La mia ragna Angelina
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Anteprima del libro
La mia ragna Angelina - Michele Sarrica
INIZIAMO DA QUI
Lo so, cari amici, quando si trascorre una piacevole serata sorseggiando del Corvo Rosso di Salaparuta, si può finire col parlare di tutto e di niente. Si chiacchiera e si beve per il piacere di stare insieme. Capita di soffermarsi a discutere di condimenti per la pasta, di amori appena iniziati, di matrimoni appena falliti, di virus, di vaccini e di green pass. Succede di soffermarsi a dialogare sul meteo, sui cambiamenti climatici, sugli incendi boschivi causati dal caldo e dai piromani e succede di continuare a monologare sul caos automobilistico, sui cicli scombussolati delle stagioni, sulle tasse e sul rincaro delle bollette della luce e del gas. Poi, può anche succedere che all’ennesimo bicchiere di vino, con una rocambolesca ipotesi esistenziale sulla creazione, si continui a porre le solite domande sul perché delle zanzare e delle mosche, della loro necessità e del motivo inalienabile del creatore per indurlo a mettere al mondo gli scarafaggi, le antipatiche formiche e i brutti ragni che invadono le case.
Quella sera, alla parola ragno, ho avuto un sobbalzo. Cambiai repentinamente umore e colore. Abbassai la testa, tentennai, singhiozzai! Mi asciugai col dorso della mano le lacrime che inondavano il mio volto. Se ne accorsero tutti della mia improvvisa sofferenza! Francesca, che ben conosceva il motivo della mia spontanea agitazione, mi porse un fazzolettino di carta e mi disse «Calmati!» Dopo varie sollecitazioni di quasi tutti gli amici a parlare del motivo del mio evidente turbamento, colsi la palla al balzo per raccontare la mia storia. Malgrado le occhiate di Francesca per frenarmi, non mi fermai! Logorroico come sono, non ne ho potuto fare a meno di sfogarmi. Era una buona occasione per eliminare il fantasma dolorante che si celava in me dopo la tragedia! Rispolverai, ai nostri cari ospiti, questa mia vicenda, questa mia grande pena mai sopita, mai dimenticata.
Al solo scopo di farvi apprezzare, maggiormente, ciò che sto per narrarvi, ritengo doveroso sottolineare che ciò che dirò e scriverò appartiene alla mia realtà storica e non alla mia fantasia. Sappiate, miei fraterni amici, che ciò che sto per parteciparvi è rimasto in me come un indelebile dispiacere inconsolabile, indimenticabile. Per tale motivo desidero iniziare a raccontarvi questo raccapricciante episodio, questa dolorosa e amarulenta favola finita in tragedia, con il classico: c’era una volta.
C’ERA UNAVOLTA
C’era una volta, a casa mia, un piccolo ragno. Abitava, indisturbato, in un angolo del nostro bagno. Non dava fastidio a nessuno! La prima volta che lo notai era un esserino penzolante da un invisibile filo di seta trasparente. Sembrava un circense in cerca di un suo pubblico. La sua evidente timidezza, però, gl’impediva di esibirsi in un contesto umano, numeroso e rumoroso. Lo compresi quando quella volta chiamai Francesca, per farle notare quel piccolo ginnasta. Come se l’atleta non gradisse la sua presenza, si ritrasse dalla ragnatela dove si esibiva e si nascose dietro lo scaldabagno. Mi dispiacque per Francesca, ma questo suo comportamento lo considerai un avvertimento e un privilegio: desiderava esibirsi solo per me!
Ricordo che inizialmente s’intimoriva persino quando si accendeva la luce o quando veniva azionato lo scarico dell’acqua. In quei casi correva difilato a nascondersi dietro lo zoccoletto di rifinitura delle mattonelle, a tre metri d’altezza. Si nascondeva non perché desiderasse giocare a nascondino, ma proprio per timore di essere scoperto, snidato e magari messo alla porta senza tante delicatezze. Non parliamo poi della sua angoscia quando da vero sadico soffiavo verso quella minuscola e fragile imbracatura dove rimaneva aggrappato, immobile, per intere giornate. Sembrava terrorizzato. Iniziava a vibrare, a far tremare tutta la ragnatela. Intuii che con quel comportamento cercava di spaventare l’avversario rompiballe: l’uomo, cioè, me!
Col passare del tempo, quando si convinse della mia innocua presenza, anche a quella sollecitazione rimaneva immobile, impassibile. Aveva capito che con quel soffio il suo amico rompiballe desiderava solo annunciargli la sua presenza. Non si spaventava più nemmeno del rumore dello scarico dell’acqua, della luce che si accendeva all’improvviso e dei miei soffi prolungati che lo facevano dondolare e, forse, anche divertire. Non aveva