Oltre l'Io
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Anteprima del libro
Oltre l'Io - Melanie Caldeo
Matteo
Introduzione
Da ragazza passavo l’estate all’Elba. Lì viveva un mio zio in una villetta vicino al centro storico di Capoliveri.
Lui era molto legato a me, mi trattava come se fossi sua figlia. La cosa che mi piaceva di lui era il fatto che fosse un ascoltatore attento. Con lui ero un libro aperto, cosa che con i miei genitori non ero assolutamente. Sin dall’età di tredici anni trascorrevo diverse estati da lui. Su quell’isola trovavo la pace interiore, mi sentivo veramente a casa. Passavo le notti seduta accanto alla finestra della mia cameretta a leggere i libri sulla storia elbana. Mio zio mi lasciava molto libera però era rigido sugli orari. Una volta avevo ritardato di venti minuti il coprifuoco; si era infuriato così tanto che la sera dopo non mi aveva fatto uscire.
Quando gli avevo presentato il mio fidanzato nell’estate dei miei diciassette anni era rimasto contento di vedermi felice anche se a volte lo metteva alla prova con battute pungenti e spesso lo trattava con diffidenza. Vedevo che lui lo faceva perché era rimasto scottato dalle sue esperienze passate e non voleva che soffrissi anche io. Ma a fine estate si era ricreduto. L’anno successivo si era ritornati e il giorno prima della partenza mi aveva chiamato nel suo studio e mi aveva lasciato un testamento. Ero piena di stupore. Mi aveva confessato che si era ammalato di tumore alle ossa ed era stato scoperto troppo tardi dai dottori per fare qualcosa. Alla sua morte la villetta e le altre case sarebbero diventate di mia proprietà. Non riuscivo a crederci perché ai miei occhi fino a quel momento era stato in piena salute e insomma aveva solo sessantacinque anni. Mi ero commossa perché lui aveva resistito al dolore comportandosi come faceva gli anni passati.
Mia cara Emily, più passa il tempo e più mi sento vicino alla morte. Questa malattia mi sta mangiando vivo e prima che sia troppo tardi voglio lasciarti un testamento. Ogni mio bene alla mia morte andrà a te. Ho avuto una fortuna immensa ad avere una nipote come te. Possiedi quei modi eleganti e fini di una donna che appartiene a un’epoca lontana. Tanto posata e delicata anche con la persona più sgarbata. Sento che quest’isola ti appartiene, sei felice… e perché non regalarti un futuro qui?
, aveva fatto una pausa, E voglio anche che tu ti tenga stretto quel ragazzo. È semplice, umile e ti vuole bene… credo che sia uno di quegli uomini che non ti deluderà mai
.
Questa era stata l’ultima volta che avevo veramente parlato con lui, presto aveva perso la sua lucidità mentale e poi un giorno di settembre si era spento. Ma fino alla fine avevo insistito per stargli accanto, anche se non era facile perché vedere che lui soffriva a tal punto da diventare rabbioso era una specie di colpo alla mia sensibilità. Cercavo di fare quel che potevo.
Negli anni successivi la mia vita proseguiva illuminata dalla presenza del mio innamorato. Non facevamo altro che fare progetti e mettere soldi da parte con i nostri lavori umili. Facevamo continuamente tante ore di straordinario. All’età di vent’anni poco più ci eravamo trasferiti in quella villa. – Ai miei genitori non avevo detto nulla sull’ereditarietà. Un giorno ero sparita di casa senza fiatare, con le valigie in mano intenzionata a non fare più ritorno. Un biglietto in bella vista sul tavolo, nient’altro. Per mesi non avevo contattato nessuno. Potevano tranquillamente darmi per morta. Ci stavo male perché comunque gli volevo bene, ma desideravo che aprissero gli occhi dopo tanti affronti da parte mia inutili. Volevo far capire che certi errori non si vedono subito, ma nel lungo andare.
Nel giro di un anno l’avevamo imbiancata e sistemata secondo i nostri gusti. Avevamo abbattuto qualche muro per dare un ché di spazioso in determinate stanze. Nel bagno avevamo fatto da soli, principalmente l’aveva costruita lui, una doccia angolare. In giardino avevamo piantato un mandorlo e molte altre piante. Per vivere si continuava assiduamente l’attività di vendita di mio zio e si portava avanti altri progetti che inizialmente non fruttavano. Mi sentivo la donna più fortunata della terra. Ogni mattina di quel periodo, mi svegliavo alle cinque e contemplavo il mio compagno nel suo stato dormiente. Lo riempivo di baci leggeri. Sul suo viso, senza aprire gli occhi, spuntava un largo sorriso bonario. Mi stringeva a sé ancora di più.
Era bello tutto con lui. Era bello scherzare, litigare, fare l’amore, chiacchierare ad ore, ascoltarlo nelle sue riflessioni, passare la notte a passeggiare per i paesini senza sentire la stanchezza. Stavo vivendo la mia vita facendo tutte le cose che mi passavano per la testa. Ma cosa avremmo potuto desiderare di più? Non avevamo nemmeno un mutuo sulle spalle e ciò voleva dire tanto. Per me era fondamentale non avere rimpianti. Era bello perché ogni cosa rappresentava la leggerezza e la semplicità dello stare insieme. Per noi era speciale tutto questo perché per anni avevamo lottato per stare insieme. -La colpa era dei miei genitori che non mi volevano far partire come una nave che attende la sua partenza, ma rimane immobile, legata al porto, protetta dalle sue mura. In altre parole, non mi davano quella libertà che tanto agognavo. Lo zio elbano quante volte ci aveva litigato pur di farli ragionare. Convincere i miei genitori era stato quasi impossibile. Odiavo fare tutto di nascosto. Eppure, ero una ragazzina tranquilla, la figlia perfetta che si faceva carico dei dolori di casa. Non avevo nemmeno un’amica. Non mi permettevano di costruirmi una vita. Dovevo stare a casa, studiare, aiutare nei lavori domestici e rispettare delle regole basate sul niente. Loro erano all’apparenza forti, ma in realtà tanto insicuri di tutto. Ed io non riuscivo a ribellarmi, non avevo il coraggio. Sapevo solo di avere paura della vita. Leggevo così tanto per vivere altre