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Compendio di pastorale della salute: Tutto esordisce con il Vangelo…
Compendio di pastorale della salute: Tutto esordisce con il Vangelo…
Compendio di pastorale della salute: Tutto esordisce con il Vangelo…
E-book655 pagine9 ore

Compendio di pastorale della salute: Tutto esordisce con il Vangelo…

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Info su questo ebook

“L’ampio lavoro di don Gian Maria Comolli, molto accurato, profondo e aggiornato sui ‘fondamentali’ della pastorale sanitaria, si presenta a noi come uno strumento davvero importante per sacerdoti e operatori del mondo della salute. Infatti, lungo le pagine del volume vengono toccati non solo tutti i temi che un operatore della pastorale in tale ambito deve conoscere, ma vengono illustrate anche le questioni rilevanti del nostro tempo che stanno, per molti aspetti, caratterizzando in modo diverso sia il concetto di salute che il lavoro pastorale” (dalla Prefazione di monsignor P. Martinelli).
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2020
ISBN9788899515058
Compendio di pastorale della salute: Tutto esordisce con il Vangelo…

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    Anteprima del libro

    Compendio di pastorale della salute - Gian Maria Comolli

    Martinelli

    Presentazione

    Una esigenza molto percepita oggi è la formazione e l’aggiornamento anche di chi opera nella Pastorale della Salute.

    Voglio rispondere a questa esigenza offrendo un Compendio rivolto ai cappellani ospedalieri, ai religiosi/e, ai Ministri Straordinari dell’Eucarestia, ai vari operatori pastorali che un domani potrebbero sostituire parzialmente il tradizionale assistente spirituale. È un testo che dovrebbe interessare e coinvolgere anche le parrocchie poiché nel futuro la maggioranza dei malati cronici saranno assistiti sul territorio, cioè presso le loro abitazioni e, di conseguenza, chiederanno l’attenzione di tutta la comunità ecclesiale.

    Il contributo è offerto in occasione della XXVI Giornata Mondiale del Malato ed è il risultato della mia esperienza ventennale (1992-2012) di coordinatore in collaborazione con il Direttore dell’Ufficio della Pastorale della Salute, del Biennio di formazione in Pastorale della salute organizzato dall’Arcidiocesi di Milano.

    Quello proposto è un Prontuario ad ampio respiro distinto in quattro sezioni: introduttiva, biblica e pastorale rispondendo agli interrogativi: dove, chi, come, e si concluderà con una parte etica e bioetica.

    Sono convinto che queste discipline debbano essere note a chi assiste pastoralmente il malato affinché sia sempre onorata la sacralità e la dignità di ogni uomo dal concepimento alla morte naturale. Non a caso nella Nota della Commissione Episcopale per il Servizio della Carità e la Salute Predicate il vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute (2006), si afferma che dalla mancanza di un’informazione corretta «conseguono giudizi e opinioni avventati e scarsamente fondanti. Si nota, inoltre, un’insufficiente conoscenza delle posizioni sostenute della Chiesa, che sono spesso riportate in modo improprio o sono giudicate inadeguate al tempo presente» (n. 16).

    Il Prontuario, agevole nella consultazione, è uno strumento essenziale per chi desidera avvicinare, accompagnare ed amare il sofferente seguendo l’esempio di Cristo medico.

    Mi auguro che questo mio sforzo sia un modesto apporto a questa branca della Pastorale nel suo oneroso ed essenziale ruolo di evangelizzazione e di consolazione.

    11 febbraio 2018, XXVI Giornata Mondiale del Malato

    Prefazione

    L’ampio lavoro di don Gian Maria Comolli, molto accurato, profondo e aggiornato sui fondamentali della pastorale sanitaria, si presenta a noi come uno strumento davvero importante per sacerdoti e operatori del mondo della salute. Infatti, lungo le pagine del volume vengono toccati non solo tutti i temi che un operatore della pastorale in tale ambito deve conoscere, ma vengono illustrate anche le questioni rilevanti del nostro tempo che stanno, per molti aspetti, caratterizzando in modo diverso sia il concetto di salute che il lavoro pastorale.

    Vale anche in questo campo quanto papa Francesco ha affermato al V Convegno della Chiesa in Italia, nel mese di novembre del 2015 a Firenze: «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli».

    Questo approccio, consapevole delle circostanze e positivo nei confronti del cambiamento epocale in corso, ci abilita a rispondere in modo nuovo alla domanda di cura anche dal punto di vista pastorale. Vorrei ricordare solo due fattori di cui si deve tenere conto nel pensare oggi ad una adeguata pastorale sanitaria.

    Innanzitutto mi riferisco alle implicazioni antropologiche della diffusione sempre più capillare della tecnoscienza nella cura medica. Ciò è già un dato di fatto nelle nostre strutture sanitarie; il prossimo futuro in questo campo non solo porterà un’ulteriore evoluzione di tali pratiche, ma con tutta probabilità comporterà anche un cambiamento sostanziale del senso della pratica medica a partire, ad esempio, da quanto viene reso possibile dalla cosiddetta digitalizzazione del vivente e che, come ormai noto, permette di mettere le mani sul proprio patrimonio genetico. In tal modo viene resa sempre più possibile e praticabile ad esempio la cosiddetta medicina preventiva ed altri approcci sanitari analoghi. Inutile negare che tali processi comportano ricadute antropologiche straordinarie.

    Il mutato rapporto tra naturale e artificiale nella comprensione della persona umana avrà implicazioni decisive sul senso della cura medica, soprattutto sul senso del corpo e quindi della persona umana.

    Da questo punto di vista occorre essere consapevoli della straordinaria responsabilità culturale che la pastorale sanitaria va ad acquisire. Infatti, se da una parte siamo di fronte ad un rischio di un atto clinico sempre più sofisticamente tecnicizzato, e quindi tendenzialmente neutro nei confronti del soggetto paziente, che tuttavia permane – come affermava Gaudium et spes 14 – «corpore et anima unus»; dall’altra parte allora sarà necessario incrementare una presenza pastorale come fattore decisivo di umanizzazione del mondo della salute.

    Pertanto occorre lasciarsi definitivamente alle spalle l’idea di una presenza cristiana, in questo mondo così fortemente in evoluzione, unicamente come fornitrice di servizi religiosi per coloro che ne sentissero eventualmente il bisogno. Al contrario si tratta di comunicare concretamente un nuovo umanesimo che l’esperienza della fede può produrre nelle relazioni anche in questo ambito. Si tratta di essere portatori, in umile confronto con tutti i soggetti, di un nuovo sentimento della vita e pertanto di una nuova promozione dell’umano.

    In questa prospettiva la dimensione religiosa e spirituale dell’esistenza deve essere riconosciuta come fattore interno all’arte terapeutica, nella quale unicamente l’atto clinico mostra la sua pertinenza umana. Qui si gioca la necessità che la pastorale sanitaria faccia cultura, promuova una mentalità che attinga dal Vangelo e dalla fede vissuta i suoi criteri.

    Un esempio tipico a questo proposito è il desiderio che ogni malato esprime di voler durare, di continuare a vivere, di essere restituito alle sue relazioni. La possibilità sempre più ampia di intervento della tecnoscienza può dare l’impressione che si vada verso un allungamento assai esteso dell’esistenza nel tempo. Non a caso qualche autore del settore sembra guardare al nuovo potere della medicina come alla vera religione dalla quale aspettarsi la salvezza. Sembra quasi rinascere a questo proposito una sorta di riedizione della immortalità.

    Tuttavia è del tutto evidente che interpretare il desiderio di durare solo in senso temporale appare ultimamente un impoverimento antropologico. In realtà risulta inimmaginabile una vita umana che in questo mondo continuasse semplicemente ad allungarsi nel tempo, senza ultimamente un senso, ossia senza significato ultimo e direzione. È evidente come il desiderio di durare non possa coincidere con un prolungamento indeterminato dell’esistenza.

    Da qui si comprende che l’umanissima richiesta del malato di durare attinge ultimamente ad un desiderio più radicale. Per questo la domanda di salute implica sempre una domanda di salvezza. È interessante a questo proposito che il Vangelo non parli di per sé di immortalità ma di risurrezione della carne. Proprio quella carne che viene umiliata nella malattia e nella morte è destinata alla risurrezione.

    Per quanto possa essere difficile all’immaginazione comprendere il senso della speranza cristiana, diventa tuttavia evidente il fatto che il corpo vissuto in questa prospettiva acquista un senso diverso. La speranza cristiana parla alla carne senziente e riconosce in essa una dignità unica; afferma per essa un destino di gloria.

    La pastorale sanitaria accompagna l’umano nel suo percorso di cura, mostrando la capacità della fede di farsi cultura-mentalità, di parlare così al desiderio più profondo delle persone.

    Il secondo ambito che mi permetto di segnalare è quello del rapporto, in via di profonda trasformazione, tra cura, ospedale e territorio. Tema anch’esso ben presente nel volume di Comolli. Il carattere sempre più specializzato dell’intervento medico riduce sempre di più il tempo della ospedalizzazione. Ciò vuol dire che i luoghi della cura diventano sempre di più i quotidiani luoghi della vita.

    Per questo la pastorale sanitaria ha bisogno di un suo ripensamento profondo, anche nelle sue figure fondamentali, per poter essere fedele al suo mandato in un mondo che cambia così profondamente. Senza venir meno alla presenza specifica nei luoghi di cura, classicamente intesi, occorre che il territorio venga considerato sempre di più come luogo in cui la Chiesa realizza capillarmente la sua presenza missionaria anche nell’ambito della salute.

    Da ciò si può evincere come le persone esplicitamente deputate alla pastorale sanitaria debbano interagire con la presenza feriale della Chiesa sul territorio. In questa prospettiva i soggetti della pastorale come tale diventano, in un certo senso, soggetti di pastorale sanitaria, insieme agli operatori specificamente ad essa deputati. Parrocchie, aggregazioni ecclesiali, associazioni di volontariato sono chiamate a riscoprire la cura come vocazione propria dell’esperienza spirituale.

    In particolare deve essere ricordato un soggetto decisivo: la famiglia. Come ha affermato l’ampio lavoro sinodale ed in particolare l’esortazione apostolica Amoris laetitia, la famiglia, in quanto famiglia, è davvero il soggetto fondamentale di vita cristiana e di evangelizzazione.

    Nell’ambito della pastorale sanitaria le diverse figure di operatori si dovranno concepire sempre di più in funzione del sostegno della famiglia chiamata a prendersi cura del figlio che nasce, come dei nonni che invecchiano e si ammalano o della riabilitazione lenta di un suo membro. Anche in questo caso si può scoprire la famiglia, secondo la classica espressione patristica, come Chiesa domestica. La persona affetta da malattia rimane sempre persona in relazione e prendersi cura di lei vuol dire sostenere e promuovere le sue relazioni costitutive.

    La maggiore centratura sul territorio ha in realtà una importanza capitale non solo per la pastorale sanitaria, ma anche per tutta l’esperienza cristiana. Infatti il cristianesimo collocato a livello di queste relazioni primarie potrebbe finalmente esibire in modo adeguato la sua pertinenza all’umano, superando così la dolorosa dicotomia tra fede e vita, tra vangelo e cultura, individuata così bene dal beato Paolo VI, in particolare nella Evangelii nuntiandi. La pastorale sanitaria, assumendo le sfide provenienti da questo cambiamento epocale, ha la grande opportunità di annunciare a tutti l’Evangelo dell’umano.

    L’insistenza di don Gian Maria Comolli nel suo volume sul fatto che in ogni autentica prassi di pastorale sanitaria tutto esordisce con il Vangelo individua proprio questa traiettoria: Gesù viene incontro all’umano nella sua condizione reale perché ci sia salute e salvezza, a gloria di Dio e per la vita buona di tutti.

    Paolo Martinelli, ofmcap

    Vescovo Ausiliare di Milano

    Delegato della Conferenza Episcopale Lombarda

    per la Pastorale della Salute

    Prima parte

    Sezione introduttiva

    Capitolo 1

    La Pastorale della Salute

    1. Definizione

    Con il vocabolo pastorale intendiamo «l’azione multiforme della comunità ecclesiale, animata dallo Spirito Santo, per l’attuazione nel tempo del progetto di salvezza di Dio sull’uomo e sulla sua storia, in riferimento alle concrete situazioni di vita»1. La pastorale, perciò, impegna il battezzato a porsi da adeguato e pregevole testimone del Signore Gesù e coinvolge la parrocchia, la famiglia, la scuola, i mass-media, il mondo del lavoro…; cioè tutti.

    La Pastorale della Salute, nella Nota della Consulta Nazionale CEI per la Pastorale della Sanità La pastorale della salute nella Chiesa Italiana (1989), è descritta come «la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura» (n. 19). Un manuale di teologia pastorale sanitaria completa la definizione: «La pastorale della salute è la presenza e l’azione della Chiesa finalizzate all’evangelizzazione del mondo sanitario attraverso l’attualizzazione della presenza liberatrice, sanante e salvatrice di Cristo, nella potenza dello Spirito Santo»2. Infine, la Nota della Commissione Episcopale per il Servizio della Carità e la Salute Predicate il vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute (2006), riprende entrambe le definizioni intersecandole. Ecco, sinteticamente, alcuni elementi caratterizzanti questa pastorale:

    - è prolungamento dell’azione sanante di Cristo;

    - è finalizzata all’evangelizzazione e alla costruzione del Regno di Dio;

    - è missione di tutta la comunità cristiana;

    - si attiva con la parola e con l’azione caritativa in un specifico contesto storico e culturale come risposta alle esigenze del mondo della salute.

    Il cardinale F. Montenegro nell’introduzione alla Nota del 2006, scriveva: «Dare attuazione convincente al comando di Gesù che mandò i suoi discepoli ‘ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi’ (Lc 9,2), è oggi una fra le più urgenti forme di evangelizzazione» (p. 5).

    Contemplando il modello esemplare del Signore Gesù che ha guarito ma soprattutto incontrato molteplici malati, cogliamo l’incoraggiamento per comprendere e valorizzare l’azione della Chiesa nel pianeta sanità.

    La Pastorale della Salute, dunque, è la risposta evangelizzante che la Chiesa, sacramento di salvezza, offre come comunità sanante, ai malati, ai loro famigliari e a chi li assiste.

    Per raggiungere gli obiettivi propri di questa pastorale sono insufficienti i documenti del Magistero, l’opera degli addetti ai lavori, i centri accademici… È urgente che questo impegno sia assunto dalla comunità cristiana nella varietà dei suoi membri e dei suoi ministeri. Ogni cristiano deve avvertire e attuare il comando del Signore Gesù: «Annunciate il Regno di Dio e curate gli infermi» (Lc 9,2).

    2. Tutto parte dal Vangelo

    Fondamento della solidarietà con l’uomo sofferente e fragile è l’insegnamento evangelico, infatti, il Signore Gesù, esplicitò la sua missione redentrice intersecando due atteggiamenti: la cura delle anime con la predicazione e la cura dei corpi con le guarigioni. I dati biblici mostrano che le guarigioni costituirono un elemento prioritario ed essenziale del ministero del Messia. «Circa un quinto dei Vangeli tratta delle guarigioni operate da Gesù e riporta le riflessioni fatte in quelle circostanze. Dei 3779 versetti dei Vangeli, 727 riguardano specificatamente la guarigione di malattie fisiche, mentali e le risurrezioni. Per questo Gesù è riconosciuto come un grande guaritore e venerato con il titolo di medico, non solo delle anime ma anche dei corpi»3.

    Per l’evangelista Matteo il Cristo identifica nelle guarigioni un cardine: «Gesù percorreva tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo» (Mt 4,23-25). Cristo, è il Messia della parola e dell’azione; per questo, nel Discorso della Montagna (cfr. Mt 5), Matteo illustra l’attività didattica e kerigmatica che sarà concretizzata nei miracoli di guarigione essendo l’ammalato il simbolo dell’umanità sofferente.

    Anche Marco riserva ampio spazio ai miracoli indicando che la guarigione donata dal Cristo non è unicamente corporea ma anche spirituale poiché il Messia risana l’uomo totalmente.

    Luca illustrò l’operosità sanificante del Nazareno con l’affermazione: «Lo Spirito del Signore è sopra di Me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-21). Nel brano notiamo il riferimento esplicito alla missione universale del Messia oltre che l’adempimento delle promesse Antico-Testamentarie. La salvezza promessa da Dio, essendo il Figlio il mediatore definitivo, si realizza anche sanando i corpi martoriati degli uomini. L’evangelista sottolinea inoltre che le guarigioni manifestano la misericordiosa di Dio concretizzata dalla compassione di Gesù.

    L’evangelista Giovanni intende, narrando le guarigioni operate dal Messia, fortificare la fede del credente. E mentre nei Sinottici la fede è reputata un elemento sostanziale per il miracolo, in Giovanni scaturisce come conseguenza della guarigione.

    Questa eredità, il Signore Gesù, la delega agli apostoli: «Chiamati a sé i dodici diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorte di malattia e di infermità» (Mt 10,1). L’originalità del comando è la simmetria della missione di Cristo e quella degli apostoli riguardante il curare.

    3. Una storia di carità che prosegue da secoli

    L’attività della Chiesa fu sempre accoppiata alla cura!

    Nei primi tre secoli del cristianesimo il soccorso e la sollecitudine ai sofferenti e ai poveri s’incrementò congiuntamente alla diffusione dell’annuncio evangelico. E nel tempo, questa impronta caritativa, acquistò autorevolezza, consolidando una notevole rete organizzativa e operativa. Lo sviluppo dell’aspetto assistenziale ebbe un consistente impulso al termine del primo millennio mediante l’opera di vari Ordini Ospedalieri religiosi o laicali e a seguito del Concilio di Trento (1545-1563). Il processo assistenziale si protrarrà nei secoli, con periodi di incremento e di recessione, tra crisi e riforme, acquisendo pregi ma anche limiti, con il conseguente sviluppo della tecnologia a svantaggio della cura umanistica.

    La storia dimostra che nei periodi in cui l’intervento dello Stato nel settore curativo era irrilevante, la Chiesa assicurò la sua presenza mediante l’azione di innumerevoli istituzioni socio-sanitarie nelle aree più complesse e più problematiche della società. «Il ‘Vangelo della carità’ ha saputo scrivere, in ogni epoca, pagine luminose di santità e di civiltà in mezzo alla nostra gente: è ininterrotta la catena dei santi e delle sante che con la forza del loro amore operoso hanno dato testimonianza al Vangelo e reso più umano il volto del nostro Paese. È un’eredità che serve custodire, approfondire e rinnovare» (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 11).

    Storicamente, spesso, questi argomenti sono omessi. Il Medioevo, ad esempio, fu caratterizzato da orrende calamità e avversità che provocarono indigenza e povertà, ma vide anche lo straordinario fiorire di manifestazioni di carità. Un fenomeno fra i molti; a Verona tra il 1147 e il 1182, erano già presenti venti ospedali. Queste istituzioni, denominate anche case di Dio, si moltiplicarono prevalentemente sugli itinerari percorsi dai pellegrini che si recavano a Roma, a Santiago di Compostela o a Gerusalemme.

    4. Il modello personalista in sanità

    Per la Dottrina Cristiana l’uomo è l’immagine di Dio, unità di corpo, di psiche e di spirito, detentore di dignità e di diritti, sempre meritevole di venerazione dal concepimento alla morte naturale, indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale, dalla razza e dalla religione.

    La visione cristiana della persona è egregiamente riassunta nel salmo VIII che così descrive l’uomo: «L’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani; tutto hai posto sotto i suoi piedi, tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna, gli uccelli del cielo e i pesci che percorrono le vie del mare» (Sal 8,6-9). E al termine proclama: «O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza» (Sal 8,10). Nel salmo notiamo che l’uomo è la componente primordiale della creazione, partner di Dio nel governare la terra, ed è designato come l’esclusiva creatura amata totalmente dal Creatore per se stessa, mentre gli altri viventi hanno l’obbligo di potenziare la persona e la sua prosperità. Di fronte a questo scenario biblico e soprattutto al relativismo e al pluralismo odierno, è opportuno determinare un riferimento etico per la sanità cui attenersi in ogni decisione, sia nell’intenzione che nell’azione. Il nostro modello è quello personalista ontologico essendo la persona e unicamente la persona, il riferimento tra il lecito e il non lecito, sia a livello individuale che societario.

    5. Attuazione della Pastorale della Salute

    Umanizzazione, relazione, evangelizzazione e sacramenti, sono conseguenti l’un l’altro e fondanti l’azione pastorale in sanità, non ignorando però il contesto societario odierno.

    La Pastorale della Salute, attualmente, vive un periodo fecondo applicando innovative metodologie ed elaborando profonde riflessioni teologiche che presenteremo nei prossimi capitoli. Sta ottenendo, anche se faticosamente, pari dignità a fianco delle altre espressioni della pastorale unitaria della Chiesa. La Nota CEI del 2006 ne prende atto quando riconosce che la Chiesa «apprezza la specifica valenza evangelizzatrice della pastorale della salute e la sua necessaria integrazione nella pastorale d’insieme della comunità cristiana» (Predicate il vangelo e curate i malati, n. 20). Mentre nel passato, si identificava prevalentemente con l’amministrazione dei sacramenti caratteristici della stagione della malattia (Eucaristia, Penitenza, Unzione degli infermi), corredati da preghiere e da benedizioni, oggi, anche questa pastorale, ha ben compreso che la sacramentalizzazione, sganciata dalla ri-evangelizzazione, non corrisponde alle attese e alle richieste dell’uomo contemporaneo.

    6. La comunità parrocchiale e la Pastorale della Salute

    Da tempo la Pastorale della Salute, anche a seguito dell’impostazione sanitaria che si sta deospedalizzando costituendo una rete di assistenza extra-ospedaliera domiciliare, ha oltrepassato le mura delle aziende sanitarie coinvolgendo la comunità territoriale e, di conseguenza, quella parrocchiale.

    La Nota La pastorale della salute nella Chiesa Italiana, riproponendo alcuni principi del Concilio Vaticano II e del Magistero e riflettendo sulle varie leggi di riforma sanitaria, propone:

    - la comunità cristiana considerevole e indispensabile soggetto della Pastorale della Salute;

    - la comunità cristiana che oltre coscientizzarsi dei problemi della sanità-salute è responsabile nella cura pastorale dei malati;

    - la comunità cristiana che non può delegare questa presenza a gruppi settoriali (cfr. La pastorale della salute nella Chiesa Italiana, nn. 23-24).

    Ciò è un energico input alla realizzazione della corresponsabilità laicale da attuarsi, non primariamente per moventi oggettivi come la scarsità del clero o la diminuzione della presenza delle suore, ma per concretizzare con eccellenza, anche oggi, la sollecitudine della Chiesa nei confronti dei malati, dei sofferenti e dei fragili.

    1

    R. Tonelli

    , Pastorale giovanile. Dire la fede in Gesù Cristo nella vita quotidiana, LAS, Roma 1987, p. 16.

    2

    A. Brusco – S. Pintor

    , Sulle orme di Cristo medico, EDB, Bologna 1999, p. 37.

    3 C.

    Vendrame,

    La guarigione dei malati come parte integrante dell’evangelizzazione, in Camillianum 2 (1991), p. 30.

    Capitolo 2

    I documenti del Magistero

    1. Documenti dei Pontefici

    1.1. Paolo VI, Costituzione Apostolica Sacra unctionem infirmorum (1972)

    Questa Costituzione Apostolica trasformò notevolmente il significato del Sacramento degli infermi!

    Il papa Paolo VI auspicò che il sacramento che nel passato fu erroneamente denominato Estrema Unzione, riacquistasse il suo significato originale, quello di Unzione degli Infermi, estendendo l’amministrazione non unicamente a chi si trovava in fase terminale ma anche a coloro che sono affetti da acute ed invalidanti patologie o vivono l’età della vecchiaia. Per questo conferì la seguente disposizione: «Il sacramento dell’Unzione degli Infermi si conferisce a quelli che sono malati con serio pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio d’oliva, o, secondo l’opportunità con olio vegetale, debitamente benedetto e pronunciando, per una volta soltanto, queste parole: ‘Per questa santa unzione e per la sua misericordia pietosa il Signore ti aiuti con la grazia dello Spirito Santo e liberato dai peccati ti salvi e ti guarisca’» (n. 16).

    1.2. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici doloris (1984)

    Premessa

    L’11 febbraio 1984 Giovanni Paolo II pubblicò la Lettera Apostolica Salvifici doloris, commentando la lacerante esperienza della sofferenza umana. Fu il primo documento di un pontefice che affrontò sistematicamente l’argomento.

    Presentando il testo, il Papa riassunse il significato: «Ho ritenuto opportuno e significativo nell’Anno Santo della Redenzione esortare tutti i cristiani a meditare, con più profondità e maggiore convinzione, sul valore insostituibile della sofferenza per la salvezza del mondo. Tale Lettera vuole essere di aiuto a guardare a Cristo crocefisso e accettare il ‘Vangelo della sofferenza’ con amore e coraggio nel disegno misterioso, ma sempre amoroso, della divina provvidenza. Infatti, ciò che per la ragione rimane inscindibile enigma, per la fede alla luce del Cristo morto e risorto diventa messaggio di elevazione e di salvezza» (9 febbraio 1984).

    Dal documento emergono due impegni.

    - I sofferenti devono essere i privilegiati dalla comunità cristiana e la loro cura un impegno costante.

    - Alla sofferenza umana va riservato un adeguato spazio nella catechesi e nell’educazione alla fede.

    Struttura della Lettera Apostolica

    La Lettera è composta da 8 capitoli suddivisi in 31 paragrafi.

    Nell’introduzione si evidenzia che la Chiesa deve perseguire l’incontro con l’uomo particolarmente sulla via della sofferenza essendo questa condizione inseparabile dall’esistenza della persona (cfr. nn. 1-4): «il tema della sofferenza è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso» (n. 2).

    Nella seconda parte, il mondo dell’umana sofferenza, sono analizzati i rapporti tra la sofferenza e le altre dimensioni umane (cfr. nn. 5-8).

    Nella terza parte, il Papa indaga sulle risposte da offrire al dolore, soprattutto quello dell’innocente. Con questi paragrafi, Giovanni Paolo II, corregge un’opinione comune ma errata: il rapporto tra peccato individuale e sofferenza come punizione per le colpe commesse (cfr. nn. 9-13).

    La quarta parte è intitolata: Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore (cfr. nn. 14-18). Il Cristo ha sconfitto definitivamente il peccato e la morte; dunque la parola ultima e definitiva non è loro ma del Messia. Ciò si realizzò percorrendo un itinerario di amore: Dio donò il suo Figlio al mondo ed Egli accettò l’atroce morte in croce.

    Il contenuto della quinta parte è riassunto nell’intitolazione: Partecipi delle sofferenze di Cristo (cfr. nn. 19-24). Il Papa, riferendosi ad alcuni brani delle Lettere di san Paolo, illustra sinteticamente la teologia della croce e della gloria per mostrare come si attua, anche oggi, la partecipazione mistica alla corporeità storica del Cristo sofferente.

    La sesta parte, Il Vangelo della sofferenza (cfr. nn. 25-31), mostra la rilevanza della testimonianza anche mediante l’accettazione delle afflizioni personali e apostoliche. E, imitando l’esempio di Cristo, ogni uomo è invitato ad identificarsi con il buon Samaritano il soggetto della settima parte (cfr. nn. 28-30) che indica che il Vangelo è l’antitesi della disperazione e della passività (cfr. n. 30).

    L’impegno per attenuare le afflizioni umane deve vincolare tutti, particolarmente chi opera nel settore sanitario (cfr. n. 31).

    La Lettera Apostolica è riassumibile in sei temi:

    - Cos’è la sofferenza.

    - Perché esiste la sofferenza.

    - Cristo, mediante un gesto d’amore, presenta il significato della sofferenza.

    - Il cristiano è invitato a condividere le sofferenze del Signore Gesù.

    - Vivendo il Vangelo della sofferenza.

    - Assumendo le caratteristiche del buon Samaritano.

    Approfondiamo alcuni temi.

    Il mondo dell’umana sofferenza (parte seconda)

    La vita è continuamente ricattata dalle tribolazioni, dai pericoli e dalla morte. Malattie, calamità naturali, minacce terroristiche, violazione dei diritti della persona, errori umani, rischio di autodistruzione causata da un eventuale guerra nucleare o Terza Guerra Mondiale non più a pezzi come più volte citato da Papa Francesco, sono sempre in agguato. Dunque, nessuna esistenza o epoca storica, sfugge al dolore! Ognuno vorrebbe eliminare queste disavventure e sviluppare la sua esistenza senza intoppi poiché la sofferenza appare assurda. Di fronte a tali illogicità e alla quotidianità pervasa dalla fatica, dal dolore, dagli anni che scorrono velocemente, l’uomo si interroga. Molti, come C. Bernard, affermano: «Non mi lamento di soffrire, ma di soffrire per nulla»1, oppure come J. Cotureau dichiarano: «Non credo in Dio. Se Dio esistesse sarebbe il male in persona. Preferisco negarlo piuttosto che addossagli la responsabilità del male»2.

    Il Papa, ben conscio dell’enigmaticità e dell’intangibilità del dolore, cita due considerevoli sofferenze profondamente radicate nell’umano: la sofferenza fisica (il dolore del corpo) e la sofferenza morale (il dolore dell’anima) (cfr. n. 5).

    Evidenzia, poi, alcune esperienze di sofferenza presenti nell’Antico Testamento:

    - la propria morte o quella dei figli, particolarmente i primogeniti e i figli unici;

    - l’assenza di prole poiché con la propria dipartita tutto si conclude;

    - la nostalgia per la Patria quando il popolo d’Israele fu esule a Babilonia;

    - la persecuzione e l’ostilità dell’ambiente;

    - la derisione e l’abbandono da parte degli amici e dei vicini;

    - l’incomprensione della prosperità dei malvagi e dei patimenti dei giusti.

    In queste pagine, anche se non citati esplicitamente, sono menzionati i vocaboli di salute e di malattia secondo l’accezione oggi più diffusa che illustreremo inseguito. Infine, salute e malattia, non sono eventi unicamente personali ma anche societari investendo le scelte della collettività e le sfide della comunione e della solidarietà (cfr. n. 8).

    Alla ricerca della risposta all’interrogativo sul senso della sofferenza (parte terza)

    Alcuni interrogativi riguardanti la sofferenza: Che senso hanno le disavventure che mi hanno colpito? Che cosa ho commesso per essere castigato? Perché Dio mi punisce così duramente?…. Domande complesse che coinvolgono lo stesso Dio!

    Un esempio, tra i più espressivi, è Giobbe il giusto tormentato da innumerevoli avversità e sciagure. Il Libro di Giobbe esordisce narrando la prosperità di questo uomo giusto (cfr. Gb 1,1-5) che, improvvisamente, s’interrompe ed è messo alla prova da orrendi e molteplici dolori (privato dei beni, dei figli e delle figlie e soggetto di gravi malattie). Immediatamente, in Giobbe, scaturisce la domanda propria di ogni uomo: «Che colpe ho commesso?» (cfr. Gb, 3). Tre conoscenti tentano di convincerlo che è gravato da disavventure conseguenze degli orrendi reati da lui commessi. Tutto è consentito da Dio, assolutamente giusto, per proteggere l’ordine di giustizia del cosmo. Giobbe, però, contesta queste affermazioni ritenendosi una vittima innocente ma, da credente, persevera nel confidare nell’Assoluto (cfr. Gb 42,2-4). Il dramma più intollerabile è il silenzio di Dio; attende una risposta e non si dà pace finché non l’ottiene. E questa fiducia, alla fine, è vincente! Dio rimprovera i tre conoscenti e il racconto termina affermando: «(di nuovo) possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie (…). Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni» (Gb 42,12-16). Dunque, la sua sofferenza innocente, deve essere accolta come mistero, non avendo l’uomo la capacità di penetrare con la sua miserabile intelligenza questo meandro. Il Libro di Giobbe, osserva il biblista G. Helewa, mostra che «un individuo può soffrire, e soffrire molto, senza che per questo debba essere ritenuto in qualche modo colpevole e da Dio punito»3. Anzi, «l’autore ha voluto farci assistere ad una metamorfosi: da grande sofferente alla ricerca di Dio quale era, Giobbe si è convertito in un grande credente che ha trovato il suo Dio»4.

    Quindi, Dio, è il colpevole o il lontano dalla sofferenza? La Dottrina cristiana non approva l’interpretazione che escluda totalmente Dio dall’argomento, anche se si è concordi nel riconoscere che il Creatore non è l’origine del dolore conseguenza del peccato originale e causato da svariate situazioni, come pure non condivide la visione dolorista che nel passato ha mitizzato le varie afflizioni della vita. La tendenza attuale è di celebrare il pregio e la grandezza della vita e della salute. Da qui, l’obbligo morale, della tutela del proprio ben-essere, anche se, sottolinea il Papa, pure i patimenti sono impregnati di significati. Ma per intuire ciò è basilare fissare lo sguardo alla rivelazione dell’amore divino manifestato pienamente nell’Incarnazione.

    Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore (parte quarta)

    Questa parte ci indirizza alla nascita di Cristo, descritta da san Giovanni Paolo II citando il testo dell’evangelista Giovanni: «Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Dio, dunque, offre al mondo il Figlio che non abolisce la sofferenza ma le conferisce un inedito contenuto. E, il Cristo, lo ha compreso pienamente, infatti nella sinagoga di Nazareth esordì leggendo un brano del profeta Isaia ed affermando che la profezia si realizzava: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Sostengono i teologi M. Flick e Z. Alszeghy: «Cristo è il Liberatore, Cristo è il Guaritore; Cristo è colui che viene a liberare la creazione dalla servitù del peccato che l’ha coinvolta e viene a ricostruire il ‘disegno prioritario’ della creazione; Cristo è colui che assumendo la natura umana dà un significato al dolore»5. Il Messia ha liberato l’uomo dalla schiavitù, dalla sofferenza e dalla malattia, ridonandogli gli equilibri della salute fisica e morale e del rapporto con Dio, con gli altri e con il creato. L’essenza della riflessione del Papa è la seguente: nel mondo sono presenti la sofferenza e il male essendosi troncato l’equilibrio tra l’uomo e se stesso, tra uomo e uomo, tra uomo e cosmo, tra uomo e Dio. Ciò è riconducibile al peccato originale. Spiega Helewa: «Dal racconto della creazione, traspare l’intenzione di scagionare il Creatore e di non fare risalire, alla creazione come tale, le disarmonie che rendono penosa l’esistenza umana. L’uomo soffre perché, allontanandosi da Dio, si è procurato questa disgrazia: è espulso dal giardino, (cfr. Gen 3,23) ossia non è più nella condizione di avvalersi di un rapporto integro con iI suo Creatore (…). Cedere alla lusinga del tentatore (cfr. Gen 3,1-7) è più che un errore mentale: è una ribellione a Dio, la hybris di una creatura che si rifiuta di gestire come tale i propri giorni. Genesi, dunque, dei mali che proliferano nella storia e pesano sull’essere umano è la tremenda realtà del peccato»6.

    Cristo, assumendo il dolore e la morte, situazioni comuni a tutti gli uomini, divenne realmente uno di noi ma, con la sua divinità, spezzò la tragica frontiera del dolore, fecondò il soffrire, schiuse il morire all’alba della risurrezione. Da ciò scaturì la rinnovata umanità dei figli di Dio (cfr. Rm 6,6) e la nuova Gerusalemme, quando dalla terra rigenerata si affaccerà un inedito cielo (cfr. Ap 21,1-2) e nascerà, come da un parto sofferto, la nuova creazione (cfr. Rm 8,19-22).

    Questo è l’annuncio del cristianesimo, l’unica religione che presenta Dio coinvolto in prima persona nella salvezza dell’uomo. La redenzione è un gesto di amore totale poiché il Creatore liberò l’uomo non da lontano o dall’esterno della storia, ma dal di dentro e da vicino, condividendone il suo destino. Il Signore Gesù, afferma il Papa, con la croce ha mozzato il male alla radice (cfr. n. 13). Puntualizza il cardinale G. Ravasi che «l’esperienza del male rimane ‘sì’ angosciante come un carcere, ma l’ingresso del Figlio di Dio in questo carcere segnò una svolta: esso non è sbarrato per sempre, in un’immanenza che si consuma in se stessa, ma viene aperto per un ‘oltre’»7.

    Partecipi delle sofferenze di Cristo (parte quinta)

    Nella quinta parte, Giovanni Paolo II sostiene che la sofferenza dell’uomo, condividendo quella redentiva di Cristo, è rilevante per tutti, per la società e per il mondo. La sofferenza offerta è un capitale che la persona consegna a Dio per le esigenze del cosmo e per la salvezza di altri uomini. Un patimento donato anche se il corpo è profondamente ferito, totalmente inabile, incapace di agire, costituisce un’espressiva lezione per i sani e si trasforma in fonte redentrice.

    Il riferimento di questa partecipazione è la teologia di san Paolo ed ha come nucleo centrale l’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. Essendo il battezzato porzione di un unico corpo con il Signore Gesù, i suoi e nostri patimenti ora sono eguali; di conseguenza, anche il dolore dell’uomo, assume un pregio di espiazione. Dunque, la redenzione di Cristo è incompleta? «No», risponde il Papa; «questo significa solo che la redenzione, operata in forza dell’amore soddisfattorio, rimane costantemente aperta a ogni amore che si esprime nell’umana sofferenza. In questa dimensione – nella dimensione dell’amore – la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente» (n. 24). Per comprendere il pensiero dobbiamo compiere tre passaggi.

    - Dalla sofferenza di Cristo alla sofferenza del cristiano. Alcuni brani di san Paolo pongono in un rapporto consequenziale la sofferenza del Cristo e quella del cristiano: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). «Infatti come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione; come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche delle consolazioni» (2Cor 1,5-7); (cfr. anche 2Cor 4,8-10; Rm 12,1).

    - L’incorporazione a Cristo e le sue conseguenze. È questo un argomento cardine della teologia paolina ed ha come punto di riferimento la Seconda Lettera ai Corinzi (cfr. 2Cor 12,12-13.27) riguardante la riflessione sul corpo e sulle sue membra e la Lettera ai Romani (cfr. Rm 6,3-5) che esamina la rilevanza del battesimo che nei primi secoli del cristianesimo era amministrato per immersione. Il battezzato riemergeva dall’acqua rinato a vita nuova, cioè era, a quel punto, tutt’uno con il corpo di Cristo e, di conseguenza, destinato alla risurrezione e alla vita eterna.

    - La valorizzazione delle sofferenze in Cristo. Essendo ora l’uomo un unico corpo con Cristo, le sofferenze del Signore Gesù e quelle del battezzato sono conformi. Il sacrificio di Cristo è completo ma la sofferenza dell’uomo si trasforma in espiatrice quando la persona è unita a Lui.

    Il Vangelo della sofferenza (parte sesta)

    Nella sesta parte, il Papa, ripropone nuovamente e più intensamente alcune nozioni già espresse precedentemente.

    - Gesù ha profondamente aderito al dolore dell’uomo soffrendo fisicamente, psicologicamente e spiritualmente: invocò il conforto umano (cfr. Mt 26,36-40); nel Getsemani ebbe paura e pianse (cfr. Mt 26,42-43); colto dall’angoscia sudò sangue (cfr. Lc 22,39). Inoltre, non nascose agli apostoli, l’ineluttabilità della sofferenza (cfr. Lc 9,23; Mt 7,13-14; Gv 15, 18-21). Il Signore Gesù, dunque, proclamò ma soprattutto visse il Vangelo della sofferenza, vivificato nella storia dall’esistenza eroica di uomini e di donne che accolsero pene ed afflizioni per Cristo e per la diffusione del Regno.

    - Accanto a Cristo fu sempre presente la Madonna nella quale «numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che furono prova della sua fede incrollabile» (n. 25). E sul Calvario raggiunse il vertice del dolore. Oggi Maria è accanto teneramente e maternamente a ogni dolore umano consolando e infondendo speranza.

    - Il Vangelo della sofferenza illuminò, inoltre, la malattia di alcuni santi trasformandola in opportunità di conversione e di santificazione. Ne sono esempi, tra i molti, san Francesco d’Assisi e sant’Ignazio di Loyola che nell’infermità individuarono «una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione» (n. 26).

    - Il Vangelo della sofferenza sollecita, infine, a oltrepassare l’impressione di infruttuosità che alcune situazioni d’infermità o di disabilità possono comportare, poiché «il sofferente non solo è utile agli altri ma adempie un servizio insostituibile (…). Le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche» (n. 21). Infatti «quanto più l’uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d’oggi, tanto più grande è l’eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo» (n. 27).

    Il buon Samaritano (parte settima)

    Il buon Samaritano è l’esempio per chi assiste e cura il malato! Nel racconto evangelico si afferma semplicemente che la vittima dell’aggressione era un uomo, un volto umano, come quelli che incontriamo quotidianamente.

    Come agì il Samaritano? San Luca elenca tre azioni: «lo vide», «ne ebbe compassione», «gli si fece vicino» (cfr. 10,22). Il Signore Gesù, con questa parabola, insegna la carità concreta chiarendo: chi mendica l’intervento, che cosa domanda e come rispondere a questi appelli. Scrive il Papa: «La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito passare oltre con indifferenza, ma dobbiamo fermarci accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque esso sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità (…). Buon Samaritano è in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio ‘io’, aprendo questo ‘io’ all’altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia cristiana. L’uomo non può ‘ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé’ – cfr. Gaudium et spes, 29 –. Buon Samaritano è l’uomo capace appunto di tale dono di sé» (n. 28).

    Parafrasando la parabola, la Lettera Apostolica, illustra le molteplici azioni da compiere:

    - ll nostro rapporto con il sofferente.

    - Il servizio al malato è una vocazione.

    - Le espressioni costitutive del servizio.

    Il nostro rapporto con il sofferente

    La parabola espone chi è il prossimo: il fratello che sollecita il nostro soccorso e la nostra vicinanza. Il racconto indica, inoltre, il rapporto da stabilire con lui; una relazione suscitata e supportata dalla commozione: «Se Cristo, conoscitore dell’interno dell’uomo, sottolinea questa commozione, la commozione del samaritano, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità

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