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La vita non è un film
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E-book271 pagine3 ore

La vita non è un film

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Info su questo ebook

La vita non è un film. Eppure i film riescono benissimo nelle opere migliori a rappresentare le tante pieghe che può prendere una vita. Michael vive a New York ed è un appassionato di cinema, un hobby solitario che ha coltivato sin da piccolo e che lo ha accompagnato a lungo. Ora si spaccia per critico cinematografico, mestiere che non gli rende un granché. Ma l’incontro in piscina con una certa Susy, di famiglia molto benestante, cambierà per sempre il corso della sua vita.
Questo però è solo il Primo Tempo del romanzo che state per leggere. 
Con un inaspettato sliding doors nel Secondo Tempo Michael incontra sì Susy ma non va al di là di un breve scambio di battute. 
Divertente e pieno di citazioni di film famosi, La vita non è un film è un audace racconto in due parti che mostra l’importanza delle scelte, perché la vita non è solo una questione di fortuna. 
Un romanzo che cattura il lettore e lo tiene incollato alla pagina come fosse uno spettatore di un film davanti a uno schermo.
Il potere delle immagini create dalle parole!

Luigi Scornaienchi è nato a Cosenza nel 1985. La vita non è un film è il suo primo romanzo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 set 2022
ISBN9788830670396
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    La vita non è un film - Luigi Scornaienchi

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima.

    (trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Alla mia Amelie…

    senza la quale il mio mondo non avrebbe nulla di favoloso.

    PRIMO TEMPO

    "A volte, per tirare un colpo vincente bisogna arretrare.

    Ma se arretri troppo, non combatti più!".

    Dal film Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood

    1

    La città degli angeli non era mai stata così bella come quella fredda sera di marzo dell’ormai lontano 1999. È doveroso aggiungere a mio sfavore che quando si è in luna di miele tutto appare diverso. Sembra quasi ci sia uno strano incantesimo, dove pervade in noi la netta sensazione di essere i padroni del mondo nonché la perfetta consapevolezza di non essere stati dei guerrafondai, e che il mondo stesso di cui ci siamo appropriati a sua insaputa ci meriti e sia in qualche modo schierato dalla nostra parte rendendoci giustizia. Potrei paragonare queste sensazioni a quelle che sopraggiungono puntuali durante il periodo natalizio quando ci sentiamo tutti più buoni, spinti da una generosità a noi sconosciuta, rimasta fin troppo a lungo assopita, ma che fortunatamente si prende la briga di tornare a pervaderci giusto in tempo per il panettone. Quel dare a tutti i costi un senso positivo ad ogni cosa senza un valido motivo proprio come io sentivo che queste nozze, le mie nozze, erano giunte in tempo per portarmi in salvo.

    Sposarsi con una bella miliardaria non capita tutti i giorni e a essere sinceri era l’unica chance che mi rimaneva per uscire dalla mediocrità di cui silenziosamente facevo parte. Quella mediocrità così difficile da accettare, che con il tempo assuefà la mente rendendoci vili e arrendevoli, senza nessuna possibilità di scampo per i nostri sogni di quell’arcinoto cassetto sempre più chiuso e pieno di polvere. A proposito di sogni, il mio era quello di fare il critico cinematografico. Dico era perché non lo sono mai diventato.

    Il cinema è senz’altro la mia più grande passione. È tutto il mio mondo, è il vero amore di cui tanto si sente sparlare in giro, lo amo incondizionatamente senza bisogno di sapere se lui ami me, ha poca importanza, anzi nessuna. Come spesso accade alle storie d’amore più turbolente e impervie, le nostre strade s’incrociarono molto tardi ed in maniera fortunosa, quando ogni speranza sembrava ormai vana. In qualche modo ero riuscito a trovare qualcosa di vagamente somigliante che appagava la mia inesauribile sete di cinema e soprattutto permetteva di pagarmi l’affitto, anche se non era la stessa cosa. Di certo il mio lavoro mi piaceva, ma non si può dire che nuotassi nell’oro. A conti fatti era giunto il momento di fare entrare nella mia vita qualcuno che avesse un paio di tette e magari, perché no, un bel conto in banca.

    Ragazzi, diciamocela tutta, arrivati quasi a quarant’anni mi accorsi che quella donna cascava a fagiolo ed era la grande occasione della mia vita. L’occasione che per molti non capita neanche una volta, quel treno che in tanti vediamo sfrecciare, senza mai riuscire a salirci sopra.

    Vi racconterò quindi del nostro primo incontro e di come sia riuscito, con una dose smisurata di fortuna, prima a conquistarla e poi a sposarla. Anche se sarebbe più esatto dire che dei due chi riuscì nel suo intento fu proprio lei. Il mio aspetto non si poteva certamente paragonare al suo. Di certo mi difendevo, ma lei, qualunque siano stati i miei punti di forza, pendeva dalle mie labbra. Ancora oggi mentre giriamo per Los Angeles godendoci la nostra luna di miele mi chiedo se sarei riuscito a spingermi così oltre, se non fosse stato per il suo patrimonio. E sono sempre più convinto che se lei non fosse stata così ricca mai avrebbe ereditato il mio cognome diventando la signora Crowley, come del resto io mai erediterò un giorno la sua fortuna. Piccole differenze che può offrire un buon matrimonio.

    All’epoca, le mie intenzioni erano meno ambiziose: mi sarei accontentato di portarmela a letto. In fondo era pur sempre una gran bella donna. Mora, alta il giusto, occhi castani.

    Questo splendido esemplare di femmina non superava di certo i trent’anni e a dirla tutta aveva un culo che cantava meglio di Sam Cooke e vendeva più di Elvis Presley e Michael Jackson messi insieme. Non so se ho reso bene l’idea. Quando la conobbi, fui subito stordito dalla sua bellezza. Per uno strano caso del destino frequentavamo la stessa piscina, tutt’e due a New York City, nella grande mela. Era il mese di novembre del 1998, l’anno di James Cameron e del suo record di undici statuette ricevute dall’Academy per Titanic. Quella sera di un ormai lontanissimo martedì accadde tutto per caso. Io ero come al solito in ritardo, mentre lei sostava all’ingresso girovagando con aria palesemente spaesata. Nel vedermi, mi venne incontro, chiedendomi dove si trovasse lo spogliatoio femminile. Era particolarmente attraente e il suo sorriso le faceva guadagnare mille punti. La ritrovai davanti a me, cinque minuti dopo, nella vasca numero tre:

    «Ciao… eccola qui!», mi disse con tono gentile.

    «Ciao!», risposi, sfoggiando il mio sorriso migliore.

    «È stato molto gentile poco fa», continuò a darmi del lei, come a voler mantenere un minimo distacco.

    «Si figuri, si vedeva lontano un miglio che era in difficoltà. L’ho solamente messa sulla strada giusta», le risposi, continuando a sorridere leggermente mentre la scrutavo da così vicino.

    «Per fortuna ci sono ancora delle persone garbate e gentili come lei». Si concesse il lusso di immergersi rapidamente per poi ricomparire in tempo per ascoltare la mia pronta risposta:

    «Già, si ritenga fortunata, non capita spesso al giorno d’oggi!».

    «Comunque io sono Susy e le devo un favore. Ne approfitti, può chiedermi qualsiasi cosa».

    Fece apparire la sua piccola mano dall’acqua invitandomi a stringerla senza troppi complimenti.

    «Piacere mio Susy, io sono Michael e anche se ci avessi messo più tempo, sono sicuro che avresti certamente trovato il tuo spogliatoio».

    «Mhmm… il tuo?», disse torcendo quel bel nasino che si ritrovava mentre le nostre mani tornarono al loro posto. Sorridendo continuò:

    «No! Non mi è permesso entrarci». Non riuscì a trattenersi e si mise a ridere, aveva assestato un bel colpo basso.

    Continuammo con tono decisamente scherzoso la nostra conversazione a pelo d’acqua. Era senza dubbio una donna che sapeva cosa voleva e dopo altre frecciatine al quanto piccanti ne mise a segno un’altra, l’ennesima:

    «Sei qui da dieci minuti e ancora non hai levato il disturbo, mi devo preoccupare?».

    «Sai… a me piace fingermi un gentleman, aspetto che vadano prime le signore!».

    Entrambi giocavamo con ironia a carte ormai scoperte, cercando di non esagerare troppo. Questa nostra spontaneità facilitava la conversazione, che procedeva ormai spedita.

    «Non posso andare avanti. Mi sentirei osservata, una signorina deve avere il piacere di sbirciare nuotando chi gli è davanti e non il contrario. Non credi?». Si mise a ridere ancora una volta ed io che in quel momento mi sentivo in qualche modo la sua preda, in quell’anomala palude di cemento stracolma di teste colorate, non avevo più dubbi sulle sue chiare intenzioni.

    «Madame, per la gioia dei suoi occhi, io vado… ma l’avverto che se vuole sbirciare dovrà restare al passo o tra non molto si ritroverà davanti a me!». E infilando per bene gli occhialini iniziai a fare qualche vasca.

    Dopo cinque minuti mi fermai per rifiatare. Lei si fermò a sua volta e non perse l’occasione per riattaccare bottone:

    «Già stanco? Secondo me dovresti cambiare sport!».

    Mi poggiai a bordo vasca simulando più stanchezza di quella che in realtà sentissi. Nel frattempo, tutti gli altri ospiti del nostro siparietto in corsia numero tre continuavano il loro incessante andirivieni, a volte schizzandoci negli occhi, con non poco fastidio, tutta la loro foga nel vogare e ripartire. Intanto respiravo affannosamente di proposito.

    «Sì, sono un po’ giù… purtroppo non ho potuto pranzare oggi…».

    Da buon attore consumato gli spiattellai una bugia colossale continuando con il mio falso affanno.

    «Oh, mi dispiace, ma ti senti bene?».

    Le avrei voluto rispondere che non ero mai stato così bene.

    «Sì! Mi gira solo un po’ la testa. Devo solo andare a mangiare qualcosa e mi passa tutto!». Con faccia provata e sguardo spento, quasi come il grande Spencer Tracy in Dottor Jekyll e Mister Hyde, le osservai il volto segnato dalla sua palese preoccupazione nei miei confronti e vedendola in trappola, pronto per catturarla definitivamente, aggiunsi:

    «Ti andrebbe di venire con me? Mangiamo qualcosa?».

    È bello passare da gazzella a leone in brevissimo tempo. Nel mio caso, qualunque cosa io fossi, l’obiettivo per entrambi era lo stesso e non si poteva fallire. Susy acconsentì senza troppi problemi e ci ritrovammo all’uscita mezz’ora dopo. Quando la vidi uscire rimasi senza fiato, stentai perfino a riconoscerla. Camminava su degli stivali altissimi abbinati a un bellissimo giubbotto in pelle marrone che le stava d’incanto. Sotto portava un jeans strettissimo che esaltava le sue gambe, ma la cosa più importante erano i suoi lunghi capelli. In quell’istante mi chiesi come avesse fatto a nasconderli tutti in quella cuffia rosa senza mai rivelare una sola ciocca ai miei occhi increduli. Ora il suo viso era davvero perfetto, completo in ogni suo dettaglio. Aggiungo che sarebbe stata bellissima anche con la testa rasata stile Demi Moore in Soldato Jane, ma lasciamo perdere.

    Non riuscivo a staccare il mio sguardo dalla folta chioma che gli arrivava quasi fino al suo bellissimo fondoschiena. Non erano del tutto lisci, il colore era castano chiaro, forse un biondo scuro. Non saprei dire con precisione. La vidi infilarsi un buffo cappello di lana con esagerata meticolosità… Appena si accorse del mio arrivo, mi fece cenno di seguirla. Arrivammo alla sua sgargiante Mercedes, dove ripose il suo borsone, e questo mi fu sufficiente per capire che non se la passava male.

    «Prendi questa, prima che mi svieni…», disse, porgendomi una caramella. «…andiamo con la mia».

    Non so se lo avesse programmato sotto la doccia, o se gli venne in mente mentre guidava, fatto sta che non mi portò a mangiare in un ristorante qualunque. Passammo due o tre posti, pensando che sarebbero andati benissimo, ma dopo un po’ cominciai ad intuire le sue losche intenzioni.

    All’improvviso, come a voler dissipare ogni mio dubbio, si tradì:

    «Spero non ti dispiaccia se andiamo a casa mia! Ti assicuro che Julie cucina davvero bene. Mentre mi cambiavo l’ho avvisata che avrei portato un ospite!».

    «Chi è Julie?», chiesi, preoccupato non tanto dalla sua decisione ma dalla presenza di questa nuova intrusa. La notizia mi aveva spiazzato. Me l’ero immaginata sola in casa sua, mi sbagliavo e perciò chiesi informazioni.

    «È la mia cuoca! Ormai sono più di vent’anni che cucina in casa mia!».

    «Non dirmi che hai in casa Julie Andrews, vero?».

    «Ah! Ah! Ah! Magari…», scoppiò a ridere e il fatto che avesse intuito la mia stupida battuta mi diede un gran piacere. «Mi dispiace non è lei! Ma per me, in un certo senso, è come se lo fosse, è la mia Mary Poppins!».

    «Sono contento di non averti dovuto delle spiegazioni».

    Era vero. Il fatto che sapesse chi fosse quel gran pezzo di gnocca e di attrice della Andrews mi fece una piacevole impressione.

    Questa bellissima donna, con cui tra poco avrei cenato, viaggiava sulle mie stesse frequenze. Tutto procedeva per il meglio.

    «Non tutti hanno la fortuna di lavorare nell’ambiente del cinema come fai tu, ma sai una cosa? Mi difendo! Comunque, mio caro Spielberg, ti avverto che siamo arrivati!», disse con sarcasmo, mentre parcheggiava con destrezza la sua macchina. Scendemmo dall’auto in silenzio, senza quell’aria pesante d’imbarazzo o di disagio. Dopo essere entrati nell’edificio, usando le solite frasi di circostanza, continuammo in ascensore la nostra conversazione sulla tata più famosa del mondo.

    «Siccome sei stata così brava, e a esser sincero non me lo aspettavo, ti rivelerò un segreto…».

    «Pendo dalle tue labbra!», aveva ricominciato a sfottermi.

    «La nostra Mary», le dissi, abbassando il tono della voce, come per sottolineare che quello che le stavo per rivelare era davvero una cosa cui prestare la massima attenzione, «ai miei bei tempi, quando ero un giovane birbante, è stata uno dei miei sogni erotici preferiti!».

    «Michael, a quanto pare avevi ottimi gusti già da allora», disse, guardandomi dritto negli occhi per poi continuare con la provocazione, «spero tu non abbia perso questa dote da intenditore».

    «Non credo proprio!», ribattei fissando i suoi splendidi occhi. Era giunto il momento propizio, in cui si va a cercar la gloria o la morte. «Non mi troverei qui con te se così fosse… nel più classico degli ascensori davanti a così tanta bellezza. Tra l’altro così indisturbati!».

    Affondai il colpo deciso, dando scacco al re.

    Ora spettava a lei decidere se mettersi in salvo o soccombere e arrendersi.

    Gloria o morte? Uno schiaffo o una carezza?

    «Lei mi lusinga, non so se devo essere io a preoccuparmi o è lei che dovrebbe», disse con voce sensuale, ridandomi di nuovo del lei. Con sguardo malizioso mi si accostò e non esitò a poggiare il suo bel seno sul mio petto.

    «Shhhh…», Susy mise dolcemente il suo indice sulle mie labbra impedendomi una qualsiasi risposta. «Basta parlare!». E gloria fu!

    Sentii la sua mano dietro la mia nuca che stringeva le mie ciocche mentre finalmente ci baciavamo. Non stava aspettando altro, la sua lingua irrefrenabile veniva incontro alla mia, con un ardore che avrebbe fatto perdere il controllo a chiunque ed io, da comune mortale, lo avevo già perso da un pezzo. Lei doveva averlo intuito da subito, fatto sta che, appena entrati in ascensore, le sue mani, impazienti ed esploratrici, cominciarono a frugare nella patta dei miei pantaloni. Mi sbatté con forza contro la parete. Io ovviamente non posi resistenza, lasciandola fare. Lo specchio era alla mia destra e la porta d’ingresso dell’ascensore alla mia sinistra. Susy continuava a baciarmi guardandomi sempre fisso negli occhi e nello stesso tempo le sue mani avevano trovato quello che cercavano.

    Allungai una mano e premetti il pulsante Stop, eravamo tra il settimo e l’ottavo piano (settimo piano e mezzo direbbe quel genio di Kaufman) e non avevamo nessuna fretta. Lei invece premette il pulsante Start. Era così disinvolta, così brava che ero io quello che doveva preoccuparsi di non avere fretta, dovevo distrarmi un po’ per ritardare l’orgasmo. Allora cercai di farlo pensando a qualche pellicola che avevo visto di recente ma in quel momento mi passarono per la mente solo scene di sesso: Mickey Rourke che si sbatteva sotto il diluvio universale quella gran figa della Basinger in Nove Settimane e mezzo. Cercai di farli andare via ma al loro posto apparve la Demi Moore di Proposta indecente. Mentre cercavo di distrarmi ebbi un sussulto: lei si era finalmente inginocchiata. Volsi lo sguardo alla mia destra e assistetti allo spettacolo gratuito che mi stavano regalando due tipi vicini a noi. Fin troppo vicini. Identici a noi. Due gocce d’acqua. Lei in ginocchio, stesso cappello, stesse labbra, esageratamente affamata, con la voglia di voler dimostrare quanto fosse capace di farla finita in pochi minuti e come grazie al suo talento fosse impossibile per quel tizio trattenersi ancora per molto. Alzai lo sguardo e vidi che mi guardava nello specchio. Era al quanto fuori di sé, ansimante e sul punto di esplodere, proprio come lo ero io. Era tutto così incredibile e inaspettato. A un tratto l’uomo m’imitò mettendo le mani sulla testa della donna per aiutarla a scandire il ritmo a lui più congeniale con cui tra non molto sarebbe rimasto più che soddisfatto.

    «Mary Poppins avrebbe potuto fare di meglio?», disse lei dandosi un’occhiata allo specchio, come per controllare che non ci fosse nessuna traccia sul suo viso. Con grande naturalezza prese un fazzoletto dalla sua borsa e come se niente fosse si pulì la mano gocciolante.

    «Ehm, non saprei! Una che può volare con un ombrello è capace di tutto!». Stavo cercando una qualche battuta per controbattere nel migliore dei modi, alla Pete Sampras per intenderci, ma riuscii solo a dirle questo.

    «In effetti hai ragione, è probabile che avrebbe potuto farlo senza sfiorarti con un dito!». Sorrise, poi mi ammonì: «Allora? Ti è passata la fame? Dai, che aspetti a premere quel pulsante, Julie avrà già preparato!».

    «Mi perdoni signora!». Andai subito a cercare con il pollice il tasto dodici.

    «Signorina prego». Il suo tono era scherzoso ma non si fece scappare quella precisazione. Finalmente arrivammo davanti alla porta di casa, lei la aprì ed entrammo.

    «Signorina Susy, siete arrivata finalmente!».

    La domestica sentendoci entrare ci raggiunse all’ingresso entusiasta del nostro arrivo. Colei che mi trovai dinanzi poco dopo era in sostanza la classica nonnina con capelli bianchi raccolti, non molto alta e bella tonda. La sua schiena cominciava a curvarsi e a soccombere all’età e alla fatica. L’anziana signora con il suo passo raggiante

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