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Milano sotterranea
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E-book236 pagine2 ore

Milano sotterranea

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Un viaggio alla scoperta del sottosuolo milanese in luoghi inesplorati custodi di straordinari segreti

Sapevate che sotto il Castello Sforzesco si estende un labirinto di passaggi segreti, cunicoli e gallerie che arrivano fino a Santa Maria delle Grazie? E che nel cuore della città è presente ancora oggi il cosiddetto “bunker di Mussolini”?
La vita della metropoli milanese, indiscussa capitale della moda e del design, si svolge frenetica in superficie. Eppure, nelle viscere del sottosuolo, permangono zone inesplorate, testimonianze di una storia millenaria che la città sembra voler dimenticare. Da più di vent’anni gli speleologi dell’Associazione SCAM (Speleologia Cavità Artificiali Milano) si calano nei sotterranei di Milano per strapparli all’oblio del tempo. E in questo libro ci consegnano il resoconto delle loro esplorazioni: dall’antico Canale Vetra ai ricoveri antiaerei sotto la Stazione Centrale, dal passaggio segreto della chiesa di San Marco al putridarium di San Bernardino alle Ossa, dai sotterranei del manicomio di Mombello ai misteriosi labirinti di Baggio, gli speleologi milanesi vi condurranno in un appassionante viaggio alla scoperta di antichi cunicoli, gallerie, pozzi, cripte e canali sotterranei.

Sotto la città c'è un incredibile spettacolo tutto da scoprire

Tra gli argomenti:

La Roggia Castello
La Strada Segreta Coperta
La Darsena
L’Olona e la Roggia delle Lavandaie
Il passaggio segreto della chiesa di San Marco
Il “putridarium” del Santuario di San Bernardino alle Ossa
Il rifugio antiaereo di via Luini
Il “bunker di Mussolini”
I sotterranei della Stazione Centrale
Il tunnel della Gladio
I misteri di Baggio


Gianluca Padovan
è nato a Verona nel 1959. Da più di vent’anni conduce ricerche nel sottosuolo milanese. Nel 1984 costituisce il Gruppo SCAM (Speleologia Cavità Artificiali Milano) poi diventato Associazione. Nel 2000 fonda la FNCA (Federazione Nazionale Cavità Artificiali). Assieme ad altri soci inaugura la collana Hypogean Archaeology dei British Archaeological Reports di Oxford. Ha pubblicato saggi e organizzato congressi in collaborazione con il Politecnico di Milano.


Ippolito Edmondo Ferrario
Classe 1976, vive e lavora a Milano, dove si occupa dell’organizzazione di eventi e di comunicazione. È stato giornalista e ha pubblicato romanzi e saggi. Nel 2005 ha ricevuto la Cittadinanza Onoraria del Comune di Triora, il borgo medioevale ligure famoso per il processo alle streghe.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159808
Milano sotterranea

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    Anteprima del libro

    Milano sotterranea - Ippolito Edmondo Ferrario

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    193

    Prima edizione ebook: novembre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5980-8

    www.newtoncompton.com

    Ippolito Edmondo Ferrario - Gianluca Padovan

    Milano sotterranea

    Un viaggio alla scoperta del sottosuolo milanese

    in luoghi inesplorati custodi di straordinari segreti

    Newton Compton editori

    OMINO-OTTIMO.tif

    A tutti coloro che hanno voglia di riscoprire

    le proprie origini e conservare le proprie tradizioni

    Arrivarono sul fianco della collina e anche questa volta quella nera bocca si aprì davanti a loro. Si spalancò come per inghiottirli tutti. Scesero per quel lungo ­passaggio tenebroso come la notte, e pareva che le loro fiaccole cozzassero contro quel nero.

    Evangeline Walton,

    I Mabinogion – Il principe dell’Annwn

    Leggete ed osate, perché il tempo metropolitano corre sempre più in fretta e tra poco, forse, rimarrà ben poco da vedere, o su cui sognare.

    Maria Antonietta Breda

    Prefazione

    La Milano sotterranea è un po’ come l’Araba Fenice: «che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa». Eppure per guardarla e documentarla basta avere la voglia di scendere nel sottosuolo. Sotto la nostra città abbiamo una fitta rete di canali ancora percorribili, passaggi segreti, opere militari come i sotterranei del Castello di Porta Giovia, meglio noto come Castello Sforzesco, rifugi antiaerei risalenti all’ultima guerra mondiale e un’infinità di cantine che non contengono solo vino, salumi appesi e ciarpame accumulato in decenni di vita metropolitana.

    Ma non si prendano le cose alla leggera e non ci s’improvvisi speleologi. Per calarsi non usate la prima cordaccia che capita per le mani: qualcuno purtroppo ha già fatto questa esperienza e ci ha lasciato la vita. Non aprite quella porta chiusa da decenni scendendo allegramente di sotto: un architetto e un geometra, nell’ispezionare una vecchia villetta messa in vendita, sono morti nella cantina per mancanza di ossigeno. Certamente le cose si possono fare in sicurezza, conoscendo le attrezzature da utilizzare e i rischi a cui si va incontro.

    Il vasto panorama delle cavità artificiali di Milano, ovvero delle opere sotterranee, è stato esplorato nel corso degli anni da noi speleologi dell’Associazione scam (Speleologia Cavità Artificiali Milano). Il passaggio segreto per antonomasia non lo abbiamo ancora trovato, ma non abbiamo certo rinunciato a cercarlo: non ci sono sfuggiti lo specchio che cela una via di fuga rinvenuto nel bagno della Sala Reale della Stazione Centrale, né un bel passaggio che si lascia intravvedere nei sotterranei del castello, in corrispondenza con la Rocchetta, che – un giorno lo scopriremo! – sembra fare capolino a Santa Maria delle Grazie.

    Ad alimentare la nostra passione è stata sempre la consapevolezza che sotto i nostri piedi esiste tutto un mondo da documentare e da preservare: sono le nostre radici storiche, architettoniche, archeologiche e culturali.

    In questo xxi secolo, cominciato stentatamente dal punto di vista economico e confusamente dal punto di vista sociale, ci si rende conto che un popolo senza storia, privato della propria memoria, non è una comunità di persone ma una massa priva di connotati. Occorre impegnarsi per mantenere, per documentare, per rendere onore a chi ci ha preceduto vivendo consapevolmente la propria Terra e lasciando nel sottosuolo tangibili tracce del proprio passaggio.

    Sottopelle vi sono i vasi linfatici della macchina-corpo chiamata città. Sottopelle: una parola che una volta, tanti anni fa, abbiamo letto in un articolo di un bollettino speleologico e che ci ha affascinato. Sì, la città sottopelle è quella che, ancor’oggi, è capace di farci sognare. E noi ve la racconteremo seguendo il tenue filo del ricordo.

    I SOTTERRANEI DEL CASTELLO SFORZESCO

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    Il Castello Sforzesco in un particolare della tavola Mediolanum, nell’opera Civitatis Orbis terrarum, Coloniae Agrippinae mdlxxii, della collezione arch. L. Beltrami.

    Il Canale dell’Acqua Marcia

    Il fascino del castello

    Erano i primi anni Ottanta e l’attività speleologica in cavità artificiali era iniziata da poco tempo. Milano e i suoi sotterranei erano un territorio vergine di cui si conosceva poco o nulla. Il nostro interesse era inizialmente concentrato su Lodi, Mombello, il Forte di Fuentes situato nei pressi di Colico, l’incredibile Antro delle Gallerie in Valganna, a nord di Varese, e qualche miniera abbandonata. Non sapevamo bene nemmeno noi cosa ci spingesse. Certo è che l’idea di mettere piede per primi in un luogo dove nessun essere umano era stato di recente ci solleticava. Ma era soltanto questo il motivo del nostro entusiasmo? I più vecchi di noi avevano poco più di vent’anni e in realtà tante domande non ce le siamo poste: ci infilavamo tuta, imbragatura e poi giù nel buio scendendo attaccati a una corda.

    Torniamo indietro, in particolare al Capodanno del 1986, un Capodanno milanese fatto di freddo e di nebbia. Anche in quei giorni di festa noi avevamo un chiodo fisso, non dissimile da quelli ad espansione da piantare nella roccia. Proprio così: avevamo un tassello a espansione fisso. Ogni mattina in cui ci svegliavamo e aprivamo gli occhi lo vedevamo, e lui era già lì a osservarci, a sfidarci e a sbeffeggiarci perché continuavamo a considerarlo solo un sogno. E così lemmi lemmi, nelle brume del giorno 1° gennaio, eccoci a gironzolare per il Parco Sempione (che all’epoca ancora non era chiuso tra cancelli e cancellate) con una vecchia carta recuperata giorni prima sulle bancarelle della cosiddetta Fiera di Senigallia. La metropoli sonnecchia ancora, pigramente, croste di neve sporca e gelata sono punteggiate qua e là dai resti dei petardi e dei razzi che hanno salutato il novello 1986. Il Castello di Porta Giovia che comincia a sparire nella nebbia che fluttua, tra i vapori esalati dal laghetto del parco, ci chiama a gran voce.

    Il castello, la cui costruzione risale alla fine del Trecento per opera dei Visconti, signori di Milano, si è sviluppato in potenza fino alla fine del Cinquecento, ovvero per un paio di secoli. Poi il governo spagnolo che dominava il ducato di Lombardia ha deciso di costruirvi attorno una cinta bastionata composta da sei baluardi, a cui si sono aggiunti nel secolo successivo anche sei rivellini: il castello è così diventato una fortezza stellare a dodici punte. I primi anni dell’Ottocento bastioni e rivellini sono stati demoliti: non servivano più, anzi, intralciavano (o facevano troppa paura).

    Quando si demolisce il palazzo, nessuno si preoccupa di far sparire anche le cantine. E per noi speleologi sono proprio queste ultime ovviamente le parti più interessanti di un palazzo.

    A condurci al castello erano state le tante storie e leggende che lo riguardano. Molte infatti parlano di chilometriche gallerie: una porterebbe al Castello di Trezzo sull’Adda, l’altra al Castello di Vigevano, una al più vicino Castello di Cassino Scannasio, con le sue belle torri cilindriche, e l’elenco potrebbe continuare.

    La leggenda che più ci appassiona narra del passaggio segreto pensato da Ludovico il Moro, signore di Milano, e progettato da Leonardo da Vinci. L’idea è di collegare il castello, o meglio la Rocchetta del Castrum Portae Jovis Mediolani, con la chiesa di Santa Maria alle Grazie, situata al di fuori della cerchia di mura che cinge la città. Ludovico desidera infatti recarsi sulla tomba della moglie Bianca a pregare, non visto, non disturbato, percorrendo quasi in penitenza il tracciato sotterraneo. Non è poi da sottovalutare che un passaggio segreto, visti i tempi foschi, serve sempre: potrebbe rivelarsi utile avere a disposizione una via di fuga dalla propria fortezza, nel caso cadesse in mano nemica, per raggiungere in fretta un luogo pio e protetto fuori città.

    Un giorno ci era capitato per le mani un libro sul ­Maestro e la trascrizione della lettera inviata a Ludovico il Moro presumibilmente nel 1483. In questa, Leonardo da Vinci sostanzialmente si presenta ed elenca tutto ciò che è capace di progettare: ponti leggeri per la fanteria, cannoni, cannoncini, bombarde e mine di cui parleremo più avanti. In particolare, nel quinto punto della missiva scrive: «Item, ho modi, per cave & vie secrete e distorte, facte senza alcuno strepito, per venire (ad uno certo) & disegnato [loco], ancora che bisognasse passare sotto fossi o alcuno fiume»¹.

    Leonardo era perfettamente in grado di far realizzare una galleria sotterranea senza che in superficie nessuno se ne accorgesse. Poteva inoltre farla passare sotto un corso d’acqua, quindi anche sotto i fossati che proteggevano il castello.

    Così abbiamo iniziato a osservare con più attenzione la fortezza, i quartieri che la circondano e il suo bel parco, che nel presente era diventato un luogo infido popolato da drogati, spacciatori e borseggiatori.

    I canali scomparsi

    Dunque sapevamo che il castello con i suoi vasti dintorni celava certamente qualcosa di interessante. Il problema stava solo nel trovare gli accessi al mondo sotterraneo.

    Un altro libro giunge in nostro soccorso mettendoci definitivamente sulla giusta strada: si tratta di un libro di architettura, sempre sulla Milano di un tempo, ovviamente. Il linguaggio è forbito, poco più moderno di quello del ­Maestro, ma ugualmente comprensibile: «I canali con decorsi alquanto ritorti, e a grandi linee abbastanza corretti, solcano in più direzioni e zone l’abitato, sia pure con qualche jato (esempio: il Nirone dopo che si è versato sul lato nordoccidentale della fossa massimianea, e il canale aperto da Azzo un secolo prima – identificabile con probabilità a quello qui designato col nome di Cantarana – che si limita alla sezione da Santa Maria al lato sudorientale della fossa massimianea) e con un equivoco, non esplicabile se non con una lacunosa o sbagliata interpretazione della pianta che aveva fatto da archetipo, per cui manca il congiungimento della fossa massimianea con quella esterna medioevale e di questa con il Naviglio diramato dal Ticino, che la pianta ignora»².

    La dissertazione sulla correttezza o meno dell’antica cartografia non ci lascia particolarmente entusiasti. Ma il successivo momento, quello folgorante, è quando capiamo che sotto i nostri piedi vi è un universo che il tempo ha interrato, frantumato, la metropolitana e la fogna hanno ricalcato, fino a ridurlo ad un semplice mondo di canali. A conti fatti dovrebbero esserci almeno a una ventina di chilometri di gallerie percorribili. Almeno! Inoltre chissà da quanti anni non sono percorsi da piede umano, e non osiamo immaginare cosa possa saltare fuori percorrendoli.

    Ciò che in via definitiva ci ha convinti a passare dalla teoria all’azione e a calarci nei panni degli speleologi, è la riproduzione della splendida pianta di Milano «ordinata agli Astronomi di Brera nel 1807, nella sua edizione in 4 fogli eseguita nel 1810 e poi di nuovo (facendo uso di un molto fine pointillé per gli spazi edificati) nel 1814»³. Vi è raffigurato il castello senza i bastioni d’epoca spagnola, con una immensa Piazza d’Armi, su cui sono sorti in un secondo momento il Parco Sempione e l’Arena Civica. Questa c’è, nessuno l’ha cambiata, è inamovibile. Un canale si stacca dalla struttura, punta verso il castello e si biforca: entrambi i rami giungono dentro il perimetro medievale.

    La sera successiva siamo tutti in birreria a festeggiare sentitamente e chiassosamente la scoperta che in tempi recenti, soprattutto dopo le demolizioni dei primissimi dell’Ottocento, due canali sotterranei arrivano ancora e certamente fin dentro il castello. Cominciamo a cercarli.

    Se in settimana esploriamo il sottosuolo milanese, i fine settimana li passiamo in grotta: stiamo infatti operando sul Massiccio delle Grigne a nord di Lecco, un’area carsica di tutto rispetto con grotte che promettono di divenire tra le più profonde d’Italia.

    Discesa nei sotterranei

    di Parco Sempione

    Sono le ore 6:00 della mattina del 3 gennaio 1986. La squadra è al completo e ci avviamo nell’amica nebbia che corre sui prati di Parco Sempione. Siamo già partiti da casa vestiti da speleologi: casco, sottotuta termico, tuta speleo antistrappo, guanti di gomma, calzettoni e stivali di gomma alti al ginocchio. Dato il freddo abbiamo sostituito la proverbiale bandana con la berretta di lana. Nelle sacche speleo in pvc abbiamo macchine fotografiche e strumenti da rilievo, per prendere le misure dell’opera sotterranea.

    La ricognizione effettuata due giorni prima, il primo dell’anno, ci ha permesso d’individuare, tra il fogliame e le siringhe, l’accesso a una galleria sotterranea, la cui funzione parrebbe al momento quella di raccogliere l’acqua erogata dalla vicina Fontana dell’Acqua Marcia. Si tratta di una storica fonte milanese da cui scaturisce acqua solforosa, ritenuta curativa (ma non certo gradevole all’olfatto: puzza d’uova marce).

    Guardinghi, agili e silenziosi come gatti di marmo in un’armatura medievale, scendiamo nella fossa facendo attenzione a non essere visti (in giro non c’è anima viva) e a non piantarci una siringa negli stivali di gomma. Scostiamo il fogliame, accendiamo le lampade frontali sui caschi – mano guantata in avanti per scostare le ragnatele, come nei migliori film di avventura – e gettiamo il cuore oltre l’ostacolo. Puzza maledetta, acqua che arriva appena sotto il ginocchio, qualcuno che impreca cose assolutamente irripetibili perché dopo pochi passi ha già imbarcato acqua negli stivali troppo bassi (così il taccagno la prossima volta spende due soldi in più e li prende adeguati a queste missioni suburbane).

    Il fondo è melmoso e viscido, ci guizza tra le gambe un pescetto che è assolutamente bianco. Sarà stato il fantasma di un pesce? Il dubbio ci è rimasto. Le spallette della galleria sono in mattoni e così pure la volta e, come scopriremo in seguito, il fondo. Una tubatura in ghisa, con quattro dita di polvere e detriti sopra, corre lungo tutto il fianco destro. Non è certo una cavità carsica, ma siamo finalmente sotto la città e la soddisfazione di tutti gli speleo, che costituiranno poi la spina dorsale dell’Associazione SCAM, è palpabile.

    Procediamo cauti, in fila indiana, quasi guardinghi soprattutto perché temiamo un eventuale incontro con i ratti. La galleria poi curva e la volta si abbassa leggermente, costringendoci a procedere chini. Sbuchiamo nel laghetto di Parco Sempione. È una bella sorpresa perché le carte non riportavano questo.

    La sensazione di sbucare all’aperto e per giunta all’interno di un canale attraversato dal Ponte delle Sirenette – al di là del quale c’è lo specchio d’acqua con le paperelle –, è surreale. In passato, quando avevamo qualche anno di meno, abbiamo calcato il ponticello in ghisa mano nella mano con la fidanzatina di turno, guardando l’acqua dall’alto. Oggi che siamo gli esploratori del sottosuolo milanese, passiamo dentro e sotto questo stesso ponte.

    Sciaguattiamo allegramente nell’acqua, come bimbi intenti a combinare qualche marachella, ma poco dopo torniamo dentro per effettuare il rilievo della galleria. Bussola, inclinometro, bindella e quaderno di campagna per tracciare l’eidotipo e riportare le misure. Non abbiamo avuto occasione di scrivere, allora, dell’esplorazione, pubblicando anche il rilievo planimetrico. L’unico rimpianto è di avere perso tale rilievo nel tempo, nei traslochi, nelle defezioni, nelle operazioni speleologiche

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