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Il conte magnifico: A tavola con Cesare Mattei
Il conte magnifico: A tavola con Cesare Mattei
Il conte magnifico: A tavola con Cesare Mattei
E-book225 pagine2 ore

Il conte magnifico: A tavola con Cesare Mattei

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Info su questo ebook

La storia del conte e del suo affascinante progetto... C’era una volta, non poi così tanto tempo fa, un Conte che tra le colline bolognesi si era fatto costruire un castello fatato nel quale, come i maghi delle favole, accoglieva chiunque avesse bisogno per potergli somministrare la cura che lo avrebbe guarito. Attorno a questo castello aveva costruito un gran numero di ville e case per ospitare i suoi visitatori, che lì attendevano una sua parola e una sua visita; egli, una volta ascoltati i loro problemi, a ciascuno forniva un magico elisir che aveva preparato con le proprie mani e con la scienza segreta che aveva sviluppato attraverso decenni di studi e di ricerche. Nonostante l’invidia e lo scetticismo dei suoi molti detrattori, venivano sin dai paesi più lontani per farsi curare da lui: come i nobili di tutte le grandi famiglie europee, così i poveri di tutta Italia, che non potendo pagarsi né le cure né l’alloggio venivano da lui ospitati gratuitamente. Tutti venivano soddisfatti nei propri desideri; i bisognosi venivano serviti come i potenti.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2020
ISBN9788893471244
Il conte magnifico: A tavola con Cesare Mattei

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    Il conte magnifico - Carlo Vanni & Eliselle

    Carlo Vanni & Eliselle

    Il conte magnifico

    A tavola con Cesare Mattei

    Prima edizione eBook 2020 © Edizioni del Loggione srl

    ISBN 9788893471244

    Copertina e illustrazioni: Chiara Rendano

    Fotografie: Elisa Guidelli

    Edizioni del Loggione srl

    Via Piave, 60 – Modena

    http://www.loggione.it – loggione@loggione.it

    Il nostro catalogo completo lo trovi su

    www.librisumisura.it

    Carlo Vanni & Eliselle

    Il conte Magnifico

    A tavola con Cesare Mattei

    INDICE

    Introduzione

    Il primo giorno

    Il secondo giorno

    Il terzo giorno

    La partenza

    Postfazione

    Note

     Ricette dell’Appennino bolognese  

    Tigelle con pesto di lardo

    Armàsd montanaro della collina bolognese

    Zampanelle

    Insalata di pollo, prosciutto e tartufo di Savigno

    Pane montanaro casereccio delle vallate dell’Appennino Bolognese

    Strìa dell’Appennino bolognese

    Ragù di piccione

    Polenta di farina di castagne

    PRIMI PIATTI

    Minestrone antico

    Lasagne con le castagne

    Zuppa di marroni

    Zuppa di cipolle [Monzuno]

    Passatelli al gorgonzola e noci [Marzabotto]

    Strozzapreti di pane [Sasso Marconi]

    Gnocchi al profumo d’aglio [Marzabotto]

    Tagliatelle con noci e aglio di Castel d’Aiano

    Risotto alla birra e mortadella

    Gnocchetti di pane ottocenteschi della valle del Setta

    Tagliatelle ai porcini di Loiano

    SECONDI PIATTI

    Cinghiale in umido con patate di Tolè

    Ossibuchi montanari coi funghi

    Anguilla alla comacchiese

    Piccioni con salsicce e castagne

    Polpettone di coniglio di Vergato

    Stufato di pecora dell’Appennino bolognese

    CONTORNI

    Terrina di pane e verdure

    Frittelle di farina di castagne

    Patate Dauphine

    Frizòn (o friggione)

    Patate al forno con tartufi

    Patate con le noci di Monzuno

    Cipolline sott’olio

    DESSERT, MARMELLATE, COMPOSTE

    Castagne golose

    Mirtilli ubriachi

    Raviole con ripieno di marmellata e castagne

    Zuccherino montanaro bolognese

    Budino di pane di Monzuno

    Zabaglione in piedi di Vergato

    Ciambellone di pane

    Torta di pane

    Budino di pane e mele

    Dolce di pane, latte e uova

    Torta di pane alle mandorle

    Torta di mele e more

    Colombina

    Marmellata di more

    Composta di prunarolo

    CAFFÈ E LIQUORI

    Caffè sport

    Caffè lungo nerissimo

    Liquore d’acacia delicato

    Liquore di erbe aromatiche

    GLI AUTORI

    BIBLIOGRAFIA E SPUNTI LETTERARI

    Introduzione

    C’era una volta, non poi così tanto tempo fa, un Conte che tra le colline bolognesi si era fatto costruire un castello fatato nel quale, come i maghi delle favole, accoglieva chiunque avesse bisogno per potergli somministrare la cura che lo avrebbe guarito.

    Attorno a questo castello aveva costruito un gran numero di ville e case per ospitare i suoi visitatori, che lì attendevano una sua parola e una sua visita; egli, una volta ascoltati i loro problemi, a ciascuno forniva un magico elisir che aveva preparato con le proprie mani e con la scienza segreta che aveva sviluppato attraverso decenni di studi e di ricerche.

    Nonostante l’invidia e lo scetticismo dei suoi molti detrattori, le genti accorrevano sin dai paesi più lontani per farsi curare da lui: come i nobili di tutte le grandi famiglie europee, così i poveri di tutta Italia, che non potendo pagarsi né le cure né l’alloggio erano da lui ospitati gratuitamente. Tutti venivano soddisfatti nei propri desideri; i bisognosi venivano serviti come i potenti.

    Tutti i paesi circostanti vivevano in gran parte della generosità di questo grande uomo, che, ricco fin dall’infanzia, lo divenne sempre più e riversò sulle valli circostanti una grande abbondanza.

    Passarono gli anni; il Conte, stanco e deluso dai pettegolezzi, dalla superficialità e dall’ingenerosità dei suoi nemici, invecchiò e infine, in età molto avanzata, morì.

    Il castello nel quale teneva corte e consiglio, poco a poco, finì con l’essere abbandonato e andare in rovina, e del Conte si perse poco a poco la memoria.

    Ma non del tutto. Perché i discendenti di alcune delle persone che lo avevano conosciuto, che avevano vissuto in quelle valli, si misero assieme per ricostruire prima il ricordo di ciò che era stata questa persona, prima che divenisse leggenda, poi fiaba e poi più nulla; e poi cominciarono a dedicarsi al castello che aveva lasciato e, dallo stato di abbandono in cui versava, misero mano alla sua ristrutturazione e al suo recupero.

    Il nome dell’uomo di cui racconteremo a modo nostro la storia era: Conte Cesare Mattei.

    E andiamo a cominciare.

    Il primo giorno

    Ma infine, che tipo è questo vostro Conte? chiesi al postiglione, un bel volto rubizzo di lavoratore come quelli che questa terra sospesa tra Emilia, Romagna e Toscana sembra essere incessantemente in grado di produrre. O forse, è per via di quel Sangiovese rozzo che con tanta facilità amano spartire e che teneva nel paniere a cassetta, a disposizione di entrambi, visto che data la bella giornata avevo preferito viaggiare accanto a lui, sul sedile del guidatore.

    È un bel diavolo d’uomo il nostro Signor Conte mi rispose, strizzando un occhio e calcando sul nostro, cosa che non mi sfuggì. Ma la vedrà da lei la corte che tiene tra queste colline. Non so se nel cittadone lassù siete abituati a certe ospitalità. Oiiii! fece al cavallo di destra, che tendeva un po’ a scartare per la luce che gli arrivava negli occhi di quel bel tramonto autunnale.

    La strada era agevole e gli scossoni non troppi, e complice il tepore del vino mi misi a fantasticare sull’articolo che avrei voluto scrivere. Vedevo già il titolo: Il Conte Mattei, Il Mago della Montagna;  oppure, La Montagna Incantata¹, qualcosa di simile, evocativo, ma con un taglio pratico. Forse una guida, addirittura, ché l’Editore era molto sensibile nei confronti di queste cose: Barzacchi mi aveva detto, guardi, gli italiani diventeranno un popolo di turisti, mano a mano che le carrozze e le biciclette saranno alla portata di tutti, e vorranno sapere da chi scrive dove, quando e quanto recarsi, mi creda!. E quando il Torelli Viollier ²  parlava, io credevo, sempre.

    E così, senza troppa fatica ero riuscito a farmi assegnare una bella diaria per una gita che si preannunciava piacevolissima e interessante: proprio io, Angelo Barzacchi, inviato del Corriere presso la persona del Conte Cesare Mattei! Spesato di tutto, pagato per divertirmi; così pensavo, alla mia partenza da Milano, solo pochi giorni prima. Barzacchi, mi dicevo, stavolta hai vinto al Lotto: da correttore di bozze alla Nera alla Politica, e adesso una bella e grande intervista, in così pochi anni! E poi, per gradire, mi ero fermato a Bologna un giorno, per così dire, per ambientarmi; certo che il caporedattore avrebbe capito. In fondo, ero giovane, scapolo e libero come l’aria, e la Grassa faceva certo onore al suo nome, in più di un senso.

    Era quindi sotto i migliori presagi che era cominciata quella storia che ancora non era messa su pagina, e già andavo scrivendo nella mia testa i passaggi salienti quando, sbucando sul tornante della collina, all’improvviso mi apparve la Rocchetta, illuminata dai raggi del tramonto. Inutile dire che, come tutti coloro che la vedono per la prima volta – e forse, anche per le successive – restai letteralmente a bocca aperta, cosa che fece ridere il postiglione.

    Non se ne abbia a male, caro mio, è che fa lo stesso effetto a tutti!

    Non faticavo a crederci. Nel bel mezzo della collina un po’ verdeggiante e un po’ brulla, appollaiato su di uno sperone di roccia, un castello delle Fate: non c’è altro modo di descriverlo, se non come qualcosa di irreale, come se un maniero moresco fosse stato trasportato tutto intero tra le nostre valli. Per capire la forza della mia impressione, dovete considerare che non ero davvero digiuno di viste architettoniche straordinarie: tramite la famiglia di mia madre, molto benestante per l’epoca e diffusa un po’ dappertutto, la mia educazione giovanile mi aveva consentito di visitare buona parte della Spagna Andalusa, della Francia e del Mezzogiorno d’Italia. Le meraviglie moresche³ di Siviglia, Cordova e Granada, l’inquietante sogno del Palazzo del postino Cheval nell’Alvernia, il Maschio Angioino, Castel del Monte, senza contare le tante Versailles sparse un po’ dappertutto, da Parma a Reggio a Caserta; ebbene, tutto questo era già nei miei occhi, pure l’impressione che mi fece questa Rocca piovuta per così dire dal nulla nelle colline del bolognese fu forse superiore, perché non mi aspettavo niente di simile.

    Non so bene quanto rimanesse dell’antica rocca che si dice fosse stata qui posta nell’antichità e che vide avvicendarsi alla proprietà personaggi del calibro della Grancontessa Matilde di Canossa e di Federico Barbarossa; fatto sta che su questo largo sperone di roccia che è il colle di Savignano, questo gruppo molto eterogeneo di torri feudali, di minareti dorati culminanti in strane antenne d’insetto, come se l’intero palazzo fosse lì proteso a captare i segnali provenienti dall’Universo tutto (poi ebbi a capire che era davvero così; ma tempo al tempo!), di mura merlate, domina le intere vallate dei fiumi Reno e Limentra, profonde e suggestive già di per se stesse, coi loro boschi e calanchi, e sembra protetto e al tempo stesso sorvegliato dai contrafforti gemelli di Monvigese e Montovolo⁴, altri due splendidi colli. Già da lontano, si comprende una cosa straordinaria di questa Rocca, non certo l’ultima: che nonostante la sua pianta molto larga per un così esiguo basamento essa sembra protendersi verso il cielo agile e leggiadra come se più che essere costruita fosse sorta, scaturita direttamente dalla roccia e per così dire attratta verso l’azzurro.

    Così ragionavo mentre, quasi senza che me ne accorgessi, il mio bravo postiglione era infine arrivato a destinazione, ché l’ingresso principale della Rocchetta, come avevo appreso tutti la chiamavano (per far piacere al Conte, che così la vezzeggiava) dava direttamente sulla carrozzabile Riola-Castiglione; così, fermato che si fu il tiro tra un grande sbuffare dei cavalli, il conduttore saltò giù agile e, senza attendere che anche io fossi sceso, nonostante la mia ben più giovane età, con molta più cautela, cominciò a mettere a terra i miei bagagli.

    Faccia attenzione col Signor Conte mi disse poi, sottovoce, risalito e pronto di nuovo a partire prima che lo cogliesse il buio, dopo avermi chiamato a sé con un gesto del capo. Sporgendosi

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