Rifugiati: Conversazioni su frontiere, politica e diritti
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Anteprima del libro
Rifugiati - Filippo Miraglia
978-88-6579-133-2
Il libro
La più grande emergenza profughi dal secondo dopoguerra investe l’Europa in modo marginale e quantitativamente limitato: dei 60 milioni di donne e uomini che nel 2015 sono fuggiti da guerre e violenze solo un milione è approdato in Europa. Eppure la vulgata è che siamo di fronte a una invasione insostenibile e L’Unione europea, per difendere
se stessa, stipula accordi con la Turchia di Erdogan per delegarle la gestione dei profughi, ricacciati ai confini dei Paesi da cui provengono. Eppure, nonostante l’asprezza della situazione, il nodo resta quello dei diritti: i diritti delle persone che, una per una, devono poter avere, ovunque si trovano e tanto più se fuggono da guerre e violenze, una vita dignitosa e libera. Per questo in migliaia lavorano ogni giorno, forse troppo silenziosi. Ma sono loro dalla parte giusta, e c’è da augurarsi che non sia troppo tardi quando chi ci governa se ne renderà conto.
L’autore/l’autrice
Filippo Miraglia, già responsabile del settore immigrazione e ora vicepresidente dell’Arci, è stato protagonista di diverse campagne in favore dei migranti, da «L’Italia sono anch’io» alla proposta di legge popolare per l’attribuzione del diritto di voto nelle elezioni amministrative agli stranieri residenti.
Cinzia Gubbini, giornalista, ha lavorato per dieci anni a il manifesto occupandosi prevalentemente di cronaca, politica e immigrazione e ha collaborato con il Venerdì di Repubblica, Repubblica.it e ad alcune inchieste della trasmissione Report.
Indice
Prefazione
Introduzione
I. Profughi. Ma è vera emergenza?
II. L’accoglienza in Italia: una risposta sbagliata
III. Europa senza politica
IV. C’era una volta la sinistra
V. Discorsi d’odio, un veleno sottile
Prefazione
di Alessandro Leogrande e Luigi Manconi
Ormai anche i sassi hanno capito che la questione dell’immigrazione e dell’asilo rappresenta la contraddizione più significativa e lacerante dell’Europa contemporanea (e non solo dell’Europa, per la verità). Una contraddizione che chiama in causa economia e demografia e che evoca profondi mutamenti geopolitici e antichi problemi storici tutt’ora irrisolti. Una contraddizione che non si manifesta ora, in questi mesi, in questi anni, per la prima volta, ma che investe in particolare Paesi come l’Italia, posti lungo l’incerta frontiera tra il mondo di qua e il mondo di là, da oltre un quarto di secolo. Fin dai primi, radicali smottamenti prodotti dalla caduta del Muro di Berlino. Questo per dire come la questione dei profughi e dei migranti costituisca un enorme tema politico, tanto più complicato da affrontare in quanto intimamente correlato alla aggrovigliata matassa delle strutture economiche, sociali e giuridiche di un continente in crisi, che sta di fronte – o accanto – ad altri continenti, l’Africa e l’Asia, oggi attraversati da trasformazioni profonde e da una perdurante instabilità: le donne e gli uomini che gremiscono i barconi diretti verso le nostre coste o che si assiepano davanti agli infiniti sbarramenti posti lungo il loro cammino, fuggono in grandissima parte da aree del mondo implose, come il Medio Oriente o il Corno d’Africa, in cui è praticamente impossibile, ora e per un tempo non breve, far ritorno. Non sono una massa indistinta e anonima, sono donne e uomini, con un nome e un volto, e un cumulo infinito di traumi e speranze maturato lungo il proprio cammino. Ma, detto tutto ciò, perché questo è il quadro ineludibile di qualunque ragionamento sui flussi di esseri umani che arrivano nel nostro continente, mettiamolo da parte. E consideriamo, piuttosto, la questione dei rifugiati come problematica solo ed esclusivamente tecnica. Per capirci, e chiedendo scusa per la grossolanità del linguaggio, riduciamo tale problematica a due quesiti: come accoglierli? dove dislocarli? Una risposta possibile c’è. «Con i sei miliardi di euro che l’Ue ha dato alla Turchia – ha affermato Francesco Piobbichi, di Mediterranean Hope, intervistato da Carla Lania sul manifesto del 4 maggio 2016 – si potrebbero portare in Europa tre milioni di rifugiati, tutti identificati, registrati e pronti per essere inseriti nelle nostre società».
Tecnicamente, appunto, dal momento che i corridoi umanitari sono resi possibili da un’opportunità offerta dal regolamento dei visti europei del 2009. L’articolo 25 prevede, infatti, la possibilità per uno Stato di concedere visti eccezionali di validità temporanea per motivi umanitari. Dunque, ancora tecnicamente (ovvero finanziariamente, economicamente, socialmente), il discorso può apparire semplice, quasi elementare: si trovano quei soldi e li si destinano a progetti capaci di avviare a soluzione certa problemi che oggi appaiono insolubili. Ecco, in questo spazio stretto e tuttavia percorribile si muovono, con infinita tenacia, soggetti come Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche italiane (Fcei) e Tavola valdese – che utilizzeranno due milioni di euro per accogliere mille rifugiati in due anni – e associazioni come Arci. Ora, se assumiamo questo punto di vista per leggere il libro di Filippo Miraglia, coglieremo immediatamente tutte le virtù della ricetta Arci. In genere, interrogati sulle possibili soluzioni di questo o quel problema, i competenti si affrettano a precisare: non ho la ricetta pronta. Oppure: non ho la bacchetta magica, o ancora: non ho una soluzione miracolosa. E invece, l’Arci, la sua ricetta ce l’ha, e il merito di questo libro è soprattutto quello di illustrarla dettagliatamente. E di spiegarla e argomentarla punto per punto.
In questi anni si è assistito a una duplice risposta alle domande «come accoglierli (o non accoglierli)?» e «dove dislocarli?». Da una parte si è preferito, più o meno esplicitamente, cercare un accordo con despoti e regimi autoritari, o quanto meno non pienamente democratici in base agli stessi standard dell’Unione europea o della nostra Costituzione, perché erigessero barriere ai flussi migratori, tali da sottrarli al nostro sguardo. Lo si è fatto in passato con Mu’ammar Gheddafi. Lo si è fatto, in tempi più recenti, con la Turchia e – più in generale – lo si vorrebbe fare con tutti gli Stati coinvolti nel cosiddetto Processo di Khartoum, in primis la spietata dittatura di Isaias Afewerki in Eritrea, da cui scappano migliaia di uomini e donne ogni mese, e l’Egitto nelle cui carceri scompaiono centinaia di giornalisti, attivisti, oppositori politici. Dall’altra, si è preferito accogliere
coloro i quali sono riusciti comunque ad arrivare sulle nostre coste all’interno di un sistema più o meno articolato di grandi Centri per un’emergenza che si faceva permanente. Qui si sono riprodotte tutte le dinamiche di alienazione e