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Quando i clandestini eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana
Quando i clandestini eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana
Quando i clandestini eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana
E-book192 pagine2 ore

Quando i clandestini eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana

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Info su questo ebook

Le tragedie e le vicissitudini della nostra emigrazione che in questo libro Umberto Ursetta riporta alla nostra memoria, sono un monito contro la smemoratezza del nostro tempo. La mancanza di memoria è all’origine dei tanti episodi di razzismo, di odio e di xenofobia nei confronti di chi sbarca sulle nostre coste. È innegabile che stiamo vivendo un momento caratterizzato da una pericolosa regressione culturale che rischia di far precipitare la società in comportamenti sempre più disumanizzanti. Bisogna fare argine a questa deriva regressiva, e un modo per farlo è raccontare la nostra emigrazione che ha avuto una grande importanza nella storia italiana contemporanea.
LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2023
ISBN9791220502351
Quando i clandestini eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana

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    Anteprima del libro

    Quando i clandestini eravamo noi - Umberto Ursetta

    collana
    Mafie

    diretta da Antonio Nicaso

    26

    UMBERTO URSETTA

    QUANDO I CLANDESTINI

    ERAVAMO NOI

    Storia dell’emigrazione italiana

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    ISBN 979-12-205-0235-1

    Proprietà letteraria riservata

    © by Luigi Pellegrini Editore srl - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2023 realizzata daLuigi Pellegrini Editore srl

    Via Luigi Pellegrini editore, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Siti internet: www.pellegrinieditore.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Maria,

    Daniele e Francesco

    Prefazione

    Mimmo Lucano

    Tutto è cominciato un mattino di trent’anni fa con un veliero spinto dal vento sulla spiaggia di Riace carico di profughi curdi accolti dal vescovo Giancarlo Bregantini, un uomo di Chiesa fedele ai dettami del Vangelo. Quella presenza non poteva lasciarmi indifferente, la mia formazione politica di giovane di sinistra mi portava a solidarizzare con chi fuggiva da guerre, persecuzioni, fame e povertà. Da quel momento mi sono impegnato per fare di Riace il simbolo dell’accoglienza e dell’integrazione. Un’integrazione vera, fatta di numerose attività con le quali si è creato lavoro non solo per chi veniva da fuori ma anche per tanti giovani del posto, che non sono stati costretti a emigrare. Così, un borgo destinato al declino e allo spopolamento ha ripreso a vivere in armonia e senza conflitti attraverso una mescolanza di colori, culture, lingue e tradizioni. Un’integrazione che ha messo al centro la persona e i suoi bisogni, mal sopportata dalla miopia della politica che ha fatto di tutto, nonostante l’apprezzamento di cui godeva a livello internazionale, per impedirne la prosecuzione. Ma i semi piantati a Riace hanno radici profonde e continueranno a dare buoni frutti, a dispetto di chi vorrebbe cancellare per sempre quella feconda esperienza che invece deve restare viva nella memoria, per essere riferimento di quanti hanno a cuore la solidarietà, il rispetto e l’affermazione dei diritti umani di tutti e ovunque. Riace c’è e ci sarà sempre, è troppo importante e non può morire.

    Le tragedie e le vicissitudini della nostra emigrazione che in questo libro Umberto Ursetta riporta alla nostra memoria, sono un monito contro la smemoratezza del nostro tempo. La mancanza di memoria è all’origine dei tanti episodi di razzismo, di odio e di xenofobia nei confronti di chi sbarca sulle nostre coste. È innegabile che stiamo vivendo un momento caratterizzato da una pericolosa regressione culturale che rischia di far precipitare la società in comportamenti sempre più disumanizzanti. Bisogna fare argine a questa deriva regressiva, e un modo per farlo è raccontare la nostra emigrazione che ha avuto una grande importanza nella storia italiana contemporanea. 

    Il libro di Ursetta ci racconta che nessun Paese al mondo ha avuto flussi migratori verso l’estero tanto vasti e prolungati nel tempo come l’Italia, dove fin dai primi anni sessanta dell’Ottocento si è avuto un continuo e massiccio esodo di nostri connazionali in tutti i continenti. Un fenomeno che non si è mai interrotto e che in questi ultimi anni è ripreso in modo consistente a partire dal meridione, che si sta costantemente svuotando di giovani acculturati costretti a lasciare il paese d’origine che non offre loro alcun futuro ed emigrare là dove possono realizzare le loro legittime aspettative. Ecco perché è importante conoscere la nostra storia di popolo di emigranti. Essa ci consente di cogliere le tante affinità esistenti tra l’emigrazione di ieri e quella di oggi e di toccare con mano quanto sono simili in ogni epoca storica le difficoltà con cui chi emigra deve fare i conti. Dalla nostra storia di popolo di emigranti si possono ricavare gli anticorpi necessari per prevenire il morbo del razzismo che si può nascondere nelle pieghe della società. Per questo il libro di Ursetta è un utile antidoto per evitare di contrarre questa terribile malattia, e per questo ne consiglio la lettura.  

    Introduzione

    Questo libro sull’emigrazione italiana è stato scritto per provare a ricucire il filo della memoria che negli ultimi tempi si è andato sempre più sfilacciando, al punto da provocare un blackout che ci ha fatto dimenticare la nostra storia di popolo di emigranti. Ogni traccia del nostro passato sembra essere cancellata, ogni ricordo del doloroso vissuto dei nostri connazionali all’estero svanito nel nulla. Una perdita di memoria che ha dell’incredibile, ove si pensi che non c’è famiglia che nell’arco di una o due generazioni non abbia dovuto fare i conti con l’amara esperienza di veder partire un proprio congiunto alla ricerca di un mondo migliore. Eppure è la nostra storia, è la storia dei nostri padri, dei nostri nonni e delle generazioni che li hanno preceduti. È la storia della nostra cultura che si è mescolata con quella di altri popoli, è la storia della nostra economia che ha potuto contare sulle rimesse degli emigrati per crescere e fare dell’Italia uno dei Paesi più sviluppati al mondo.

    Come scrivono nella presentazione del primo dei due corposi volumi della Storia dell’emigrazione italiana l’editore Donzelli e i curatori Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi ed Emilio Franzina: «L’emigrazione italiana nel mondo ha rappresentato uno dei tratti più peculiari e caratteristici dell’intera storia italiana contemporanea. Se è vero che molti altri paesi hanno conosciuto e conoscono flussi migratori di grande portata, è difficile trovare altri esempi, come quello italiano, così intensi, così a lungo distribuiti nel tempo, così variegati per provenienza territoriale e sociale, così diversificati per luoghi d’arrivo.»[1] Ma nonostante l’emigrazione abbia avuto tanta rilevanza nella storia italiana, si ha la sensazione di vivere in un mondo totalmente nuovo senza alcun legame con il passato e dove si può fare a meno della storia, che non ha nulla da insegnare e può essere cancellata dalla memoria delle nuove generazioni.

    Appare, pertanto, opportuno riprendere il tema dell’emigrazione italiana per provare a riannodare il filo spezzato della memoria, in modo da avere maggiore cognizione di quanto avviene oggi con l’arrivo di persone che fuggono da guerre, fame e miseria come facevano nel secolo scorso i nostri connazionali. Se non si ha conoscenza del passato si corre il rischio di finire in balìa di politici che non perdono occasione per tirare fuori il peggio che c’è in loro e farlo diventare senso comune. È quello che avviene da diverso tempo con comportamenti sempre più frequenti di razzismo, che «è sempre stato la valvola di sfogo delle società malate, il parafulmine su cui scaricare le frustrazioni e le aspettative di una società, la costruzione di un bersaglio fragile e indifeso contro cui scagliare la rabbia e il rancore.»[2]

    Bisogna contrastare l’odio sociale che viene alimentato ad arte da una propaganda fatta di slogan mistificanti che attecchiscono sulle fasce meno acculturate della popolazione, e per questo più facilmente manipolabili. Di fronte alla regressione culturale in atto, occorre un impegno costante per far conoscere le problematiche del fenomeno migratorio. Un compito di cui dovrebbero farsi carico in primo luogo gli intellettuali facendo sentire la loro voce, ancora assai flebile. Un maggiore impegno degli uomini di cultura può aiutare il Paese a munirsi degli anticorpi necessari per non essere trascinato nel gorgo di una propaganda che vede nemici dappertutto. Se non si vuole che sia la società del rancore e della violenza verso ogni forma di diversità a prevalere, è necessario fare qualcosa prima che il sonno della ragione generi mostri.[3]

    Il libro si propone di mostrare le tante similitudini esistenti tra le condizioni di vita dei nostri connazionali che partivano verso destinazioni spesso del tutto sconosciute e quelle di coloro che arrivano sperando di trovare una terra accogliente che possa significare per loro l’inizio di una nuova vita. Le partenze, si sa, lasciano dolorosi ricordi in chi le ha vissute sulla propria pelle. Per questo, ogni qualvolta si vedono arrivare sulle nostre coste barconi carichi di dannati della terra[4] che sperano di trovare un mondo accogliente, si dovrebbe sentire forte un senso di solidarietà nei loro confronti. Perché la loro storia è la nostra storia. Non la si può rimuovere e occorre riportarla alla memoria di chi la ignora, altrimenti si favorisce il razzismo che non ha alcun interesse a ricordare i sacrifici, le discriminazioni e i lutti di cui sono stati vittime i nostri emigrati. Non dimenticare la loro storia ci aiuta a non perdere il lume della ragione e fare nostre le parole Restiamo Umani che il pacifista Vittorio Arrigoni, paladino dei diritti del popolo palestinese ucciso nella Striscia di Gaza, ci ha lasciato in eredità. Eredità che ha fatto propria papa Francesco quando dice che solidarietà è «una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi.»[5]

    Parole che dovrebbe ascoltare chi non perde occasione per fare mostra del proprio credo religioso, salvo poi fare l’opposto di quello che dice il Papa.

    [1] l due volumi dal titolo Storia dell’emigrazione italiana. Partenze (VOL. I) - Ritorni (Vol. II) pubblicati dall’editore Donzelli nel 2009 sono frutto del lavoro di numerosi autori e sono curati da P. Bevilacqua-A. De Clementi-E. Franzina.

    [2] A. Levato, Ma la civiltà non cresce con la ricchezza, il Quotidiano del Sud del 6 febbraio 2018.

    [3] L’espressione Il sonno della ragione genera mostri è il titolo di un’opera d’arte del pittore spagnolo Francisco Goya, in cui è raffigurato un uomo che dorme circondato da animali dall’aspetto inquietante.

    [4] F. Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 2007.

    [5] Papa Francesco, Lettera Enciclica Fratelli Tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2020, p. 90.

    L’umanità in cammino

    I profughi Ulisse ed Enea

    La storia delle migrazioni è antica quanto la storia dell’uomo, e per questo sempre attuale. Il primo essere vivente quando è sceso dall’albero e messo piede sulla terra, ha iniziato ad avventurarsi alla ricerca di nuovi mondi da scoprire. Il desiderio di conoscere località inesplorate e il bisogno di elevare la propria condizione di vita ne hanno fatto un individuo errante, sempre alla ricerca di un posto migliore in cui vivere. L’umanità è da sempre in cammino e nulla potrà fermarla. Non ci sono muri o filo spinato, deserti o mari, che possano impedire alle persone di emigrare, anche a costo di mettere a rischio la propria vita. È stato sempre così e sarà sempre così.

    L’uomo è nato per viaggiare, come raccontano i grandi scrittori. Omero nell’Odissea narra il ritorno di Ulisse in patria dopo la guerra di Troia. Il poema, pur essendo stato scritto tremila anni fa, è di straordinaria attualità. Ulisse affronta un viaggio in mare denso di pericoli, simile a quello che affrontano i naufraghi che sbarcano sulle nostre coste. Anche lui è un naufrago, ma a differenza di quanto avviene oggi è accolto e non respinto. Quando arriva nella terra dei Feaci[1] e incontra Nausicaa gli viene data ospitalità. La giovane e bella figlia del Re Alcinoo ordina alle ancelle di dare «all’ospite da mangiare e da bere» e di lavarlo nel fiume «dov’è riparo dal vento.»[2]

    L’emigrazione via mare viene raccontata anche da Virgilio nel poema l’Eneide. In esso, il poeta romano narra la leggendaria storia dell’eroe Enea, che dopo la sconfitta dei troiani ad opera degli achei riesce a fuggire da Troia con il figlioletto Ascanio e il vecchio padre Anchise sulle spalle. Anche lui affronta un lungo e pericoloso viaggio nel Mediterraneo prima di approdare nei pressi di Roma. La leggenda vuole che Roma sia stata fondata da Romolo, figlio di Ascanio, il cui nonno Enea

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