Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La notte delle rose nere
La notte delle rose nere
La notte delle rose nere
E-book320 pagine4 ore

La notte delle rose nere

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il riservato critico d'arte Wayne James è stato trovato annegato vicino al molo di Livorno. Sarà stato un incidente? L'ipotesi non convince del tutto gli inquirenti. Sulla morte di Sacrì, un "ufologo" della zona, ci sono invece pochi dubbi: è stato un omicidio. Che le due morti siano collegate? Quali segreti, vizi, scandali collegano queste due morti? Sullo sfondo di una Toscana anni Novanta—fatta di anziani al bar, diversi bicchierini a testa, una parola per il governo e due per l'ultima partita di serie A—si dipana un giallo teso e dalle svolte imprevedibili.
LinguaItaliano
Data di uscita23 feb 2022
ISBN9788728175224

Leggi altro di Nino Filastò

Autori correlati

Correlato a La notte delle rose nere

Ebook correlati

Thriller criminale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su La notte delle rose nere

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La notte delle rose nere - Nino Filastò

    La notte delle rose nere

    Translated by

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 2000, 2022 Nino Filastò and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728175224

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    La notte delle rose nere

    Nota dell’autore

    Le situazioni e i personaggi del libro sono immaginari. Sono tuttavia convinto che una persona universalmente nota citata nel romanzo – e di cui non sarebbe corretto rivelare a questo punto l’identità – non sia morta accidentalmente.

    Ringrazio le persone che mi hanno aiutato con la loro pazienza, e col fornirmi alcune documentazioni: Donatella Maddalena, Lucio Catania, Eros Doni, Giannozzo Pandolfini, Carlo Pepi, Piero Carboni, Giovanni Cardellini, Silvia Brunelli.

    Personaggi principali

    Corrado Scalzi

    avvocato

    Tano Carrubba

    faccendiere

    Olimpia Landolfi

    compagna e collaboratrice di Scalzi

    Wayne James

    esperto d’arte

    Carol Ellroy

    fidanzata di Wayne James

    Tiberio Sarcì

    studioso di esoterismo

    tenente Parrino

    ufficiale dei carabinieri

    Amerigo Guerracci

    avvocato

    Renata Bruschini

    amica di Guerracci

    Roberto Foti

    scultore

    Marcella Trudu

    medico

    Parte prima

    «Dedo è arrivato, sta benone¹

    Non è vero, Dedosembra ammalato, è magrissimo, un vestito che cammina, quasi rapato a zero, come se avesse avuto il tifo. Il vestito è lo stesso di quando partì per Parigi, il velluto marrone schiarisce sui gomiti e sulle ginocchia. Ha gliocchi cerchiati. Si muove come se il corpo l’avesse preso in prestito.

    Non parla molto, di lassù racconta poco. Le rare volte che apre bocca assomiglia a una marionetta parlante. Anche la voce sembra in prestito. Progetta di partire di nuovo. Vuole andare sulle montagne Apuane a scolpire il marmo.

    Un giorno scompare. Il letto della sua camera di ragazzo è intatto. Manca la valigia. Eugenia manda un amico a cercarlo nei caffè della città. L’hanno visto due sere prima al Caffè Bardi. Era sbronzo… In quel modo suo di essere sbronzo che non si capisce se lo sia davvero o se faccia finta… Parlava del progetto di Michelangelo di trasformare in una scultura ciclopica il monte Altissimo… Gli artisti del Caffè Bardi lo trattavano da esaltato: dicevano che la storia di Michelangelo e della montagna intera che avrebbe progettato di scolpire è solo una leggenda. Qualcuno l’ha visto prendere il treno per Pietrasanta

    1

    Il fastidio di Carrubba

    Il verso della tortora ripetitivo come un antifurto. Lunedì 10 dicembre, le due pomeridiane alla foce dell’Arno; il viale deserto, tranne un taxi giallo fermo fra due platani; quasi vuoto il ristorante esteso dal viale all’argine: il cameriere appoggiato al banco del bar, un paio di avventori seduti all’ultimo tavolo sotto la finestra affacciata sull’acqua. Onde lunghe gonfiavano il fiume in senso inverso alla corrente. Un gommone con due uomini a bordo discendeva il fiume verso la foce.

    Scalzi guardava le Apuane innevate.

    Eros indicò il panorama. — Che luce…

    — Humm.

    — Le montagne sembrano a portata di mano.

    — Humm…

    Un altro tentativo di conversazione. L’avvocato Scalzi aveva mangiato in silenzio con gli occhi sul piatto. Eros alzò le spalle e gonfiò le gote.

    — Scusa — disse Scalzi — il fatto è …

    — Lascia perdere, ho capito.

    — Ho fatto male a venire. Questo stronzo: mi dà appuntamento in un posto dove si mangia male, e non viene.

    Eros accennò al cameriere in giacchetta rossa che guardava verso di loro. S’era messo la giacca per servire il piatto forte. Le spannocchie erano tignose e amarognole, sbruciacchiate apposta per mascherare tre giorni almeno di permanenza nel frigorifero.

    — Aspetta di portarci il conto.

    — Lascia che aspetti. Ancora dieci minuti, poi ce n’andiamo. Che stronzo…

    — Chi?

    — Il cliente. Mi fa venire in questo deserto, e poi non si fa vedere. Non è la prima volta che mi fa scherzi del genere. L’avevo mandato a quel paese un anno fa, lui mi fa un fischio, e io mi metto a correre come un cane. Giornata persa. A parte le spese… Mestiere maledetto.

    Scalzi aveva a noia di guidare l’auto, quando doveva andare in un posto servito male dai mezzi pubblici si faceva accompagnare da Eros, l’amico tassista. Una fase di stanca nel lavoro: se durava così avrebbe dovuto fare a meno di questo lusso.

    Il cameriere si avvicinò. Sotto la giacca da smoking troppo stretta, la camicia bianca era poco pulita, col colletto aperto. — Gradite un dessert?

    — Caffè e grappa — rispose Eros. Guardò Scalzi.

    — Per me niente caffè — disse Scalzi.

    Contava di farsi una dormita durante il viaggio di ritorno.

    — Due grappe e un caffè — riepilogò Eros.

    Il gommone, avvicinandosi alla riva, puntava verso la finestra; dei due uomini a bordo in tuta blu, uno era al timone, l’altro in piedi ondeggiava a braccia allargate. Il gommone sbatté la prua contro l’argine. L’uomo in piedi saltò e atterrò piegandosi atleticamente sulle gambe. Fece alcuni passi e venne a trovarsi sotto la finestra. Guardò Scalzi, con la faccia vicina al vetro. Girò sul fianco del capannone. Arrivò al tavolo dietro il cameriere che stava consegnando il conto. Glielo prese di mano.

    — Ci penso io — disse.

    Guardò la somma e consegnò al cameriere una banconota da centomila.

    — Tenga il resto.

    Non da farci il bagno, la mancia. La grigliata di spannocchie tignose gonfiava il conto.

    L’uomo fece una smorfia. — Caruccio, però. Lei è l’avvocato?

    — Lei chi è?

    — Il commendatore l’aspetta qui vicino. Da solo, però.

    — Commendatore? — disse Scalzi. — Commendatore chi?

    — Il commendator Carrubba: l’aspetta qui vicino. Ci andiamo col gommone. Da solo, però. Il signore chi sarebbe?

    — Che gliene importa?

    Poi Scalzi bofonchiò a mezza voce:

    — Commendatore un cazzo… Eros, aspetti qui, per piacere? Faccio presto.

    — T’aspetto in macchina — disse Eros.

    Il gommone girava in tondo sfiorando la riva. L’uomo al timone l’accostò alla sponda premendo una mano sul cemento dell’argine. La mano scivolava, e l’imbarcazione ondeggiava sulle onde che gonfiavano con la marea. Scalzi esitò prima di fare il salto. L’uomo entrato nel ristorante fece l’atto di afferrarlo sotto l’aseella. Scalzi gli allontanò la mano con un gesto brusco; crollò all’interno annaspando per afferrarsi ai bordi. Il gommone sbandò. L’uomo al timone allargò le braccia per rimetterlo in equilibrio. L’altro saltò con un balzo leggero. Fece una risatella guardando la mole di Scalzi buttata come un sacco sul fondo della barca. Era un giovanotto magro e slanciato. Scalzi gli lanciò un’occhiata feroce.

    Navigarono in direzione opposta alla foce. Lasciarono il fiume, risalendo per mezzo chilometro un canale invaso da cannette acquatiche che si inchinavano al passaggio. Sbucarono sul bordo di una radura circondata da macchie di pinastri e di tamerici. Nel mezzo, piantato nella fanghiglia sopra un carrello mobile, un cabinato di quindici metri nuovo di zecca.

    — L’aspetto qui fuori — disse il giovanotto atletico. — Quando ha fatto mi chiami. Il commendatore è dentro. — Indicò la scaletta che portava sul ponte.

    — Commendatore un cazzo — disse Scalzi, stavolta a voce alta, apposta per farsi sentire.

    Il nome del cabinato, elisa repubblica panamense , in lettere nichelate, scintillava sotto il sole.

    A metà della scaletta, sbirciando da un oblò, Scalzi vide Carrubba nella penombra di una cabina arredata con divanetti di pelle color cacca d’infante. Sul ponte gli giunse la voce del commendatore: — Vieni, Corrado. Sono quaggiù.

    Scese la scaletta interna. Carrubba sedeva a un tavolo lustro di modanature d’ottone, la luce verdastra filtrata dall’oblò gli illuminava le guance enfiate e i denti falsi. Dietro il banco di un baretto, coppe e bottiglie di champagne Cristal, infilate negli appositi supporti ad anello. La sola cosa là dentro che avesse conosciuto il mare era il veliero nella foto incorniciata su una parete; tutto il resto puzzava di vernice, arrivato di fresco dall’ultimo Salone della Nautica.

    — Mettiti comodo. — Carrubba indicò il divano oltre il tavolo. — Quanto tempo è che non ci vediamo?

    — Un anno, più o meno. — Scalzi si guardò una scarpa infangata. — Non c’era un posto più comodo?

    Durante la traversata sulle onde della foce, mentre la nausea gli prendeva lo stomaco, aveva pensato di rinfacciargli i cento chilometri per arrivare in un posto umidiccio, l’attesa per più di un’ora, il pranzo meno che mediocre, Eros costretto ad aspettarlo chissà per quanto tempo…

    Ma Carrubba diffondeva un’aura di pace. La beata medusa del suo faccione, gli occhi annacquati dalla tenerezza anestetizzarono il rancore. Era così che riusciva a fregare tutti.

    — Da quando sei commendatore?

    Carrubba fece un gesto vago, spostò il sedere per accomodarsi meglio, la pelle del divano scricchiolò. Pareva che la barca fosse il guscio cheratinoso di un mostro alieno cresciutogli intorno.

    — Sai com’è: quei ragazzacci mi vogliono bene. Mi chiamano così.

    Esibiva un sorrisetto da Gioconda ingrassata, denso di proposte ambigue. Ma negli occhi, ingialliti dal bere, spuntava l’ansietà di quando temeva che lo sbattessero in gattabuia. Stavolta il focherello della strizza era più intenso: paura nera, sembrava.

    Rimasero a guardarsi in silenzio. Scalzi stronfiò. — Il lussuoso naviglio, sebbene in secca, l’ho ammirato a sufficienza. Ho uno studio apposta per riceverci la gente con le rogne. Ormai sono qui: la tua qual è?

    — Bevi qualcosa? Una flûte di champagne…

    — No. Tira fuori il rospaccio, e facciamo presto.

    — Non è un rospaccio. Non proprio. Un fastidio, più che altro…

    — Tu saresti il tipo che si rintana nella guazza di una palude per un fastidio qualsiasi?

    — Non è come pensi tu. Nessun rischio di galera, voglio dire. Un privato qualsiasi…

    — Cioè?

    — Mi dà un sacco di noie, questo tizio. Senza ragione. Io non gli ho fatto nulla…

    Parlava con lentezza esasperante, le pause isolavano ogni frammento della frase. Sceglieva le parole come oggetti in una stanza buia in cui stesse dormendo una persona. Non si doveva svegliare, questa persona. Bisognava che non capisse cosa lui aveva in mente.

    — Sicuro di non avergli fatto nulla? Nessuna fregatura?

    Carrubba fece la faccia offesa. — Io? Quale fregatura? Nemmeno lo conosco, quasi! L’ho visto un paio di volte, sì e no, di sfuggita…

    All’inizio di una conversazione col Carrubba, occorreva darsi da fare per convincerlo a scoprire le carte. Però non gliel’avrebbe data la soddisfazione di arrabattarsi a furia di domande per tirargli fuori poco a poco la faccendaccia che lo rodeva. Si spiegasse lui.

    Silenzio. Scalzi accese una sigaretta. Dall’oblò, Carrubba guardava con espressione malinconica un gabbiano con le penne ingrigite dal catrame, che gli ricambiava lo sguardo appollaiato di profilo su un palo. La luce della tersa giornata di dicembre, fino a poco prima intensa, incominciava a smorzarsi. Dal fiume saliva l’umidità. Fra poco Eros sarebbe stato costretto ad accendere il motore per mettere in funzione il riscaldamento.

    — Un tizio ti rompe le scatole. È normale, nella tua vita…

    Carrubba prese un’espressione rampognosa come se il molestatore fosse in qualche modo complice di Scalzi. — Dovresti farlo smettere. Non so. L’avvocato sei tu…

    — Com’è che ti dà fastidio, questo tizio? E parla, accidenti a te!

    — Mi minaccia.

    — Cioè?

    — Dice che dovrò morire. Che sono segnato.

    — Te lo dice, come?

    — Telefona. Scrive. Mi faxa in continuazione stronzate del genere che mi restano poche ore, eccetera…

    — Perché?

    — Perché… Cosa?

    — Il motivo! Il motivo di queste minacce! Qual è?

    — Non lo so.

    — Come non lo sai? Ti ricatta?

    — No. Sul serio: non capisco cosa voglia da me, questo tizio…

    Silenzio. Il gabbiano fece un versaccio, e volò via sbatacchiando le ali.

    Carrubba pure si mosse, ma molto lentamente. Si mise di sghimbescio; poco alla volta fece apparire da sotto il tavolo un piede, quello sinistro, ingessato e calzato da una pantofola nera. Chinò il capo a guardarsi fissamente il piedone, accentuando l’espressione malinconica:

    — Visto?

    — Visto cosa?

    — Il piede. Rottura del metatarso. Dovrò restare ingessato per almeno un mese.

    — Mi dispiace. C’entra questo tale?

    Carrubba tentennò il capo. — Anche la Mercedes. Ci avevo fatto neppure diecimila chilometri. Finito: da mandare dallo sfasciacarrozze, praticamente.

    — Ti ha investito quel tizio?

    — No. Ho abbracciato un albero.

    — Allora non è colpa sua…

    — Invece sì.

    — Hai detto che sei andato a sbattere contro un albero…

    — In un certo senso, però…

    — Fammi capire.

    — Se non mi lasci parlare…

    Scalzi cercò un portacenere: non c’era, Carrubba non fumava. La cicca stava bruciandogli le dita. Schiacciò il mozzicone sul tavolo, con una manata lo spazzò via.

    — Penso che abbia ragione — disse.

    — Chi?

    — La persona che dice che ti mancano poche ore. Qualcuno t’ammazzerà, prima o poi.

    — Chi?

    — Per esempio io. Ho voglia di strangolarti.

    Carrubba rise, soddisfatto che Scalzi fosse uscito dai gangheri. Continuò a ridacchiare mentre afferrava un bastone col manico d’argento, s’alzava in piedi, apriva uno stipo, tirava fuori un portacenere e lo depositava sul tavolo.

    Scalzi si rassegnò a fare il consueto esercizio di pazienza. — Andiamo per ordine. Comincia dall’incidente. Racconta com’è andata.

    — Niente… stavo uscendo da un night: La Tana del lupo… La Tana del topo… Di un animale, insomma… Sai quello sul viale dei Tigli? Dove stazionano le nigeriane, vicino a Viareggio… Imbocco il viale, faccio appena in tempo a prendere velocità, e appare lui. Guardo nel retrovisore per vedere cosa combina e… Niente: un lampo, mi sono ritrovato in ospedale.

    — Ti ha costretto a sterzare?

    — Chi?

    — Il famoso individuo, quello che ti minaccia. Era in mezzo alla strada?

    — Macché. Stava di lato, tra gli alberi. Parlava con una nigeriana. Contrattava la prestazione, credo. Il fatto è che per guardarlo nello specchietto…

    — Sarebbe colpa sua se ti sei rotto il piede?

    — In un certo senso…

    — Senti, Carrubba — disse Scalzi parlando tra i denti — mi stai prendendo in giro, per caso?

    — Io? No.

    — Sì, invece! Telefono a Scalzi, hai pensato, lo faccio arrivare in un posto da artrite galoppante e gli racconto un sacco di cazzate, così mi svago. — Scalzi alzò la voce: — Tanto non ha niente da fare. Ha tempo da perdere, lui.

    — Perché devi essere sempre così cazzoso? — Carrubba ricominciò a guardarsi mestamente il piede. — Prendi storto ogni cosa. Rilassati. Non c’è soltanto il fattore dell’incidente. Ci sono altre cose.

    — Archiviamo l’incidente, allora. Parlami delle minacce. Minacce gratuite, hai detto, non ricatto. Con quale scopo, allora?

    — E un po’ complicato…

    — Guarda che me ne vado.

    Carrubba respirò a lungo, dilatandosi in ogni parte del corpo. Espirò emettendo un sibilo.

    — Un mesetto fa ero in trattative per comprare da un tale čerti oggetti.

    — Questo tale è quello che ti minaccia?

    — No. Il venditore è un altro.

    — Cosa sono?

    — Cosa?

    — Questi oggetti!

    — Delle statue.

    — Tu volevi comprare delle statue?

    — Dopo è venuto fuori che varrebbero molto di più del prezzo stabilito. Pare che siano di un artista famoso…

    — Di chi?

    — Di un certo…

    Carrubba chiuse gli occhi. Sembrò essersi addormentato. Non era da escludere. Soffriva della sindrome del ragazzo grasso di Pickwick.

    — Un certo…

    — Sì?… — emise Carrubba alzando un poco le palpebre.

    — Chi sarebbe quest’artista famoso? — gridò Scalzi.

    — Un certo Modigliani — alitò Carrubba come in sogno. — Le sculture me le vendeva un tale che fa lo sfasciacarrozze a Livorno.

    — Si capisce — disse Scalzi — lo sfasciacarrozze vende allo sfasciacoglioni, collima. Dove le avrebbe trovate le sculture autentiche di Modigliani, nel portabagagli di un’automobile da rottamare?

    — Ne ha tre.

    — Tre cosa?

    — Sculture di questo Modigliani. Lo sfasciacarrozze ne ha tre.

    — Don Lollò Zifara — disse Scalzi. — Hai presente?

    Partiti dalla foce ch’era già buio, Eros guidava curvo sullo sterzo, intontito dal freddo dopo tre ore d’attesa. Col motore al minimo, il riscaldamento del taxi non aveva funzionato.

    Si grattò la barba e inquadrò la citazione:

    — Il personaggio della Giara di Pirandello, quello che va dall’avvocato per ogni quisquilia.

    Sotto la tesa del cappello da marinaio gli occhi luccicarono di soddisfazione. Eros era stato un attore di Kantor; aveva girato il mondo col gruppo teatrale del regista polacco. Faceva il tassista dalla morte del maestro. Sapeva il fatto suo in campo teatrale.

    — Bravo — disse Scalzi. — Carrubba ha capito che la legge è uno strumento nelle mani di chi ha più talento per farla valere. Più acuto di molti avvocati. Emana un fluido ipnotico, in ogni competizione riesce a intiepidire la temperatura. Non l’ho mai sentito alzare un tono. Si maschera da cane grasso e paciocco, inoffensivo anche se prende un calcio, ma all’occorrenza morde, eccome.

    — Lo conosci da molto?

    — Da più di vent’anni. Faceva il costruttore, ora pare si occupi di spedizioni via mare, noleggia navi. La prima volta che apparve nel mio studio si era impegnato a costruire un complesso residenziale da un centinaio di miliardi. Lavoro inadeguato per la «compagine aziendale», come la chiamava lui, cioè una dozzina di campani in odore di camorra, un paio di caterpillar, una gru, un prefabbricato sbilenco adibito a dormitorio e ufficio. L’impresa primaria che gli aveva affidato il subappalto calcolava che la sua aziendina si dissanguasse di debiti per rispettare i tempi di consegna, e che fallisse. Avrebbe poi comprato dalla curatela le opere più costose a un terzo del valore. Carrubba, però, è uno che s’informa. Il terreno su cui doveva tirar su le fondazioni era stato la discarica di una fabbrica chimica. Gli acidi residui corrodevano il cemento armato. La costruzione vera e propria non la incominciò neppure. Continuò per un pezzo a farsi pagare cosiddette opere di urbanizzazione, mentre i suoi dodici apostoli lisciavano il terreno intorno al fabbricato futuribile. Nelle ore libere, ed erano molte, rimorchiavano le prostitute dei paraggi e facevano tornei di calcetto quando c’era il sole, e di scopone scientifico, chiusi nel prefabbricato, quando pioveva. I magnati del mattone pagarono quasi un miliardo una specie di campo da bocce, più innumerevoli buche scavate e riempite. Quando se ne accorsero, denunciarono Carrubba per truffa e gli fecero sequestrare il cantiere. Fu allora che venne da me. Giocammo la carta degli acidi che impregnavano il terreno delle fondazioni e la spuntammo. Il cantiere venne dissequestrato, l’impresa primaria pagò anche i danni. Da allora ne ha fatti diversi, di colpetti del genere, e molto più pesanti, un paio di volte è finito in galera. Riesce sempre a uscirne quasi pulito, perché tratta con gente che lo vuole fregare, e lui frega loro, ma solo di rimessa. Ora s’è dato alla navigazione. Penso che abbia saturato il settore edilizio.

    L’ex attore usò un tono critico: — L’hai difeso spesso?

    — Di mestiere faccio il penalista — replicò Scalzi, un po’ piccato. — Carrubba è un cliente benemerito dello studio. Nel senso del tempismo. Appare nei momenti di crisi. Come all’epoca del campo di bocce. Era il 1981. In quel periodo correvo in lungo e in largo a difendere terroristi rossi. Ho visitato tutte le carceri d’Italia, in quell’epoca. Pagato una miseria, come puoi immaginare. L’apparizione di Carrubba fu una boccata d’ossigeno. Come sarebbe stata oggi. Di lavoro ce ne sarebbe, e remunerativo. Ma i tangentisti da me non ci vengono. Per certe persone ho un passato inaffidabile. I tribunali, di questi tempi, non si occupano d’altro: spaccio di droga e tangenti.

    — Questa volta, però, hai rifiutato l’incarico…

    — Stavolta Carrubba sta tentando un colpo pesante. È ancora nelle fasi preliminari: rischierei di restarci invischiato anch’io.

    Scalzi accese una sigaretta. Eros aprì con discrezione uno spiraglio.

    — Scusa — disse Scalzi — non ricordavo che hai smesso.

    — Con tutto lo smog che siamo costretti a ingoiare, noialtri — sospirò Eros — mettici anche le sigarette. Un tale minaccia lui, perché dovrebbe essere rischioso per te?

    — Il tizio che lo minaccia non c’entra nulla.

    — Dicevi che è spaventato.

    — Ha lasciato la casa e l’ufficio. Da una settimana vive nel cabinato. Stipendia un paio di guardaspalle. Ma non perché ha paura di questa persona. Anche la storia del piede rotto: un polverone perché non cercassi di approfondire che cosa lo spaventa davvero. Il tizio che lo minaccia, si chiama Sarcì, ho capito che è una specie di matto. Carrubba mi ha fatto vedere una delle sue lettere. È dubbio che si tratti di minacce. Il foglio era pieno di geroglifici incomprensibili e di farneticazioni esoteriche.

    — Di che ha paura allora?

    — Non lo so. Non l’avevo mai visto fare la verginella ritrosa fino a quel punto. Sono riuscito a capire che l’inghippo è altrove. Carrubba s’è messo in contatto con un museo americano per vendergli a suon di miliardi certe sculture di proprietà di uno sfasciacarrozze di Livorno, che a sentir lui sarebbero autentiche. Nessuna persona sana di mente potrebbe credere che a Livorno esista uno scarabocchio di Modigliani, dopo la gabola delle teste ripescate dai Fossi. Lui ha cercato di convincermi. Mi ha raccontato che l’esperto del museo le avrebbe viste e che sarebbe sicuro dell’autenticità. Gli ho detto che quell’esperto s’intende d’arte come io m’intendo di fisica nucleare; gli ho fatto presente che gli americani diventano permalosi quando qualcuno cerca di imbrogliarli; e che i giudici italiani, anche loro sono severissimi con i pataccari che cercano di truffare gli stranieri, perché rovinano il turismo. Mi sono incazzato: non s’interpella un professionista per farsi consigliare sul modo migliore di commettere una truffa. Non me, comunque. S’è offeso. Abbiamo litigato.

    A fianco del taxi apparvero le luci dell’aeroporto di Firenze. Un aereo splendente come un albero di Natale planava con lentezza, quasi sfiorando le macchine in uscita dall’autostrada.

    — Gita a vuoto — disse Eros.

    — Già.

    — Per fortuna la giornata era bella.

    — Mangiato malissimo, però…

    Eros usò un tono gentile, con intenzione consolatoria:

    — Gli spaghetti allo scoglio erano discreti…

    — Ho preso il riso. Era scotto.

    2

    Gli occhi di zio Totò

    Nell’aula bunker di Santa Verdiana, al processo per la strage mafiosa di via dei Georgofili, stava deponendo un teste. Raccontava che il ragazzo, di cui Scalzi assisteva i genitori come parti civili, era apparso in mezzo alle fiamme alla finestra del secondo piano di una casa davanti alla Torre dei Pulci. Sembrava che avesse intenzione di tentare il salto, ma la vampa l’aveva risucchiato nell’interno. Il ragazzo era morto, arso vivo.

    Scalzi non riusciva a tenere gli occhi aperti. Lo accecava la luce, puntata proprio di fronte, di un riflettore che illuminava il campo di ripresa della telecamera. Non c’era nulla di interessante da inquadrare, dal lato dove si trovava. L’aula era semivuota. Dopo la prima udienza, quando la gabbia era al completo, e l’aula piena di avvocati e di giornalisti, il processo per la strage di via dei Georgofili si trascinava stancamente come una causa di routine. Lo disertavano anche gli imputati mafiosi, impegnati in decine di altri processi.

    Scalzi si distolse dal testimone per guardare la gabbia. Solo due scomparti erano occupati.

    Un certo Pizzuto stava sdraiato su una barella, avvolto da una coperta marrone, con le spalle ai giudici. Dalla coperta spuntava un ciuffo scomposto di capelli bianchi. Il suo avvocato sosteneva che era catatonico, in fase avanzata di demenza

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1