Mi piaci troppo, ti lascio
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Anteprima del libro
Mi piaci troppo, ti lascio - Marta Tedesco
fine
Silvio
E tu, caro lettore, sei soddisfatto della tua vita?
Io me lo chiedevo, prima di trasferirmi in città, dal mio paesino in provincia di Palermo. A Roma ci stavo ormai da tre anni e la situazione era più o meno simile a quella che lasciai: impiego precario, giri di amici ristretti, orari ingestibili di lavoro e davvero pochi ragazzi.
Silvio Freddi, 25 anni non ancora compiuti. Capelli ricci e scuri, occhi azzurri. Conosciuto su una chat di incontri.
Mi chiese quasi subito di uscire insieme. Nonostante mi terrorizzasse l’idea di incontrare un perfetto sconosciuto, allo stesso tempo mi sentivo risucchiata in un vortice di curiosità incontenibile.
Fissammo luogo e ora dell’appuntamento: venerdì sera alle 22,30 in Piazzetta nel quartiere studentesco di San Lorenzo.
Lui era lì ad aspettarmi. Ci scambiammo un saluto impacciato e qualche frase di circostanza, ma dopo la prima birra la conversazione decollò. Era tutto così naturale che sembrava ci conoscessimo da una vita.
Silvio sembrava adorabile, con un animo ottimista e gioviale. Passammo una bella serata insieme, che si concluse con un passaggio sotto casa mia e un timido bacio sulle labbra.
I giorni dopo continuammo a sentirci e a vederci nei miei rari scampoli di libertà, ma si finiva sempre sulla soglia del portone di casa, con saluti conditi da baci e cattive intenzioni. Le mie più crude fantasie sessuali venivano sedate da quel suo premuroso lasciarmi andare a riposare dopo i nostri incontri post-lavoro serale.
Aspettai con ansia la mia sera libera per proporgli una cena che volevo si concludesse da me. Ma lui fece di meglio, mi invitò a casa sua: «Voglio cucinare io per te» mi disse.
Accettai senza esitazioni e giovedì sera alle 20.30 ero nel suo appartamento. I coinquilini fuori, la tavola apparecchiata, il vino bianco fresco, al punto giusto, e un’amatriciana da favola.
Inebriati dal vino e dai primi baci arroventati sul divano ci spostammo poi in camera sua. In balia delle sue mani e dei miei sospiri pensavo da quanto tempo non facevo l’amore.
Temevo che mi sarebbero usciti i pipistrelli da quella spelonca che avevo per vagina. Non sapevo più se stessi tremando per l’eccitazione o per l’ansia da prestazione.
Toccavo con le mani quel suo petto scolpito e il suo membro eretto, perfetto. Forte e deciso nei movimenti, privo di esitazioni. Solo il momento della penetrazione fu doloroso. Il nervosismo mi impediva di rilassarmi e lasciarmi completamente andare. Ma le sue labbra sul mio clitoride mi fecero decisamente cambiare idea.
Facemmo l’amore per ore. Ci addormentammo stanchi e abbracciati. Mi svegliai alle 11.30 del mattino. E da questo momento ebbe inizio il dramma: mi resi conto che la camera era tappezzata di fotografie che lo ritraevano sempre con la stessa ragazza: abbracciati, sorridenti, seri, tra amici. Ma il fiore all’occhiello era la foto dei due che si baciavano. Proprio di fronte a me, in alto.
«Tutto bene?», mi chiese.
Ero molto confusa. Mi chiedevo chi fosse lei: ero forse stata a letto con un ragazzo fidanzato?
«È la mia ex. Ci siamo lasciati da un anno ormai. Tranquilla».
Tranquilla? Mi trovavo dinnanzi all’altare celebrativo della sua ex e per lui dovevo vivermela bene.
Fu grottesco farsi penetrare quella mattina mentre gli occhi di lei sembravano scrutarmi e giudicarmi. Erano inquietanti. Guardavo lui, poi le foto. Poi riguardavo lui, e poi le foto. Erano ovunque. Una specie di Grande Fratello di celluloide.
«Ti piace così?», mi domandava mentre ci dava dentro.
«Sì», rispondevo.
Ma volevo urlare: No! No che non mi piace con questa che mi guarda!
Quel mattino fare l’amore fu terribile. Lui ebbe il suo orgasmo mentre io cercavo di evitare espressioni esplicite di disagio. Non volevo accettare di aver preso l’ennesimo granchio. Eppure, qualcosa mi spingeva a restare lì.
«È finita con lei. Quando è finita sono stato davvero male e ancora non riesco a togliere quelle foto. Lo farò. Ti prego, non mi abbandonare come hanno fatto tutti», mi disse lui.
Quella frase da un lato mi nauseò quasi, ma dall’altro me lo fece vedere come un uomo tanto ferito quanto in fondo sincero.
Lasciai correre dunque. Del resto, confesso che all’inizio pensavo valesse la pena subire qualche controindicazione. Ammetto che sul mio giudizio incideva non poco il culetto di marmo che Silvio si portava dietro. Quando si alzava e camminava nudo per la stanza, così statuario, mi chiedevo