L’etica sacramentale nell’opera di Dostoevskij
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Anteprima del libro
L’etica sacramentale nell’opera di Dostoevskij - Saverio Finotti
I edizione eBook, marzo 2012
© Graphe.it Edizioni di Roberto Russo, 2012
tel +39.075.50.92.315 – fax +39.075.58.37.286
www.graphe.it • graphe@graphe.it
ISBN 978-88-97010-23-4
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Prefazione
In un momento storico come il nostro in cui la teologia morale è chiamata a recuperare il suo statuto propriamente teologico, ossia di un discorso che parla di Dio, l’opera di Saverio Finotti su L’etica sacramentale nell’opera di Dostoevskij è molto opportuna. È opportuna perché la sacramentalità dell’etica di cui tratta il testo non fa riferimento ai sette sacramenti della Chiesa, ma alla trasparenza del Dio rivelatosi in Gesù Cristo, che ogni proposta morale che si vuol chiamare cristiana deve mediare.
La drammatica conflittualità fra il bene e il male dei personaggi di Dostoevskij fa della sua opera letteraria un ambito di riflessione teologica. Ne L’idiota il principe Miškin afferma: «La bellezza salverà il mondo». Le parole del personaggio si avverano parzialmente nell’insieme dell’opera dell’autore. L’incontro con la bellezza letteraria dell’opera di Dostoevskij – una bellezza che non nasce dalla descrizione di cose belle, ma dall’incontro mistico di tanti suoi personaggi con Dio in mezzo alla sofferenza e al dolore – fa di essa un vero locus theologicus per un’etica sacramentale che non vuole presentarsi come disciplina specifica fra le altre, ma come il procedere correttamente di e in ciascuna scienza. Un procedere corretto che vuole manifestare la grazia storica operata da Cristo. Una grazia storica che si manifesta proprio nella drammatica conflittualità dei personaggi, nella lotta fra il bene e il male che diventa luogo di incontro con Dio.
In questi nostri tempi in cui la felicità è stata equiparata al benessere, l’opera di Dostoevskij ci ricorda che la felicità «è compatibile con certi aspetti del dolore e della sventura», come afferma l’Autore. Il contatto con i personaggi di Dostoevskij ci può ricordare – o alle volte insegnare – come il senso della storia non è deciso dagli avvenimenti che ci travolgono, ma dal significato che la persona riesce a trovare in essi; un insegnamento che ci viene anche dalla Sacra Scrittura e che quest’opera ci ricorda e attualizza, attraverso una particolare lettura del grande scrittore russo.
Il presente volume è un esercizio di intertestualità perché va dalla Sacra Scrittura alla letteratura russa dell’Ottocento, e invita a non accontentarsi di risposte facili sull’agire del credente nel mondo, ma a cercare e a trovare misticamente il modo di dare alla storia una valenza salvifica, come fanno i personaggi di Dostoevskij, che non trovano la giustificazione dell’esistenza in se stessi, ma in una assunzione solidale della sofferenza propria e del mondo. In questo senso lo studio di Saverio Finotti non soddisferà chi cerca una risposta semplice, ma aiuterà chi è orientato alla ricerca del senso. È, dunque, un invito alla lettura e un rimando ad andare al di là del testo per trovare nella vita «il richiamo vigoroso all’originalità del comportamento di fede». Un’originalità della quale il nostro mondo invecchiato e in crisi ha bisogno.
Diego Alonso Lasheras S.I.
Professore di Teologia morale
Pontificia Università Gregoriana di Roma
Introduzione
Questo breve lavoro si presenta con l’intento principale di approfondire un argomento piuttosto nuovo nel nostro panorama culturale, teologico in particolare, quello dell’etica sacramentale; il veicolo della sua trattazione attraverso l’opera di un grande e illuminante autore quale è Dostoevskij ha lo scopo di rendere più chiara – mi auguro – la tematica e il procedere dell’etica sacramentale stessa. A tale riguardo, proprio la notorietà di Dostoevskij è garanzia per la sua storia che, per chi avrà la pazienza di fare attenzione anche alla sua biografia essenziale, appare agli occhi nostri come un vero e proprio romanzo, intendendo con questo termine l’impressione che la sua vita, come quella dei suoi personaggi, abbia un senso chiaro solo al termine di un preciso e travagliato percorso e che qualcuno, e non lui stesso, sia il timoniere dei fatti della sua esistenza. Questa consapevolezza di vivere una vita che è nelle mani di altri è il punto di partenza fondamentale per predisporci a un percorso aperto a tante possibilità che abbiano il loro luogo di comprensione non nell’analisi dei fatti storicamente accaduti ma nel senso che essi, nel rivelarsi, trasmettono. L’insieme degli avvenimenti della vita di ciascuno forma la storia ed essa si rivela come salvifica non nel fatto in sé, che potrebbe essere anche drammatico, ma nel suo stesso dispiegarsi, ossia in quanto aperta sempre a nuove possibilità che rimandano a un senso pieno e ultimo. In questo dispiegarsi storico, dove la persona sembra essere solo una vittima di un volere altro da sé, un ruolo fondamentale – sacramentale – assume l’etica; essa contempla il valore dell’agire umano come giustizia e come liberazione: il primo aspetto ne determina l’origine e il secondo il fine.
1. L’etica sacramentale
1.1 Cosa s’intende per etica sacramentale
All’inizio di questo percorso è bene avere dei luoghi e degli strumenti comuni su cui confrontarci per poter intenderci con un linguaggio che sia almeno sommariamente preciso e generalmente condiviso; poiché il filtro critico-letterario con cui analizzare la tematica in oggetto, che è appunto l’etica sacramentale, da solo ovviamente non basta, è bene munirsi di una pur approssimativa conoscenza di questo argomento. Spezziamo in due parti il tema proposto: nella prima parte parleremo un po’ di etica e nell’altra del sacramento; le introduciamo prima singolarmente e poi tentiamo una probabile sintesi.
Innanzitutto possiamo definire l’etica come riflessione volta alla determinazione della prassi migliore per l’uomo in vista del conseguimento del maggior bene a lui possibile, intendendo la prassi come consapevole attuazione di quelle condizioni per le quali l’esistenza umana acquista senso e, quindi, realizzazione personale. Con l’espressione esistenza umana ci riferiamo, invece, all’insieme di tutti quegli aspetti che la individuano relazionalmente, ovvero tutti quei tratti che connotano caratterialmente una persona, da quelli psicologici a quelli fisici e attitudinali e, unitamente a essi, la sua creatività relazionale relativamente all’appartenenza a una comunità. Per ciò che riguarda il termine senso, la determinazione del suo significato non può essere altrettanto precisa: il senso acquista significativamente valore, infatti, solo applicato a un contesto culturale specifico che né può essere universale e né pienamente condivisibile nel suo proporsi. Ogni contesto culturale determina un insieme di caratteristiche, ciascuna delle quali può essere oggetto di una specifica disciplina scientifica che, nell’ambito di una riflessione etica, assume un carattere unitario ma non tanto come risultato di somma o sintesi di una molteplicità, piuttosto come peculiare identità personale, ossia in quanto evento che, come tale, è unitario e comunicabile solo nel suo insieme e, solo così, condivisibile. Questo significa che l’etica non è una disciplina specifica nell’universo del sapere umano ma, piuttosto, il procedere correttamente di e in ciascuna scienza. Dal punto di vista storico e sociale, non ci è possibile considerare l’identità personale a prescindere sia dalla sua contingente presenza – in quanto una persona si dà anteriormente a ogni incontro – sia dalla sua capacità di progetto – perché solamente nell’incontro la persona esperisce il suo senso. Non sono mancate né mancano prospettive d’approccio differenti da questa: alcune appartengono a quelle teorie etiche vincolate a una ideologia che, in quanto tale, volgono attenzione a un ideale che non permette di conferire valore all’attualità della persona essendo tutte concentrate sulla sua futuribilità; altre sono annoverate tra quelle legate a modelli metafisici che, trovando solo in sé l’identità che la rende nota, restano chiuse a una possibile progettualità relazionale. La direzione del percorso qui proposto, invece, contempla come fondamentale il valore storico e relazionale della persona. La presa in considerazione della realtà umana come identità personale, in ragione della dialetticità irriducibile tra presenza e senso della persona, impedisce l’adeguamento o la costruzione a un qualsiasi modello, sia induttivo sia deduttivo, di uomo. Ciò non significa, però, il venir meno delle possibilità di pensare all’etica in altre sostenibili prospettive, né si vuole giustificare la rinuncia a presupposti e a intenzioni alte della riflessione, ma qui il discorso verte su qualcos’altro e, cioè, sulla persona, non sull’uomo: sostanzialmente potremo dire che l’uomo è l’essere in sé e la persona è lo stesso essere visto nella sua strutturale potenzialità relazionale. Come per ogni riflessione, quindi, si dovranno riconoscere presupposti e intenzioni, ma per la dialettica tra presenza e senso propri della persona essi non potranno che mantenersi sotto il segno della precarietà; precarietà non del relativo ma del non definitivo. Il nostro, allora, sarà un lavoro fruttuoso se, al suo termine, saremo riusciti a delineare un’etica che, capace di cogliere il valore della contestualità storica, possa rimanere aperta all’integrazione di sensi ulteriori, piuttosto che pronta alla sostituzione da parte di altre categorie etiche più efficaci.
Anche per il discorso intorno al sacramento, o meglio al luogo sacramentale del suo manifestarsi, occorre opportunamente fare delle precisazioni e limitare l’intendersi di tale termine. Cogliamo, allora, solo l’aspetto nobile del sacramento che è la grazia che esso promana e quindi la sua efficacia salvifica; tralasciamo, per il momento, la specie e l’azione liturgica che a esso sono connesse per arrivare diritti al senso profondo e al fine stesso del sacramento: l’espressione della volontà di Dio di condividere con l’uomo la sua stessa vita divina¹. È la grazia che Dio concede alla persona attraverso la sua storicità, in modo tale che la sua esistenza diventi comunque un luogo di riscatto e per mezzo della quale già egli possa fare esperienza di vita eterna, che rende il sacramento quello strumento divino di efficacissima applicazione, per mezzo del quale Dio non si rende mai estraneo alla vita dell’uomo. La definizione classica che la teologia cattolica dà del termine sacramento è quella di segno efficace: l’efficacia consisterebbe, appunto, nella capacità del segno di realizzare quanto significa. Ma, senza scendere in inutili polemiche, sembra, però, che la distinzione tra segno efficace e inefficace, per caratterizzare il segno sacramentale, è uno dei soliti modi, cari ai teologi e ai filosofi, di rispondere a una domanda senza senso con una