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Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela
Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela
Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela
E-book345 pagine2 ore

Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela

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Info su questo ebook

Leggendo il libro, risalta la figura del protagonista, che la sorte, a 59 anni, ha deciso di penalizzare con un handicap insormontabile: il morbo di Parkinson.

Tra le righe emerge, però, il carattere dei grandi, la sua “testardaggine sarda”, la volontà granitica di non arrendersi mai, ma di ribattere colpo su colpo al suo grande nemico e di rilanciare sempre la sfida.

Come? Compiendo il “Cammino di Santiago di Compostela” nel 2013, suo vecchio sogno, con l'ingombrante e indesiderata compagnia della sua scimmia (il Parkinson) appollaiata sulla sua spalla.

I sentimenti dell'autore, durante il cammino, sono miscelati, con arte: la paura, la gioia, l'estasi e la vergogna fino all'esaltazione finale, con l’arrivo alla meta: Santiago di Compostela. Esaltazione, per aver vinto questa prova, quando tutti la ritenevano impossibile per lui; gioia nel poter urlare al mondo: "Ce l’ho fatta! Questa volta ho vinto io la sfida! Tutti possono farcela, anche chi è portatore di Handicap!” L'importante e non arrendersi mai, ma lottare sempre...
LinguaItaliano
Data di uscita30 gen 2020
ISBN9788831624640
Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela

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    Anteprima del libro

    Scacco al Parkinson - da Roncisvalle a Santiago di Compostela - Giuseppe Soro

    Indice

    Andava Sempre Lontano

    Prefazione

    Il Cammino Di Compostela

    Il Cammino Di Santiago Di Compostela In Clic 100

    6/5/2013 - Roncisvalle

    7/5/2013 - Roncisvalle-larrasoana

    8/5/2013 - Larrasoana – Zariquegui

    9/5/2013 - Zariquiegui – Lorca

    10/5/2013 - Lorca – Los Arcos

    11/5/2013 - Los Arcos – Logrono

    12/5/2013 - Logrono – Najera

    13/5/2013 - Najera – Granon

    14/5/2013 - Granon – Villafranca

    15/5/2013 - Villafranca Montes De Oca – Burgos

    16/5/2013 - Burgos, Giornata Turistica

    17/5/2013 - Burgos – Hontanas

    18/5/2013 - Hontanas – Boadilla Del Camin

    19/5/2013 - Boadilla – Carrion De Los Condes

    20/5/2013 - Carrion De Los Condes – Terradillos De Los Templarios

    21/5/2013 - Terradillos De Los Templarios – El Burgo Ranero

    22/5/2013 - El Burgo Ranero – Puente Villarente

    23/5/2013 - Puente Villarente – Leon

    Una Giornata Turistica

    24/5/2013 - Leon – Hospital De Orbigo

    25/5/2013 - Hospital De Orbigo – El Ganso

    26/5/2013 - El Ganso – Molinaseca

    27/5/2013 - Molinaseca – Villafranca Del Bierzo

    28/5/2013 - Villafranca Del Bierzo – O Cerbeiro

    29/5/2013 - O Cebreiro – Tricastela

    30/5/2013 - Tricastela – Ferreiros

    31/5/2013 - Ferreiros – Liconde

    1/6/2013 - Liconde – Arzua

    2/6/2013 - Arzua – Monte Do Gozo

    3/6/2013 - Monte D0 Gozo – Santiago De Compostela

    4/6/2013 - Santiago – Finistere

    Soro Giuseppe - Biografia

    SORO GIUSEPPE

    SCACCO AL PARKINSON;

    da roncisvalle a santiago

    DI COMPOSTELA

    (790 KM IN COMPAGNIA DEL MORBO DI PARKINSON)

    ANDAVA SEMPRE LONTANO

    Soro Giuseppe, come lo vedo io

    Di Soro Alessio Delgado

    Andava sempre lontano

    Vai a farti il bagno?

    Sì.

    Vuoi che ti faccia compagnia?

    No. Non ti preoccupare, non mi allontano.

    Andava sempre lontano…

    Era contento di entrare in acqua, un po’ come un bambino che non ha mai visto il mare.

    Sembrava gli sussurrasse Eccomi, sono tornato… quanto tempo. Sembrava, entrando in acqua, che contasse i passi, forse l’acqua fredda, forse la consapevolezza dell’handicap che lo frenava, ma qualcosa lo teneva accorto. Accarezzava l’acqua con le punte delle dita, si difendeva dalle onde che si infrangevano su di lui avvolgendolo nell’acqua. Una bagnatina alle spalle e una rinfrescata al viso, e poi giù, dove si scorda tutto, completamente immerso in un mondo che, seppur conosciuto, per lui era del tutto nuovo. Riemerso, iniziò a nuotare, verso l’orizzonte. Andava sempre lontano, ogni volta che ci portava al mare a me e mio fratello. Ricordo che mamma non veniva mai. Forse non veniva perché, anche per lei, era il suo momento di pausa. Forse non veniva perché si andava durante la settimana, quando c’è meno folla, e lei lavorava. Papà la folla la trasportava tutti i giorni, con il tram, lungo via Casilina, avanti e indietro per tutto il giorno. Forse, si andava durante la settimana perché non voleva incontrare le stesse persone che trasportava, aveva voglia di stare solo, e non di confrontarsi con il suo presente. Per lui evadere aveva un significato assoluto, scomparire… e proprio così lo percepivo, si lasciava la casa per andare lontano, direzione Ostia, ai cancelli, distanti dal tram tram quotidiano. Una volta in spiaggia tutto diventava diverso, profumi di creme, radio accese, risa e il rumore del mare accompagnavano giornate diverse. Allegria. Bastava un qualcosa di sferico, piccolo o grande che fosse, e tutto si trasformava in un'accesa sfida con mio fratello. Le giornate passavano così, gioco, acqua… acqua e gioco e la solita frase responsabile. Non vi allontanate. Tranquillo papà, non andiamo lontano… Ci lasciava sfogare, si fidava di noi. Finito il nostro momento, una volta tornati alla base, delineata da tre asciugamani, si alzava, e come raccomandandosi ci metteva a conoscenza che era giunto il suo, di momento. Vado a fare una nuotata… non vi allontanate da qui. E partiva… andava sempre lontano, anche quando il mare era fortemente agitato, non aveva paura di nulla, ed io lo seguivo dalla spiaggia con ammirazione, credo lo sostenessi, tifavo per lui. Nuotava, sempre più avanti, sempre più vicino all’orizzonte, e la sua figura diventava sempre più piccola e irriconoscibile. Scompariva tra le onde, e a tratti avevo paura. Si nascondeva tra di loro perché non voleva farsi vedere, voleva restare solo ad affrontare i suoi mostri, quelli che non riusciva ad affrontare nel quotidiano. Esausto, rientrava, solo quando vedevo che le bracciate volgevano verso di noi mi tranquillizzavo… sta tornando…

    Ma il suo ritorno significava il suo nuovo silenzio, anche se poi non è mai stato un tipo di grandi parole in quel momento era veramente assente. Non parlava. L’unica cosa che riusciva a verbalizzare erano le definizioni sulla Settimana Enigmistica. Ogni tanto provavo a rubargliela, iniziando i cruciverba più complessi, quelli senza schema, che ovviamente lasciavo irrisolti, e lui s’incazzava. Forse, era un piccolo e rudimentale mezzo per attirare la sua attenzione e cercare una forma di dialogo con lui. Quel dialogo mancato che mi ha lasciato irrisolto, e quelle onde, che lui istintivamente cercava di domare, io iniziavo a subirle. Non riuscivo ad affrontarle, laggiù il mare mi faceva paura… ed io non ero come lui. Non amavo quella solitudine, non amavo quel doversi nascondere per far passare la nottata. Andava sempre lontano... a sfogare le sue frustrazioni, come se fra le onde trovasse il suo unico confidente, la confidenza di chi ascolta ma non dà risposte, la confidenza che non permette confronto ma solo sfogo. Si sfogava tra le onde e poi tornava. Forse tra quelle onde avrei voluto andarci con lui, per imparare di che pasta erano fatte, con il suo aiuto ma capendole a modo mio… magari un giorno riuscirò anche ad affrontarle per conoscerne la spiritualità, quell’esperienza corroborante che solo poche avventure ti sanno dare. La solitudine va apprezzata, non subita. Nella sua avventura lontano dal mondo mio padre ha trovato la sua solitudine, la sua spiritualità cercata e mai trovata per la sua troppa fretta di compiere, di portare a termine senza mai soffermarsi sul dettaglio. Nella sua vita sono mancati i dettagli e il cammino di San Giacomo gli ha fornito questa nuova visione. Le memorie di questa sua avventura rappresentano il suo modo di raccontarsi, per lui attraversare la Spagna da un capo all’altro ha significato fare un cammino di vita. Per lui che ha sempre viaggiato sulle stesse due rotaie, ha significato il piacere e il coraggio di mettersi in gioco a qualsiasi costo, anche con una malattia invalidante come il morbo di Parkinson. Per noi, poter leggere questi suoi appunti di viaggio ha significato entrare nel suo mondo, capire la sua strana e bizzarra essenza, il suo essere tutto e il contrario di tutto. Un mezzo per combattere ad armi pari e avere un dialogo.

    Grazie perché quando avevo perso le speranze di quel dialogo, con questa vittoria mi è arrivato lo schiaffo più azzeccato.

    Ed oggi 29 agosto 2016, che sei venuto a trovarmi nella mia nuova casa a Ostia, seduto in riva al mare che ti osservo mentre ti prepari per entrare in acqua, mi fa strano.

    Vuoi che ti accompagni?

    No. Non ti preoccupare, non mi allontano. E tu vai.

    Ti osservo per un po’, sorrido… accendo una sigaretta e mi sdraio.

    Buona avventura.

    PREFAZIONE del professore Alessandro Stefani, neurologo al PTV

    Quando Giuseppe Soro mi ha chiesto di collaborare con una breve prefazione al suo volume, ho inizialmente provato un lieve imbarazzo; come se fosse meglio conservare quella frontiera, quella linea di separazione demarcata tra la dimensione paziente e la dimensione terapeuta; su questa falsariga, nego sempre le amicizie su Facebook agli assistiti, quasi che un eccesso di socialità interferisse con l’efficacia dell’assistenza. D’altronde, pensai rapidamente, qui si tratta di una collaborazione tra scrittori! Io con i miei precedenti libri, Giuseppe con questo sforzo editoriale di prima fattura! Sicché ben venga.

    In effetti il paziente parkinsoniano Soro si lancia in questa iniziativa con la sua tenacia, ma anche con pregevole freschezza. Come se avesse scritto di abitudine: la scrittura è nitida, la narrazione procede veloce, libera da orpelli inutili, scevra di fardelli retorici. Si va al sodo, sia quando si parla di disagio, sia quando si annuncia la conquista di nuovi chilometri di cammino.

    Nonostante l’esperienza di tanti anni con i malati di Parkinson, ho provato un un compito stupore, nel seguire passo passo, è il caso di dire, le tappe del viaggio di Giuseppe sino alla cattedrale di San Giacomo in Compostela. Ho compreso infatti che competenza e consuetudine non sono sufficienti; quanto noi neurologi, presunti esperti, crediamo di intravedere andrebbe sempre validato dallo sguardo del paziente medesimo; di ciascun particolare paziente. Un esempio? Come egli ci parla della variabilità delle giornate (la sorpresa di 3-4 giorni di fila con energia portentosa, poi il sopravvenire di inefficienza); o quella condizione di lenta acquisizione della piena autonomia (ingranavo dopo un poco), esperita all’alba. Quel sentirsi un diesel; tanto più credibile in chi, come lui, proviene da decenni di marce stile montanaro (uomo CAI) e da un allenamento mirato, svolto proprio nei mesi precedenti l’impresa. Ebbene, in poche battute esprime l’acinesia dell’alba, descrive sensazioni del wearing-off, fa in pratica comunicazione non aulica, sincera. Magari considera tutte le sensazioni di blocco come un freezing, esagerando…ma tant’è, non ha studiato parkinsonologia: e noi, in primis, impariamo ad imparare dai nostri pazienti, aiutiamoci in uno scambio, senza saccenza od apriori.

    Giuseppe si esamina, si valuta, con parole schiette, con sentenza talora lapidarie, quasi impietoso, allorché definisce il nemico Parkinson nei termini di una compagna indesiderata, silenziosa ma sempre presente. E sin dalle prime pagine ci racconta di come abbia transitoriamente nascosto la diagnosi della malattia ai suoi cari viciniori. Come spiegare questa ritrosia? Un meccanismo di rimozione? Un senso forzato dell’onore? Egli lo ribadisce, lo sottolinea più volte, intendo quella sorta di ritardo nella condivisione famigliare della diagnosi. Sembra un rito di espiazione il suo, un sentimento di colpa che autodenuncia. Ciò la dice lunga, sui percorsi anche tortuosi che la mente umana elabora; è la nostra personalità che fatica ad adattarsi al male è la stessa malattia che compenetra l’idea di noi stessi, e quindi cagiona comportamenti criticabili?

    Ad ogni buon conto, il desiderio della sfida come risposta al male, in Giuseppe, è una priorità. Come altrimenti valutare le sue parole di disprezzo senza appello, il suo distacco, da quei pur simpatici compagni di avventura che forse utilizzano un passaggio improprio? O affidano gli zaini (almeno 8 Kg) al trasporto su ruote? Sfida da compiersi secondo le regole, invece; in obbedienza ad un rito, se non ad una vera e propria etica dell’umiltà. Che consente di percorrere i quasi 800 km con dignitosa meticolosità; senza perdere di vista luoghi e fonti di riflessione, come, per citarne alcune, la digressione in Pamplona capitale della Navarra, la fonte del buon vino nel Monastero di Irache, l’emozione per il castello dei templari a Ponferrata.

    L’accademico che qui scrive, in certi passaggi, è sobbalzato; quando il nostro paziente/narratore esprime giudizi alquanto tranchant su altri specialisti…colpevoli forse di atteggiamento meno canonico, irrituale. Prescrittori di trattamenti natriucetici, non farmacologici in senso stretto. E poi mi sarei aspettato qualche battuta sulle compresse in corso, qualche stima dell’efficacia delle terapie pur possibili. Sintomatiche e non curative, d’accordo, ma tali da provvedere giovamenti certi! A migliaia di voi. Eppure Giuseppe non si sofferma su questo.

    Piace molto, invece, quando Soro scandisce e racconta le funzioni elementari della sua giornata; il panino di ordinanza, la birra gelata al momento opportuno, la valutazione degli alloggi e connesse cucine. Come una lonely planet del pellegrino.

    Una vecchia storia, in merito ai parkinsoniani anche severi, recita pressappoco così: che scoppiava un incendio repentino in una casa di riposo inglese che ospitava tra gli altri numerosi parkinsoniani stadio 3 o 4 (avanzati). Quindi in teoria confinati alle sedie a rotelle? Condannati a morte atroce od asfissia? Nossignori: invece scattavano all’unisono e in gran massa accorrendo nel prato esterno, salvandosi brillantemente. Cosa suggeriva quel racconto? Che nonostante gli anni di malattia, gli acciacchi associati, la risposta fluttuante o complicata ai famaci, la ben nota perdita di plasticità , la fatica dei circuiti che dovrebbero trasformare gli ordini del cervello in atti adeguati e appropriati alla richiesta, ebbene nonostante tutto ciò, qualche residuo automatismo era sopravvissuto. Qualche circuito di supplenza funzionava. Se sopperito da una cognitività adeguata su tutto.

    Giuseppe, mi consenta di chiederle: è davvero sicuro di aver compiuto come il figlio Alessio ripete... qualcosa di eccezionale? E se invece fosse possibile a molti di Voi malati, con le dovute differenze (perché non è da tutti godere di un fisco allenato e di una mentalità atletica siffatta). Giuseppe, forse può convenirne, che molta della riabilitazione motoria o della stessa attività ludica e ricreativa che consigliamo, fonda le chance di beneficio sull’incontro con menti flessibili e corpi malati ma non inabili né sconfitti in partenza.

    La sofferenza di Giuseppe, paziente ed atleta, parkinsoniano e marciatore, possono risultare di aiuto a tanti di Voi, siate pazienti od operatori sanitari.

    C’è una Finisterre da raggiungere per tutti, anche nella routine

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