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Dio e l'uomo
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E-book396 pagine5 ore

Dio e l'uomo

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Info su questo ebook

"Don Bernardino Visconti non aveva ancora oltrepassato lo stadio della giovinezza, sebbene sulla sua fronte procellosi pensieri avessero scavato solchi prematuri. Il suo viso era pallido come il marmo di più secoli, e risaltavano su quel fondo i capelli e gli occhi nereggianti...".In una Lombardia seicentesca, dall'impronta squisitamente manzoniana, il governo spagnolo si scontra con gli interessi della Serenissima Repubblica di Venezia. Al confine fra i due stati, però, si erge un castello che ha assunto una fama quasi leggendaria: è la rocca di Brignano, dimora di uno dei personaggi più famigerati dell'epoca, colui che nei "Promessi Sposi" porta l'epiteto di "Innominato". Don Bernardino – questo il suo nome – è noto per aver condotto una vita di brigantaggio e disonestà, ma anche per aver abbracciato la fede negli ultimi anni della sua esistenza. Sul suo cammino, quindi, incontrerà alcuni grandi protagonisti della vita religiosa del tempo, come fra Paolo Sarpi e il cardinale Federico Borromeo. Un romanzo imperdibile, specialmente per chi abbia amato il mondo descritto da Alessandro Manzoni nel suo capolavoro "I promessi sposi".-
LinguaItaliano
Data di uscita6 mar 2023
ISBN9788728556528
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    Anteprima del libro

    Dio e l'uomo - Luigi Gualtieri

    Dio e l'uomo

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1861, 2023 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728556528

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    ALLA DISTINTA ATTRICE

    Signora Giaciuta Pezzaua

    Genova.

    Mirando i bei vascelli ancorati nel porto di Genova, vi sarete accorta, che taluno di essi porta scolpita o dipinta l’immagine di qualche santo, a cui la superstizione attribuisce un potere misterioso contro la procella. Io imito que’buoni marinai; pongo il vostro nome sul fronte del mio libro, e sono certo che me ne verrà ogni bene.

    Aggradite questa dimostrazione d’ossequio e d’affetto dovuta alla vostra virtù ed all’ingegno vostro e credetemi

    Milano li 15 aprile 1861.

    Vostro Affezionatissimo

    L. Gualtieri .

    INTRODUZIONE

    Il viaggiatore che giunge per la strada ferrata sino a Treviglio, non isprecherà il suo tempo andando a visitare il castello di Brignano che è discosto da quella stazione un’ora di cammino. Non s’aspetti di trovare in que’dintorni un, ammasso di rovine torri smantellate, o muraglie coperte d’ellera, ma sibbene vi troverà un grosso comune co’suoi tremila abitanti, una bellissima villa, giardini inglesi, fontane, giuochi d’acqua, chioschi alla chinese.

    Una lunghissima fossa ombreggiata di platani della periferia di un miglio circonda il grosso borgo, e l’acqua bagna tranquillamente i piedi delle vecchie muraglie che formavano la cinta del soggiorno feudale. Ai quattro punti cardinali si veggono ancora le traccie dei ponti levatoi, ora inchiodati e consolidati sul terreno, i quali non si rialzeranno mai più, come nessuna forza al mondo potrà far risorgere un certo ordine antico di cose e d’idee.

    Ora immaginatevi che cosa dovesse essere anticamente questo castello se nel luogo da esso occupato trovano spazio più di dugento case, la chiesa parrocchiale, la piazza; se un’ala sola del castello superstite lo rende una delle più vaste e maestose villeggiature di Lombardia!

    Brignano nel volgersi delle umane vicende non si attirò la maledizione che colpì gli altri castelli feudali, i ricettacoli de’banditi e dei prepotenti signori. I gufi non trovano un sol torrione da annidarvisi; non ci furono trasmesse le fantastiche epopee delle streghe, degli spiriti folletti. Il luogo invece spira allegria. Il palazzo riedificato in bel modo sulle fondamenta dell’antico, sorge bello, elegante soggiorno, ristaurato alla moderna. Nell’interno è abbellito di vaghissimi affreschi, al di fuori circondato da olezzanti giardini; i pergolati vi spandono l’ombra; le spalliere dei gelsomini vi mantengono la freschezza, le ajuole dei fiori diffondono intorno la fragranza; le fontane ognor zampillanti vi rompono il monotono silenzio. Al disopra della cinta la magnolia col suo cono immobile vi sorge alta come la quercia e tra le folte macchie delle acacie, tra la leggiera verzura degli aceri e le ombrelle dei pini svolazzano picchi, cardellini e cingallegre, ed il loro or soave cinguettio or litigioso garrito diffonde per ogni intorno un’allegra melodía che come per incanto vola d’albero in albero, di macchia in macchia con sommo diletto di chi l’ascolta.

    Era una bella giornata; io mossi solingo a visitare il luogo che sta per diventare il teatro dei fatti che verrò narrando. Colui che ha scritto per le scene può solo capire la soddisfazione che prova l’autore nello scorgere bello, magnifico, spazioso, ben illuminato il teatro, nel quale sta per essere rappresentata una sua produzione qualunque. Io trovai il luogo superiore alla mia aspettazione. Vi dirò di più che tutto doveva arridermi in quel giorno; non vi parlo del cielo così puro dal quale la mia immaginazione credevasi di veder trasparire un paradiso; e delle nubi color di perla che parevano conchiglie di mare, sicchè mi aspettava di vederne uscire altrettante Dee; d’un aere queto che scherzava colle rade foglie rimaste sugli alberi, pari alle poche illusioni dell’anima mia; non vi parlo di queste impressioni, di queste idee che sono nell’organismo di noi poeti: stato di esaltazione, di sogno permanente che Dio ci ha dato a dispetto delle realtà prosaiche della vita; ma della felicità che mi toccò in quel giorno stragrande, improvvisa, e direi quasi immeritata.

    Che cosa credete che io cercassi in quel castello? m’ero bell’e preparato a trovar nulla, già conoscendo troppo il vandalismo moderno di tutto abbattere e disperdere. E tanto più mi spaventai vedendo le belle e grandi innovazioni che si erano fatte in quel luogo. Mi ero preparato, dico io, e seguiva ed ascoltava con pazienza il mio dimostratore che mi spiegava i nomi delle piante, esotiche e mi mostrava una vaghissima raccolta di camelie e mi conduceva a vedere le grotte, i belvederi, le statue e le fontane. Io guardava con uno strano sorriso il mio conduttore e con una rabbia mal repressa: «E dove or sono queste piante (imbecilli) queste grotte, (maledettissime) questi belvederi, questi parasoli (ridicoli) — avvertite lettori che le parentesi le ho pensate ma non le ho dette — v’erano, v’erano…? e il buon giardiniero che non sospettava di nulla rispose con ingenuità….»

    «V’erano l’armeria, i bastioni, i trabocchetti.»

    «I trabocchetti avete detto?»

    Come uomo ferito nel profondo dell’anima, poichè ove nol sappiate, io ho la mania dei trabocchetti… vandali! diceva tra me stesso, aver disfatto i trabocchetti del mio Innominato! aver infranto quel bel macchinismo, quei pozzi irti di spade colle punte all’insù, quei sotterranei pieni di scheletri! e chi ha disfatto tutto questo? diceva io con un riso vicino alla demenza.

    «Quegli che ha edificato il nuovo palazzo, il parco, il giardino….»

    «Il suo nome?» domandai fuor di me stesso, come in quelle scene che sono il preludio delle grandi catastrofi.

    «Il maresciallo Visconti.»

    «Oh vil maresciallo!» esclamai senza ritegno; ma il fido servo affezionato al nome de’suoi padroni mi si volse con un fare burbero e minaccioso.

    «Che dite, signore? Il maresciallo era uomo coraggioso e benefico.»

    Pensai che il mio mentore potesse aver ragione; colla viltà non si diventa certo marescialli. In fine non tutti sono tenuti ed essere archeologi, ed io mi scusai alla meglio «Avete franteso brav’uomo!»

    «Avete detto vil….»

    «Ho detto util… ed invero non mi potrete negare che egli non fosse molto utile alla società. Se ha fabbricato questo giardino e questo palazzo, suppongo almeno ch’ei non li abbia creati per magia; ed avrà fatto lavorare.»

    Questa spiegazione mi conciliò nuovamente la benevolenza di questo fedele Adrasto della famiglia Visconti, e forse per compensarmi del mio panegirico, mi fece all’improvviso piovere addosso una cascata d’acqua. Allontanatomi di due secoli dall’epoca presente, troppo tempo ci voleva perchè mi riavessi e potessi pensare alla meschina puerilità di un gioco d’acqua. Alzai il capo per indovinare la ragione di questo strano fenomeno, e poichè rimasi acciecato dagli zampilli, tutto inzuppato, mi trassi indietro assai malconcio e mortificato. Il valent’uomo rideva sgangheratamente, e tra un sussulto e l’altro…. diceva «se non avesse ritrattato l’insulto contro la buona memoria di S. E. io non le avrei procurato questo divertimento!»

    La docciatura produsse tutto il suo effetto. Io m’era posto sopra un falso cammino prendendo le cose così all’infocata. Ringraziai il valent’uomo della celia piacevole, ed in benemerenza mi proposi di dare al medesimo doppia mancia. Quando Dio volle finì l’esposizione agricolo-botanica; fui introdotto nel palazzo; quel bravo maresciallo, chi sa a quanti assedii era stato, e quante breccie aveva aperte, aveva demolito tutto per sostituirvi bellissime stanze, ricche sale, ariosi corridoi, ringhiere e terrazzi principeschi; il maresciallo aveva senza dubbio avvantaggiato sè ed i suoi nipoti a mio dispendio. — Mi tornarono alla mente le torri ed i trabocchetti: ad un tratto entro in una vasta galleria, mi veggo davanti una figura equestre al naturale. Un bellissimo uomo a cavallo con fronte severa e maestosa, con lucente armatura sul petto, e lunga chioma inanellata alla Montecuccoli…. m’accorsi allora di trovarmi a fronte del mio maresciallo, ed il suo viso gioviale ad un tempo maestoso e faceto mi riconciliò con lui, e giurai di non fare più alcun lamento, tanto più che in quel luogo io non avea diritto di farne alcuno.

    Proseguo l’ispezione della galleria dei ritratti… veggo Ottone, Matteo, Barnabò, Lucchino, Giovan Maria; le loro mogli… i ritratti di alcuni… bei duchini bamboletti… di parecchi collaterali… la galleria continua, non è ancor finita.

    «È lui… è lui, gridai all’impazzata.»

    «Chi lui?… domandò stupefatto il mio cicerone. «Don Francesco Bernardino….» dissi io, indicando un bellissimo ritratto al naturale. Aveva letto le cifre del suo nome segnate a lettere cubitali sotto il quadro…

    Questo rappresentava un personaggio d’età virile. Vestiva un abito nero di velluto, teneva la mano posata sopra una tavola in alto di meditare. Il suo viso era coperto d’un pallor mortale, reso più triste da una barba nera ed incolta. Il pittore s’era studiato di mitigare l’espressione malinconica con un sorriso di que’lineamenti; ma questo s’era convertito in una fredda e glaciale ironia.

    Del resto dall’insieme della figura trapelava una certa aria di nobiltà propria di un patrizio.

    Non m’era dunque ingannato nell’attribuire a quest’uomo un carattere, un linguaggio tutto proprio delle persone d’alto affare. Se avessi dovuto por mente alle gride dei governatori, ai cronisti di quell’epoca avrei forse dipinto un volgar malfattore, tanto gli scrupoli e la calunnia giunsero a travisare i fatti e la verità. Don Bernardino fu certo un nobile bandito, nè applicò la sua forza a delitti volgarli. «Alcuni principi esteri, dice il Ripamonti, si erano giovati di lui per compiere qualche insigne uccisione e gli mandarono più di una volta ajuti e sicarii.»

    Io mi congratulai di vedere, come il ritratto corrispondesse al tipo da me descritto.

    «La fisonomia è lo specchio dell’anima.»

    E questa tela mi giovò più d’ogni documento.

    Brignano 21 Ottobre 1857.

    L’autore.

    CAPITOLO PRIMO.

    Brignano, forte piazza d’armi, fra il Milanese ed il Bergamasco faceva invidia ai due governi limitrofi di Spagna e di Venezia. E presto o tardi, o l’uno o l’altro se ne sarebbe impadronito, se i suoi feudatari non avessero posto somma vigilanza nel custodirla.

    Era questo l’ultimo baluardo, dietro cui i Visconti potevano tuttora esercitare l’ombra del potere sovrano; potere limitato, ma indispensabile a chi aveva contratto l’abitudine del comandò. E se al tiranno Dionigi espulso da Siracusa bastò una scuola a tenergli le veci del perduto regno, si potevano maggiormente accontentare i Visconti che avevano sotto il loro dominio estesi possedimenti in terre, vassalli e uomini d’arme. Brignano non era un pauroso ricettacolo di banditi posto sul pendío d’inaccessibile montagna e segregato dall’umano consorzio. Situato in un’amena pianura, come un nemico leale e coraggioso in aperta campagna, intrepido bravava coloro che avessero avuto l’ardire di attaccarlo.

    Era però mestieri che uno si fosse sentito in coscienza ben amico dei padroni per avventurarsi in quelle vicinanze, per vedere d’appresso quella negra massa di muraglie, di bastioni e di torri. Dapprima l’avrebbe creduto disabitato, tanto quel castello parea deserto e silenzioso, ma quella quiete e quella solitudine ingannatrice avrebbero finito collo sbigottirlo; e s’egli si fosse arrischiato più oltre, non gli sarebbe mancato uno di quegli incontri che ad un buon cristiano fa nascere immediatamente il pensiero di raccomandar l’anima a Dio.

    La tristezza e la malinconia erano divenute il retaggio di quel temuto soggiorno. Appostati dietro le muraglie, seduti nel cortile stavano bravi, armigeri, valletti e palafrenieri.

    Alcuni parlavano sottovoce e volgevano il capo attorno per timore di essere uditi, poichè Sua Eccellenza conosceva un modo spiccio per farli stare quatti e silenziosi; tre corpi che penzolavano da una forca piantata in mezzo alla corte ammonivano quella masnada a starsi dimessa e guardinga in quel giorno.

    Finalmente il suono di un corno mise in moto tutta quella turba; il ponte levatoio venne calato ed un uomo a cavallo seguito da numerosa scorta lo varcò lentamente. I servi formarono due grandi ale in mezzo a cui il gran signore passò, immemore persino di rispondere alle scappellate, ai grandi inchini che tutti gli facevano. Nè ciò fece per superbia, ma per essere assorto in pensieri che l’occupavano tutt’uomo.

    Egli scese da cavallo, consegnò ai servi l’archibugio, e senza pronunziare una parola s’avviò solo per l’ampia scalinata a’suoi appartamenti. Nè vi si fermò; ma per una scala a chiocciola praticata nella saldezza di un muro giunse alla sommità di una torre da cui dominavasi l’intero castello ed il circostante territorio. Ivi si appostò dietro i merli, ed il suo occhio spiò l’uno dei veroni che guardavano il giardino sottoposto.

    Rimase colà immobile un’ora senza scorger nulla; finalmente la cortina della finestra che sembrava attrarre la di lui attenzione si rimosse e vide affacciarsi una donna; a quella vista tremò tutto quanto; i suoi occhi si fissarono in lei esplorandone i movimenti.

    Quella donna misurò a lenti passi il lungo e deserto terrazzo, poi trovato un sedile vi si collocò appoggiando il gomito sul davanzale e la testa sulla palma della mano.

    Il lettore, cui sia bastato la pazienza di leggere l’antecedente racconto a prima vista avrà raffigurato i due personaggi.

    Don Bernardino Visconti non aveva ancora oltrepassato lo stadio della giovinezza, sebbene sulla sua fronte procellosi pensieri avessero scavato solchi prematuri. Il suo viso era pallido come il marmo di più secoli, e risaltavano su quel fondo i capelli e gli occhi nereggianti.

    Margherita era ancora più abbattuta di lui. Dei bei colori che brillavano in quelle carni fresche, lucenti, eran rimaste alle gote due languide rosette simili a quelle che colorano le foglie d’autunno vicine al cadere. La sua persona sì svelta e diritta s’era curvata; e tutto attestava in quell’anima lo scoraggiamento e l’abbandono: la veste umile e discinta, i capelli annodati con negligenza, e più di tutto il doloroso atteggiamento.

    Ad un moto che fece don Bernardino, ella volse il capo con un terrore istintivo, e vedutolo, fuggi precipitosamente. Indi a poco una cameriera venne a chiudere le imposte e tutto fu finito.

    Quei segni di sprezzo non irritarono il gentiluomo; parve invece che l’affliggessero profondamente. Toltosi di là più attristato che mai, si rinchiuse ne’suoi appartamenti, e fattosi forza per assumere un dignitoso contegno chiamò i servi, e comandò che andassero tosto per Malebranche.

    Non aveva ancor finito di nominarlo ch’ei se lo vide alle spalle.

    Il buon Malebranche per cortigianeria, o per istravaganza di carattere, s’era dato in preda ad un sentimentalismo che male s’accordava colla cera rubiconda e l’enorme adipe che aveva messo assieme in quei mesi di agi e di tranquillità.

    Rimasto a quatt’occhi con S. E. mise uno di quei sospiri che avrebbero fatto nascere una volatica sul volto di un fanciullo.

    Che avete maestro? gli domandò don Bernardino, voltandosi bruscamente

    Nulla. rispose Malebranche con un riso castigato.

    Perchè quel lungo sospiro?

    Ho sospirato? chiese ingenuamente il furbaccio; mi perdoni l’Eccellenza Vostra; ora credo da galantuomo d’essere innamorato.

    Una tal frase sulle labbra di costui in ogni altra circostanza ed in tutt’altro tempo avrebbe fatto smascellare dalle risa don Bernardino; ma questi ora ne fu invece scosso vivamente.

    Il conte conosceva i maneggi del suo cortigiano; quando non osava d’intavolare direttamente un argomento cominciava le sue fine manovre, e quella posta in campo in quel giorno era delle più abili ed ingegnose. Era l’unica via per trarlo in quel discorso, poichè don Bernardino aveva impegnato la sua fede di gentiluomo di non parlare mai più di Margherita come la fosse morta ed aveva proibito agli altri di fare allusione ad essa.

    Il nobile conte aveva giurato ciò in un accesso di collera, non prevedendo che questa passione gli sarebbe durata e che avrebbe avuto un giorno bisogno di espandere il suo cruccio e l’interno affanno che lo consumava.

    Quel giorno era arrivato; e da una settimana e più ch’egli non parlava di essa, un doppio peso gli si era aggravato sul cuore; ma l’accorto Malebranche avevagli offerto il mezzo di acquetare questa smania, senza che il gentiluomo mancasse alla sua parola.

    Innamorato! riprese don Bernardino con malinconico riso.

    Sebbene di rozza stampa, il mio cuore non è insensibile alla grazia ed alla bellezza.

    È bella la tua innamorata?

    "A bell’agio, Eccellenza; cambiate il participio in un gerundio e dite: Innamoranda…." interruppe Malebranche, che non voleva smettere le frasi del suo antico mestiere di ludimagistro.

    Il suo nome?… disse con un fare sbadato don Bernardino che temeva d’essersi ingannato sulle mire del suo fedele, e persuaso che costui gli venisse a narrare qualche sua frottola amorosa davvero.

    Avrei timore di sdegnare l’Eccellenza Vostra!

    Parla, lo voglio.

    Io ho osato alzare gli occhi…. Non mi guardi V. E. in tal modo, ovvero mi toglierà ogni coraggio di proseguire…. ma monta forse che io la intrattenga delle mie pene amorose?

    Per San Marco! scongiurò don Bernardino infuriato.

    V. E. conosce i mali istinti dei servi che amoreggiano le robe dei loro padroni, e sono lieti di acconciarsi degli abiti che questi smettono o di gustare le miche che avanzano dalla mensa….

    Don Bernardino guardò allora più benignamente l’ottimo Malebranche e con piglio più mansueto:

    Ebbene….

    Mi punisca l’Eccellenza Vostra, ma oltre gli abiti e le vivande, ci piace la donna che essi pongono in un canto, per esempio: madonna Margherita.

    Margherita!

    V. E. non vuol udirla nominare, ma è pur uopo che io parli di lei…. se m’interroga delle mie pene.

    Don Bernardino crollò il capo come chi si prepara meglio che ad udire, a tollerare un discorso.

    Stamattina le ho fatto una visita.

    "Le avete parlato, maestro? L’interruppe don Bernardino che nei momenti di bonaccia continuava al compagno di ventura i titoli e gli antichi privilegi.

    Come faccio adesso con voi….

    Essa al solito non ha risposto…. la superba!

    Al contrario, ella mi parlò umilmente. Il male occulto che la consuma ha prostrato la sua alterigia.

    Un male occulto!…

    La meschinella è gravemente inferma.

    Ma se oggi stesso…. a caso…. io la vidi al balcone….

    "Qual meraviglia! e non sapete che passa spesso le ore tardissime della notte nel giardino; si espone alle nebbie della sera quando avrebbe bisogno di riposo, poichè, a dirvela schietta, io temo che quella povera donna abbia il mal di petto.

    Che?… fece don Bernardino alzandosi in piedi atterrito, e dimenticando ogni ritegno. No…. non può essere. Tu hai detto ciò, per mettermi a dura prova. Ebbene io scordo la parola data, oh non andar per le lunghe…. parlami di essa, toglimi dal dubbio…. essa non morirà…."

    Don Bernardino aveva rotto il ghiaccio, il suo amore prorompeva tanto più violentemente, quanto fino allora avealo a stento compresso.

    Son contento che V. E. mi abbia finalmente capito. Ben vedeva che l’ostinarsi a tacere le costava la massima pena.

    Grazie, grazie, mio buon amico!… Tu dicesti di averle parlato…. che ti ha risposto? parla…. ti ha domandato una grazia…. la libertà forse? questa le sarà resa a costo della mia dannazione.

    Noi abbiam provato grandi dolori, abbiamo assistito a scene di somma pietà; credeva che natura mi avesse fatto gli occhi d’acciaio, e il cuore di sasso… ma…

    Ebbene…. interruppe don Bernardino commosso.

    All’udire volgermi la parola dopo sei mesi di ostinato silenzio, m’intenerii e credo di aver pianto come un cocodrillo….

    Ma che ti disse?

    Essa chiede un ministro di Dio… vuol ricevere gli ultimi conforti della religione.

    Non può essere…. susurrò don Bernardino percorrendo la sala a passi concitati, Malebranche, voglio vederla…."

    E s’ella vi respingesse….

    Mi spregi, mi scacci da sè, che importa? Non si tratta più del mio amore ma della sua vita… Andiamo….

    Poi sostando ad un tratto si fece pallidissimo in volto, e si pose una mano sul cuore.

    Egli rammentò un’atroce scena, di cui porremo al fatto i nostri lettori.

    Dal giorno in cui don Bernardino aveva tratto in suo potere Margherita, temette che il castello di Magnodemo non gli offrisse bastante sicurezza contro la vendetta degli Spagnuoli. Ed invero quello strepitoso fatto risuonò dall’un canto all’altro di Europa. Gli ordini più rigorosi furono emanati dalla corte di Madrid a cui susseguirono le ripetute gride del Governatore di Milano che prometteva grossa taglia pel capo del Visconti e per quello de’suoi complici. Don Bernardino risolvette allora di ripararsi al castello di Brignano, terreno neutrale, di concentrarvi le sue forze, e di aspettare gli eventi.

    Malebranche lo precorse di alcuni giorni e fatti i più solidi ripari al castello, lo provvide di vettovaglie, assoldò mercenari, lo rese infine capace di sostenere un lungo e vigoroso assedio. Temendo poi il Visconti che qualche richiamo o molestia non gli venisse dal governo della repubblica veneta, la quale sebbene nemica al governo spagnuolo aveva interesse in quel tempo di conservare apparentemente le relazioni di buona alleata, portossi segretamente al consiglio dei Dieci, ed offrì loro i suoi servigi, domandando in ricambio protezione.

    I signori della laguna che in segreto si erano rallegrati dello sfregio toccato ai loro eterni nemici, gli Spagnuoli, ed avevano applaudita l’audacia del giovane venturiere, accettarono le di lui offerte.

    L’astuto governo non mancò poi di schermirsi con fina destrezza dalle proteste e interpellanze, che non tardarono ad essergli promosse dai ministri spagnuoli, rispondendo che Brignano essendo limitrofo dei due stati avrebbe veduto di buon grado l’esterminio e la punizione di questo pericoloso bandito, ma che Venezia avrebbe creduto offendere la Spagna, imprendendo a vendicare un torto che era affatto personale al governo di lei. Queste pratiche durarono molti mesi, e frattanto don Bernardino aveva avuto tutto l’agio di stabilirsi e fortificarsi, e di ritirare colà la sua preda.

    Ma le arti che avevanlo giovato ad illudere le due più astute politiche di quel tempo diedero in secco contro il carattere ostinato di una donna.

    Nelle stanze destinate a Margherita profuse un lusso, una magnificenza che vincea lo splendore delle corti alle quali era vissuta; numerose ancelle stavano attente a soddisfare e prevenire i di lei menomi capricci; egli stesso aspro e imperioso con tutti si traeva umile e dimesso alle porte degli appartamenti di lei, chiedendo in grazia di vederla, di esser ricevuto, e quando trovavasi alla di lei presenza un umil servo non avrebbe parlato con più rispetto alla sua regina; tenendosi ognora in piedi ed in distanza. Ma nè delicatezze, nè ossequi, nè premure valsero a disarmare l’alterigia di costei. O rispondeva sbadatamente con freddi monosillabi, o prendeva il partito più spesso di non parlare tenendo sempre altrove rivolti gli occhi e mostrando noja od impazienza. Se alcune fiate il Visconti arrischiava una parola tanto quanto allusiva al loro passato, essa ritiravasi nelle proprie stanze e con uno od altro pretesto deludeva le visite successive di lui.

    Pazientava don Bernardino sperando che il tempo e la propria costanza l’avrebbero vinta. Malebranche, il suo fido consigliere, rammentavagli le antiche gesta, i colpi arditi di mano, e persuadeva il suo signore a valersi di mezzi più energici e risoluti.

    Una terribile notte in cui gli elementi infuriavano intorno alle mura del castello, un fulmine cadde sulla torre posta al mezzodì presso gli appartamenti di madonna Margherita. Accorse il Visconti temendo qualche disastro; ma fu grande la sua sorpresa nel vedere la principessa assisa placidamente presso il verone a contemplare lo spettacolo della natura sconvolta. Tuoni fragorosi s’alternavano a spessi lampi; una pioggia dirotta flagellava la muraglia, il vento urlava ai quattro angoli. Don Bernardino entrò non visto e non udito e per qualche tempo rimase estatico a contemplarla. Non gli era parsa mai tanto bella Margherita come nella veste bianca che s’era posta uscendo dal letto; e coi capelli disciolti cadenti sulle spalle.

    Al primo accorgersi della di lui presenza, essa provò un tremito; poi composto il volto all’usata noncuranza, lo salutò gravemente.

    Dopo un intervallo di silenzio imbarazzante per ambidue il Visconti le si accostò e con un accento premuroso e malfermo le disse:

    Io temeva qualche disgrazia; voi non siete pur commossa, madonna!

    Voi lo vedete.

    Rispose freddamente Margherita.

    Badate, signora, la tempesta imperversa. Il folgore è caduto sulla vecchia torre del mezzodì.

    Che m’importa?

    Rispose la principessa con freddo stoicismo.

    Ben importa a me che non arrischiate una vita che mi è tanto cara e preziosa!

    Margherita mosse verso le stanze interne, dalle quali s’udiva partir la voce delle ancelle che pregavano; don Bernardino non potendo più contenersi l’afferrò per una mano.

    Voi m’ascolterete, madonna!

    Osereste commettere una violenza?

    Disse donna Margherita impallidendo.

    Io sarò capace di tutto; la mia bontà incoraggia il vostro orgoglio, ed è tempo che mi ascoltiate, signora. Poi moderandosi ad un tratto. Voi non mi costringerete agli estremi, ascoltatemi di grazia…

    Era una preghiera alla quale non mancava che la formalità del comando.

    Margherita sedette, incrociò le braccia, e questa volta guardò in viso il Visconti con una brusca immobilità.

    Io nacqui orfano, Margherita — cominciò don Bernardino con voce triste —, le carezze di un padre e il bacio materno non rallegrarono la mia infanzia. L’unica e vera gioia che mi ricordo di aver provato si fu quel fiore che voi, gentile, pietosa giovinetta gettaste al fanciullo che solo piangeva nella deserta capanna, quando i suoi compagni tornavano lietamente nel giorno delle vacanze alle case loro, in seno alle loro famiglie. Spinto verso una carriera alla quale non si sentiva inclinato il mio cuore ruppi ben presto i miei legami, mi sottrassi alla schiavitù. Cominciano d’allora le triste vicissitudini della fuga e dell’esiglio; il caso mi aveva posto sulle traccie di un orribile misfatto, di cui io era il frutto e la vittima. Mia madre dovette col disonore comprare la libertà del padre mio, salvarlo dai supplizi e dalla morte. Mio padre vide lentamente spegnersi nell’agonia la vita di una santa donna uccisa da un’involontaria colpa. Egli maledisse allora al mio nascere, mi condannò all’oscurità, all’ignominia, e fuggì in terre lontane a cercare una riparazione alla macchia inflitta al suo nome. Io poscia trovai mio padre nel fondo delle carceri d’Anversa; egli colà sul suo letto di morte mi fece giurare ch’io avrei vendicato mia madre nel sangue del suo vile assassino. Sapete voi chi fosse costui? Il Duca d’Alba, il padre di don Enrico, di vostro marito!

    Margherita sentì corrersi per l’ossa un brivido mortale….. il di lei commovimento non isfuggì a don Bernardino.

    "Rassicuratevi, Margherita; non fu progetto d’odio che m’indusse a cercare il vostro amore, piuttosto uno strano destino conciliò insieme il mio amore ed il mio odio per farvi mia. Il figlio del nemico della mia casa dovette provare egli stesso l’onta di un disonore. Eravamo pari. La causa fu commessa poscia al giudizio di Dio. Noi eravamo entrambi giovani, coraggiosi…. ci trovammo l’uno in faccia all’altro sopra il medesimo terreno, colle medesime armi. Egli soccombette.

    La tempesta in quel punto raddoppiò il suo impeto, il fragore assordante del tuono coprì la voce di don Bernardino, e Margherita non udì che parole staccate, quelle di amante, di fratello…. finchè succedette una nuova calma.

    Io vi amava, riprese il Visconti con un ineffabile accento di tenerezza…… era il primo amore e sarà l’ultimo della mia vita! Qual altr’uomo vi avrebbe disputato com’io ho fatto ai vostri regi parenti, al re di Spagna, ai duchi di Parma, al governatore di Milano, a Dio infine, poichè voi volevate finire in un chiostro la vostra vita? Qual uomo dopo di aver esposti per voi il nome, la sicurezza, l’avvenire, avrebbe durato con rassegnazione agli oltraggi, al dileggio, al disprezzo di cui voleste colmarlo? Non sapete che per avere il diritto di conservarvi a me vicina ho venduto, come il bravo, il mio braccio al misterioso tribunale di Venezia?

    Questa confessione sfuggitagli dalle labbra, avrebbe egli voluto ritirarla, ma era troppo tardi; allora in un accesso di disperazione replicò: Ma non vedete dunque che io mi perdo per voi?

    E voi non sapete forse, disse Margherita, fatta più bella e maestosa dallo sdegno e dal chiaror dei lampi che rivestivanla di una luce sinistra non sapete che l’amore spento una volta

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