolavo tra le lenzuola con quello che a tutti gli effetti era il mio uomo. Peccato che in quell’esatto istante smisi anche di venire. Non so se Brian se ne sia accorto o meno, ma sospetto che in un paio d’occasioni abbia avuto più di qualche dubbio in merito. E’ troppo sveglio per non comprendere, e fin troppo furbo per domandare.

    Rotola via da me tenendomi stretta al suo petto. Mi piace accoccolarmi lì dove posso sentire il ritmo del suo cuore tornare lentamente normale. E’ la cosa più intima che abbia mai fatto con un uomo, se si escludono quelle fatte con…

    ‹‹Chi diavolo può essere a quest’ora?›› Brian mi fissa interdetto mentre il mio cellulare continua a lanciare nell’aria No Vacancy dei One Republic. So perfettamente a chi ho assegnato quella suoneria, e dal modo in cui mi sta guardando torvo il mio ragazzo, credo che a questo punto lo abbia capito anche lui.

    ‹‹Non rispondere June›› Non è una implorazione, né un ordine. E’ solo il suo modo di proteggermi. Ma mi dà fastidio lo stesso il pensiero che lui creda di potermi dire cosa fare. Mi divincolo dalla sua presa, allungando una mano sul comodino.

    ‹‹Pronto…›› Un frastuono assordante, musica R & B o qualcosa di simile. Grida e voci sguaiate. Strano… il sexy modello dell’anno è finito in un altro party da sballo.

    ‹‹Alex, sei tu?›› Che domande idiota, certo che è lui. E se ha deciso di richiamarmi dopo intere settimane di silenzio assoluto, possono esserci solo due motivi: o è ubriaco, o è nei guai. Od entrambe le cose allo stesso tempo.

    ‹‹Tenete Andersooon…›› Trascina il mio nome in modo lento e disarmante. Come diavolo possa ridursi così ogni volta, è un mistero del quale non riesco proprio a capacitarmi.

    ‹‹Alex dove diavolo sei? Sono le due di notte per la miseria›› come se farglielo notare possa fare alcuna differenza. Da quando Alex De Luca è diventato il testimonial di una linea di biancheria intima maschile, 5 anni fa, la sua vita da sconosciuto e problematico ragazzo di Long Island è completamente cambiata. In pochi mesi qualsiasi stilista, dal Giappone agli Stati Uniti, passando per l’Europa, lo aveva voluto sulle passerelle o sulle più prestigiose copertine, con indosso i propri capi firmati. Non so, forse tutto quel successo era dovuto all’aria da bello e dannato, all’espressione afflitta e al contempo audace sepolta infondo al viola conturbante dei suoi occhi, o magari era solo perché era attraente da fare schifo ed ogni centimetro del suo corpo statuario sembrava urlare FOTTIMI. In ogni caso, Alex in poco meno di un anno aveva guadagnato quello che probabilmente io e Brian insieme avremmo intascato in un decennio. Non solo! Grazie ad i suoi ingaggi stellari, aveva girato il mondo, conosciuto celebrità, scopato con attrici, modelle e cantanti che mi rifiutavo anche di sentire nominare per quanto mi dessero sui nervi.

    Eppure, nonostante la popolarità, i soldi, e le donne facili, dentro di lui i fantasmi del passato continuavano a divorarlo vivo. Ed io immaginavo anche di sapere il perché. Non importava quanta distanza riuscisse a mettere tra ciò che era stato, e ciò che era ora, i suoi demoni trovavano sempre il modo di tornare a galla.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1