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Il codice dei cavalieri di Cristo
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E-book423 pagine5 ore

Il codice dei cavalieri di Cristo

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Info su questo ebook

«Uno scrittore che non ha niente da invidiare a molti celebrati autori stranieri.» 7 – Corriere della Sera

Autore del bestseller La congiura dei monaci maledetti

Palermo. Julien Brunner, docente di Geoscienze all’università di Losanna, mentre fa ricerche sul monte Pellegrino, s’imbatte in un cadavere sul cui petto sono stati incisi degli strani segni. Il passaporto di Brunner è in regola, ma a quanto pare Julien Brunner è morto la notte prima a Losanna. E il Brunner di Palermo sparisce nel nulla. Il giorno seguente, in una delle spiagge di Cefalù, vengono trovati i corpi di un uomo e una donna, vestiti con lunghe tuniche viola. Sul petto hanno segni simili a quelli della precedente vittima. Un rompicapo per il vicequestore Giovanni Barraco, capo della Squadra Mobile di Palermo, che ben presto si rende conto di essere alle prese con un intreccio che stritola chiunque tenti di capire. Gli omicidi sembrano infatti avere a che fare con dei numeri dettati da un sacerdote egiziano all’esoterista inglese Aleister Crowley, il fondatore dell’abbazia di Thélema, a Cefalù. Mentre Barraco brancola nel buio, alcuni indizi lo spingono a raggiungere Lisbona, dove Crowley ha vissuto. E dove si imbatte nei discendenti dei Cavalieri di Cristo, l’Ordine creato da re Dionigi i dopo la soppressione dell’Ordine dei Templari…

Tre cadaveri con strane incisioni sul petto
Simboli che rimandano a riti esoterici
I discendenti di un antico ordine sono tornati…

Hanno scritto di lui:
«Un romanzo ricco di colpi di scena che tengono incollato il lettore verso un finale dove tutto si incastra alla perfezione.»
Libero

Carmelo Nicolosi De Luca
È nato a Catania, ma vive a Palermo, dove scrive per il «Giornale di Sicilia». Ha lavorato 23 anni per il «Corriere della Sera». Ha curato inchieste e servizi da Europa, Asia, Africa, Medio Oriente, Sudafrica, Americhe, intervistando molti personaggi che hanno fatto la storia mondiale, tra cui Nelson Mandela. Si è dedicato solo al giornalismo fino a pochi anni fa, quando è ritornato alla vecchia passione di scrittore, pubblicando L’Italia degli inganni. Il genere che preferisce, però, è il thriller. L’autore è stato insignito, nella sua carriera, di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. La Newton Compton ha già pubblicato La congiura dei monaci maledetti.
LinguaItaliano
Data di uscita12 feb 2019
ISBN9788822730114
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    Anteprima del libro

    Il codice dei cavalieri di Cristo - Carmelo Nicolosi De Luca

    1

    «Porca miseria, le scarpe si sono rovinate», esclamò il vicequestore Giovanni Barraco, capo della Squadra Mobile di Palermo, «ma tutto questo fango da dove spunta?»

    «Dottore, da dove pensa che spunti il fango? Da sottoterra? Questo è un terreno argilloso e stanotte le porte del cielo si sono spalancate… ma un paio di scarpe più vecchie non le poteva indossare? Magari con la suola di gomma, come le mie?», chiese l’ispettore Lombardo.

    «Giovanotto, ma secondo te, stamani, uscendo di casa, potevo sapere che oggi avrei fatto una scampagnata sul monte Pellegrino? Di dover percorrere questo magnifico sentiero, in mezzo a pozzanghere, pietre e sterpi? Lombardo, qui, con questo tempo, neanche i lupi ci vengono».

    «I lupi magari no, ma una vittima e il suo assassino o assassini, sicuramente sì».

    Il vicequestore Barraco rischiò di scivolare. «Accidenti… oggi manco il tempo di entrare nella mia stanza, che Paterna si è precipitato con questa bella notizia».

    «Capo, se lei non aveva voglia di venire poteva sempre incaricare Paterna o Consoli…».

    «Sì, e io me ne stavo con le mani in mano, al caldo della mia stanza, sapendo che i miei ragazzi scalavano un monte con questo tempaccio?».

    Lombardo alzò gli occhi al cielo scuro di nubi. «Eh, sì. Lei si sacrifica sempre per noi… ma quale monte da scalare se abbiamo lasciato la macchina nemmeno dieci minuti fa?»

    «E questo sentiero in salita? Non è una scalata?»

    «Va be’, ha ragione lei, capo».

    «Ma questo tizio che ha trovato il cadavere, che cosa ci faceva da queste parti in una giornata così fredda, con nuvole che minacciano pioggia, in un passo pieno di rami rinsecchiti, fango ed erbacce bagnate?»

    «Paterna dice che parlava con accento straniero. È uno svizzero, uno speleologo o archeologo, non ho capito bene».

    «Ci voleva solo lo svizzero, speleologo o archeologo. A quest’ora saremmo belli, al chiuso, con i termosifoni accesi, e non in mezzo a questo vento gelido e a questa umidità che taglia le ossa». Rabbrividì e serrò di più il cappotto al petto. «Si sa come è stato ammazzato?»

    «Marchese, che ha preso la telefonata, non ci ha capito nulla, perché ha detto che quello parlava italiano, ma un italiano strano assai. E l’ha passato a Paterna, che qualcosa ha capito. Pare che gli abbiano tagliato il collo, nei pressi della grotta della Pietra Selvaggia».

    «Pietra Selvaggia? Ma che razza di nome è?»

    «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, dottore».

    Ripresero la salita. «E lo svizzero è rimasto sul posto?»

    «Sì, dottore. Ho allertato la forestale che ha già mandato alcuni uomini. Dovrebbero essere arrivati».

    Barraco scansò con la mano un grosso ramo d’albero secco, che invadeva parte del sentiero, e si fermò di nuovo, col fiatone. «Lombardo, sai quante grotte ci sono su questo monte?»

    «Di preciso non saprei, ma mi pare più di cento, alcune sono più in basso di dove siamo noi, altre più in alto. In mezzo, c’è la grotta col santuario di Santa Rosalia, la patrona di Palermo. C’è mai stato, dottore?»

    «No, non ho mai avuto il tempo. Ma mi dico: questo sciagurato di morto non poteva farsi ammazzare più in basso… a quanto siamo? Trecento, quattrocento metri di altezza?»

    «Più di quattrocento, dottore».

    «Ecco, quattrocento metri. E in mezzo che c’è? Sassi e sterpaglie. Francamente ha poco senso».

    «Forse erano escursionisti ed è nato un litigio».

    «E uno va a fare un’escursione con questo maltempo?».

    Alla loro sinistra si levò una voce. «Barraco… per di qua».

    Il vicequestore alzò la testa e riconobbe un ispettore della forestale. Stava su una roccia più in alto, con una mano poggiata a un tronco d’albero.

    «Ehi, Garozzo, anche tu fai la scampagnata da queste parti?»

    «E che vuoi, caro Barraco, sentivo il bisogno di un po’ d’aria fresca da conservare per le nostre calde estati».

    Risero entrambi.

    «Allora, dopo questa bella gita, cosa mi aspetta in questa grotta?»

    «Non proprio nella grotta, ma più avanti, nell’abisso».

    «Abisso?»

    «Fossa, baratro, voragine, come vuoi che la chiami?»

    «E che ne so?»

    «Zubbio di petri sarvaggi. In siciliano ti sta bene? Si vede che non ci sei mai stato».

    «Perché avrei dovuto?»

    «Magari per fare un po’ di moto, non ti farebbe male».

    «Finiscila, Garozzo, ché di moto ne sto facendo a sufficienza. Che dicevi di questo posto?»

    «È una voragine profonda centosettantuno metri, con una bocca lunga sei e larga tre. Le pareti scendono a strapiombo dal lato ovest e a picco dal lato est. La vera difficoltà consiste…».

    «No, per carità, basta così… però… come ha fatto lo svizzero a vedere il cadavere in questa profonda voragine?»

    «Ah, quel signore è della Svizzera?»

    «Svizzero, svizzero è. Allora, Garozzo, qui ci vogliono i vigili del fuoco per scendere in questa fossa, li hai chiamati?»

    «No, perché non è dentro l’abisso, è fuori, vicino alla bocca del baratro».

    «Non l’hanno buttato giù? Incredibile. Lo avrebbero trovato magari tra trenta, quarant’anni o mai».

    «Eppure non l’hanno fatto. Vieni a vedere che spettacolo, c’è anche una sorpresa».

    «Garozzo, le sorprese non mi sono mai piaciute…».

    «Sicuramente non ti piacerà, ma è curiosa».

    Barraco e Lombardo lasciarono il sentiero e furono costretti a fare un giro piuttosto largo per raggiungere l’ufficiale della forestale. Si strinsero la mano e il vicequestore presentò il suo ispettore. «Venite», disse Garozzo, «da questa parte». E si mise alla testa del terzetto.

    Si inoltrarono nella sterpaglia bagnata.

    «Proprio addio scarpe», si lamentò Barraco con un sospiro. Due uomini della forestale, ai margini di una grande apertura sul terreno, salutarono i nuovi arrivati, un terzo era rimasto qualche metro indietro. Fumava e a Lombardo sembrò che avesse al posto della faccia un lenzuolo, tanto era bianco. E forse aveva pure vomitato perché si stava pulendo la bocca con un fazzoletto di carta.

    Questo non ha mai visto un uomo ammazzato, pensò, avviandosi verso il cadavere. Un quarto uomo, infagottato in uno spesso impermeabile scuro, sui venticinque anni, di media altezza, la testa coperta da un cappuccio pesante, stava a guardare il trio appena arrivato, appoggiato con la schiena a una parete rocciosa.

    «Lei deve essere il signor…».

    «Brunner, di Losanna», rispose l’uomo, ma non accennò a dare la mano guantata all’ispettore Lombardo. Questi si avvicinò di più. «È lei che ha trovato il cadavere e ha telefonato in questura?»

    «Sì, l’ho visto per terra, morto. Col cellulare ho cercato il numero della polizia».

    «E che ci faceva quassù?»

    «Studio le grotte, e questo monte offre la possibilità di studiare i primi nuclei umani, gli insediamenti del Paleolitico superiore, quelli cristiani…».

    «Per favore», lo interruppe l’ispettore, «rimanga qui, il mio capo vorrà parlarle».

    Lombardo si avvicinò al gruppetto che attorniava il cadavere. Diede un’occhiata, fece un salto indietro, si girò di scatto e vomitò. Barraco non si mosse, era come affascinato dallo spettacolo che aveva davanti. Udì a malapena Garozzo dire: «Vedi, questa è la sorpresa. Mai vista una cosa simile».

    L’uomo aveva la gola tagliata, la camicia strappata sul davanti e delle incisioni sul petto. La pioggia aveva lavato il sangue, ma i tagli, profondi, si notavano nettamente. Gli occhi erano spalancati, e la bocca, aperta, conteneva un topo morto.

    Lombardo guardò con comprensione il forestale che se ne stava appartato in uno stato di malessere. Si avvicinò a Barraco, che dopo aver dato un’occhiata al suo viso stravolto, gli mise una mano sulla spalla, senza dire nulla.

    «È proprio sconcertante», disse l’ispettore della forestale.

    «Già», si limitò a dire il vicequestore. Si avvicinò di più al cadavere, si inginocchiò tamponando bocca e naso con un fazzoletto. Guardò attentamente le incisioni sul petto della vittima. «Garozzo, tu lo capisci che cosa sono questi segni?».

    Il forestale si avvicinò, ma rimase in piedi. «Ho dato un’occhiata, Giovanni, ma non so cosa rappresentino».

    Proprio in quel momento arrivò la Scientifica, insieme al magistrato di turno e al medico legale.

    Barraco strinse la mano a entrambi. «Dottoressa Alessandri, le presento l’ispettore Garozzo della forestale». Poi si rivolse al medico legale che accompagnava il magistrato. «Caro Luigi, siamo destinati a incontrarci in occasioni non piacevoli».

    «Purtroppo è così, ma è il nostro lavoro».

    «Signori, vogliamo dedicarci a questo omicidio?», tagliò corto Barbara Alessandri, sostituto procuratore della Repubblica a Palermo.

    «Certamente, dottoressa», rispose il vicequestore. «Qualche ora fa, quel signore laggiù…», disse indicando l’uomo dall’impermeabile scuro, «ha rinvenuto il cadavere e ci ha informato».

    «Cosa si sa del cadavere?»

    «Per ora nulla, dottoressa, siamo appena arrivati e sul corpo non c’è alcun documento o qualcosa che ci aiuti a identificarlo».

    Il magistrato si avviò verso la vittima, seguito dal medico legale.

    Lombardo si avvicinò a Barraco e disse a bassa voce: «Dottore, poteva avvertirla dello spettacolo».

    «Lombardo, quella mi sta proprio sullo stomaco… è tutta aria del continente».

    «Avrà l’aria del continente, ma è un bel pezzo di donna. Guardi che gambe! E poi è alta, bionda, non ho capito di che colore ha gli occhi».

    «Neri, Lombardo, sono neri».

    «Ah, sarà che a lei non sfugge niente, ma mi pare che gli occhi ci appizzò».

    «Lombardo, per favore, pensiamo a lavorare. Ora vedrai che vomita, come te».

    Barraco rimase deluso. La Alessandri guardò il cadavere e rimase impassibile, mentre il medico legale diceva: «Minchia… scusi l’espressione, dottoressa, ma che ci hanno fatto a questo mischino? Come l’hanno ridotto? E questo topo puzzolente? Deve essere morto da tempo».

    «Da quanto tempo pensa sia morto?», chiese il magistrato.

    «Il topo?»

    «Ma ha voglia di scherzare, dottor Puglia?».

    Il medico legale fece spallucce e si inginocchiò accanto al cadavere. Gli tastò alcune parti del corpo. «Da non molto, forse meno di tre ore, ma potrò essere più preciso dopo l’autopsia».

    «Mi faccia avere il referto, dottor Puglia. Barraco, lei mi tenga informata sulle indagini. Buongiorno signori». Si girò e andò via seguita dal suo autista.

    «Buongiorno?», ripeté il medico legale. «Come si fa ad augurare buongiorno davanti a una scena come questa? Manco mangiare potrò, oggi. Hai visto, Barraco? Neanche un muscolo ha mosso».

    «Luigi, quella è nordica. Il sangue freddo ha».

    Il medico legale grugnì. Con una pinza chirurgica tolse il topo dalla bocca dello sventurato e lo mise in una busta di plastica.

    Barraco chiamò il fotografo della Scientifica. «Marino, fa’ parecchie foto del petto di quest’uomo. Falle belle nitide, che si possano vedere bene questi segni».

    «Certo, dottore».

    Poi si rivolse agli altri poliziotti. «Setacciate i dintorni, cercate indizi, impronte, vediamo di trovare qualcosa. Lombardo, tu prendi lo svizzero, che lo portiamo con noi». Poi, rivolto al medico legale: «Luigi possiamo mandar giù il cadavere?»

    «Sì, Giovanni, qui non c’è più nulla da fare, possiamo togliere le tende».

    Si avviarono lungo il sentiero in discesa. Brunner affiancò Lombardo che lo presentò a Barraco. «Lei è il capo della polizia di Sicilia?», domandò lo straniero.

    «No, non della Sicilia, sono vicequestore a Palermo, per il territorio palermitano. Nelle altre città ci sono altri colleghi. In Svizzera avete la polizia cantonale».

    «Sì, in ogni cantone c’è la gendarmeria, la polizia giudiziaria e poi c’è quella federale».

    «Siete ben organizzati, ma che ci faceva quassù?»

    «Ho interesse per la speleologia. Sono qui per visionare alcune grotte di questo monte. Ce ne sono di molto interessanti. Purtroppo, non tutte sono accessibili, alcune entrano nel ventre del monte, altre sono a strapiombo. Da parecchi anni volevo visitare quello che Goethe ha definito il più bel promontorio del mondo».

    «Parla molto bene l’italiano».

    «Mia madre è del Canton Ticino, lì si parla l’italiano. Mio padre è invece di Lucerna».

    «Di professione allora fa l’archeologo?»

    «Insegno all’università di Losanna, geoscienze».

    «Complimenti, così giovane… Dunque, stamani ha visitato delle grotte?».

    Dopo un attimo di esitazione, Brunner rivolse uno sguardo panoramico alla città. Da quell’altezza, col suo mare, era un concerto di armonia. «Sì, ho iniziato con la più vicina, a un livello più basso dell’abisso».

    «Quale?».

    Ancora esitazione. «Quella del Pidocchio».

    «Francamente, non mi sembra la giornata adatta per delle esplorazioni su questo monte».

    «Ho poco tempo a disposizione e un po’ di vento freddo non mi spaventa».

    Barraco annuì prima di chiedere: «Dove alloggia, qui a Palermo?»

    «All’hotel Astoria».

    Arrivarono all’auto.

    «Lombardo, mettiti alla guida, io mi siedo dietro col professor Brunner».

    2

    Il vicequestore si avviò alla sua scrivania. Fece segno al professore di accomodarsi in una delle due sedie davanti al largo tavolo. L’ispettore capo Paterna sedette nell’altra, Lombardo rimase in piedi, vicino alla finestra.

    «Allora, professor Brunner, può mostrarmi un documento?».

    L’uomo si tolse l’impermeabile e dalla tasca interna di una giacca grigia estrasse un passaporto che porse al poliziotto. Barraco, senza guardarlo, lo passò all’ispettore capo Paterna, che si allontanò.

    «Dottore», continuò il capo della Mobile, «com’è che si trovava nei pressi dell’abisso della Pietra Selvaggia di mattino presto?»

    «Non era poi tanto presto, erano le nove passate da un pezzo. Ero curioso di vedere la grotta dove c’è questo abisso. Se ne parla in diversi libri. Dentro, ci sono dei miracoli della natura come la cascata pietrificata, diverse grotte naturali nelle sue pareti, pregevoli incrostazioni».

    Barraco, che era rimasto ad ascoltarlo con attenzione, si mosse nella poltroncina dall’alto schienale. «Tutto questo è affascinante, professore, ma ancora non mi ha detto come si è imbattuto nel cadavere…».

    «Quando mi sono avvicinato alla bocca del cratere ho visto quell’uomo a terra…». Tremò, come se una scossa avesse attraversato il suo corpo. «È stato orribile! Ho chiamato la polizia».

    L’ispettore capo Paterna rientrò e mise il passaporto di Brunner in un angolo del tavolo del vicequestore e accennò un sì con la testa.

    «Capisco. Per caso, mentre si avvicinava alla bocca del dirupo, ha incontrato qualcuno, ha notato qualcosa?»

    «No, nessun incontro. Solo solitudine, vento, pietre e sterpi».

    «Dunque è la prima volta che visita il monte Pellegrino».

    «Sì, la prima volta, ma ne ho spesso sentito parlare, per le testimonianze dell’arte preistorica. Ho sempre pensato di vedere le incisioni dell’Addaura, sono uniche, assolutamente diverse da quanto emerso finora nell’arte dell’antica età della pietra. Ma ho trovato il sito chiuso, sbarrato da un cancello. Perché?, mi sono domandato. Sono un bene dell’umanità».

    «Brunner, qui siamo in Sicilia, mica in Svizzera o in Francia o in America, dove si farebbero cose pazze per avere e conservare un bene così. Quella grotta è chiusa da più di vent’anni».

    «Un vero peccato. In Europa ci sono solo due esempi di arte rupestre di interesse simile, Altamura e Lascaux, con centinaia di migliaia di visitatori l’anno. Quelli che avete in Sicilia sono esemplari risalenti a quattordici, ventimila mila anni fa, incisioni realizzate con la pietra. A quel tempo non si conoscevano ancora i metalli».

    «Brunner, com’è che non si è fatto accompagnare da una guida?»

    «Non mi serviva, ho studiato bene la mappa del monte. C’è tutto, nel dettaglio: il nome delle grotte, come raggiungerle, i sentieri da percorrere, l’altezza».

    Barraco annuì e si alzò. «Scusi, professore, torno subito». Fece cenno all’ispettore capo di seguirlo.

    Si fermarono nel corridoio. «Paterna, che ne pensi?»

    «Non saprei, dottore. Il passaporto è a posto…».

    «Sì, ma questa storia della visita sul monte mi pare strana, non so cosa pensare…».

    «Dottore, questi scienziati, a volte, non è che siano del tutto normali. E poi, diciamo la verità, non è che abbiamo un appiglio a cui aggrapparci per metterlo in stato di fermo. E mi domando, se fosse coinvolto, perché chiamare noi, poteva benissimo andar via e quel morto chissà quando qualcuno l’avrebbe trovato…».

    «Hai ragione, se avesse a che fare con la morte di quel povero cristo, perché avrebbe dovuto chiamarci? Va be’, non c’è altro da fare, dobbiamo lasciarlo andare, tanto possiamo sempre rintracciarlo, se ne avessimo bisogno».

    Rientrarono nella stanza.

    «La ringrazio della sua collaborazione, professor Brunner. L’ispettore Lombardo le farà firmare una deposizione. La copia del passaporto l’abbiamo, il suo numero di cellulare anche, nel caso dovessimo avere ancora bisogno di ascoltarla». Porse la mano allo speleologo. «Stia bene».

    Rimasti soli, si rivolse all’ispettore capo. «Hai sentito, Paterna? Lui cammina da solo, scala le montagne, si infila nelle grotte, cerca cose antiche… preistoriche… e noi invece che facciamo? Pressappoco lo stesso lavoro, solo che scaviamo in mezzo alla sporcizia…».

    «E, in questo caso, troviamo anche i topi morti».

    «Santo Iddio, ma a chi viene in mente di mettere in bocca a un uomo morto un topo. Finora abbiamo visto in bocca sassi, genitali, ma mai ho sentito di topi, almeno a mia memoria».

    «In effetti, capo, è così. Un sasso in bocca a un delatore ha un senso. Ti chiudo la bocca per sempre. I genitali per uno sgarbo a una donna, ma che significato ha un topo?»

    «È quello che mi chiedo anch’io, caro Paterna».

    «E perché ammazzarlo in quel posto? Dottore, io penso che quel luogo sia stato scelto apposta dall’assassino o dagli assassini».

    «Per prima cosa, cerchiamo di identificare la vittima. Dobbiamo muoverci alla svelta, ho la sensazione che questo caso non solo non sarà facile da risolvere, ma che ci porterà molti grattacapi. Non so perché… me lo sento».

    «Il suo proverbiale istinto?»

    «È possibile».

    Bussarono discretamente alla porta e sull’uscio si affacciò Marco Borsellino, il capo della Scientifica, insieme a Cesare Gallo del gruppo ricerche.

    «Avanti, avanti», li invitò a entrare Barraco. «Che novità ci sono?»

    «Poche, dottore», disse l’uomo della Scientifica. «Sul corpo non c’erano impronte. Abbiamo stampato le foto delle incisioni sul petto, ma non ci dicono niente. Un particolare interessante sono gli scarponcini a mezza caviglia che portava. Non sono di fabbricazione italiana, ma svizzera…».

    «Svizzera?», scattò su Barraco.

    «Sì, dottore, all’interno c’è impresso il logo».

    «Svizzera… Marco, passa tutto a Lombardo. Cerchiamo di saperne di più su questa ditta». Si rivolse all’ispettore Gallo. «La tua squadra ha trovato qualcosa?»

    «Spiacente dottore, nulla. Nessun indizio, nessuna impronta di scarpe o altro, oltre a quelle intorno all’abisso. E nulla che faccia pensare che qualcuno sia salito dalla grotta del Pidocchio a Pietra Selvaggia».

    «Gallo, ho capito bene? Mi stai dicendo che non c’era alcuna traccia di passaggio dalla grotta del Pidocchio all’abisso? Che so, un ramo spezzato, un’impronta. Con tutto il fango che c’è dovevano essere ben visibili. Non può esservi sfuggito qualcosa?»

    «No, vicequestore, la mia squadra lavora in modo efficiente».

    «Non volevo mettere in dubbio l’efficienza dei tuoi ragazzi, ma è strano. Gallo, fammi un favore, dimmi qualcosa di questo abisso, possiamo scenderci? È possibile che l’arma del delitto sia stata gettata laggiù».

    «Non è una discesa facile. Per farle in breve un quadro delle difficoltà, alcune pareti scendono a strapiombo, altre a picco. C’è un tratto in cui il passaggio è molto stretto, immagini che ci sono voluti anni e anni per capire quanto quel baratro fosse profondo. Nel primo ventennio del Novecento, una squadra del Club Alpino Siciliano provò a esplorarla, ma a fatica raggiunse i sessanta metri di profondità. Si pensò che fosse il fondo, ma non era così. Solo ventiquattro anni dopo, un’altra cordata scoprì un accesso che consentiva di andare ancora più giù, ma occorreva rimuovere alcune parti franate. Solo sedici anni dopo, si arrivò a centocinque metri e, ancora dopo, a centosettantuno, il fondo definitivo. Questo, ripeto, per indicarle la difficoltà dell’impresa».

    «Quindi se uno volesse buttarci qualcosa dentro sarebbe difficile trovarla».

    «È proprio strano che non vi abbiano buttato giù il corpo di quel disgraziato, invece di disegnargli quegli strani segni sul petto e lasciarlo lì».

    «Ok, grazie Gallo». Poi, rivolgendosi a Borsellino: «Marco, fammi sapere qualcosa di più sugli scarponcini e mandami su le foto».

    «Sarà fatto, capo».

    Usciti dalla stanza Gallo e Borsellino, il vicequestore disse, rivolto all’ispettore capo: «Paterna, hai sentito? Non c’erano tracce di passaggio umano dalla grotta del Pidocchio all’abisso».

    «Quel Brunner ci ha mentito».

    Barraco si prese la testa tra le mani. «Paterna, sto perdendo colpi». Sollevò il telefono e chiamò l’ispettore Lombardo. «Lombardo, è ancora da te quel Brunner?»

    «No, dottore. È andato via da poco».

    «Vedi se lo puoi raggiungere e portamelo qui».

    «Perché, cosa succede?»

    «Corri e basta», gridò il vicequestore.

    L’ispettore corse giù per le scale, si precipitò nella piazza prospiciente l’edificio della Squadra Mobile, guardò a destra e a sinistra, si inoltrò nei giardinetti, ma di Brunner neanche l’ombra. Chiamò il vicequestore. «Nulla, dottore».

    «Chiama l’hotel dove alloggiava».

    Dopo un po’ il telefono sulla scrivania di Barraco squillò.

    «Dottore, lo svizzero ha alloggiato lì ieri sera, ma ha lasciato l’albergo stamattina presto. Si è fatto chiamare un taxi».

    «Domanda a che ora ha chiesto il taxi».

    «Già fatto. La chiamata al numero della compagnia dei taxi è arrivata dall’hotel alle otto e cinquanta. Si è fatto portare fino a un certo punto del monte Pellegrino, poi ha proseguito a piedi. Al conducente è sembrata una cosa strana, ma non era compito suo fare domande a un cliente».

    «Lombardo, chiama la collega Gisella Bruno. Parla bene il francese e l’inglese. Dille di chiamare l’università di Losanna e tentare di sapere qualcosa in più di questo Julian Brunner».

    All’università di Losanna c’era un Julian Brunner che insegnava geoscienze, ma era stato trovato morto nel suo letto, quella mattina. Era affetto da una deformazione cardiaca.

    3

    Il vicequestore Barraco prese dalle mani del viceispettore Marino le foto che gli porgeva.

    «Madonna che impressione mi fa quel topo! Chi ha ammazzato quell’uomo merita di essere scorticato».

    Via via che guardava le foto, le metteva da parte, formando un secondo mucchietto. Si soffermò su una, ne prese un’altra e la confrontò con la prima. Le guardò in orizzontale, poi in verticale e scosse la testa.

    «Marino, questi segni in primo piano sono le incisioni…».

    Il viceispettore si avvicinò di più alla scrivania. «Sì, dottore, sono le incisioni praticate sul petto di quel disgraziato. Sono strane e chi le ha fatte deve avere perso un bel po’ di tempo».

    «E secondo Puglia sono state praticate quando era già morto…».

    «Così ha detto».

    «Non mi pare che siano fatte a caso, pare che abbiano un loro ordine». Si rivolse di nuovo a Marino. «Se l’assassino ha perso tempo a incidere questi segni, un senso, almeno secondo lui, lo devono avere. Forse un messaggio».

    «Ma chi scrive oggi un messaggio con dei segni strani sul petto di un morto? Al massimo lascia un biglietto, magari sotto il cadavere. Francamente non mi è mai capitata una cosa del genere», intervenne l’ispettore capo Paterna, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.

    «Marino, se non riusciamo a capirci qualcosa, mandali alla sicurezza interna, quelli hanno i crittoanalisti».

    Uscito Marino, Barraco si rivolse ai suoi due collaboratori più stretti.

    «Che strano caso…».

    «E quando mai i nostri casi sono stati facili! Non dimentichiamo quello dei frateschi…», lo interruppe Lombardo.

    «Già, ma alla fine lo abbiamo risolto. E il nostro capo ha salvato una città», intervenne Paterna.

    «Vi faccio una confessione, ragazzi: mi manca Laura Novelli, è brava la ragazza».

    «Manca anche a noi», interloquì Paterna. «Mi ha telefonato tre o quattro giorni fa dalla sua nuova sede, a Milano. Dice che si trova bene, a parte il freddo. I nostri inverni non sono certo quelli del Nord».

    Il vicequestore sorrise al pensiero del giornalista che Laura Novelli aveva sposato. «Sergio Nato non è malaccio nel suo mestiere e poi è un bravo ragazzo».

    «Lo deve a lei se l’hanno chiamato a Milano. Con l’esclusiva che gli ha dato…».

    «Va be’… torniamo al nostro caso. Non abbiamo un movente, non sappiamo chi è la vittima, né cosa ci faceva al freddo del monte Pellegrino, non abbiamo capito nulla dei segni che l’assassino gli ha lasciato sul petto, non sappiamo con che cosa è stato ucciso e, per non farci mancare nulla, abbiamo la questione del topo in bocca».

    «Per il medico legale, la cosa che gli ha squarciato il collo potrebbe essere una sorta di roncola, ma sostiene che è difficile stabilirlo», disse Paterna.

    Squillò il cellulare dell’ispettore Lombardo.

    «È Scalici», disse al vicequestore nel rispondere. Mise il vivavoce. «Sergio, ti ascolta anche il capo, che notizie dalle compagnie dei taxi?»

    «Buongiorno, dottore Barraco».

    «Buona giornata a te, Scalici. Hai novità?»

    «Qualcosa l’abbiamo. Un tassista del posteggio di piazza Indipendenza dice di aver accompagnato all’aeroporto un tipo che corrisponde all’identikit che abbiamo diramato. Anche nell’abbigliamento».

    «Finalmente abbiamo qualcosa. Lombardo, controlla l’elenco dei voli del pomeriggio. Quanto tempo hai perso per stilare la deposizione dello svizzero?»

    «Non più di mezz’ora, è andato via intorno alle due e venti».

    «Paterna, dalle telecamere all’ingresso, fa’ visionare pressappoco quell’ora e anche quando siamo entrati con quel signore. Dobbiamo avere una foto da mostrare in giro. Speriamo che in qualcuna si veda bene il viso».

    Quindici minuti dopo, l’ispettore Lombardo passò al suo capo l’elenco completo dei voli in partenza dall’aeroporto Falcone Borsellino.

    «Secondo il tassista, si è recato all’aeroporto appena uscito da qui. Possiamo allora presumere che abbia preso un volo nella fascia oraria che va dalle diciassette in poi. E l’ultimo volo è alle dieci. Vedo che sono diverse le destinazioni italiane e quelle estere in questo periodo di tempo. Abbiamo bisogno di sapere se Julian Brunner ha preso un volo e per dove. Forza Lombardo, in marcia».

    «Dottore, non so se ci daranno quel dato, senza un manda-

    to».

    «Chiamo la Alessandri e te lo faccio avere sul telefonino. Se lo vogliono in cartaceo, che ci diano un numero di fax».

    «Vado, dottore».

    «Ah, va’ alla direzione dell’aeroporto e vedi di avere i nomi per ogni singolo volo. Ce ne saranno centinaia, prendi qualche foto e con quattro agenti va’ all’aeroporto. Vediamo se qualcuno del personale di terra lo riconosce, un’impresa disperata perché in quell’aeroporto c’è un gran viavai di persone, ma un tentativo va comunque fatto».

    In quel momento fece ritorno l’ispettore capo con le foto. «Abbiamo avuto fortuna, ha la testa china, ma il viso si vede abbastanza e anche com’è vestito».

    Il vicequestore ne prese una e annuì. «Non sono male. Prendine alcune, Lombardo, e fammi sapere».

    «Senz’altro, dottore».

    «Siediti, Paterna, ti sei fatto qualche idea?»

    «Non è facile. Sappiamo che due tizi si sono incontrati tra le otto e le nove in una zona del monte Pellegrino. E che uno ammazza l’altro. Poi un terzo, lo svizzero, arriva nello stesso posto dopo le nove. E mente, quando afferma di essersi recato a visitare una grotta antica. Perché? Il terzo uomo deve sapere di più di quanto ci ha detto, magari sa chi è la vittima o l’assassino o… è lui che ha ucciso quell’uomo».

    Barraco riprese alcune delle immagini stampate che erano rimaste sulla scrivania, le guardò con attenzione, scosse la testa, si passò una mano tra i capelli, spostò indietro la sedia, si alzò e si massaggiò, con il dorso della mano e l’avambraccio, la colonna vertebrale.

    «Questa poltroncina mi fa venire il mal di schiena. E non mi decido a cambiarla. No, Paterna, qualcosa mi dice che non è lui l’assassino. Sarebbe fuggito, lo abbiamo già detto, invece di aspettarci sul luogo».

    «Ma che senso ha denunciare l’omicidio e poi sparire?»

    «Non lo so… Dietro ci deve essere qualcosa che dobbiamo scoprire. E la ditta svizzera che produce quegli scarponcini?»

    «Abbiamo visionato il sito della ditta su internet . È una grossa azienda che esporta in tutto il mondo diversi tipi di calzature, ma tra i vari modelli non ci sono quelli che ci interessano. Abbiamo inviato un fax, aspettiamo risposta».

    «Sollecitali, Paterna, potremmo avere un’altra tessera del mosaico».

    Il vicequestore guardò l’orologio. Le otto e quaranta. Avvertiva la stanchezza di una giornata pesante. Di lì a poco

    sarebbe uscito, avrebbe mangiato qualcosa nel ristorante di Peppe Collura, poi sarebbe rientrato a casa.

    Aveva quarantadue anni e non aveva pensato a farsi una famiglia. Che vita avrebbe potuto offrire a una donna, a dei figli? Senza un orario, senza una vita propria, sempre impastato con la malavita, con morti ammazzati? In una città difficile, la mattina usciva di casa e non sapeva mai a che ora e se sarebbe rientrato. Quanti uomini delle forze dell’ordine erano morti in quella città? Il suo amico Midiri, questore a Roma, lo aveva invitato a lavorare nella capitale. Sorrise. Facevano una bella coppia e ne avevano avuti di successi, ne avevano risolti diversi, insieme, di casi complessi. Gli sarebbe piaciuto lavorare con lui. Ma non voleva lasciare Palermo, almeno finché gli avessero permesso di restare in quella sede. Non che si credesse indispensabile alla lotta al crimine organizzato in quel territorio, ma amava quella città, i suoi millenari monumenti, la sua aria di capitale di regni diversi, mai sopita.

    A distoglierlo da quei pensieri, la musichetta del cellulare. Lombardo. «Capo, all’aeroporto nessuno l’ha riconosciuto, troppi passeggeri in partenza e arrivo».

    «Lombardo, ora va’ a casa, non c’è bisogno che torni qui, ma domani ricordati di chiedere all’hotel dove alloggiava se ha lasciato qualche bagaglio».

    Barraco spense il computer, indossò il cappotto blu scuro e si diresse alla porta. Stava per chiudersela alle spalle, quando udì il telefono squillare sulla scrivania.

    Una voce femminile, imperiosa, che individuò subito. Il magistrato Barbara Alessandri.

    «Buonasera vicequestore. Ha delle novità?».

    Barraco trattenne il respiro prima di rispondere. Quella stronza, quasi alle nove di sera gli chiedeva se avesse novità. «Stiamo facendo tutto il possibile per capire come si sono svolti i fatti».

    «Va bene, dopodomani alle diciassette l’aspetto nel mio ufficio, ma mi chiami a qualsiasi ora se ha qualcosa da riferirmi. Buonasera vicequestore».

    Giovanni Barraco rimase per qualche secondo con la cornetta in mano. Poi la rimise lentamente a posto. «Ma vaffanculo», esclamò.

    4

    Il frate guardò il magnifico ingresso del maestoso Mosteiro dos Jerónimos, nel quartiere di Belém. I suoi occhi si inumidirono. Quella era la sua casa, la diocesi del Patriarcato di Lisbona, ma vi tornava sconfitto.

    Padre Manuel era morto, una fine inaspettata, che non si poteva giustificare se non con l’intervento di un essere demoniaco. La gola squarciata e il petto inciso di strani segni. E Gabriel? Dov’era Gabriel? Si sarebbe dovuto trovare sul posto. Era stato ucciso anche lui? Ma non c’era alcun segno

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