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Un cerchio che non si chiude
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E-book209 pagine3 ore

Un cerchio che non si chiude

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Info su questo ebook

L’Autrice in questo racconto mette a nudo la sua storia personale con coraggio, audacia e determinazione, affidandosi a una struttura narrativa anomala, in bilico tra conversazione e flusso di coscienza.
Giulia è una donna coraggiosa, determinata e profondamente riflessiva. Quando decide di lasciare il marito per dare una svolta alla sua vita sa benissimo a cosa andrà incontro.
La sua sfida è tenere in equilibrio i diversi e complicati ruoli che una donna, quando si separa, deve gestire: il ruolo di madre, di figlia i cui genitori non approvano le sue scelte, di donna ancora giovane che vorrebbe realizzarsi professionalmente e sentimentalmente.
La vita, secondo Giulia, è un alchemico incastro di cerchi, ognuno setta una parte del nostro percorso e racchiude le persone più o meno importanti che incontriamo, i fatti che ci plasmano, il piacere, la gioia e il dolore che epifanicamente impattano sul nostro destino. I cerchi, per definizione, sono destinati a chiudersi. Solo i cerchi della vita, a volte, si sfumano nel tratto e nell’attesa di risolversi diversamente attingendo a nuove esperienze.
In qualche momento della sua vita, Giulia si ferma e si guarda indietro e un po’ le viene da sorridere. Osserva se stessa attraverso i vari cerchi, quello che l’ha vista giovane e sognatrice durante una mai dimenticata estate del 1987, quello che l’ha vista sposa recalcitrante, quello che… Giulia, leonessa dolce, svitata e romantica, è tutte le donne che hanno abbracciato i cerchi, sia quelli che si sono chiusi sia quelli che, forse, ancora non lo sono.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788832929195
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    Anteprima del libro

    Un cerchio che non si chiude - Giuly Chambers

    1

    Era una sera di fine giugno di tanti anni fa. Ricordo perfettamente che ero a letto nella mia camera, non riuscivo a prendere sonno, un pensiero improvviso aveva percorso la mia mente e mi turbava: di lì a un mese mi sarei sposata. Giovanissima, poco più che diciottenne, avrei passato il resto della mia vita con lo stesso uomo, mi sarei svegliata ogni giorno con lui, avrei fatto tutto e assolutamente tutto, solo con lui: ero sconvolta!

    No, non potevo fare una cosa simile! A ottobre avrei compiuto diciannove anni e stavo facendo il più folle gesto della mia vita perché non ero innamorata del mio fidanzato e, nonostante ciò, lo sposavo.

    Alla mia sinistra e a soli trenta centimetri circa c’era la porta della camera; avevo l’abitudine di addormentarmi o in posizione fetale o sul fianco, e in quel momento la mia posizione era sul fianco per cui dalla porta semiaperta della camera vedevo la luce che proveniva dalla cucina, attraversando il lungo e grande corridoio, dove mia madre come di consueto stirava ascoltando la musica alla radio. Quella donna era stata il mio tormento fin da piccola, anaffettiva, severa, rigida, nevrotica, ansiosa, egoista, col vizio di alzare facilmente le mani e soprattutto questi suoi continui comportamenti avevano suscitato in me, da tempo, il desiderio e la voglia di fuggire da casa e per farlo potevo solo fare una cosa: sposarmi!

    In quel momento avevo visto nel matrimonio l’unica soluzione valida per avere quella libertà tanto desiderata, essere amata da un uomo che mi avrebbe dato ciò che volevo e mi mancava: affetto, baci, abbracci, coccole e spensieratezza che solo mio papà riusciva a darmi colmando il mio bisogno di affetto. Purtroppo, era sempre fuori per lavoro e quell’arpia di mia madre era gelosa di noi due, la complicità che ci legava e tuttora ci lega l’ha sempre fatta infuriare e innervosire; ha sempre cercato di impedirci di stare molto tempo insieme.

    Mi sono sempre domandata come facesse papà a esserne innamorato o ne era succube oppure per il quieto vivere la sopportava in silenzio.

    Con lui andavo sia durante i fine settimana sia durante le vacanze estive (che facevo nella casa di una vecchia e cara zia materna al paese di origine di mia madre, posto in una zona collinare e piuttosto rinomata della provincia di Genova) al cinema, al parco giochi, al bar pasticceria a mangiare il gelato, nei boschi a fare lunghe passeggiate o raccogliere fiori.

    Con mio papà dialogavo bene: mi insegnava molte cose, sapeva darmi buoni consigli, soprattutto sapeva trattarmi per quella che sono veramente, al contrario di mia madre che ha sempre attentato alla mia stima dandomi dell’incapace e ribelle, cercando di farmi sentire in colpa.

    Col matrimonio avrei chiuso un capitolo della mia vita.

    Quando conobbi il mio futuro marito avevo solo sedici anni. Il mio corpo era cambiato solo da un anno, il mio sviluppo fisico era arrivato in notevole ritardo rispetto alle coetanee, mia madre era preoccupata sebbene non ve ne fosse motivo alcuno e io avevo vissuto questa sua grande e plateale preoccupazione malissimo. Mi sentivo diversa e quella differenza era accentuata dal fatto che fisicamente ero infantile, pareva che lo sviluppo dei caratteri sessuali si fosse dimenticato di me, e, quando, finalmente e a quindici anni mi sviluppai la natura mi regalò un bel corpo armonioso e proporzionato, ero snella ma non di certo magra e secca come prima.

    Finalmente ero diventata come le mie amiche e potevo essere al centro della scena e avere i miei corteggiatori, così da avere qualcosa di cui parlare con loro o a scuola con le compagne, inoltre potevo vestirmi da donna e truccarmi. Ero felicissima.

    Col mio futuro marito non era stato un colpo di fulmine, a posteriori posso dire che mi aveva attirato il fatto che era più grande, aveva una bella automobile e un buon posto di lavoro, e, rispetto ai tanti ragazzini che mi giravano intorno, acerbi studenti e un poco squattrinati, quel ragazzo sicuro di sé e un po’ appariscente mi aveva ammaliata.

    Da adolescenti è facile scambiare per amore una semplice infatuazione.

    Seppi, poi, di essere stata la scommessa tra lui e il suo migliore amico: Marco sarebbe riuscito a farmi innamorare e venire a letto con me. Ero tra le ragazzine più corteggiate, oltre ad avere la fama di non essere facile. Nelle piccole cittadine le voci circolano e si sapeva che fino a quel momento non avevo ancora frequentato nessuno! Oltre che seguire i pettegolezzi era stato molto abile a raggirarmi tenendomi costantemente monitorata. Dopotutto era un giocatore di carte e d’azzardo, non patologico, molto attento e bravo, lo seppi anni dopo, abituato a vincere e raramente a perdere.

    Avevo ceduto e mi ero sentita una schifezza, non avevo provato nulla la mia prima volta, avevo solo capito, settimane dopo, di avere perso la mia verginità per una maledetta scommessa. Il giorno dopo durante l’ora di ginnastica stetti male, nel pomeriggio confidai alla mia migliore amica, ben più grande di me, l’accaduto e seppi che lei seppure già ventenne era ancora vergine, mi aveva sgridata, anzi me ne aveva dette di tutti i colori e aveva addirittura pianto. Mi sarei presa a schiaffi tanto mi odiavo.

    Questa mia follia l’aveva turbata, per lei ero sempre stata un mito, la ragazza da cui prendere buon esempio, mi vedeva proiettata nel futuro al fianco di un ragazzo non solo bello anche bravo, allegro, divertente oltre che serio che mi avrebbe resa veramente felice. Anna sapeva che ne avevo un grande bisogno. Ci abbracciammo in silenzio piangendo. Era fatta! Dovevo imparare ad andare avanti e bene. Mi aveva raccomandata di non andare più con nessuno e di cominciare a guardare i ragazzi con maggiore diffidenza e sospetto. La motivazione aveva un logico fondamento: ero talmente dolce e carina che non sarei di certo rimasta senza corteggiatori!

    Nei giorni successivi rividi Marco, cercando di dare un senso all’accaduto ma, dopo poche settimane, una sera, mi lasciò e alle mie insistenze, accompagnate dalle lacrime, mi confessò della scommessa. Come poteva aver fatto una simile assurdità, come era riuscito a tradirmi e farmi così tanto male? In quel momento l’unica cosa che ero riuscita a fare era stare in silenzio e piangere. Non ero riuscita a dire una sola parola perché mi sembrava impossibile essere stata la scommessa di due deficienti. Sedotta e abbandonata? Non credo, direi piuttosto presa per i fondelli, e alla grande. Dio che rabbia!

    Non so se me lo ero meritato e la mia ingenuità era stata premiata. Ogni tanto mi prendeva un pensiero: temevo che il suo migliore amico, sbruffone e vanitoso, mettesse in giro la voce della scommessa facendomi deridere dai tanti ragazzi e ragazze delle varie compagnie e che la voce potesse arrivare anche ai miei genitori.

    Per fortuna mi ero sbagliata ma non avevo previsto l’unica cosa che tempo dopo fece: ci aveva provato con me. Timida o no in quel momento era tanta la rabbia che lo avevo mandato a quel paese senza sconti di pena.

    Ecco perché avevo accettato la richiesta di matrimonio da Marco, perché era diventato il mio incubo, addirittura, quando era venuto a sapere che sarei andata, durante l’estate, in vacanza con le amiche, tra l’altro più grandi di me. Eh già sono nata in ottobre e sarei divenuta maggiorenne solo in autunno! Nella mia compagnia eravamo tante e molte di noi erano addirittura ventenni. Erano studentesse o lavoratrici che si mantenevano dignitosamente, avevano l’autovettura e a fronte di ciò potevamo muoverci liberamente sia per andare a ballare che per fare altro senza usare mezzi pubblici o elemosinare un passaggio.

    La migliore tra loro era e restava Anna. Se non fosse stato per lei e la sua mamma, che era riuscita a convincere la mia, questa vacanza non l’avrei mai fatta e resta e resterà uno dei miei ricordi più belli.

    Anna era sempre pronta a farmi sorridere e malgrado la grandiosa sgridata anzi direi una vera litigata dove si era sostituita a mia madre e me le aveva cantate in musica quando aveva saputo che avevo ceduto a Marco, era quella da cui correvo sempre per qualsiasi cosa. Abitavamo a poche decine di metri e uscire di casa per vederci era semplice, ci telefonavamo poco e preferivamo incontrarci. Aveva un difetto che le è rimasto: quello di copiarmi. Quando andavamo in giro per negozi cercando qualcosa da acquistare per vestirci io sceglievo solo quello che mi piaceva e mi valorizzava, lei no.

    Aspettava che decidessi modello o colore di un qualsiasi capo di abbigliamento e cercava di comprarlo uguale. Questo suo difetto mi faceva discutere spesso perché non lo accettavo costringendomi frequentemente ad andare ad acquistare i vestiti sola.

    Ancora oggi, se può, cerca di imitarmi ma non coi capi di abbigliamento perché non ha più la smania di un tempo: si limita ad acquistare il mio stesso profumo o qualche accessorio, anzi spesso sono io che le consiglio quello che piace a me sapendo di renderla felice.

    Non finirò mai di ringraziarla. Ancora oggi resta quella che mi dice in faccia ciò che pensa di me e io di lei: tra noi si è instaurato un ottimo rapporto. Tra le due ho avuto la fortuna di essere stata la più carina, intelligente, educata, dolce, più equilibrata e generosa. Lei rispetto a me è un poco più piccola, in gioventù era snella e proporzionata, ma era affascinante e ha sempre frequentato dei gran bei ragazzi. Uno di questi lo ha sposato, stanno insieme tuttora, hanno due bellissimi figli ed entrambi mi vogliono un gran bene. Riuscivamo a compensarci, facevamo grandi litigate per poi provare un immenso piacere nel fare pace.

    Faticavamo a stare lontane, eravamo inseparabili e, per puro caso, le nostre mamme lavoravano nella stessa azienda che, in quegli anni, assumeva molte donne a tempo determinato. Si trattava di un’azienda tessile, entrambe addette al reparto di confezionamento dei tessuti.

    Lavoravano dai sei agli otto mesi l’anno e guadagnavano molto bene. Oltretutto erano anche diventate amiche: mia madre, quando aveva ripreso a lavorare, si era ammorbidita, era più positiva, impegnata, stanca ma decisamente meno aggressiva e nervosa. Addirittura, le nostre due famiglie organizzavano domeniche fuori casa per fare gite in Valle d’Aosta o nelle colline dei dintorni, scampagnate dove si mangiava sui prati oppure si andava al ristorante e Anna si divertiva a farmi fotografie perché diceva che ero un bel soggetto anche se ero e ancora oggi sono restìa a farmi fotografare.

    La mamma di Anna era esattamente l’opposto della mia, e devo dire che la loro frequentazione la stava leggermente migliorando.

    Grandiosa Anna! Era riuscita a farmi tornare la voglia di uscire e divertirmi, a sopportare il peso dello studio e soprattutto ad avere più stima di me stessa. Dopo le feste di Natale, proprio la sera del cinque gennaio, in una discoteca cui eravamo solite andare conoscemmo una compagnia di ragazzi che abitavano in una città a soli dieci chilometri del nostro paese.

    Erano tutti molti allegri, simpatici e direi carini, ognuno di loro aveva una sua caratteristica e ciascuno di loro aveva messo gli occhi su ognuna di noi così nei giorni successivi avevamo cominciato a fare gruppo.

    Uaooo! Il 1987 iniziava proprio bene!

    Uno di questi ragazzi aveva iniziato a venirmi ad aspettare all’uscita della scuola, aveva un paio di anni più di me era molto tenero, simpatico, solare e veramente molto bello. Piano piano avevamo iniziato a vederci durante la settimana, andavamo al cinema, e a passare il fine settimana con i nostri amici. Non andavamo oltre qualche effusione e ci davamo interminabili baci, ero felice in quel momento direi serena e molto positiva. Il mio ex ragazzo stava già passando in secondo piano.

    La mia breve e semplice love story era durata solo sei mesi poiché lui aveva ricevuto una buona e inaspettata offerta di lavoro in un’altra regione; avrebbe voluto continuare a vederci ma avevo preferito non trascinare una relazione che sicuramente sarebbe naufragata.

    Ci volevamo bene ma non eravamo innamorati. Di comune accordo ci lasciammo senza rancore. Chi dei due era più felice ero io perché essere riuscita a strappare il permesso ai miei genitori per andare in vacanza con le amiche, Anna compresa ovviamente, era qualcosa che valeva la pena di perdere un ragazzo anzi ne valeva la gioia.

    Ho avuto modo di provare altre belle sensazioni, sono stata felice, ma mai mi sono più sentita come in quel momento, quando seppi che sarei andata in vacanza da sola e mi invase un senso di libertà e responsabilità esaltanti. Libertà e responsabilità mi piacevano ed è per questo che ho impresso nella mente il ricordo dell’estate del 1987.

    Il piacere di sapere che per la prima volta sarei stata fuori casa e molto lontano con delle amiche e per ben due settimane, mi toglieva addirittura il sonno: passavo intere notti a fantasticare.

    Mi ero documentata sulla riviera adriatica, e Rimini era sinonimo di divertimento, direi l’epicentro! Di fare bagni in un mare cristallino non se ne parlava, noi tutte volevamo rientrare belle abbronzate, felici e il resto passava in secondo piano.

    Saremmo partite in treno, niente auto, quello era stato l’unico vincolo posto dai nostri genitori, non ci era piaciuto, ma cosa fare? Avremmo rischiato di non partire affatto e così alla fine, rassegnate, ci siamo convinte che andare in treno avrebbe reso più avventuroso il nostro viaggio.

    Arrivate a Rimini prendemmo un taxi per andare alla pensione dove, per risparmiare ed essere più libere, avevamo prenotato due grandi stanze con il bagno in comune senza la prima colazione. Furbescamente avevamo raccontato una bugia ai nostri genitori facendo loro credere che pagavamo una cifra superiore così che ci saremmo tenute la differenza.

    La colazione la facevamo nel bar della spiaggia di fronte allo stabilimento balneare, prenotato fin da subito, per il pranzo e la cena ci arrangiavamo, tutto ciò aveva il sapore dell’avventura, a volte andavamo nelle tante piadinerie altre compravamo qualcosa e mangiavamo in camera semisdraiate sui letti. Ci stavamo divertendo alla grande! Era tutto talmente bello, avventuroso e facile che mi sembrava di essere finita in un sogno: la favola della mia vita!

    Nel frattempo, Marco era divenuto una presenza costante nella mia vita. Era riuscito a obbligare l’unica delle mie amiche che poveretta all’ultimo non era potuta partire con noi – i suoi genitori, severissimi, glielo avevano proibito – a dargli il numero della pensione dove alloggiavo.

    Quando mi chiamarono al telefono sul fisso della pensione mi spaventai, avevo addirittura pensato fosse uno dei ragazzi del posto che avevamo da poco conosciuto in spiaggia e venne con me Anna incuriosita che appena aveva visto la smorfia di dispiacere sul mio viso e sentito uscire dalla mia bocca il nome di Marco si era messa a gesticolare facendomi un gesto volgare obbligandomi a tagliarlo.

    In effetti aveva ragione, ci dividevano all’incirca cinquecento chilometri, cosa mi importava di sapere se mi amava e cosa pensava: restava una persona inopportuna. Chiusi la telefonata in fretta e furia mandandolo letteralmente a quel paese.

    Oddio! Ero io quella lì? L’aria della riviera adriatica mi aveva cambiata al punto da farmi passare la timidezza? Di quella telefonata avevamo riso per ore e ore raccontando l’accaduto anche alle altre che si erano messe a ridere pure loro: che bella quella vacanza!

    In spiaggia avevamo conosciuto un gruppo di ragazzi del posto, poco più grandi di noi, di me senza dubbio, tra i diciannove e i ventidue anni, in effetti a un paio di mie amiche, quelle più grandi e ultraventenni, non piacevano, li trovavano semplici adolescenti. Non ero d’accordo: mica ce li dovevamo sposare! A me piacevano proprio tutti, perché i ragazzi romagnoli non sono come quelli piemontesi, freddi e antipatici, ma solari, simpatici, veri compagnoni che tengono all’amicizia.

    Una sera decisero di portarci a Fano. Prima di arrivare sul lungomare avevamo girato un po’ per poi andare al pub La palafitta situato a pochi metri dalla spiaggia e nel mare, che serata! Prendemmo posto in due diversi tavoli vicini e i ragazzi ordinarono da bere, parlavamo e ridevamo come se ci conoscessimo da sempre; è stato emozionante essere lì, ricordo benissimo quella serata che ho voluto imprimere nella mente perché avevo come il presentimento che non ne avrei più avute così. Uno dei ragazzi, Andrea, col quale ero solita passare più tempo in spiaggia isolandomi sia a leggere che a chiacchierare, si fece coraggio e mi portò sul tetto per farmi ammirare il panorama. Dio che meraviglia! Rimasi senza fiato, si vedeva tutto il litorale adriatico che con le sue miriadi di luci mi faceva godere uno spettacolo meraviglioso, il cielo era stellato, sembrava non esserci confini tra cielo e mare e il ragazzo, con la scusa di dirmi che in fondo ma proprio in fondo c’era la città di Rimini, mi baciò.

    Mi abbandonai tra le sue braccia e mi lasciai baciare, ero caduta in uno stato di grazia nel quale solo la voce di uno dei suoi amici che ci chiamava mi fece balzare sull’attenti. Ci guardammo, molto carinamente mi accompagnò nel locale tenendomi per mano.

    Una cosa, avevo notato, di estremamente positivo rispetto a quanto accade dalle nostre parti, o comunque nella mia zona di residenza, che i ragazzi sebbene avessero capito qualcosa si facevano i fatti loro e pure nei giorni a venire quando iniziammo a fare coppia fissa, nessuno fece battute pungenti o infelici anzi per loro era tutto normale.

    Durante quella vacanza mi ero sentita me stessa, ero la

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