Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Rosa sangue: un’antologia fantastica per raccontare il femminicidio
Rosa sangue: un’antologia fantastica per raccontare il femminicidio
Rosa sangue: un’antologia fantastica per raccontare il femminicidio
E-book301 pagine4 ore

Rosa sangue: un’antologia fantastica per raccontare il femminicidio

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Rosa sangue è la prima antologia di racconti fantastici al femminile che parlano di femminicidio. Diciotto autrici che raccontano storie di femminicidi senza usare toni rancorosi o polemici, non mettendo alla gogna il genere maschile, non scegliendo di essere un manifesto femminista. Il pregio di questa raccolta sta nel particolare taglio che si è voluto conferire a essa: il fantastico come strumento femminile per parlare del femminicidio. L’idea è nata proprio dalla considerazione che la presenza femminile nelle antologie del genere fantastico è indiscutibilmente esigua. Le diciotto autrici hanno narrato tutte storie diverse per contesto, ambientazione ed epoca, alcune prendendo spunto da femminicidi realmente accaduti, altre attingendo esclusivamente dalla propria immaginazione. Ognuna di loro è stata lasciata libera di trattare il tema in modo personale, secondo la propria visione o la propria esperienza umana ed emozionale. (Loredana Pietrafesa)
Racconti di Marina Alberghini, Anna Maria Bonavoglia, Sara Bosi, Denise Bresci, Mariangela Cerrino, Adriana Comaschi, Elena Di Fazio, Irene Drago, Francesca Garello, Claudia Graziani, Annalisa Guarnieri, Annarita Petrino, Loredana Pietrafesa, Monica Serra, Luigina Sgarro, Giusy Tolve, Nicoletta Vallorani e Ida Vinella
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2016
ISBN9788869600487
Rosa sangue: un’antologia fantastica per raccontare il femminicidio

Correlato a Rosa sangue

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Rosa sangue

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Rosa sangue - Rosa sangue

    UN’ANTOLOGIA FANTASTICA

    PER RACCONTARE IL FEMMINICIDIO

    A CURA DI DONATO ALTOMARE

    E LOREDANA PIETRAFESA

    Rosa sangue

    www.altrimediaedizioni.com

    facebook.com/altrimediaedizioni

    @Altrimediaediz

    © 2016 Altrimedia Edizioni

    ISBN: 9788869600487

    Copertina: Enzo Epifania - Virare/DiòtimaGroup

    Altrimedia Edizioni è un marchio di

    Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria

    www.altrimediaedizioni.com

    Prima edizione digitale: 2016

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    PREFAZIONE

    Daniele Giancane

    L’idea di questa antologia di racconti, venuta in mente (e come poteva altrimenti?) al fecondo ‘narratore’ Donato Altomare, è geniale e attualissima. Chiamare a raccolta un gruppo di scrittrici per confrontarsi con la violenza alle donne, che purtroppo giunge a volte anche al femminicidio, è un’operazione letteraria che ha evidenti risvolti sociali.

    Spesso ci si chiede (ma è una domanda che attraversa tutta la storia della letteratura) quale sia il ruolo del ‘fare’ letterario: attestarsi in una turris eburnea per non contaminarsi col male del mondo? Prendere parte politicamente (e persino partiticamente) alle battaglie per il potere?

    Questa silloge di racconti offre una risposta: visto che un impegno direttamente politico per uno scrittore è davvero improponibile (lo scrittore per natura è utopico, la politica è mediazione e ambiguità, ricerca del potere fine a se stesso) e visto che un ‘ritiro’ in una sorta di ‘convento’ letterario è altrettanto impossibile (si può far finta di nulla se la casa brucia?), ci si può però impegnare seriamente nella messa a fuoco di un problema tragico come quello testé citato.

    Certo, la letteratura non fa la rivoluzione, ma contribuisce ad ‘allargare l’area della coscienza’ (Ginsberg). Con l’impegno letterario si testimonia e si fa riflettere. È una sorta di germe positivo che viene messo in circolo.

    Naturalmente, se abbiamo a che fare con della buona letteratura (se no, tutto il discorso viene meno): ebbene, i 18 racconti presenti in questo volume, possiamo affermarlo con certezza, sono buona letteratura.

    Le storie sono scritte assai bene, sono agili e coinvolgenti. Tutte le autrici conoscono, evidentemente, l’arte della narrazione: l’incipit che subito affascina il lettore, la suspense, il colpo di scena, la conclusione (che qui, ovviamente, è spesso tragica: si tratta di donne che vengono vessate, perseguitate, uccise).

    Sono racconti, insomma, che si leggono d’un fiato.

    A voler analizzare brevemente le storie, si dirà che buona parte di esse hanno a che fare con la letteratura di fantascienza, ma ciò non sorprende affatto, visto che i curatori dell’opera sono Donato Altomare, noto scrittore di fantascienza (ben pochi come lui possono vantare due romanzi pubblicati da Mondadori) e Loredana Pietrafesa, poetessa e anche lei scrittrice del fantastico. Prendiamo per esempio il racconto: Amore e morte alla corte dei Faraoni. Si tratta di una narrazione che riprende alcune insistenti teorie sul coinvolgimento degli alieni nella storia umana, centrando poi la vicenda sulla storia di una donna che assume il potere nell’antico Egitto (grazie a un aiuto alieno) con il progetto di avviare quella terra alla prosperità e alla pace.

    Progetto che si concluderà tragicamente (metafora della donna che, sinora, non ha potuto governare il mondo per l’ostilità degli uomini). DeV ha invece a che fare con i rifiuti planetari (qui si scontrano uomini naturali e non) e con un orrido traffico di femmine ridotte in schiavitù; addirittura ne Il futuro quasi nato non esistono più femmine e si confida nei farmaci per farle rinascere, mentre ne L’isola senza sorelle si narra di ‘esistenza abusiva’ di donne che, se scoperte, devono essere soppresse. In Kat la sopravvissuta, una donna muore due volte. Forse meglio che vivere una sola in un mondo devastato. E come non soffrire la storia de L’altra morte, nella quale una donna può morire 52 volte. Dolorosamente. Come dolorosamente ne L’amaro sogno si tocca il tasto delicatissimo dell’aborto.

    Ecco, un ‘topos’ di questi 18 racconti è appunto un incubo ricorrente: quello della sparizione delle donne dalla storia umana (i figli si generano in modo artificiale). Forse è questo, alla fine, che vorrebbe un becero maschilismo imperante?

    Altri racconti sono più condotti con mano poetica (Szomorù Vasàrnap, abile narrazione nonostante si parli di partiti politici, Gli occhi di Giada, dolce ed efficace, come l’intervento dei gatti tanto amati da molte delle autrici) o persino parapsicologica (La casa dei misteri, inquietante giallo condotto sul filo della memoria, e La dea del mare dove cyborg, poesia e amaro futuro ne scandiscono il ritmo ) o panica, nel senso di collegamento fra gli umani e la natura (Io sono te, può essere ‘superflua’ una bambina?).

    Qualcuno allude a pratiche interessanti come l’adozione dei nonni (Doppelgänger, dove c’è il doppio maligno di una persona). Il racconto La viaggiatrice è condotto su una linea davvero originale, perché abbiamo a che fare con una dimensione storico/fantascientifica: la vicenda terrestre di Isabella Morra viene rivisitata attraverso l’ideazione di portali e universi paralleli (specifici della fantascienza). Così il personaggio storico Isabella Morra si sdoppia in un’altra Isabella, che vive però una vita felice e ha tempo di realizzare i suoi progetti letterari. Sulla stessa strada si pone il racconto Il Demone di Duino, rivisitazione molto calzante ed efficace di una leggenda triestina e, per certi versi, anche La figlia del marinaio che ripropone un mito alquanto famoso in un bel finale liberatorio.

    Pochi di questi racconti, occorre osservare, realizzano il tema con modalità realistiche (Fiori di Biancospino, che è capace di specchiare una pseudo realtà per lasciare il lettore sorpreso, Il roseto, lineare, sintesi di quello che dovrebbe sempre accadere), forse perché l’argomento è talmente difficile e ‘duro’ da indurre le autrici a percorrere itinerari più fantastici. In qualche modo più lievi e attraenti per il lettore.

    Ne viene fuori una galleria di donne-vittime spesso però straordinarie (Egle, Abisa, Rose) o capaci di gesti eclatanti, comunque di rivolta e di rifiuto della sopraffazione.

    Il femminicidio (in un racconto si ipotizza il termine ginocidio) è qui rappresentato con tutta la sua crudeltà e la sua insensatezza, opera di uomini con gravi problemi di relazione (e spesso ai limiti della sanità mentale).

    In definitiva, a me pare che questa raccolta di storie sia davvero di qualità elevata, sul piano letterario, e incisiva (in qualche momento giustamente angosciante). Un bel lavoro, che piacerà ai lettori e a tutti coloro che sentono sulla propria pelle (donne e uomini) il problema del femminicidio, quale evento terribile di un mondo che, forse, deve ancora individuare un felice equilibrio fra i due sessi.

    Introduzione

    Loredana Pietrafesa

    Scrivere di uomini che uccidono donne potrebbe apparire banale o addirittura patetico, considerando che quasi ogni giorno cruente storie di femminicidi spiccano tra i titoli della cronaca nera di telegiornali e quotidiani. Da nord a sud, senza distinzione sociale o culturale, centinaia e centinaia di donne vengono massacrate dai propri compagni, dai propri mariti, e quasi sempre per cieca gelosia, in nome di una folle presunzione di possesso.

    Come si possono raccontare queste storie senza scadere in descrizioni raccapriccianti, senza approfittare del gusto dell’orrido tipico di tanti amanti del genere, perennemente incollati a quegli infimi programmi televisivi pseudoinvestigativi che fanno del pettegolezzo il nucleo del loro pseudoinvestigare, in cerca di rivelazioni scandalose e soffermandosi su dettagli meschini e totalmente irrispettosi del dolore altrui? Difficile pensare di riuscirci narrando queste storie limitandosi a riportare semplicemente la realtà dei fatti. Il rischio di scrivere qualcosa che somigli a un articolo di cronaca sarebbe decisamente alto. Ed è forse ancora più difficile se a farlo sono delle donne, poiché il desiderio di vendetta o di giustizia che le accomuna, per solidarietà alle tante vittime, potrebbe in qualche modo alterare la loro capacità di raccontare con mente lucida e con equilibrio.

    Anche perché di rado per questi crimini si ottiene una vera giustizia.

    Eppure, in questa antologia, nulla di tutto ciò è accaduto. I racconti delle diciotto autrici non somigliano ad articoli di cronaca, non sono rancorosi o polemici, non hanno nulla in comune con manifesti femministi, non mettono alla gogna tutto il genere maschile.

    Il pregio di questa raccolta sta nel particolare taglio che si è voluto conferire a essa: il fantastico come strumento femminile per parlare del femminicidio.

    Un’antologia unica in questo genere, poiché per la prima volta i racconti sono tutti di donne. L’idea è nata proprio dalla considerazione che la presenza femminile nelle antologie del genere fantastico è indiscutibilmente esigua.

    Le diciotto autrici hanno narrato tutte storie diverse per contesto, ambientazione ed epoca, alcune prendendo spunto da femminicidi realmente accaduti, altre attingendo esclusivamente dalla propria immaginazione. Ognuna di loro è stata lasciata libera di trattare il tema in modo personale, secondo la propria visione o la propria esperienza umana ed emozionale.

    Ed è davvero interessante leggere come le donne possano affrontare questo spinoso argomento e quali fantastici risvolti o epiloghi possano ipotizzare per storie così difficili da raccontare, siano esse vere, verosimili o immaginarie.

    Con dolcezza, con raffinatezza, con eleganza.

    Alcune sottovoce, altre con orgoglio e un pizzico di ironia.

    Qualcuna fa sorridere, qualche altra commuovere, altre ci fanno pensare e riflettere a lungo. Ma tutte, proprio tutte, sia che ci conducano nello spazio o nel passato o in mondi alternativi sia che ci facciano restare sulla nostra Terra o nella nostra quotidianità, tutte riescono a dare un finale diverso e originale a queste storie di violenza, non cedendo mai alla sin troppo facile tentazione di cercare vendette istintive e scontate, ma scegliendo di percorrere le più appaganti strade di una consolante, perfetta giustizia, infinitamente più umana.

    Loredana Pietrafesa

    1

    Amore e morte alla corte dei faraoni

    Marina Alberghini

    Quando in alto il Cielo non aveva ancora un nome, e la Terra in basso non era ancora stata chiamata con il suo nome, nulla esisteva, eccetto Apsu l’antico, il loro creatore, e la creatrice Tiamat, la madre di loro tutti. Le loro acque si mescolarono insieme. E i prati non erano ancora formati, né i canneti esistevano: quando nessuno degli Dei era ancora manifesto. Nessuno aveva un nome e i loro destini erano incerti. Allora in mezzo a loro presero forma gli Dei.

    Giungevano stremati da una terribile guerra fratricida, gli Dei alieni, laggiù dall’Anduruna, il nome che essi davano al Cosmo. Ma nel tempo, divennero i Signori della Galassia che sarà chiamata Via Lattea.

    Per giuoco e per piacere, a volte anche per un senso etico al quale non era disgiunta quello della potenza, gli alieni insegnarono agli abitanti dei pianeti che avevano raggiunto l’ultimo stadio dell’evoluzione, qualcosa che avrebbe fatto loro superare l’ultimo salto evolutivo: l’arte, la scrittura, la tecnologia, la morale. Fu facile. Gli uomini primitivi non avevano il concetto di extraterrestre e gli alieni apparvero loro come esseri soprannaturali che chiamarono Dei. E spesso l’impegno fu anche divertente come quando un Diosi univa a una bellissima terrestre. O impegnativo, come quando Thot, un alieno dalla testa di uccello, insegnò agli Egizi la scrittura e la scienza e in Messico, presso gli Olmechi, gli alieni felini del pianeta Libitina, i più attivi, sotto il nome di Ometecuhtli, il Dio Giaguaro, portarono quelle popolazioni a un alto grado di civiltà, mentre un abitante fiammeggiante e trasparente del pianeta di fuoco Kem-Ur sotto la rossa Aldebaran, consegnava alti precetti morali su un monte chiamato Sinai a un umano di nome Mosè.

    Bisogna dire che gli abitanti di Khensu nella Nebulosa del Gatto, specie di umanoidi dalla testa felina, erano fra i più affascinanti e scherzosi esseri della Via Lattea, tanto che mandarono in dono su Terra deliziose piccole creature simili a loro, che gli uomini chiamarono gatti senza sapere – a parte qualche scrittore di fantascienza che lo avrebbe intuito molti millenni dopo – che quelle piccole creature erano extraterrestri.

    Come i gatti, erano belli e giocosi, gli abitanti di Khensu, e nella veste di Dei si comportavano alla grande, promuovendo ovunque un senso di felicità. Curiosi, anche, proprio come gli animaletti a loro somiglianti.

    Fu così che un bel giorno d’estate di molti millenni fa l’astronave con un numeroso equipaggio di khensuesi dal volto baffuto dove splendevano come gioielli preziosi gli occhi, si trovò a sorvolare la valle del Nilo. E non a caso, tutto era come sempre programmato, perché una delle loro maggiori Deità, Bastet, colei che giunta su quel suolo aveva insegnato agli uomini l’erotismo, l’amore materno e la creatività femminile, si trovava in quel giorno onorata e nella città a lei dedicata, Bubastis. Grandi statue d’oro della Dea dalla testa di gatta erano a prora di navi che scorrevano dolcemente sul Nilo, tra canti, suoni e amplessi gioiosi. Poi la folla, giunta a riva, si riversava per il viale ornato da statue enormi della Dea, al collo della quale splendeva l’Oudjat, l’Occhio Sacro che vede l’Oltre e che era anche un potente collegamento sia interstellare che con l’astronave madre, entrava nel tempio e si appartava con i sacerdoti, in un sacello segreto.

    Il khensuese Sokari era compiaciuto, la vibrisse sul volto felino vibravano. Gli occhi topazio erano rilucenti, la pupilla immensa.

    «Bastet fece bene» disse rivolto al comandante, un alieno proveniente dal Cigno «Questa è stata una delle nostre missioni più riuscite! Senza contare che abbiamo riempito l’Egitto di gatti allo stato animale, qua molto onorati tanto che li mummificano, e che si spera si spargeranno poi per tutta Terra, come è successo, per esempio, su Meroe-Tat-um».

    Intanto a Bubastis, la processione era finita e la folla ora era tutta assiepata nel tempio. L’atmosfera, pregna dai forti profumi dell’incenso e immersa in una specie di crepuscolo nel quale splendevano i numerosi ex voto, era magicamente inquietante. Tutti sapevano che presto la Dea sarebbe ritornata scortata dai sacerdoti e che forse essi avevano assistito all’apertura della bocca, rito permesso solo alla salma del Faraone. Intanto l’astronave, nascosta dallo schermo invisibile, era adesso sul tempio mentre veniva azionata una telecamera che ritraeva la cerimonia.

    «Dispiace» riprese il comandante «ci credano sempre Dei, anche se il nostro ego si soddisfa… ci tocca a stare sul piedistallo. Qualche volta mi piacerebbe dialogare. È troppo presto, per la rivelazione, Sekhem… Essi non sono pronti. Forse un giorno… Oh, ecco Hakau… è la sua Ava che oggi viene festeggiata!».

    Si inoltrò una creatura splendida. Il suo non era il volto di una gatta, come non lo era d’altronde quello di tutti gli abitanti di Khensu, ma era un volto felino: piccolo naso, bocca sottile, grandi occhi verde smeraldo, piccole orecchie alte sulla testa. Una lanugine argentea le copriva il corpo umanoide.

    «Sono sempre emozionata» disse con voce melodiosa «quando vedo come gli uomini onorano la mia Ava e i doni che ha portato loro».

    «Tu sei sempre in contatto con loro, vero?» chiese Sekhem.

    «Sì, attraverso l’orecchino della statua ed anche l’Occhio io ascolto le loro invocazioni e a volte e se posso provvedo. Come sapete, la grazia principale che Bastet elargisce è l’intuizione fulminante che cambia la vita. Ma essa è tenera anche su problemi di amore o di figli».

    Intanto dal tempio si levavano invocazioni che niente avevano da invidiare a quelle che si svolgono nei pellegrinaggi di ogni Tempo e Civiltà. Eppure c’era qualcuno che restava in silenzio e in disparte: una una fanciulla bellissima abbigliata come appartenente alla Casa Reale. Il volto triangolare e sensibile aveva anch’esso qualcosa di felino e i grandi occhi splendevano di intelligenza. Ma perché era lì, se non si univa alle invocazioni? Le preghiere dovevano essere corali. La cosa incuriosì i tre alieni.

    «Sondiamola» disse Hakau, già commossa dallo sguardo di adorazione che la fanciulla rivolgeva alla statua, ora rientrata su un grande trono con ruote.

    «O voi Spiriti divini che circolate e portate le offerte al tempio della Grande Dea,» invocava mentalmente la giovane «accordate alla mia anima il potere di penetrare in essa! Bastet divina… o Tu Anima divina e misteriosa… delle stelle di Orione e delle dodici Divinità… e la cui essenza nascosta ci nutre… ascolta!».

    «… Tu che sei esempio di amore per tutte le donne, Tu madre, Tu amante, Tu delicata suonatrice di sistro… ascoltami! Io lo so che sono molto più intelligente del mio futuro sposo Tuthmosi… perché deve essere lui Faraone? Io so che ha piani di guerra, sangue e poi sangue, conquiste… sempre sangue! E tu odii il sangue! Tu sai quello che fanno gli uomini al potere… guerre e poi guerre! Dai a noi donne una possibilità! Io invece, porterei la pace a tutti gli angoli del regno e più in là… promuoverei le arti, la musica, introdurrei nel Regno nuove piante e semi dorati, bevande squisite… promuoverei la danza… e proibirei qualunque tipo di guerra e per qualunque motivo. Vivere in pace con tutti è il mio sogno! O Dea, Tu che puoi tutto… fammi essere Faraona! Dammi il potere! Perché il mio sarà rivolto al Bene!».

    Così invocava in silenzio mentre lacrime le scendevano lente sul viso dato che sapeva essere una richiesta impossibile.

    «È una follia» disse Sokari «le loro leggi non lo permettono, non sarà mai! E noi non possiamo farci niente».

    «Pure…» azzardò Hakau, che era rimasta molto colpita da quella straordinaria richiesta. «Un’eccezione…».

    «Hakau, no. Sai che ci siamo posti un limite. I popoli devono evolversi da soli… noi diamo loro le basi. Difatti alcune Civiltà restano allo stato brado, nonostante i nostri sforzi».

    L’aliena tacque ma aveva gli occhi lucidi. Tuttavia non solo lei era rimasta colpita da quella donna straordinaria e dalla sua richiesta altruista in un mondo dove vigeva il Potere maschile. Si fece avanti un terzo personaggio. La sua bellezza maschile e felina eguagliava quella di Hakau, e nel suo pianeta, Andebu, sotto una stella di Orione, Epsilon Orionis, era considerato capo supremo. Il suo nome era Akeru. E parlò: «Stavolta la dobbiamo fare, un’eccezione».

    «Ma…».

    «Manitone, colui che governa l’Universo, apprezza il Bene, e qui si tratta di qualcosa che porterà pace e prosperità. Siamo pure intervenuti con i nostri Messaggeri in aiuto agli umani, se erano volti al bene. Dunque l’aiuteremo a divenire Faraone e io stesso scenderò su Terra sotto forme umane per proteggerla. Se vedrò che essa avrà mentito, sarò il primo a pagarne le conseguenze e lei pure».

    Così disse. Tutti tacquero, perché era creatura di grande potenza, e un devoto di Manitone. Così inviò un messaggio alla statua di Bastet. L’Orecchino sacro recepì, vibrò, e inviò un messaggio telepatico alla fanciulla: O Hatshepsut. Poiché la tua richiesta non contiene voglie di fama, denaro o potere, sarà esaudita. Io voglio che almeno per una volta gli uomini vedano quali benefici derivino dal potere assegnato a una donna. Va’ e aspetta. Non parlarne con nessuno. Un giorno sarai esaudita.

    Hatshepsut, tale era il nome della giovane, dopo non seppe mai come fosse riuscita ad arrivare nelle sue stanze tanta era stata l’emozione. Le ancelle la guardavano sbigottite ed essa, pallida e tremante taceva… non era possibile… era stato un sogno o che…? Forse un’illusione, dovuta alle droghe, gli incensi che a volte provocavano visioni. Poi si riprese. Cosa aveva detto, la Dea? Aspetta.

    Pregò: Io ti credo, o Bastet!

    Passò del tempo. Giù, su Terra, in Egitto fervevano i soliti preparativi di guerra da parte di Tuthmosi I, mentre gli Alieni erano intenti ad altri progetti urgenti. Ma intanto niente cambiava nella vita della bellissima mentre tutto proseguiva come stabilito dalla Legge. Morì suo padre, Thutmosi I, un vecchissimo grande condottiero, superbo per le numerose guerre di conquista che invece scioccavano sua figlia, e salì al trono d’Egitto il figlio Tuthmosi II, fratellastro di lei, e futuro sposo, un matrimonio predisposto da tempo. Si fecero le nozze. E mentre lo sposo seguiva le orme del padre in guerre di conquista, sempre la giovane, ogni estate, partecipava al pellegrinaggio a Bubastis e sempre la sua preghiera silenziosa era rivolta a Bastet. Contro ogni apparenza, essa credeva ancora… anche perché sempre, ancora, le giungeva il suo monito: Abbi fede!

    Intanto su tra gli alieni era arrivato il momento di mantenere la promessa fatta, perché ormai l’ora era giunta, quel matrimonio durava da tre anni terrestri e non doveva consolidarsi, Hatshepsut, come faraona, doveva essere in pieno possesso della sua vitalità e giovinezza per mettere in atto i suoi progetti, senza contare che quando i figli fossero cresciuti avrebbero preso il posto del padre. Tuthmosi II doveva morire entro e non oltre il terzo anno di regno.

    Ma il problema non era quello… era in atto uno scontro fra Akau e il suo amante Akeru.

    «Capisco permettere a una donna di divenire faraone!» gridava Hakau «Contro le nostre leggi… sono femmina anch’io e capisco! Anzi… approvo! Ma il tuo atteggiamento, Akeru, non ha senso… scendere su Terra, perché? Che c’entri tu?».

    L’alieno tacque. Come poteva dire che dal giorno in cui aveva visto la devota di Bastet ci pensava continuamente? Finalmente si decise.

    «Io la devo aiutare, Hakau. Non è un fatto personale. Quando sarà Faraone credi le permetteranno di agire? Ha bisogno di avere accanto che abbia il potere di sostenerla, di evitare i terribili problemi che le si prospettano, e che venga uccisa. Poi tornerò da te».

    «Non sono una sciocca come credi, Akeru. Queste sono chiacchere che nascondono ben altro». E l’aliena scomparve infuriata dopo avere gridato: Non finisce qui!

    E finalmente Bastet agì. Tuthmosi II, appena venticinquenne, corse a sedare una rivolta in Nubia, poi in Palestina. Poi, per riposarsi, si dedicò alla caccia all’elefante: ma a un tratto, sbigottiti, i servi e il suo seguito lo videro a un tratto accasciarsi al suolo. Il raggio incandescente e invisibile degli alieni lo aveva colpito alla nuca, fulminandolo.

    Hatshepsut era chiusa nelle sue stanze, in vesti vedovili, quando il gran sacerdote chiese il permesso di entrare. E le comunicò solennemente la sua elevazione a Faraone. La donna in ginocchio rese grazie a Bastet. Ma subito vide i problemi immensi che le si presentavano: invidie, i suoi progetti di pace misteriosamente cancellati, minacce di morte, e ben presto capì che era solo un faraone fantoccio, certo perché donna, cosa mai vista, e perché i suoi progetti che non riguardavano guerre e conquiste, non piacevano a molti e si scontravano a come sempre era stato fatto. Era una lotta impari e spesso si recava al tempio implorando Bastet a darle la forza. Essa era una donna gentile, che amava l’arte, i fiori, la bellezza…come imporsi?.

    Una notte mentre vegliava chiedendosi come reagire alla strisciante persecuzione che l’avvolgeva, vide la parete della stanza tremolare. Poi, da uno sfondo

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1