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Il paradosso della normalità
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E-book181 pagine2 ore

Il paradosso della normalità

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Info su questo ebook

Qual è la differenza fra una scelta e un’imposizione quando si va a intervenire sulla normalità? VOI è un nuovo partito politico che lavora con onestà e dedizione per aumentare la felicità dei cittadini. Lo fa attraverso l’ausilio dell’IFM (Indice di Felicità Media), proponendo riforme controverse che saranno votate tramite referendum online. Il raggiungimento di uno scopo tanto onorevole, come la felicità dei cittadini, metterà in dubbio alcune certezze etiche. Paolo, Maurizio e Carlo subiranno in prima persona gli effetti di questa nuova realtà.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2020
ISBN9788835825876
Il paradosso della normalità

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    Anteprima del libro

    Il paradosso della normalità - Matteo Secchi

    MANNARINO

    23 Marzo

    BENVENUTI IN BANCA BRAMA: IL PERSONALE È LA NOSTRA RICCHEZZA: così recita l’insegna all’ingresso. I primi mesi la trovavo anche motivante, ma ormai sono anni che vedo sempre le stesse facce, che sento le stesse battute, che ascolto i soliti racconti, uguali e profondamente banali. Penso di essere diventato bravissimo ad annuire e a sorridere nei giusti tempi quando qualcuno mi parla e io non presto attenzione.

    Inoltre, inizio a non sopportare più nemmeno i colori aziendali: dovrebbero vietare la possibilità di usare così tanto verde. Logo verde, porte verdi, scrivanie verdi, persino qualche parete dipinta in tinta, e la cosa peggiore è che a trent’anni ho vissuto meno anni di quanti ne dovrò ancora lavorare.

    Oggi però non ci penso. Oggi è una di quelle giornate in cui le persone altamente sensibili come me riescono a mettersi in sintonia con il mondo e godere della bellezza delle piccole cose.

    Alla stazione m’immergo nella fiumana di sconosciuti che si dirige verso il binario. Sembra proprio che inserirsi in questo flusso umano dimostri la validità e lo spessore di una persona impegnata. Sono tutti di fretta, non importa che la frequenza della linea sia di appena tre minuti, quello che conta è essere lì il prima possibile. Avanzo nei corridoi con passo spedito. Le scale mobili sono una terra di confine, dividono ordinatamente le correnti umane: o sei fra chi sale o fra chi scende, nessun’altra alternativa.

    Mi fiondo fino al binario, arrivo giusto in tempo per vedere i rassicuranti fari tondi del treno sopraggiungere dal buio della galleria. Grazie alla mia capacità di adeguarmi al flusso caotico, riesco ad assicurarmi un posto a sedere nella carrozza semivuota.

    Ho la batteria del telefono scarica, quindi passo il tempo a guardarmi intorno.

    Osservo le pubblicità, i divieti e la cartina delle fermate. Delle poche persone presenti nel vagone, almeno la metà dorme nelle posizioni più disparate: qualcuno sorregge la testa sul palmo della mano, qualcun altro si affida al fragile equilibrio del bracciolo, altri utilizzano il finestrino come cuscino. I migliori sono quelli che poggiano inconsapevolmente il capo sulla spalla del vicino, che nel novanta percento dei casi non protesta per tenerezza.

    Il suono della metro rientra fra i rumori bianchi? Non lo so, però lo trovo soporifero, più delle riunioni al lavoro. Con lo sguardo assonnato osservo l’armonia dei volti che mi circondano, i tratti somatici sono differenti, eppure tutti gli occhi sono rivolti al display del telefonino nello stesso modo. Un’attrazione irresistibile.

    È proprio leggendo una notizia sul telefono che una coppia davanti a me si confronta sul tema del giorno: la sovvenzione statale per i matrimoni omosessuali. Da oggi sarà favorita l’unione tra individui dello stesso sesso per bilanciare il rapporto di sette donne per ogni uomo presente nel paese. Dopo il referendum, la proposta di legge è passata in Parlamento e gioverà all’innalzamento dell’IFM, l’Indice di Felicità Media.

    Anche il mio voto è stato favorevole, sono d’accordo con le motivazioni sottese alla consultazione popolare. Ci è stato spiegato che il numero dei single influisce negativamente sull’IFM, mentre le unioni sono un fattore positivo e, dato il rapporto non equo fra il numero delle donne e quello degli uomini, il Governo sta tentando d’incoraggiare l’outing per dimostrare la legittimità dell’omosessualità e incoraggiare le nuove unioni. È chiaro che, in maniera più velata e a lungo termine, si sta saggiando la promozione dell’omosessualità a discapito della solitudine. Abbiamo molta fiducia nelle strategie d’innalzamento dell’IFM e c’è grande euforia per i risultati ottenuti fino a ora.

    Ascolto con attenzione i discorsi della coppia, sono commosso dalla loro sensibilità al problema. La nostra società ha raggiunto una maturità mai vista prima, siamo tutti integrati nello stesso sistema, non si parla più di io ma di noi.

    Ricordo bene gli anni prima di questo Governo. L’economia era fiorente, la disoccupazione rientrava nei limiti e i servizi tutto sommato funzionavano. Nonostante i conti in regola, però, il paese aveva un problema di prioritaria importanza: un tasso di depressione altissimo.

    In tanti vivevano nel grigiore, privi di stimoli, come marionette che svolgono la loro parte nel mondo subendo la volubilità della vita. Ci si era affidati alla medicina per tentare di distruggere questo mostro silente, ma tutti gli studi portavano a una scomoda verità: la depressione non era altro che un sintomo, qualsiasi cura avrebbe potuto solo lenirne gli effetti. Per risolvere il problema alla radice occorreva agire sullo stile di vita, combattere la causa scatenante del malessere.

    Accusavamo i politici di avere gravi responsabilità su questo malcontento diffuso, di non avere a cuore il benessere dei cittadini. Ma la campagna elettorale, in modo del tutto inaspettato, ci aveva regalato un’alternativa politica: VOI. Un nuovo partito che finalmente ci ascoltava e riusciva a rispondere ai nostri bisogni.

    Era formato da gente comune, che si allontanava dall’arroganza della vecchia classe politica e si avvicinava alla comunità. La loro priorità era riportare la contentezza nei cittadini e per raggiungere lo scopo impiegavano davvero molta passione. Erano brave persone, lo si percepiva, la loro onestà non poteva essere messa in discussione, anche perché coinvolgevano i cittadini in qualsiasi decisione. Era sufficiente una connessione internet per partecipare realmente alla vita politica del paese, attraverso la rete rispondevamo ai sondaggi, esprimevamo le nostre opinioni, ci confrontavamo sulle varie proposte. Finalmente eravamo parte attiva, non più passiva come eravamo sempre stati.

    Il VOI riuscì a vincere le elezioni con un’ampia maggioranza, grazie soprattutto alla promozione dell’IFM, un valore in grado di quantificare la felicità media dei cittadini. Sulla crescita di quest’indice era basato tutto il programma elettorale. Il nuovo partito preferiva dare meno importanza al Prodotto Interno Lordo e più valore all’Indice di Felicità Media: come avrebbero potuto non conquistarci?

    Sebbene le loro idee per incrementare l’IFM ci sembrassero talvolta eccessive, ne intuivamo la necessità. Dandoci modo di valutare tutte le proposte attraverso dei referendum consultivi, ci mettevano per la prima volta nella condizione di potere scardinare quei difetti del sistema che avevano portato il paese dentro il tunnel della tristezza. Eravamo liberi di ottenere la nostra felicità, il futuro luccicava di grandi aspettative e infinite opportunità.

    «Prossima stazione: Cortano», annunciano gli altoparlanti della metro.

    Indosso la mia borsa verde con entrambe le bretelle e mi avvicino all’uscita del vagone. C’è una bella pubblicità di fianco al finestrino, con un albero abbastanza incazzato che chiede: Che contributo stai dando al mondo? Un bambino paffutello la fissa, sicuramente è più incuriosito dall’immagine che dal messaggio ecologista.

    Le porte si aprono, mi faccio largo tra la folla e mi dirigo verso i tornelli.

    È una bella giornata, il cielo è terso e la temperatura molto gradevole, nonostante l’aria mantenga ancora gli strascichi freddi dell’inverno.

    Faccio appena in tempo a varcare il portone di casa che un lamento dilaga per le scale. È Shibuya con la sua solita accoglienza strappalacrime. Non ho mai capito se quel verso malinconico sia una disperata voglia di compagnia, una richiesta d’aiuto o un’esortazione ad aprire la porta il più in fretta possibile. Probabilmente tutte e tre le ipotesi fuse insieme.

    Non appena varco la soglia, Shibuya addrizza la coda e inizia il suo rituale di benvenuto fatto di testate e strusciamenti contro il mio polpaccio, che ricambio subito con delle carezze vigorose.

    Shibuya è una gatta di tre anni nera, con muso, pancia e zampe bianche. Sembra che indossi un paio di scarpe alla moda che le donano un’aria molto buffa. Ha occhi verde acqua che esaltano il suo portamento felino e una struttura slanciata ed elegante.

    L’ho trovata in una classica inerte serata invernale. Piccina e infreddolita, miagolava verso di me disperata, riempiendomi di emotività. L’ho guardata per un po’ senza fare niente, non sapevo come sistemarla in casa, ma l’ennesimo lamento mi ha fatto capitolare. Ho raccolto quel fagottino peloso e l’ho portato via. Da quel momento la mia vita si è riempita di Shibuya e di tutte le sue stramberie e non è stata più la stessa.

    Erano i mesi in cui il Governo appena eletto attuava le prime riforme. Tra esse, rientravano anche gli incentivi per chi possedeva un animale domestico. Considerato l’innegabile beneficio psicologico apportato agli esseri umani dagli animali da compagnia, il VOI aveva stabilito che ogni adozione avrebbe comportato un importante sgravio fiscale. Era stata inoltre introdotta una tassa salatissima sugli alimenti di origine animale, che prevedeva un’imposta del 55% sul loro valore. I prodotti animali erano così diventati beni di lusso e vi era stata una notevole riduzione del loro consumo. Per sopravvivere, le aziende produttrici avevano dovuto trasformare i loro prodotti in eccellenze, facendo impennare i prezzi ancora di più. Mangiare prodotti animali era diventato meno frequente e come tale più desiderato, cosa che contribuiva ad aumentare l’IFM.

    Giochiamo un po’, io e Shibuya, prima con un topo in stoffa, poi con una pallina in gomma che lei sembra apprezzare particolarmente per le sue traiettorie irregolari. Fra di noi c’è un affiatamento spettacolare, così come spettacolare e ipnotico è il dilatarsi delle pupille di Shibuya quando vede la preda.

    È veramente incalcolabile quanto mi stia regalando questa signorina. E dire che sono sempre stato molto scettico sul rapporto uomo-animale, convinto che le persone li umanizzassero perdendo di vista le dovute distinzioni. Invece ho scoperto un mondo incredibile fatto di sguardi, gesti, sentimenti puri ed essenziali.

    Dopo avere dedicato a Shibuya le attenzioni che merita, mi concedo una lunga doccia rilassante.

    Mi vesto, verso il cibo alla mia amica ed esco.

    Carlo e Maurizio sono già al Celosia Pub. Mi stanno aspettando seduti a un tavolo vicino all’ingresso. Il Celosia è un locale piuttosto conosciuto che esiste da sempre in città, eppure è la prima volta che ci vado.

    A un altro tavolo, in fondo alla sala, ci sono quattro musicisti che intonano una canzone popolare. Sono baffuti e attempati. Danno voce ai loro strumenti: una fisarmonica, un violino, una chitarra e un flauto. Un ritmo veloce e cadenzato che mi mette addosso, non so perché, un pizzico di malinconia. A parte loro e i miei amici, ci sarà sì e no un’altra decina di persone nel locale. Un ragazzo batte il ritmo con le mani, un altro ascolta concentrato con le braccia conserte.

    Mi avvicino ai miei amici, li saluto con una stretta di mano e ordino al volo una pinta di IPA, la mia birra preferita. Stanno pasteggiando con patatine, nachos e olive.

    Ci conosciamo relativamente da poco tempo, una decina d’anni appena, ma il feeling che si è costruito negli anni è ben saldo. Le nostre uscite sono rare ma proprio per questo molto attese. Nessuno dei tre sembra avere il desiderio di incontrarsi più spesso: se le cose vanno bene così, perché cambiarle?

    Carlo è la tipica persona di cui la gente parla bene anche prima della sua morte. Un bel ragazzo appena trentenne, scrupolosamente alla moda. Spalle larghe, fisico allenato, tratti somatici talmente vari da non potere essere indicati con precisione su una cartina geografica. L’aspetto serio è rimarcato da uno sguardo che sembra ostile, ma in realtà è solo prudente.

    Maurizio è il contrario. Più grande di cinque anni rispetto a Carlo, esprime tutta la sua caratura intellettuale con un corpo fiacco e plasmato dai vizi. I suoi occhi nero carbone sono quasi del tutto nascosti dalle palpebre, come se si fossero arresi al costante fumo delle sigarette che lo accompagna. È solito interrogare le persone sui temi più svariati, pur non avendo cura delle loro risposte. Uomo di grande intelligenza sì, ma spesso celata dietro un atteggiamento impulsivo e dissoluto.

    «Sono in piena forma, ragazzi! Non so, avete presente quelle giornate in cui le canzoni sembrano avere un suono migliore?», domando entusiasta.

    «Richiedimelo dopo la birra», risponde Maurizio.

    «Ha ragione!», dice Carlo. «Persino stare qui con voi sembra una bella cosa!».

    Guardo Maurizio: «Vedi? Esistono, queste giornate particolari».

    «Bah, Paolo,

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