Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La teoria del picco o dell'attesa tradita
La teoria del picco o dell'attesa tradita
La teoria del picco o dell'attesa tradita
E-book100 pagine57 minuti

La teoria del picco o dell'attesa tradita

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Riflessione sugli stimoli al piacere, che suggeriscono comportamenti capaci di affievolire progressivamente l’attesa iniziale, obbligando alla ripetizione ossessiva di azioni che, mentre escono dal controllo della razionalità, trovano nel loro ripetersi il progressivo tradimento dell’estasi annunciata.
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2020
ISBN9788831663762
La teoria del picco o dell'attesa tradita

Correlato a La teoria del picco o dell'attesa tradita

Ebook correlati

Metodi e materiali didattici per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La teoria del picco o dell'attesa tradita

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La teoria del picco o dell'attesa tradita - Alessandro Rossi

    633/1941.

    PREMESSA

    La gen­te che si muo­ve ac­can­to a noi se­gue una pro­pria li­nea com­por­ta­men­ta­le che, spes­so, è la più dif­fu­sa e co­mu­ne del com­par­to di so­cie­tà cui ap­par­tie­ne. Le azio­ni, le scel­te, le giu­sti­fi­ca­zio­ni so­no qua­si sem­pre pre­ve­di­bi­li, scon­ta­te e li­mi­ta­te a po­che va­ria­zio­ni pos­si­bi­li; so­no azio­ni che, do­po es­se­re sta­te ri­co­no­sciu­te e giu­di­ca­te, si of­fro­no al­la va­lu­ta­zio­ne di ognu­no di noi, che giu­sti­fi­chia­mo, con­tra­stia­mo, con­dan­nia­mo, in­vi­dia­mo in se­gre­to. In de­fi­ni­ti­va so­no azio­ni che con­si­de­ria­mo par­te del­le no­stre al­ter­na­ti­ve di com­por­ta­men­to. Ogni tan­to ca­pi­ta di im­bat­ter­si in azio­ni che ri­co­no­scia­mo per­fet­ta­men­te, che fan­no par­te del pa­no­ra­ma del no­stro in­tor­no co­mu­ne, ma che so­no più lon­ta­ne dal­la no­stra sen­si­bi­li­tà o co­mun­que dal­la no­stra vi­ta e che ci la­scia­no per­ples­si; so­no azio­ni che ven­go­no ri­te­nu­te pos­si­bi­li an­che quan­do la no­stra cul­tu­ra le con­si­de­ra ri­pro­ve­vo­li, da non fa­re, da con­tra­sta­re, da com­bat­te­re.

    Sap­pia­mo che ci so­no, che na­sco­no, si svi­lup­pa­no, si evol­vo­no in qual­che sog­get­to ac­can­to a noi, de­ter­mi­nan­do an­che ef­fet­ti con­si­de­ra­ti ne­ga­ti­vi, ma ven­go­no co­mun­que vi­ste co­me par­te del no­stro mon­do; so­no azio­ni esor­ciz­za­te o ipo­cri­ta­men­te bia­si­ma­te o so­gna­te nel­lo stes­so tem­po; so­no vi­ste co­me ca­si del­la vi­ta, di una vi­ta vi­ci­no a noi, an­che se è di­ver­sa dal­la no­stra, e che ci con­vin­co­no che noi sia­mo dal­la par­te di chi ha fat­to le scel­te giu­ste, ha un buon giu­di­zio sui fat­ti de­gli al­tri e sa te­ner­si lon­ta­no da cer­te co­se.

    Mi so­no chie­sto più vol­te per­ché al­cu­ni com­por­ta­men­ti che ven­go­no con­si­de­ra­ti ne­ga­ti­vi non sia­no ri­co­no­sciu­ti su­bi­to ne­ga­ti­vi an­che da chi li at­tua. Stes­sa cul­tu­ra, stes­sa tra­di­zio­ne, stes­sa scuo­la, stes­sa fa­mi­glia: ep­pu­re qual­cu­no de­via, ma­ga­ri di po­co, dal­la stra­da che i mo­del­li so­cia­li con­so­li­da­ti si aspet­ta­no, e se­gue un sen­tie­ro di­ver­so, che, il più del­le vol­te, ha già scrit­to nel suo car­tel­lo stra­da­le do­ve con­dur­rà. E non è det­to che l'ini­zio di quel sen­tie­ro sia co­sì pie­no di fa­sci­no: spes­so fa so­lo as­sa­po­ra­re il pia­ce­re del­la de­via­zio­ne e dell'igno­to, del­la di­stin­zio­ne, dell'ori­gi­na­li­tà, per ri­ve­lar­si ben pre­sto un sen­tie­ro af­fol­la­to. E al­lo­ra, per­ché ven­go­no ab­ban­do­na­ti per­cor­si col­lau­da­ti e si in­se­guo­no nuo­ve chi­me­re?

    La mia pri­ma ri­spo­sta è sta­ta quel­la che na­sce dai luo­ghi co­mu­ni, quel­li che di­co­no che co­sa bi­so­gna non fa­re, in mo­do che la gen­te non giu­di­chi quel­le azio­ni con ri­pro­va­zio­ne. Cre­do che ap­par­ten­ga al­la gran­de mag­gio­ran­za la ri­spo­sta del co­sid­det­to ben­pen­san­te, quel­la che ac­con­ten­ta il de­si­de­rio di po­ter­si met­te­re dal­la par­te del giu­sto e in­sie­me re­ga­la la sod­di­sfa­zio­ne di la­scia­re ai de­vian­ti la col­pa di aver fat­to un pas­so ne­ga­ti­vo, di fron­te a scel­te di vi­ta par­ti­co­lar­men­te pe­san­ti, ca­pa­ci di con­di­zio­nar­ne tut­to lo svi­lup­po suc­ces­si­vo.

    Mi so­no an­che chie­sto co­me mai un sog­get­to, ben co­strui­to nel­la sua per­so­na­li­tà, re­spon­sa­bi­le e con­sa­pe­vo­le, scel­ga l'av­ven­tu­ra, an­che quan­do si pre­sen­ta pe­ri­co­lo­sa sin dall'ini­zio; so­no poi sta­to col­pi­to dall’os­ser­va­re che la stes­sa so­cie­tà, che as­si­ste al na­sce­re di una si­mi­le si­tua­zio­ne, il più del­le vol­te plau­de, in­co­rag­gia, qua­si vo­les­se in­vi­ta­re un suo com­po­nen­te a tro­va­re una stra­da, nuo­vi oriz­zon­ti, sen­za pre­oc­cu­par­si del suo de­sti­no. Uno su mil­le ce la fa e ma­ga­ri su­pe­ra le co­lon­ne d'Er­co­le.

    Mi so­no an­che chie­sto se que­sto com­por­ta­men­to, na­to da una chi­me­ra, che fin da su­bi­to non pro­met­te nul­la di buo­no, non sia il pro­dot­to di una li­nea che è im­pres­sa in ogni uo­mo, frut­to di un de­po­si­to mil­le­na­rio, che con­di­zio­na le scel­te, che ri­por­ta ad una con­di­zio­ne più istin­ti­va che ra­zio­na­le (Il­lu­stra­zio­ne 1 - Lo scim­mi-omo).

    È co­sì na­ta la boz­za di una chia­ve di let­tu­ra dei com­por­ta­men­ti che se­guo­no la li­nea del pia­ce­re, che il più del­le vol­te si ma­ni­fe­sta quan­do la con­di­zio­ne del­la so­prav­vi­ven­za è am­pia­men­te ap­pa­ga­ta, quan­do cioè si sta già be­ne. E al­lo­ra, per­ché cer­ca­re di sta­re me­glio a tut­ti i co­sti, an­che ri­schian­do di usci­re dai bi­na­ri di una vi­ta cal­ma e pre­ve­di­bi­le?

    Ho tro­va­to la ri­spo­sta in un mo­del­lo di com­por­ta­men­to che, so­vrap­po­sto ad una nor­ma­le vi­ta di so­cie­tà, la de­scri­ve nel ri­pe­ter­si di azio­ni e at­teg­gia­men­ti fa­cil­men­te ri­co­no­sci­bi­li: si trat­ta di coor­di­na­re sche­mi com­por­ta­men­ta­li sem­pli­ci, grez­zi, che af­fio­ra­no ne­gli at­teg­gia­men­ti in­di­vi­dua­li, sal­go­no dal pro­fon­do del­la per­so­na­li­tà ere­di­ta­ta dal­le ori­gi­ni del­lo svi­lup­po uma­no, si im­pon­go­no e con­di­zio­na­no pe­san­te­men­te le scel­te esi­sten­zia­li, fa­cen­do sbia­di­re all'istan­te i con­si­gli sul­la bon­tà, sull'edu­ca­zio­ne, sul­la mo­ra­le, sul pen­sie­ro con­so­li­da­ti. Ho cer­ca­to di de­scri­ve­re che co­sa suc­ce­de quan­do un in­di­vi­duo si po­ne al­la ri­cer­ca di un pia­ce­re e quan­do l'an­sia di un so­gno ine­brian­te fi­ni­sce in un tra­di­men­to; quan­do cioè il pia­ce­re si tra­mu­ta in una ca­te­na, che ob­bli­ga ad azio­ni non più vo­lu­te, ma so­lo su­bi­te.

    In tut­te le di­squi­si­zio­ni sul­la Teo­ria del Pic­co si fa­rà sem­pre ri­fe­ri­men­to al com­por­ta­men­to di un sin­go­lo sog­get­to, an­che quan­do le sue sen­sa­zio­ni de­ri­va­no dal suo rap­por­to, an­che in­ti­mo, con al­tri, sia­no es­si il part­ner ses­sua­le o il grup­po so­cia­le in cui si svol­go­no le azio­ni di in­te­res­se. È cer­ta­men­te un ta­glio, una vi­sio­ne mol­to chiu­sa, che ri­ten­go, a quel li­vel­lo di re­gres­sio­ne an­ce­stra­le del­la sen­si­bi­li­tà uma­na, non va­da an­nac­qua­ta con le pre­scri­zio­ni mo­ra­li e

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1