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Dal deserto alla bellezza
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E-book102 pagine1 ora

Dal deserto alla bellezza

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Info su questo ebook

Camminando tra le stanze della sua memoria, la protagonista ricorda quello che è stato forse il periodo più buio della sua vita: quello dell’anoressia e della bulimia nervosa, un male che si manifesta fisicamente ma che ha radici profonde e ben piantate nell’animo. Il suo percorso dall’abisso della malattia alla rinascita è passato attraverso l’accettazione di sé e delle proprie ombre, ed è stato possibile grazie non solo alle amorevoli cure dei dottori e delle dottoresse, ma anche alla vicinanza con altre persone con lo stesso malessere, di modo che non più lo specchio ma gli altri le restituissero il suo riflesso.  

Cimmino Carolina vive a Pompei con la sua famiglia. Madre di quattro figli, è laureata in filosofia e dietistica. Svolge la libera professione.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2023
ISBN9788830682849
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    Dal deserto alla bellezza - Carolina Cimmino

    cimminoLQ.jpg

    Carolina Cimmino

    Dal deserto

    alla bellezza

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7673-2

    I edizione maggio 2023

    Finito di stampare nel mese di maggio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Dal deserto alla bellezza

    C’erano solo quattro farfalle,

    un po’ più dure a morire

    Per te che da lassù mi guardi

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Quante cose che non so, quante cose lasciano un sottile presagio di dolore, quante cose tutte indefinite nel segno di un destino che continua il suo svolgere… e si dipanano sotto un cielo caldo d’estate. Un attimo in più per prendere fiato, per lasciare che l’acqua si asciughi lentamente al sole e poi andare avanti e oltre.

    Mi risveglio da un sogno fatto mille volte, improvviso e travolgente, come un fiume in piena, come alluvione sulle ossa consunte da un antico dolore…

    Una casa immersa in un bosco, quasi sospesa tra il cielo e la terra. Enorme, troppo grande per essere abitata. Non è una casa in cui permanere. Le sue pareti trasudano ghiaccio, sangue, dolore. Le crepe sembrano rughe indurite dal passare degli anni. Ma da fuori è così maestosa che i piccoli particolari si fanno poco spazio tra la meraviglia del luogo. Decido di entrare. Sto cercando mia madre, ma lei è dietro di me, ne sento il respiro e la voce che mi chiama.

    Ma il suo posto non può essere dietro di me, mi sto sbagliando di sicuro, deve essere avanti… Ho deciso: entro!

    Vista da dentro, le pareti sembrano crollare per la mia presenza, una presenza stranamente umana. È tutto lacero, consunto, avvolto dalle tenebre di un oblio senza tempo. Chissà chi ha abitato questa casa in passato. Forse ne sto violando la sacralità, ma c’è qualcosa che mi è troppo familiare per sentirmi un’estranea. Non so ancora precisamente cosa. Ma sento di dover attraversare tutte le stanze. Alla fine forse troverò… mia madre, mi dico.

    Faccio attenzione ai particolari, che stanno occupando la mia mente da un bel po’.

    Sento dei profumi: l’erba emana un odore di freschezza. Ma è fuori, è nel bosco. Dentro c’è solo un odore indifferenziato, c’è fumo. Non c’è un camino. Questo odore acre viene da piatti adagiati su un tavolo di legno scurissimo, senza una tovaglia che li possa proteggere da quella oscurità. Continuano a fumare, l’odore è intenso, è caldo. Sembrano in attesa. Comincio a sudare.

    Come paralizzata, sento le voci di mia madre e di mio padre sempre più vicine. E inizia un pianto sommesso, senza confini, senza una sola piccola lacrima. È troppo intenso perché possa ascoltare altro, perché possa sentire altro. Mi avvolge e trafigge… Sudo sempre più, il mio cuore come lontano nel petto, lo squarcia coi suoi battiti. Ha intrapreso ormai una dura lotta contro se stesso per poter essere vivo. Ma le vie di fuga sono poche e non sembra ci sia nessuna speranza oltre il risveglio. Che giunge ma non mi consola, non mi hai mai consolato dopo questo sogno.

    Ho sempre saputo che non fosse un sogno come tanti. A volte la capacità di trasportare tutto in un livello così profondo e allo stesso tempo distante dalla realtà ci rende immuni al dolore. Solo a volte. Perché quando le voragini dell’oblio e del ricordo si aprono sotto i nostri piedi e si sprofonda, allora tutto appare nella sua estrema tragica realtà.

    Qualsiasi cosa facessi dopo essermi destata dal sudore e dal terrore risultava essere solo un pallido tentativo per evitare di comprendere che dietro il dolore c’è un senso e che ogni danno viene bene o male ricomposto.

    E a modo mio l’ho sempre fatto, cercando di anestetizzarmi dal mondo e da me stessa, chiudendo gli occhi e lasciandomi andare sulla scia di quel pianto indifferenziato e cocente. Diventando io stessa il pianto della notte che non muore e del giorno del mio abbandono. E quel sottile flebile filo di passione mi ha tenuta ancorata alla vita con tenacia, ma senza dignità e umiltà, senza ascolto né orgoglio.

    Quando passeggio sui confini del mio passato, quando sbircio un po’ al di là del mio presente, mi accorgo di quanta strada ho fatto per arrivare fino a qui, quanti giri di parole, quanti sguardi inchiodati nei movimenti del mio corpo, lenti e pesanti. Macinando tutto il dolore nelle fucine ardenti dei morsi affondati nella carne senza sangue, ho attraversato la mia vita rincorrendo un ideale di felicità, che poi tanto ideale non è. Perché per quelli veri si lotta e si rischia la vita con dignità… La mia era una battaglia senza onore.

    Solo oggi arrivo a capirne il senso. In questi giorni in cui

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