L'Impero Femminista della Papessa
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Recensioni su L'Impero Femminista della Papessa
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Anteprima del libro
L'Impero Femminista della Papessa - Romeo Monrose
633/1941.
Tutte le guerre hanno avuto un inizio e una fine. La Guerra dei Sessi è cominciata nell’Eden, e non finirà mai.
In questo memoriale
scritto da un sopravvissuto alla dittatura femminista, si narrano gli eventi della più cruenta fase di quella guerra infinita.
Tutto comincia con l’elezione al soglio pontificio della Papessa Lucrezia Prima, fondatrice dell’Impero Femminista, o regime Tulipano.
Viene messa in atto l’epurazione dei maschi dalla società, divenuti ormai inutili grazie alle nuove tecniche (illusorie) di riproduzione della specie. L’accanita persecuzione contro i machos
porterà il personaggio narrante, Romeo Monrose a vivere una ridda di disavventure, la peggiore delle quali sarà la sua selezione a Fecondatore di Stato.
Dopo aver sofferto paradiso e inferno, Romeo parteciperà alla lotta partigiana col nome in codice di Omero e da buon terrorista eseguirà l’attentato alla Papessa, mancando però il bersaglio perché …innamorato di lei.
Da Consigliere di Corte a Consorte della Papessa-Imperatrice, Romeo Monrose servirà il potere Tulipano con uno zelo che lo renderà odiato alle femministe integraliste come ai suoi compagni machos.
Con l’annuncio alla coppia regnante della imminente nascita di due gemelli, una Papessina e un Papessino, un barlume di pace si accende nel cielo.
Ma incombe la minaccia di un evento astrale sfuggito alle Astronome Tulipane: è un asteroide di grandi proporzioni e di forma vagamente fallica che ha preso di mira l’Urbe Femminista.
Nell’impatto i personaggi si troveranno naufraghi fuori dall’Utopia e approderanno alla riva di una Realtà Quotidiana …che forse non avevano mai lasciato.
***
Lucrezia PrimaPapessa e Imperatrice del Regime Femminista Tulipano
.
Romeo Monrose Autore del memoriale, eroe condannato agli amori forzati per sopperire alla carenza demografica dell’Impero Femminista. Dopo la fuga sarà partigiano nelle Brigate dei Machos e sopravviverà alla Guerra dei Sessi, diventando sposo di Lucrezia.
Bakunin Compagno di prigionia di Romeo, Comandante delle Brigate dei Machos, organizzatore dell’attentato alla Papessa.
Lady Brain Scienziata, storica del Femminismo Rivoluzionario Tulipano, Responsabile al Lager 47 del recupero morale dei machos degenerati.
Bestia Tartara(ex Lola Metoo) Feroce aguzzina abilitata alle confessioni spontanee
dei machos prigionieri, lettrice clandestina di romanzi rosa.
Marescialla Responsabile del programma riproduttivo tulipano al Castello delle Educande
.
Proffa KillensteinScienziata Primatologa, Chirurga specializzata in trapianti genitali di prassi tulipana.
Mankongo Gorilla spassionato donatore di organi.
Crocerossino Partigiano (Polifemo
), macho un po’ meno macho, coraggioso, competente, altruista, rompiballe.
Camerlenga Cardinalessa Tulipana Segretaria di Stato.
Klara Kurzmann Pianista, Compositrice di Sonate, Concerti, Lieder, Inni osannanti alla grandezza dell’Impero Tulipano: le sue opere erano il supplizio dei Machos di scarsa cultura musicale.
Della prepotenza e violenza degli uomini sulle donne abbiamo vissuto e viviamo ancora troppo
Immaginiamo una svolta vendicativa della Storia e consideriamo l'eventuale prepotenza e violenza delle donne sugli uomini, come nella narrazione distopica e satirica di Romeo Monrose
Auguriamoci che le nuove generazioni di donne e uomini sappiano vivere in pace, libertà e tolleranza
Dedicato alle care nemiche
Nell’anno del Signore al cui ricordo mi si rizzano i capelli in testa, io Romeo Monrose caddi prigioniero delle femmine assatanate.
Presagi raccapriccianti me ne avvisarono.
Rico, un maschio gracile e tentennante, fu ammazzato a colpi di becco sulla nuca da Lola. Vigorosa e pingue per il cibo sottratto al compagno -e imbaldanzita dall’uxoricidio- la bestiaccia mi sradicò l’unghia del mignolo.
La gatta del pensionato dirimpettaio aveva messo al mondo cinque micini, tra i quali due maschi. L’indomani il brav’uomo si accorse che soltanto tre gattini brancolavano ancora nella cesta. Trovai io stesso i due maschi, sullo zerbino davanti alla mia porta, privi della testa.
Ancora non mi allarmai quando mi capitò di leggere la seguente notizia in un trafiletto delle pagine interne del giornale: i salmoni maschi nelle acque scozzesi stavano mutando sesso e producevano uova invece di sperma!
Però, quando dalla televisione appresi che in sette su dieci esemplari adulti di gattopardo della Florida i testicoli non erano ancora scesi, allora la mia apprensione cominciò a salire.
A metà gennaio l’editore Armonici fu trovato impiccato nello scantinato della tipografia. S’era lasciato cadere da una pila di copie del mio ultimo romanzo DUE CUORI E UN NIDO, nel quale io sotto lo pseudonimo di Desirée Lamour raccontavo il ravvedimento di Sheila, funzionaria del Fisco: dopo aver rovinato tutti gli imprenditori maschi di Baltimora, si innamorava dell’affascinante architetto Madison, rinunciava alla carriera e si dedicava alle cure del nido d’amore.
Niente di più scabroso, l’amore. Ricevetti una lettera dell’editore, due giorni dopo il suo suicidio. Il poveretto mi spiegava che le agenti della Squadra Letteraria avevano sequestrato le copie pronte alla spedizione e apposto i sigilli alle rotative. Mi metteva in guardia dal rivelare la mia identità di autore romantico
e mi consigliava di dedicarmi a professione più onorevole e meno perigliosa; o perlomeno di riconvertirmi nel solo genere letterario ancora tollerato dal Regime: il romanzo storico di risoluta interpretazione femminista.
Tali furono le avvisaglie di un’epoca sventurata.
Queste le premonizioni di una sordida svolta della Storia.
Nel mese d’aprile Sisto VI era spirato dopo atroci contorcimenti nelle cucine del monastero delle Piccole Sorelle della Beata Virginia Da Castro. Il Conclave, al quale parteciparono diciotto bacucchi cardinali e settecento trentanove Cardinalesse, aveva dato fumata bianca alla seconda seduta: Delìzia Dominanòva saliva al soglio pontificio col nome di Lucrezia Prima.
Con l’enciclica De Foeminarum Eminentia
la Papessa aveva da sùbito fissato le basi per la definitiva supremazia femminile in campo religioso e laico.Visionaria di una società celeste articolata attorno a robusti principi rivoluzionari, questa pronipote di un tiranno rosso della metà dello scorso secolo promosse la formazione di una razza superiore di guerriere, istituendo un corpo scelto di polizia militare, le Brigate Tulipane.
Le cadette venivano sottoposte per un anno a un massacrante addestramento al termine del quale le cosiddette tulipane erano corazzate contro ogni struggimento del cuore, e la loro fibra spartana ignorava le inquietudini dei sensi. Rapate a zero, l’occhio spavaldo, queste discendenti di un lontano gentil sesso
pattugliavano le città alla ricerca di un decrepito macho da randellare.
Per noi maschi infelici la persecuzione non era cominciata con le famigerate tulipane. Negli ultimi lustri, la scienza femminista aveva messo in atto quell’impercettibile epurazione del genere maschile che avrebbe portato allo sterminio, ad un vero e proprio machocidio
di massa.
Gli ESTROGENI, ormoni femminili: ecco l’arma subdola con la quale si era arrivati alla femminilizzazione universale. Immessi massicciamente in cibi industriali d’ogni sorta, gli estrogeni avevano a lungo andare causato la rarefazione dei testosteroni -ormoni maschili-, nonché l’atrofia dei testicoli e lo scadimento della produzione spermatica dei maschi umani.
L’estrogeno scazzottava col testosterone e lo stendeva k.o.: la de-mascolinizzazione dell’uomo trionfava.
Da un lato sempre meno fertili, gli uomini dall’altro avevano cominciato a produrre sempre più femmine. I pochi giovani maschi ancora in circolazione presentavano peraltro caratteri donneschi notevoli, e si dimostravano poco idonei e propensi alla riproduzione. Ricercavano effimeri accoppiamenti con altri effeminati.
Numerose scienziate Nobel avevano lanciato l’allarme, e dimostrato che le riserve di sperma depositato nelle banche del reame femminista erano inquinate da altissimo tasso di nonifenolo
, sostanza che produce i famosi estrogeni femminilizzanti. In parole povere: se da una parte la società femminista si arricchiva di ottime femmine, dall’altra veniva a mancare il ricambio di maschi fertili, mentre i decantati depositi bancari si erano ormai svalutati.
Nel mio caso personale, la predilezione per la frittella di manioca e l’ossessione per la fiora di fico mi avevano messo al riparo dagli estrogeni. A me, Romeo Monrose (lo dico in tutta modestia) si erano accresciute, per portento di quei naturali nutrimenti, le facoltà che negli altri maschi erano andate tragicamente scemando.Ciò spiega perché nel corso della mia prigionia al Lager 47…
Ma procediamo con ordine.
Avrò modo di esporre in questo Memoriale con quali performances
ho potuto (anzi: dovuto) contribuire a risolvere la disgraziata situazione demografica dell’Impero Femminista di Sua Grazia Angelica, la Papessa Lucrezia.
In quanto prolifico autore di romanzi rosa-pallido avevo deciso di darmi alla macchia, e avevo trovato rifugio nel palazzo di Monsignor di Roca Brava, protettore di maschi in fuga dalle donne e avidi di recitare un teatrino con ruoli, costumi e accenti diversi
.
Io Romea avevo rivestito camiciole e mutandoni e m'ero costretta in un busto di stecchi di balena, con lacci e intrecci e gabbie e gonne a campanula e a cupola romana, e corsetti giubbotti, e colletto di fiammingo merletto.
Juliux, da squisito gentil-omo, s’era prestato a farsi mio cavalier servente, e vestiva buffe brache di broccato, camicia a fronzoli e corpettino arancino, e durante il minuetto piantava la scarpina con leggiadro allungo di fenicottero.
Faceva afa nel salone. Per via del coprifuoco avevamo sbarrato porte e finestroni. Don Arcimboldo strimpellava il cembalo, trasognato, nasone peperone, stillando sudore dai bioccoli della parrucca di parroco. Era l’ultima festa di un mondo che ci cascava addosso. Già sfarinavano gli stucchi dai soffitti. Sotto i colpi di bombarda tremavano colonnati e scaloni.
I nobilomini frivoletti e le pompose dame mal rasate sventolavano ventagli di Siviglia. Con noi, intrappolati dall’assedio delle feroci Tulipane, erano due scrivani norvegesi, ratti frequentatori di polverosi archivi, sniffatori di farine bianche. Poco restava dello sfasciume tarmato, poi che letterati cisalpini, traspadani, siculi e napoletani avevano saccheggiato trattati, fascicoli, memoriali, intimi giornali di monache, relazioni di frati, rapporti di borgomastri, note di notari. Lodevole intento muoveva gli emeriti romanzatori: riciclare il museale materiale quale metafora del tempo nostro, allegoria del viver contemporaneo, e affidare a mal imbracati personaggi uopo di esprimere l’esistenziale affanno dell’oggi.
I due messeri io volevo inquisire circa le sorti delle amate lettere in tempi stròloghi e strogòti, ma troppo mi strippava il corsetto. Il mio pur umile seno avrebbe voluto liberarsi all’aria, e la contrita panza al contrario dell’aria voluto avrebbe liberarsi.
Gli occhi vostri, Marchesina Romea, son gli specchi del mio tormento…
Ma caro Conte, che mi conta? Io son promessa al più potente dei sovrani. Odalisca finirò, dietro le grate dell’harem del Divino Amore, giglio di castità ad olezzar nel chiostro delle Suore Favorite
.
Giammai potrò baciar le pudiche punte degli vostri diti?
Se i miei diti interloquissero, Vossignoria paonazzo si farìa qual gallo stretto alla strozza
.
E giravoltavamo colla leggiadria di figurine d’un carillon di Neufchastel, davanti all’imponente affresco del martirio di San Narciso. Non sapevo se il subbuglio dei miei visceri fosse dovuto alle invereconde insidie di Juliux o alla infetta zuppa di cipolla che da settimane ci veniva servita negli argenti. Tanto che cominciavo a diventar esperta nell’arte di farmi ritrosa, e spesso avrei voluto fuggire sui balconi, a slacciarmi il corpetto ed esalare quell’aura mefitica che mi gonfiava a tre atmosfere.
L’ennesimo inchino delle coppie parve privo d’amoroso complimento e di socievole malignità. L’orecchio indugiava allarmato alla musica di bombarde e mortari, invano infiorata dai licenziosi arpeggi della spinetta.
Romea,
mi disse lo smanceroso cicisbeo che stringeva, come avrebbe fatto d’una farfalla, il mio ditino, per quella sacra luna lassù, che veste d’argento le cime dei frassini di questo giardino, io ti giuro…
Alzai un occhio prosaico al soffitto.
Ci piomba addosso!
gridai. Damigelli e Messeri levarono gli ansiosi guardi. Il lampadario vibrava di mille e cento scintillii, tinniva di centodiecimila cristallini tintinnaboli. E allora la nostra bella società s’allargò a margherita, in un fuggifuggi di sciame pazzo. Col sibilo d’una meteora il lampadario calò dalla volta azzurrina, stracciò al passaggio lo striscione MACHO IS BEAUTIFUL, e venne a schiantarsi sui mitologici mosaici, sui marmi cipollini.
Nello stesso frangente si udirono boati, fragori alle porte del palagio, urla di pandemonio, orrende minacce di evirazione e l’inno sguaiato delle castraporcelli.
Ineffabile Romea, berrò con te il calice fatale…
, biascicava il tremante Juliux.
Ma vaffan-culo! Io smammo!
Infilai la scaletta dei valletti per raggiungere le cucine, gli scantinati, e da lì i sotterranei e le fogne. Passando nelle cucine avevo arraffato un paio di cesoie, una candela, un accendino.
Ansimante, slacciai infine -e senza tema di mancar di rispetto ai luoghi ipogei- corpetto e panciera. Al peggio la vacillante fiammella poteva scatenare il colpo di grisù, che altro. Mi tolsi la parrucca e sfoltii d’un paio di secoli l’acconciatura, staccai i nastrini. Quindi mi sbarazzai della triplice impalcatura di bambù e ossi di balena, strappai mezzo metro d’orlo all’ultima sottoveste. Così sfrondato potevo passare per una vispa teresa o per una lolita giapponese, attraversare le linee nemiche e ritrovarmi nei territori liberati
, nella Sierra Madre de Nosotros, coi miei compagni di lotta.
Ma guai se fossi caduto nelle grinfie delle efferate guardie tulipane! Potevo tentare di corromperle con la collana di fondi di bottiglia -forse smeraldi- di cui avevo alleggerito il manichino della Contessa Berenice di Roca Brava, nella vetrina delle mummie.
Lassù nel palazzo-fortezza in ventidue machos ci eravamo asserragliati al momento dell’assalto al borgo. Per ammazzare il tempo e strangolare la noia, si passava da un ballo in costume all’altro, da uno sballo di scostume all’altro, scambiandoci i ruoli in una messinscena dove i sessi erano allusi e le illusioni ormai di sasso.
Appoggiato al muro viscido della fogna, con le cesoie