Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Dirty
Dirty
Dirty
E-book350 pagine4 ore

Dirty

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Kylie Scott crea dipendenza

Autrice bestseller del New York Times

Dive Bar Series

L’ultima cosa che Vaughan Hewson si sarebbe aspettato di trovare nella casa in cui ha trascorso l’infanzia è una sposina con il cuore spezzato. Nella sua vasca da bagno, per giunta. Lydia Green ha scoperto che l’amore della sua vita l’ha tradita persino alla vigilia delle nozze. E per giunta con il testimone. Il colpo di grazia, per lei. E così è scappata e si è nascosta in quella casa, troppo sconvolta per pensare a cosa avrebbe fatto nel caso in cui fosse tornato il proprietario. Vaughan è l’esatto opposto dell’uomo perfetto e rispettabile con il quale Lydia stava per sposarsi. È un musicista ma si mantiene con un lavoretto in un bar che gli consente a stento di sbarcare il lunario. Eppure, fidarsi delle apparenze non ha portato Lydia a trovare la felicità… Tutt’altro. Forse, allora, è il caso di cominciare a prendere decisioni col cuore invece che con il cervello. E finalmente, a lasciarsi un po’ andare…

Una sposa tradita e in fuga si nasconde nella casa di un affascinante sconosciuto…

«Questa autrice ci regala passione pura, incontenibile energia e uno straordinario umorismo che ci rende dipendenti dai suoi libri.»
RT Book Reviews

«Nessuno descrive cattivi rocker tatuati e dannatamente sexy come Kylie Scott! Ho divorato ogni deliziosa pagina di questo libro sexy, divertente e sorprendentemente dolce. Preparatevi a innamorarvi di Vaughan.»
Emma Chase

«Una scrittura pazzesca, divertente da morire e così tenero da riuscire a farvi arrossire.»
Katy Evans
Kylie Scott
È un’autrice bestseller del «New York Times» e «USA Today», da sempre appassionata di storie d’amore, rock’n’roll e film horror di serie B. Vive nel Queensland, in Australia, legge, scrive e non perde troppo tempo su internet. La Newton Compton ha pubblicato la Lick Series: Tutto in una sola notte, È stato solo un gioco, Nessun pentimento, Doppio gioco e la novella I disastri del cuore. Con Dirty si apre la nuova Dive Bar Series.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2018
ISBN9788822719188
Dirty
Autore

Kylie Scott

Kylie is a long-time fan of erotic love stories and B-grade horror films. Based in Queensland, Australia with her two children and one husband, she reads, writes and never dithers around on the internet. Her New York Times bestselling novels include Lick, Play, Lead and Deep, which make up the Stage Dive series.

Autori correlati

Correlato a Dirty

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica contemporanea per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Dirty

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Dirty - Kylie Scott

    1936

    Titolo originale: Dirty

    Copyright © 2016 by Kylie Scott

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Carla De Pascale

    Prima edizione ebook: maggio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l, Roma

    ISBN 978-88-227-1918-8

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Kylie Scott

    Dirty

    Dive Bar Series

    Indice

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Per Astrid, venuta a mancare

    mentre scrivevo questo romanzo.

    Eri terribile ed eccezionale.

    La miglior cagnolina

    che una ragazza possa desiderare.

    1

    Cazzo.

    Rimasi a fissare lo schermo del telefonino con la bocca spalancata, ero sconvolta. Dio, ci stavano dando dentro di brutto. Lingue intrecciate, denti che cozzavano. Nessuna esitazione, nessun ritegno mentre i loro corpi si fondevano. Luce e angolazione facevano schifo, ma quello spettacolo osceno riuscivo a vederlo perfettamente, santo cielo.

    Non poteva essere vero. Cosa diavolo dovevo fare?

    In corridoio risuonavano voci, risate e versi di giubilo. Esattamente ciò che ci si aspetta nel giorno più importante della propria vita. Quelle immagini indecenti, invece, non avrei voluto vederle. Non volevo continuare a guardare, eppure non riuscivo a distogliere gli occhi dallo schermo. Qualcuno mi aveva mandato quel video da un numero nascosto. Comunque l’obiettivo del messaggio era più che intuibile.

    Merda.

    Dio, il modo in cui si toccavano, l’intesa fra quei due corpi mi uccideva. Mi si rivoltò lo stomaco, sentii la bile salire in gola. Non ne potevo più. Deglutii a fatica e gettai il cellulare sul letto matrimoniale nuovo di zecca. Il video andava avanti tra i petali di rosa del letto come una barzelletta disgustosa. Avrei dovuto lanciarlo contro il muro. Schiacciarlo sotto la scarpa, qualunque cosa pur di distruggerlo.

    Chris mi aveva detto che sarebbero usciti, nessun problema. Soltanto lui e Paul, il suo testimone di nozze, a bere qualcosa e parlare dei vecchi tempi. Di certo non mi aveva parlato di intrecci di lingue tra loro: se lo avesse fatto mi sarebbe rimasto impresso, non importa quanto potessi essere concentrata sui preparativi del matrimonio.

    Mi bruciavano gli occhi, sentivo un muscolo della guancia tremare. Quella storia andava avanti da quando eravamo fidanzati? In tal caso, che razza di stupida ero stata? Mi strinsi le braccia intorno al corpo con forza, nel tentativo disperato di non frantumarmi in mille pezzi.

    Ma non funzionò. Neanche un po’.

    La cosa peggiore era che, a pensarci bene, mi aveva già mandato dei segnali. La libido di Chris non era mai stata, come dire, esuberante. In tutte le occasioni in cui andavamo a cena fuori o uscivamo si comportava in modo molto romantico: mi teneva per mano e mi baciava, quello sì. Ma non molto altro. Aveva sempre una scusa pronta. La sua era una famiglia molto religiosa, dovevamo rispettare la tradizione e attendere la prima notte di nozze per renderla speciale e così via. All’epoca mi sembrava sensato. Il sospetto che non avesse un debole per le donne non mi aveva neanche sfiorato. Per quanto riguardava tutto il resto, lui era perfetto.

    Soltanto che… non era così. Con quel video avevo finalmente capito che il ragazzo prodigio di Coeur d’Alene aveva semplicemente intenzione di usarmi come moglie di facciata in modo da continuare la sua vera vita per il resto dei nostri giorni.

    Sentii qualcosa spezzarsi dentro di me. Il cuore, le speranze, i sogni, non so che cosa in particolare. Ma soffrivo. Mai, in tutti i miei venticinque anni di vita, avevo provato una sensazione simile. Un dolore straziante.

    Le voci nel corridoio si facevano sempre più vicine, mentre i gemiti provenienti dal telefonino erano sempre più forti. Chris si divertiva parecchio con il suo testimone. Bastardi. E pensare che credevo di aver finalmente trovato il mio posto, la mia casa. Quanto ero stata stupida?

    Non sarei uscita da quella stanza per alcun motivo, affrontare tutta quella gente per raccontare quanto fossi stata ingenua, quanto mi sentissi presa in giro. Non potevo farcela, per lo meno non ora. Avevo bisogno di qualche istante per riprendermi dallo shock, da Chris e da come mi aveva imbrogliata.

    Toc, toc, toc! Qualcuno bussò energicamente alla porta. Mi ridestai e spalancai gli occhi.

    «Lydia, è ora», annunciò il padre di Chris.

    No… non potevo assolutamente. Il panico prese il sopravvento e io me la diedi a gambe. Una cosa affatto facile da fare quando si indossa un abito da sposa, ma in qualche modo ci riuscii. Diamine, mi misi letteralmente a correre. Impressionante cosa riesce a farti fare la paura.

    Sgattaiolai dalla porta-finestra e attraversai il patio. Superai il prato ben curato, con i tacchi che affondavano nella terra soffice a ogni passo. La musica e il chiacchiericcio degli invitati riecheggiavano intorno a me. Erano tutti fuori in attesa della cerimonia, nel frattempo spazzolavano cocktail e tartine. Mi precipitai nel giardino sul retro, facendomi strada fra le siepi e calpestando i fiori. Sentii le calze impigliarsi in un cespuglio di rose, le spine mi punsero e mi graffiarono le gambe. Ma non mi fermai. Non avevo tempo da perdere. Dietro un albero vidi un contenitore per il compost, accanto a uno steccato alto due metri che separava il nostro giardino da quello dei vicini.

    Fantastico, avevo una via di fuga.

    Avrei lasciato a Chris il piacere di spiegare a tutti perché il matrimonio fosse andato a monte. Meglio ancora: mi sarebbe piaciuto affidare l’incombenza a Paul, quel bastardo viscido doppiogiochista rubamariti.

    Grazie a Dio non avevo scelto l’abito lungo in cui la madre di Chris aveva cercato a tutti i costi di farmi entrare. Un vestito che arrivava a metà polpaccio era già abbastanza impegnativo, con tutto quel tulle sotto la gonna. Lo sollevai e mi arrampicai, senza troppa fatica, sul contenitore del compost, che era alto più o meno un metro. Ma appena mi misi in piedi quel maledetto iniziò a ondeggiare, facendomi perdere l’equilibrio. Mi sfuggì un lamento stridulo. Mi aggrappai allo steccato di legno grezzo, stringendolo così forte che le nocche sbiancarono.

    Di solito non prego. Ma il buon Dio non avrebbe permesso che ruzzolassi giù rompendomi qualche osso. Non quel giorno. Se davvero avesse avuto voglia di farmi soffrire ulteriormente, avrebbe dovuto aspettare. Per oggi avevo già penato abbastanza.

    Feci un paio di respiri profondi, ritrovando l’equilibrio. Potevo farcela. Nel giardino accanto, c’era una piccola casa dall’aria silenziosa.

    Perfetto.

    La french manicure si era ormai rovinata, mi sollevai e iniziai a dimenarmi finché non riuscii a scavalcare lo steccato con una gamba. Stare a cavalcioni su un recinto non è molto piacevole: praticamente sentii le mie parti intime gridare dal dolore. E dato che avevo in programma di diventare mamma, un giorno, dovevo assolutamente darmi una mossa, e spostarmi subito da quella posizione scomoda. La palizzata di legno mi si conficcò dolorosamente nella pancia mentre cercavo di scivolare giù aiutandomi nel farlo con il busto. Sentivo il sudore colarmi sulle tempie. Sicuramente stava scavando dei solchi nel fondotinta extracoprente che il make-up artist mi aveva steso sul viso (un professionista raccomandato dalla madre di Chris).

    «Zia Lydia?», domandò una vocina. «Cosa stai facendo?».

    Ebbi un sussulto ma per fortuna non avevo abbastanza aria nei polmoni per mettermi a urlare. Sotto di me c’era una bambina che mi scrutava con i suoi occhioni indagatori.

    «Mary, ciao». Feci un sorriso smagliante. «Mi hai spaventata».

    «Perché stai scavalcando lo steccato?», mi chiese facendo frusciare la gonna del suo vestitino di seta bianca a fiori.

    «Oh, be’…».

    «Stai facendo un gioco?»

    «Ehm…».

    «Posso giocare anch’io?»

    «Certo!», risposi sorridendo nervosamente. «Sto giocando a nascondino con lo zio Chris».

    La bimba assunse un’espressione raggiante.

    «Ora che ci penso però è meglio di no, non possiamo giocare. Mi dispiace».

    A quelle parole mise il broncio. «Perché no?».

    Ecco qual era il problema con i bambini, troppe domande.

    «Perché è una sorpresa», risposi. «Una sorpresa segretissima».

    «Zio Chris non lo sa?»

    «No, non lo sa. Quindi devi promettermi di non dire a nessuno che mi hai vista qui. Va bene?»

    «Ma allora come farà a sapere che deve venire a cercarti?»

    «Bella domanda. Ma tuo zio Chris è un ragazzo sveglio, lo capirà in men che non si dica». Soprattutto perché avevo lasciato il telefono in camera con quel maledetto porno ancora acceso. Impossibile sentirsi in colpa per averlo fatto uscire allo scoperto, vista la situazione. «Dunque, non dirai a nessuno che mi hai vista, okay?».

    Mary si mise a riflettere per un lungo istante, concentrandosi sulle sue scarpine di raso già consumate. Sua madre non ci avrebbe neanche fatto caso. «Non mi piace quando mio fratello spiffera i miei nascondigli».

    «Esatto. È fastidioso, vero?». Sentii la gamba che mi scivolava, e mi lasciai scappare la clamorosa parolaccia con la c, convinta di averla sussurrata tra me e me.

    Le sue labbra rosate disegnarono una

    O

    perfetta. «Non dovresti dire quella parola! Mamma dice che non sta bene».

    «Sì, è vero, hai ragione», risposi seccata. «È una parolaccia, chiedo scusa».

    Sopirò con espressione sollevata. «Non fa niente. Mamma dice che non sei stata educata come si deve, e che quindi dobbiamo cercare di sor… di sovv… di sorvo…». Aggrottò le sopracciglia, contrariata.

    «Di sorvolare?»

    «Sì». Sorrise. «Davvero sei cresciuta in una stalla? Vivere in mezzo agli animali dev’essere divertente».

    Ah, bene. Ecco cosa succede a lasciare che dei ricchi spocchiosi e stronzi crescano dei figli. La sorella di Chris era la regina della puzza sotto il naso. Tutta la sua famiglia era ai suoi livelli, a essere sinceri.

    «No, tesoro», risposi. «Non sono cresciuta in una stalla. Ma credo che tua madre si troverebbe a suo agio in mezzo alle vacche».

    «Muuu». La bambina scoppiò a ridere.

    «Bravissima. Adesso però è meglio che torni a casa. E ricorda, non dire a nessuno che mi hai vista». La salutai con la mano, cercando una posizione più comoda per non volare di sotto. Come se fosse facile.

    «Promesso! Ciao!».

    «Ciao».

    La bimba si allontanò correndo in mezzo al giardino, e qualche istante dopo non la vedevo già più. Ora dovevo saltare dall’altra parte ma sapevo che in qualunque maniera l’avessi fatto, di sicuro sarebbe stato doloroso. Ne ero certa. Iniziai a stendere e contrarre i muscoli, sentivo le cosce e i polpacci protestare. Se solo avessi dato retta a Chris, tutte quelle volte che mi aveva proposto di andare con lui in palestra… Ma ormai era tardi. Lentamente, sollevai il ginocchio per scavalcare anche con l’altra gamba. Delle schegge di legno si impigliarono nel vestito, conficcandosi nella seta e lacerandola. Scivolai finalmente dalla parte opposta della staccionata, rimanendo appesa a mezz’aria per un momento straziante, la superficie grezza del legno mi graffiò le mani, i muscoli si tesero per lo sforzo. Infine la forza di gravità prese il sopravvento.

    Caddi a terra come un peso morto e sentii un gran dolore.

    Non me lo aspettavo, visto che sono grassottella, ma a quanto pareva i miei cuscinetti naturali non avevano attutito un bel niente. Rotolai sulla schiena e rimasi distesa nell’erba alta, ansimando come se fumassi un pacchetto di sigarette al giorno. Sentivo solo il dolore. Per quanto mi riguardava, potevo anche morire lì, era un posto come un altro.

    «Lydia, sei qui fuori?», domandò qualcuno a voce sostenuta. Era Betsy, la receptionist dell’agenzia immobiliare. «Liddy?».

    Detestavo quando mi chiamavano così. Mi saliva un odio profondo. E lei lo sapeva, brutta stronza.

    Non risposi e rimasi distesa, sudata e col fiato corto, cercando di fare meno rumore possibile. Non mi avrebbe vista, a meno che non avesse scavalcato anche lei lo steccato, cosa piuttosto improbabile. E poi, Betsy non era più in forma di me. Per il momento, ero al sicuro. Sopra di me vidi passare una leggera coltre di nuvole che, per un istante, offuscò l’azzurro del cielo. Era una bellissima giornata di giugno, perfetta per un matrimonio. Davvero, non avrei potuto immaginare di meglio.

    La voce di Betsy si stava allontanando: era arrivato il momento di darsi una mossa.

    Molto lentamente mi alzai in piedi, mi faceva male tutto. Da lontano sentivo le voci preoccupate degli invitati che mi chiamavano ripetutamente. Ero senza soldi, senza carta di credito, senza telefono, senza niente. A dire il vero il mio piano di fuga era alquanto improvvisato. Ma almeno ero riuscita a saltare lo steccato.

    Il giardino dei vicini sembrava una giungla, una distesa di erba incolta. Una bella fortuna, altrimenti saltando mi sarei rotta qualcosa. Una casetta grigia e graziosa faceva capolino in mezzo agli alti e vecchi pini. Aveva un aspetto molto elegante. Erano abitazioni come quella che mi avevano portata a lavorare in un’agenzia immobiliare. Volevo aiutare le persone a trovare una casa adatta alle loro esigenze, in cui vivere per il resto della vita. Un posto in cui poter crescere i figli e avere buoni rapporti con i vicini, organizzare feste di quartiere e barbecue. Tutto il contrario di chi trascina i bambini da un angolo all’altro del Paese, a caccia di ogni nuova grande opportunità, trasferendosi da un appartamento squallido all’altro.

    Purtroppo, invece di vendere belle case, ero finita a proporre ai potenziali acquirenti appartamenti in condomini asettici e che probabilmente non avrebbero potuto permettersi. Com’ero stata ingenua. Si trattava di un impiego per gente spietata, senza empatia.

    Ma torniamo a noi.

    Sanders Beach era una zona abbastanza tranquilla, presto sarebbero venuti a cercarmi. Se fossi rimasta per strada non avrebbero fatto fatica a trovarmi e io non potevo permetterglielo. Dovevo riprendere fiato e rimettermi in sesto. Aspettare che il video mostrasse il fottuto bastardo traditore che era Chris e poi… be’, a quel punto mi sarei di certo inventata qualcosa.

    Il particolare che mi piaceva di più, in quella graziosa casetta, era la finestra aperta sulla facciata posteriore.

    Sollevai i lembi strappati della gonna e scalciai via l’unica scarpa che avevo ancora al piede, quindi iniziai a camminare nell’erba alta. A una prima occhiata l’abitazione sembrava disabitata. Forse i proprietari erano usciti e avevano dimenticato di chiudere la finestra che dava sul bagno, pieno di polvere e piuttosto antiquato. Non volava una mosca.

    Potevo arrischiarmi a entrare o era meglio lasciare semplicemente che mi trovassero? La scelta non fu difficile: chiamatemi pure Riccioli d’Oro, ma decisi di andare dentro. Se fossi stata mangiata dall’orso, pazienza. Quanto meno quell’animale avrebbe avuto la pancia piena, considerando la mia stazza.

    La finestra non era alta e questa volta riuscii ad arrampicarmi senza fatica. Mi aggrappai al bordo della vasca per non perdere l’equilibrio e allungai l’altra mano fino a terra. Andava tutto a meraviglia, finché non dovetti far passare i fianchi, troppo larghi per quel pertugio. L’intelaiatura mi strizzò dolorosamente la carne e rimasi quasi incastrata.

    «Merda!», esclamai a bassa voce, per paura che qualcuno mi sentisse.

    Mi contorsi grugnendo per la fatica e agitando le gambe in aria. Grazie a Dio non c’era nessuno lì fuori a osservare quello spettacolo indegno. Pregai il Signore affinché mi desse una mano. Ce la potevo fare, ne ero certa. Del resto, che differenza avrebbe fatto ormai perdere altri brandelli di gonna, o di pelle? Non sarebbe cambiato nulla. Mi aggrappai forte al bordo della vasca da bagno e diedi un tremendo strattone: sentii qualcosa lacerarsi e la cintura cedette. Atterrai sul pavimento, caddi di faccia, trascinandomi dietro il resto del corpo con un bel tonfo. Considerando il rumore, fu alquanto strano che i vicini non si precipitassero a controllare, scortati dalla polizia.

    «Oddio», esclamai gemendo e con il fiato corto.

    Il dolore e l’umiliazione erano ormai passati in secondo piano per fare spazio allo sgomento. Che situazione di merda.

    Stando molto attenta, feci un respiro profondo, inspirando col naso ed espirando dalla bocca. Okay, era andata bene. Nessuna costola rotta, almeno credo. Il naso era ancora intatto. Passai la lingua all’interno della bocca, alla ricerca di denti rotti. Erano ancora tutti lì. Mi sentivo come se avessi fatto a botte con un piantagrane in un bar. La guancia sinistra pulsava e mi faceva un male cane. Per un po’ rimasi ferma, sconvolta. Non osai muovermi di un centimetro, non ne avevo neanche la forza. Nella vecchia casetta regnava la quiete. Ero sola, grazie a Dio. Soli si stava bene, me ne resi conto proprio in quel momento.

    Temendo che potesse sopraggiungere qualcuno, mi trascinai fino alla vasca da bagno, ci entrai e chiusi la tenda. Infine, con delicatezza, feci il possibile per coprirmi con i brandelli di vestito che mi erano rimasti attaccati addosso.

    Era arrivato il momento di affrontare la realtà, di affrontarla e accettarla. Il mio fidanzato non era davvero il mio uomo, e non era neanche il mio migliore amico. Non ci sarebbe stata nessuna bella casetta. E il matrimonio dei miei sogni? Andato in fumo.

    Pazienza, avevo trovato un posto sicuro in cui nascondermi per far passare la giornata. Avrei lasciato che fosse Chris a occuparsi di tutto il casino di cui era responsabile. Io dovevo pensare a riprendermi.

    Iniziarono a scendermi le lacrime, piansi a lungo.

    2

    Dei passi pesanti mi riportarono alla realtà. Non avevo idea di quanto tempo fossi rimasta nella vasca da bagno a fissare il vuoto, a riflettere sulla catastrofe che era diventata la mia vita. Non doveva comunque essere passato molto tempo, considerando che il sole era ancora alto nel cielo.

    Quei passi si fecero sempre più vicini e infine giunsero nella stanza da bagno. Oh, merda. Rimasi immobile, non osavo neanche respirare. Sentii un sonoro sbadiglio seguito da uno scrocchiare di articolazioni. Poi vidi una mano che si intrufolava nella tenda chiusa della doccia per aprire il rubinetto. Il getto d’acqua ghiacciata mi raggiunse: fu come se un miliardo di coltelli mi avessero trapassato la pelle. I lividi e le escoriazioni che mi ero procurata poco prima iniziarono a bruciare da morire. Serrai la mascella, mi strinsi nelle spalle sollevandole fin quasi alle orecchie, come se in quel modo potessi proteggermi.

    Restai seduta lì, rannicchiata, a sentire quell’uomo che faceva pipì.

    Fantastico. Davvero grandioso.

    Non potevo mica sbucare fuori e interromperlo. E poi, cosa avrei potuto dirgli? In effetti non era proprio la situazione ideale in cui farsi scoprire.

    1. Avevo fatto irruzione in casa sua.

    2. Mi ero comportata come se quel posto mi appartenesse, sfogando una crisi emotiva nella sua vasca da bagno.

    Le persone normali, dotate di razionalità, non avrebbero mai fatto una cosa del genere. Io non avevo precedenti penali, ovviamente, e non avevo mai combinato cose bizzarre o degne di nota, almeno fino ad allora. Era tutta colpa di Chris, quel bastardo. L’unica cosa che potevo fare era cavarmela meglio che potevo e sperare che quell’uomo fosse dotato di senso dell’umorismo.

    Proprio quando l’acqua iniziava a scaldarsi lui tirò lo sciacquone, e io venni travolta da una nuova ondata ghiacciata. Stavo aprendo la bocca per annunciare la mia presenza, ma l’acqua fredda me la fece richiudere. Mille aghi gelati mi piovvero addosso. Mi stavo trasformando in un ghiacciolo. Strinsi ancora i denti e soffocai un grido di dolore e rabbia.

    Poi la tenda della doccia si aprì.

    «Merda!». Era un uomo molto alto, molto nudo e molto sorpreso. Fece un passo indietro, appoggiò una mano sul ripiano del mobile del bagno e spalancò gli occhi in un’espressione affatto amichevole. «Cosa diavolo succede?!».

    Ottima domanda.

    Spalancai la bocca, ma la richiusi subito. A quanto pareva il dono della parola mi aveva abbandonata. In assoluto silenzio, io e quell’uomo rimanemmo a fissarci.

    Anche se non era vestito, capii subito che si trattava di un tipo molto figo. Sembrava avere la mia età, al massimo qualche anno in più. Aveva i capelli leggermente lunghi, di un biondo ramato, occhi azzurro scuro e un viso scolpito, il busto snello ma tonico, ricoperto di tatuaggi, e un uccello bello grosso. Non che volessi prendergli le misure, è solo che mi restava molto difficile ignorare quel pene e quello scroto che puntavano dritti verso la mia faccia. Inclinai leggermente la testa, così, per non fissarlo troppo sfacciatamente, ma da qualunque angolazione guardassi, quella visione era ugualmente sconvolgente. Il suo sesso occupava tutto il mio orizzonte visivo.

    Dovevo assolutamente smetterla di fissarlo. Subito.

    «Salve». Simulando una tranquillità che ero ben lungi dal provare, allungai un braccio e chiusi il rubinetto. Molto meglio. Quel pene gigante mi aveva momentaneamente distratta, ma ora mi stavo riprendendo. Era il momento di tirarmi fuori da quel casino. «Ehi».

    «Cosa diavolo ci fai in casa mia?», domandò in tono piatto.

    «Be’. Io…». Fermai con cura una ciocca dei miei capelli fradici, biondi e lunghi fino alle spalle, dietro l’orecchio, come se con quel gesto potessi darmi un tono. Sicuramente l’eye-liner mi era colato su tutto il viso e le ciglia finte erano scivolate sulle guance. «Io, ehm, io…».

    «Tu cosa?»

    «Io sono Lydia». Dissi la prima cosa che mi venne in mente.

    Nessuna risposta. Quel bel viso, tuttavia, assunse un’espressione molto infastidita e i suoi capelli ramati sembravano aver preso fuoco. Bene, a quanto pareva non me la sarei cavata con le presentazioni. Chiaro. Non potete immaginare quanto fosse difficile guardarlo negli occhi, era una lotta: forse perché non ne vedevo uno da molto tempo, ma il suo pene aveva un effetto ipnotico. Sembrava che avesse dei poteri magici, ve lo giuro. Era così grande e si muoveva in continuazione, oscillava ogni volta che lui si muoveva appena. Il mio sguardo tornava sempre lì, nonostante gli sforzi.

    Fu lui a tirarmi fuori dall’imbarazzo, prendendo un asciugamano da uno scaffale lì vicino e stringendoselo intorno alla vita. Praticamente ora indossava un gonnellino sexy. Un look del genere non avrebbe donato a tutti.

    Ma torniamo al mio racconto.

    «Oh, per prima cosa, vorrei chiederti scusa». Feci un cenno con la mano a indicare lui, il bagno e, be’, un po’ tutto, in realtà. «Scusa per il casino che ho fatto».

    Il ragazzo rimase immobile, in piedi davanti a me, con le mani sui fianchi. I tatuaggi gli ricoprivano le braccia, fino ai polsi. Eppure riuscivo a vedergli i tendini. Non era il caso di farlo incazzare, avrebbe potuto farmi a pezzi in un secondo. Forse era un modello di tatuaggi o un motociclista, oppure un pirata o qualcosa del genere. Era molto sexy, ma non per questo meno inquietante.

    Merda. Avrei proprio dovuto intrufolarmi in un’altra casa.

    «In genere non entro nelle case degli altri per nascondermi nella vasca da bagno», dissi incerta, praticamente in stato confusionale. «Dunque mi dispiace molto. Davvero. Ti chiedo scusa. Comunque hai una bella casa».

    «Sei entrata perché ho una bella casa?»

    «No, non per quello. Voglio dire, non sono qui per la tua casa. È solo che…». Maledizione, avevo il cervello in pappa. Feci un respiro profondo, espirai lentamente e feci un altro tentativo. «Mi piacciono le case costruite alla vecchia maniera, è come se avessero un’anima».

    Aggrottò le sopracciglia. «Sei drogata? Cosa cazzo hai preso?»

    «Niente!».

    «Hai ingoiato qualche pasticca, hai tirato qualcosa?»

    «No, lo giuro».

    «Hai bevuto?»

    «Non ho neanche bevuto», risposi, ma lui continuava ad apparire sospettoso, oltre che infuriato. La sua espressione, accompagnata da un velo di barba sul mento e dai segni delle occhiaie, era un insieme di stanchezza e irritazione. Non potevo certo biasimarlo.

    «Quindi sei lucida», sentenziò.

    «Assolutamente».

    Silenzio.

    «In questo momento starai pensando che sono matta da legare, vero?», domandai, nonostante la risposta fosse scritta a caratteri cubitali sul suo bel viso.

    «Be’, direi di sì».

    Oddio. «Non è così. Non sono pazza».

    «Ne sei sicura?». Abbassò lo sguardo, non sembrava turbato. «Ne ho viste di cose strane nella vita. Cose a cui non crederesti mai. Ma devo dire che, in questo momento, tu… sei salita in cima alla classifica».

    «Grandioso». E molto probabilmente sarei finita anche in prigione. Dovrebbero darmi un premio per come sono riuscita a rendere una situazione già terribile ancora peggiore.

    «Hai toccato la mia roba?», domandò. «Hai

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1