La teoria del picco o dell'attesa tradita
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Anteprima del libro
La teoria del picco o dell'attesa tradita - Alessandro Rossi
633/1941.
PREMESSA
La gente che si muove accanto a noi segue una propria linea comportamentale che, spesso, è la più diffusa e comune del comparto di società cui appartiene. Le azioni, le scelte, le giustificazioni sono quasi sempre prevedibili, scontate e limitate a poche variazioni possibili; sono azioni che, dopo essere state riconosciute e giudicate, si offrono alla valutazione di ognuno di noi, che giustifichiamo, contrastiamo, condanniamo, invidiamo in segreto. In definitiva sono azioni che consideriamo parte delle nostre alternative di comportamento. Ogni tanto capita di imbattersi in azioni che riconosciamo perfettamente, che fanno parte del panorama del nostro intorno comune, ma che sono più lontane dalla nostra sensibilità o comunque dalla nostra vita e che ci lasciano perplessi; sono azioni che vengono ritenute possibili anche quando la nostra cultura le considera riprovevoli, da non fare, da contrastare, da combattere.
Sappiamo che ci sono, che nascono, si sviluppano, si evolvono in qualche soggetto accanto a noi, determinando anche effetti considerati negativi, ma vengono comunque viste come parte del nostro mondo; sono azioni esorcizzate o ipocritamente biasimate o sognate nello stesso tempo; sono viste come casi della vita, di una vita vicino a noi, anche se è diversa dalla nostra, e che ci convincono che noi siamo dalla parte di chi ha fatto le scelte giuste, ha un buon giudizio sui fatti degli altri e sa tenersi lontano da certe cose
.
Mi sono chiesto più volte perché alcuni comportamenti che vengono considerati negativi non siano riconosciuti subito negativi anche da chi li attua. Stessa cultura, stessa tradizione, stessa scuola, stessa famiglia: eppure qualcuno devia, magari di poco, dalla strada che i modelli sociali consolidati si aspettano, e segue un sentiero diverso, che, il più delle volte, ha già scritto nel suo cartello stradale dove condurrà. E non è detto che l'inizio di quel sentiero sia così pieno di fascino: spesso fa solo assaporare il piacere della deviazione e dell'ignoto, della distinzione, dell'originalità, per rivelarsi ben presto un sentiero affollato. E allora, perché vengono abbandonati percorsi collaudati e si inseguono nuove chimere?
La mia prima risposta è stata quella che nasce dai luoghi comuni, quelli che dicono che cosa bisogna non fare, in modo che la gente non giudichi quelle azioni con riprovazione. Credo che appartenga alla grande maggioranza la risposta del cosiddetto benpensante, quella che accontenta il desiderio di potersi mettere dalla parte del giusto e insieme regala la soddisfazione di lasciare ai devianti la colpa di aver fatto un passo negativo, di fronte a scelte di vita particolarmente pesanti, capaci di condizionarne tutto lo sviluppo successivo.
Mi sono anche chiesto come mai un soggetto, ben costruito nella sua personalità, responsabile e consapevole, scelga l'avventura, anche quando si presenta pericolosa sin dall'inizio; sono poi stato colpito dall’osservare che la stessa società, che assiste al nascere di una simile situazione, il più delle volte plaude, incoraggia, quasi volesse invitare un suo componente a trovare una strada, nuovi orizzonti, senza preoccuparsi del suo destino. Uno su mille ce la fa
e magari supera le colonne d'Ercole.
Mi sono anche chiesto se questo comportamento, nato da una chimera, che fin da subito non promette nulla di buono, non sia il prodotto di una linea che è impressa in ogni uomo, frutto di un deposito millenario, che condiziona le scelte, che riporta ad una condizione più istintiva che razionale (Illustrazione 1 - Lo scimmi-omo).
È così nata la bozza di una chiave di lettura dei comportamenti che seguono la linea del piacere, che il più delle volte si manifesta quando la condizione della sopravvivenza è ampiamente appagata, quando cioè si sta già bene. E allora, perché cercare di stare meglio a tutti i costi, anche rischiando di uscire dai binari di una vita calma e prevedibile?
Ho trovato la risposta in un modello di comportamento che, sovrapposto ad una normale vita di società, la descrive nel ripetersi di azioni e atteggiamenti facilmente riconoscibili: si tratta di coordinare schemi comportamentali semplici, grezzi, che affiorano negli atteggiamenti individuali, salgono dal profondo della personalità ereditata dalle origini dello sviluppo umano, si impongono e condizionano pesantemente le scelte esistenziali, facendo sbiadire all'istante i consigli sulla bontà, sull'educazione, sulla morale, sul pensiero consolidati. Ho cercato di descrivere che cosa succede quando un individuo si pone alla ricerca di un piacere e quando l'ansia di un sogno inebriante finisce in un tradimento; quando cioè il piacere si tramuta in una catena, che obbliga ad azioni non più volute, ma solo subite.
In tutte le disquisizioni sulla Teoria del Picco si farà sempre riferimento al comportamento di un singolo soggetto, anche quando le sue sensazioni derivano dal suo rapporto, anche intimo, con altri, siano essi il partner sessuale o il gruppo sociale in cui si svolgono le azioni di interesse. È certamente un taglio, una visione molto chiusa, che ritengo, a quel livello di regressione ancestrale della sensibilità umana, non vada annacquata con le prescrizioni morali e