Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Città Senza Nome
Città Senza Nome
Città Senza Nome
E-book111 pagine1 ora

Città Senza Nome

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Narrativa - romanzo breve (85 pagine) - Un incontro faccia a faccia con il Grande Nemico. Colui che, sin da epoche remote, ha rivolto la sua brama di conquista sul nostro mondo.


L’Isola Morta, un dimenticato lembo di sabbia in mezzo alla laguna, un luogo già noto ai pescatori locali che lo evitano come la peste. Oscar, mite architetto di provincia, dopo essere entrato in possesso di un pericoloso manufatto, decide di recarsi su quell’isola maledetta, per scoprire la verità sulle terrificanti visioni che hanno sconvolto la sua vita. Assieme ad altri tre compagni, dovrà affrontare durissime sfide per avere salva la vita e la propria sanità mentale. Finché, nelle viscere di quella terra inesplorata, si troverà faccia a faccia col il Grande Nemico. Colui che, sin da epoche remote, ha rivolto la sua brama di conquista sul nostro mondo.


Virginio Marafante, nato a Chioggia nel 1947, vive a Milano. Ha pubblicato fantascienza su riviste e antologie fin dai primi anni settanta, vincendo il Premio Italia nel 1977. Il primo romanzo, L'insidia dei Kryan, è uscito nella collana Cosmo Argento dell'Editrice Nord nel 1979. Nel 1991 ha vinto la seconda edizione del Premio Urania col romanzo Luna di fuoco, ripubblicato nel 2019 da Delos Digital, per i cui tipi è uscito anche il romanzo Sotto il segno dell'ippocampo.

LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2021
ISBN9788825414554
Città Senza Nome

Leggi altro di Virginio Marafante

Correlato a Città Senza Nome

Ebook correlati

Narrativa horror per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Città Senza Nome

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Città Senza Nome - Virginio Marafante

    9788825409079

    1.

    Il ricordo di quanto accadde la notte di venerdì 5 Ottobre 1973, e l’orrore che ne conseguì, sono sempre vivi nella mia mente. E ancor oggi, nel silenzio della mia stanza, quell’abominio mi tormenta come un fil di ferro piantato sotto le unghie, come un suono rabbioso che si faccia spazio fino nel profondo del cervello.

    Se avessi colto in tempo la verità, o una parvenza di verità, avrei potuto fermare sul nascere l’onda di nero terrore che mi travolse? Decisamente no. La storia doveva fare il suo corso.

    Quella sera avevo da poco terminato il lavoro commissionatomi dalla Sovraintendenza alle Belle Arti. Una corposa cartelletta stava in bella mostra sul bordo del tavolo da disegno. L’osservai, sintetizzando in qualche minuto l’intera opera. Mi pareva non mancasse nulla di rilevante.

    La gamba sinistra aveva cominciato a tormentarmi, come spesso capitava, con dolori sordi e pulsanti. Un’indelebile marchio di quando, dodicenne, la sventagliata di un mitra delle truppe tedesche in ritirata mi aveva scaraventato a terra proprio di fronte a casa.

    Ripensai a mia moglie, o dovrei dire la mia ex moglie, con una punta di malinconia.

    A quel tempo, abitavamo in una villetta fuori porta, con un piccolo giardino di fronte alla casa. Tutto sembrava scorrere nella normalità. Poi, un giorno se ne andò con un bellimbusto del nord, lasciandomi nello sgomento.

    Per fortuna non avevamo figli. Lei non ne voleva, sosteneva che erano un impiccio. Già, meglio la vita spensierata e mondana che essere costretta ad accudire un fagottino piagnucolante.

    Così, dopo la sua fulminea sparizione, mi ero crogiolato nell’illusione di rifarmi una vita.

    Non era stato come speravo.

    Successivamente mi trasferii in città. La costruzione era modesta. Si ergeva su un solo piano, con un minuscolo terrazzino sul davanti, in fondo a calle Oliva. L’ingresso-soggiorno, con cucina annessa, occupava assieme ai servizi tutto Il piano terra. Al piano superiore, una stanza da letto con un grande ripostiglio ed il bagno personale. Non c’era molto spazio a disposizione. Comunque, per me andava più che bene. Lavoravo da libero professionista in casa mia, senza affanni di alcun genere.

    Con svogliatezza, rassettai la scrivania. Intendevo infilarmi sotto le coperte dopo una cena frugale. Una tazza di tè con qualche biscotto.

    Ma il campanello della porta non accettò l’idea.

    Strusciandomi la coscia dolorante con la sinistra, afferrai il bastone di nocciolo e mi alzai.

    – Arrivo – dissi ad alta voce. Sbirciai la vecchia pendola a lato dell’ingresso. Le nove. Non aspettavo nessuno a quell’ora.

    Sentii qualcuno brontolare al di là della porta, poi udii due colpetti brevi ed uno lungo battere sul legno. Un vecchio segnale. Subito intuii chi fosse lo sconosciuto visitatore.

    Infilai il bastone sotto l’ascella e, mentre appoggiavo le dita sulla maniglia, chiesi:

    – Sei tu, Spigola?

    – Certo – rispose lui con voce arrochita.

    Aprii la porta. La lampada esterna, come al solito, si era spenta, ma il lucore della calle delineò un’ombra massiccia nell’accesso.

    – Dài entra, che di umidità ce n’è abbastanza.

    Mi spostai di lato per fargli agio.

    – Va bene – rispose ed entrò. – Sei ancora al lavoro?

    – Al solito.

    Si guardò attorno, con quegli occhi chiari, piccoli e furbi. Sbirciò per un attimo da una parte all’altra, come se provasse una sorta di disagio.

    – Niente donne – scherzò lui. – Mi sarebbe piaciuto trovarti assieme ad una bella mora.

    – Come no. Davanti ad una bottiglia di vino, magari.

    – Questa è una buona idea. Il vino, intendo – disse Spigola, raggiungendo il soggiorno-studio.

    Il mio amico di vecchia data si sforzava di apparire brioso, ma aveva un’espressione sul volto che non mi convinceva. Un’ombra di apprensione, ma forse era un velo di contenuta paura. Lo notai quando i suoi denti si serrarono appena sulle labbra sottili come a trattenere un soffocato lamento.

    Indicai la seggiola accanto alla scrivania.

    – Accomodati – dissi.

    Spigola, infagottato nel suo tre quarti blu alla marinara, scosse la testa. La capigliatura brizzolata, ricciuta e lunga, ricadeva sulla fronte come una cascatella d’argento. Il volto oblungo, scavato dalle intemperie, era dominato dal naso importante, un po’ storto alla radice.

    – Ecco, ti ho portato una cosa – disse e sfilò da una tasca della giubba un pacchetto avvoltolato in uno straccio pulito. Le sue mani robuste tremarono quando lo posò sul pianale.

    Notai subito che indossava guanti di lana strappati sulle punte.

    – Un regalo? – chiesi fingendomi sorpreso. Invece ero preoccupato. Prima l’inusuale espressione del suo volto, ed ora il tremore delle mani. Cosa gli stava accadendo? Ma non gli chiesi nulla.

    Alzò le spalle e cominciò a srotolare adagio l’involto.

    – L’ho trovato stamattina, tirando su la rete a strascico. Ero in barca con due compagni a mezzo miglio dal porto, verso nord – disse. – Molto vicino all’Isola Morta. Attorno a noi, l’acqua era scura, piena di alghe e di rami marci. C’era nell’aria come un brontolio. Il resto della squadra guardava qua e là con fare sospetto.

    Trattenni una risata.

    – Credi a quelle vecchie storie?

    Ebbe un lieve sussulto. Rimase immobile, il telo svolto penzolante tra le dita.

    – Un poco – ammise di mala voglia.

    – Sono solo stupidaggini – sottolineai. – Superstizioni di gente ignorante.

    – Ma chi non ricorda il peschereccio trovato alla deriva un anno fa. L’equipaggio era sparito – si infervorò il mio ospite. – Nessuno sa dove sono finiti quei quattro disgraziati?

    Rimasi un attimo in silenzio prima di parlare.

    – Le spiegazioni possono essere molteplici – ribattei. – Una improvvisa burrasca, un onda anomala, lo speronamento di un’altra imbarcazione…

    – No, no – si spazientì Spigola. – Il tempo era bello e lo scafo non aveva nessun segno.

    – Va bene. Ma adesso non vorrai dirmi che erano vicini a quella lingua di terra.

    – C’erano. Hanno trovato due maglioni ed una sacca sul bagnasciuga dell’Isola Morta.

    – Davvero?

    – Sì. Me lo ha detto un amico…

    – Lasciamo perdere questo racconto e torniamo a noi – proposi. – Ermete, non farti influenzare dagli altri. Pensa con la tua testa. Sei un uomo intelligente e non hai bisogno che te lo ricordi.

    – Ma tu conosci più cose di me, sei un architetto.

    – L’istruzione e la cultura non c’entrano nulla con l’intelligenza – ribattei.

    Sapeva che quando lo chiamavo col suo vero nome, avrei detto qualcosa di sensato. La nostra amicizia risaliva ai tempi del dopo guerra. Lui mi aveva preso sotto la sua custodia. Era già un ragazzone grande e grosso e spesso mi aveva protetto dai prepotenti di Marina Bassa. Forse anche per la mia ferita alla gamba.

    Spigola mi guardò senza battere ciglio, fece un profondo respiro, poi, rabbonito, continuò:

    – D’accordo. Comunque, quell’affare deve essere molto antico.

    – È possibile – commentai. E intanto l’osservavo di sottecchi.

    Lui terminò l’operazione, aprendo il fagotto senza tremori.

    – Non è molto pesante, altrimenti le maglie della rete si rompevano.

    – Sei un bravo pescatore e sai come aggiustarle – dissi di rimando.

    Spigola accennò un sì strascicato.

    – Ecco fatto – annunciò. Si trasse in disparte per permettermi di guardare con maggiore facilità.

    Appoggiai il mio sostegno alla sedia.

    Al primo colpo d’occhio, l’oggetto mi parve una clessidra alta circa una ventina di centimetri e larga dieci o poco meno. Era d’un color latteo, parzialmente incrostata di conchiglie e alghe marcescenti. La base era consunta e sbrecciata in più punti. Incuriosito, avvicinai il volto e scorsi che le due ampolle non avevano

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1