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Tre anni in volo sopra lo Stivale
Tre anni in volo sopra lo Stivale
Tre anni in volo sopra lo Stivale
E-book664 pagine10 ore

Tre anni in volo sopra lo Stivale

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Info su questo ebook

"Trentamila Piedi sopra lo Stivale è un blog che comincia un po' per gioco durante sei mesi di pendolarismo aereo fra Catania e Roma. Dopo tre anni l'Autore ne ha fatto un libro: un po' per conservare il ricordo di tre schizofrenici anni del nostro Stivale, ma anche per contribuire in un modo più personale ai lodevoli progetti di Emergency, l'associazione fondata da Gino Strada, alla quale verranno destinati dall'Autore i proventi derivanti da questo progetto."
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2013
ISBN9788891115485
Tre anni in volo sopra lo Stivale

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    Anteprima del libro

    Tre anni in volo sopra lo Stivale - Vincenzo A. Pistorio

    © 2013 Vincenzo A. Pistorio.

    Tutti i diritti sono riservati.

    L’immagine di copertina è opera di Alessandro Speciale.

    Le fotografie dell’autore sono disponibili presso il sito internet:

    www.vincenzopistorio.com

    Il blog dell’autore è raggiungibile su:

    www.trentamilapiedisopralostivale.com

    L’autore devolverà interamente i guadagni provenienti da questo progetto alle iniziative di Emergency in Italia.

    ISBN: 9788891115485

    Prima edizione digitale 2013 

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    VINCENZO A. PISTORIO

    Tre anni in volo sopra lo Stivale

    a Turi, partigiano

    Perché UN ALTRO BLOG

    L’idea di tenere un piccolo diario, sulla mia agenda cartacea, nasceva all’inizio del mese di marzo del 2010 quando cominciai a viaggiare ogni settimana, da Catania - dove viveva allora la mia famiglia – a Roma – dove ha sede l’azienda per la quale tuttora lavoro.

    Nel primo giorno di rientro in ufficio, dopo i mesi di Congedo Parentale, la sveglia era squillata all’alba. La sera prima avevo completato tutte le operazioni di Web Check-in sul sito della nostra compagnia di bandiera. Ero molto teso: mancavo da Roma da molto tempo, il mio periodo di paternità era terminato e i miei progetti non avevano raggiunto tutti gli scopi prefissati. Mi sentivo giù di corda: lasciare mia moglie e mia figlia a 800 km di distanza, senza star con loro la sera e la notte, era un pensiero che mi tormentava. All’arrivo a Fontanarossa, l’aeroporto della mia città, trovai una fila enorme. Mi chiesi a cosa potesse servire stampare a casa il boarding pass se poi ai varchi di sicurezza la fila quasi stesse trasbordando fuori dall’aerostazione ...

    Ma "viaggiare" in Italia era ed è diventato come ogni altra attività: un’emergenza! Sei in fila, si fa tardi, chiedi di passare avanti, ti chiama lo speaker per raggiungere il gate per "imbarco immediato ... Ultima chiamata per i passeggeri Tizio, Caio e Sempronio diretti a Roma Fiumicino ... uscita numero 6".

    Ti catapultano addosso un’ansia terribile ...

    Con Alitalia tutto sommato si viaggiava bene anche se non si capiva perché per i loro passeggeri non avessero dei varchi di sicurezza dedicati: Catania era ed è una delle sei basi della nuova compagnia aerea privatizzata ma quali fossero i benefici per i viaggiatori, pendolari o meno, era (ed è ancora) ignoto.

    L’Italia vista dall’alto è stupenda: un insieme di paesaggi che lascia senza fiato. Ogni lunedì mattina sempre la stessa storia: sveglia, colazione, corsa all’aeroporto, varchi di sicurezza, giornale, caffè, imbarco, volo, atterraggio, corsa per il treno per il centro, autobus, ufficio ...

    Quando arrivava la sera si crollava sul piatto della cena!

    Nel corso dei sei mesi da pendolare trascorsi molto tempo da solo, in compagnia di giornali, libri, iPhone, netbook: lo sbocco di un blog mi sembrò l’elemento più naturale per condividere riflessioni. Volle essere un tentativo di dar corpo alla mia passione giornalistica, mai sopita in questi anni, che su internet poteva trovare un luogo di sperimentazione. Le iniziative legislative, che ogni tanto vengono riproposte e che di fatto mirano a limitare la libertà di stampa in Italia, mi spinsero ad accelerare questa sperimentazione: nel nostro Paese, nel 2010, si viveva in una situazione di democrazia condizionata, con un Governo ed una maggioranza parlamentare che minavano alle fondamenta stesse della nostra Costituzione, cercando da un lato di tappare le orecchie e di chiudere gli occhi ai cittadini, dall’altro operando affinché le bocche di giornalisti, opinionisti ed intellettuali rimanessero le più chiuse possibili.

    Sono trascorsi tre anni, il blog è cresciuto e io sono cresciuto con lui. Qualche tempo fa stavo guardando un po’ di servizi di stampa professionale online per un progetto fotografico che ho in mente. Così ho pensato di realizzare - con i miei post - un libro che riassumesse i tre anni passati in compagnia del mio blog.

    www.trentamilapiedisopralostivale.com

    Tre anni di Politica e di cronaca fuori e dentro lo Stivale

    L’Amnesia e la stessa barca

    Ci vuole tutta la faccia tosta del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Economia per addebitare tutta la responsabilità dello stato attuale dei conti pubblici ai governi della Prima Repubblica e della sinistra.

    Dal 1994 in poi il centrosinistra ha governato per neanche sette anni e se togliamo l’anno di governo tecnico di Lamberto Dini in Italia ha sempre governato il centrodestra con un solo Premier: Silvio Berlusconi, l’uomo che sono due anni che è nuovamente a Palazzo Chigi e non ha fatto altro che negare la crisi.

    Il suo Ministro economico ha sempre gettato fango sulla moneta unica e adesso lo sentiamo difenderla a spada tratta e a spiegare come la manovra economica appena varata sia nell’interesse dell’Europa e per salvare l’Euro!

    Ma dov’erano sette anni fa?

    Non erano forse accanto a quegli stessi leghisti che speravano in un ritorno della lira, magari per fare qualche svalutazione competitiva, scaricando il costo sulle generazioni future?

    È possibile che il popolo italiano sia così privo di memoria storica e continui ad affidare a tali personaggi il Governo del nostro Paese.

    È sempre esilarante ascoltare le parole del Capo del Governo durante le varie conferenze stampa che illustrano provvedimenti di un certo impatto sul nostro Paese.

    Ma ieri siamo arrivati a una vetta così profondamente comica che probabilmente bisognerebbe valutare seriamente se il Cavaliere possa essere candidato – più che al Nobel per la Pace – all’Oscar!

    Ascoltare un "siamo tutti sulla stessa barca", pronunciato dall’uomo più ricco d’Italia e uno dei più facoltosi dell’intero pianeta, fa una certa impressione: si riferisce forse allo yacht appena varato dal figlio maggiore Piersilvio? Oppure al natante appena sequestrato a Flavio Briatore dalla Guardia di Finanza che tanto sta facendo soffrire Nathan Falco, il piccolo dell’imprenditore e della Gregoraci?

    Questi personaggi sono con la faccia di bronzo: non hanno la minima idea di cosa possa significare tirare a campare in questa Italia del XXI secolo e pensano che tutti siano nelle loro stesse condizioni di privilegio.

    Il nostro Premier fino a non molto tempo fa asseriva che la crisi era soltanto un problema di "percezione" ed invitava tutti i lavoratori pubblici a spendere e a consumare poiché loro non sarebbero stati toccati dalla crisi, in quanto non rischiavano di certo il licenziamento!

    L’aspetto tragico di questa vicenda è che la visione così sfacciatamente mediocre del nostro Presidente del Consiglio non raggiungerà di certo la maggioranza degli italiani che sono informati soltanto attraverso le televisioni che il Cavaliere controlla o possiede.

    E quindi il nostro Silvio potrà continuare a navigare indisturbato sulla sua barca ...

    Elemosina

    Mi sono imbattuto ieri sera nell’articolo de l’Unità, riguardo il bonus di 4.500 euro che la Regione Lombardia erogherà a quelle donne che interrompono la gravidanza per difficoltà economiche in 18 mesi. A parte il fatto che sarà interessante valutare nel merito tale proposta, su come ad esempio verrà accertata la difficoltà economica (essendo questo un Paese dove la fantasia fiscale abbonda!), mi ha fatto riflettere il seguente passo dell’articolo:

    Vogliamo aiutare – spiega in una nota il governatore lombardo – la famiglia, la maternità e la natalità, rimuovendo il più possibile gli ostacoli, a cominciare da quelli di natura economica, che rendono più difficoltoso il fare una scelta a favore della vita.

    Pur apprezzando le motivazioni che spingono Formigoni a varare un simile provvedimento, a me appare tuttavia il solito vizio della destra: fare l’elemosina ai cittadini più deboli anziché potenziare i servizi per la famiglia e per l’infanzia. Così come nella passata legislatura berlusconiana, quella del quinquennio 2001–2006 quando il Ministro Maroni (allora al Lavoro e alle Politiche Sociali) si inventò il bonus bebè, si preferisce un intervento di natura squisitamente economica piuttosto che varare serie politiche sociali. Ancora una volta si evita che le famiglie possano sentirsi più cittadini e più comunità, specialmente tutte quelle famiglie che per ragioni economiche non possono permettersi troppi lussi.

    Per l’ennesima volta i Governi (poco importa che qui si tratti di un governo locale, è comunque la più importante regione italiana) di centrodestra si inventano provvedimenti atti al solo scopo di consolidare il proprio consenso politico ed elettorale, facendo leva solo sul denaro e lasciando alle famiglie il gravoso compito di barcamenarsi sulla gestione quotidiana delle difficoltà economiche. A me pare invece evidente che le famiglie italiane, quelle che ormai hanno ad esempio la reale necessità di due entrate per nucleo familiare, abbiano piuttosto bisogno di servizi quali asili nido, scuole, tempo pieno, scuolabus anziché "soldi".

    Le donne che aspettano un bimbo e si pongono il drammatico interrogativo di farlo sopravvivere o meno, non hanno bisogno di "denaro": avrebbero bisogno invece di serie ed efficienti politiche sanitarie.

    Se ad esempio le linee guida del Ministero della Salute parlano di tre ecografie durante la gestazione ma poi non si riescono a prenotare in una struttura pubblica perché i tempi di attesa sono enormi, allora probabilmente questo fantomatico bonus in realtà non servirà alle donne in gravidanza, bensì alle varie strutture diagnostiche private alle quali le donne dovranno comunque rivolgersi per controllare l’andamento della gestazione.

    Allo stesso modo, una volta nato il bambino, una famiglia ha bisogno di una comunità, dato che ormai la nostra società non ha più le reti sociali del passato, che la supporti con tutta una serie di servizi che – salvo rare e lodevoli eccezioni – sono assenti nel nostro Paese. Se una donna dovrà tornare dopo tre mesi al lavoro avrà sicuramente più bisogno di un asilo nido e di facilitazioni alle cure mediche del piccolo (che si ammalerà spesso ed anche l’antinfiammatorio più blando o i più diffusi fermenti lattici non sono rimborsati dal SSN) piuttosto che di un bonus di 250 euro al mese! Mi si potrebbe obiettare che le politiche sociali e familiari costano: lo sappiamo bene, ma probabilmente se si tagliassero spese inutili si riuscirebbero a trovare le risorse per fare taluni interventi a favore della famiglia. E soprattutto se si riuscissero ad avere vere graduatorie di reddito (vi sono casi pazzeschi di famiglie che divorziano soltanto per pagare meno le rette degli asili!), affinché le famiglie contribuiscano secondo le loro vere possibilità, probabilmente si avrebbe una vera razionalizzazione della spesa, piuttosto che tagli secchi o contributi a pioggia. Nel provvedimento del Governatore lombardo non c’è qualcosa che sia sbagliato in sé: è nel principio che sta il vulnus, in quella frase demagogica... rendono più difficoltoso il fare una scelta a favore della vita come se le donne che scelgono di interrompere la gravidanza siano delle assassine, come se facessero scelte a favore della morte, quando in realtà – se fossero spinte dalle motivazioni economiche (che tale provvedimento vuole contrastare) ad interrompere la gravidanza – compiono spesso una scelta in favore della vita: la propria e spesso della propria famiglia.

    Servizio Pubblico

    Quanto è triste questa Italia che pensa sempre che uno stipendio alto sia sempre un furto!

    Quanto è avvilente pensare che PD e PDL votino insieme un provvedimento che non serve a nulla, in nome di una fantomatica trasparenza, anziché riformare effettivamente ed efficacemente il sistema pubblico radiotelevisivo.

    Che ipocrisia pensare che sia un atto di giustizia mettere su web gli stipendi dei conduttori e degli ospiti televisivi, alimentando soltanto i sentimenti di invidia di chi magari campa con altri stipendi soltanto perché non fa parte di un certo mercato!

    Non è che la famiglia dell’operaio che guadagna 1.000 euro al mese riceva qualcosa di più dal servizio pubblico se conosce questi stipendi! Sembra ancora che il guadagno sia una forma di peccato o di vergogna. Forse siamo ancora tutti vittime da un lato di una certa cultura cattolica, che vede nel guadagnare di più un qualcosa di quasi diabolico e dall’altro di una sotto cultura di sinistra vetero–marxista che continua a ritenere la proprietà (e quindi i forti guadagni) un furto!

    Mai che si cerchi un punto di equilibrio!

    Quale sarà il prossimo passo? Mettiamo in rete tutti i nostri stipendi, in maniera tale da guardarci in cagnesco tutti quanti? Quando guardo la mia busta paga ogni mese è vero che sono tentato di guardare chi sta meglio e dico "porca miseria, che devo fare per un aumento!, ma è altrettanto vero che se il tenore di vita di noi comuni mortali" è peggiorato non è perché Santoro guadagna 700 mila euro lordi l’anno come ha detto in trasmissione o Floris che ne prende 400 mila. Il tenore di vita è peggiorato per le classi media e medio–bassa perché i servizi pubblici sono inesistenti.

    Perché non esistono asili nido per le famiglie o perché le graduatorie di ammissione ai nido comunali sono palesemente falsate da chi dichiara il falso (come ad esempio quei genitori falsamente separati o divorziati, che rimangono non soltanto sotto lo stesso tetto coniugale, ma anche sotto le stesse lenzuola!).

    Il cittadino medio non ha bisogno di sapere se Michele Santoro becca una buonuscita milionaria o meno, fa parte del mercato radiotelevisivo, così come è demagogia pura quella di Calderoli che invita la FIGC a ridurre i premi dei calciatori mondiali! Questo cittadino ha bisogno di sapere che lo Stato non lo lascerà solo ad affrontare le crisi economiche dei vari settori produttivi del Paese che si ripeteranno sempre perché così è la vita di una nazione!

    Il cittadino ha bisogno di servizi di trasporto efficienti, strutture sanitarie degne di un Paese civile, scuole che educhino i propri figli, uffici pubblici nei quali le informazioni siano chiare e dirette e magari anche un po’ di gentilezza!

    Una cosa che mi colpì molto all’aeroporto JFK di New York la prima volta che andai in USA fu che dopo l’espletamento delle pratiche di immigrazione il poliziotto di frontiera americano mi disse: "Welcome to United States, sir!" E come in qualunque film si può ascoltare se a entrare in US è invece un cittadino statunitense il funzionario alla frontiera lo accoglie con un "Welcome back home!". Non mi è mai capitato nulla di tutto questo alle frontiere italiane, né a Malpensa, né a Linate, né a Fiumicino, né a Ciampino, né a Catania, cinque importanti aeroporti italiani che fanno incetta di turisti!

    Questa Italia così rancorosa, così piena di invidia, così gravida di rabbia non è il paese che vorremmo i nostri figli ereditassero. Ho appena terminato di leggere l’autobiografia di Barack Obama "I sogni di mio padre" e leggendo il capitolo sul Kenya e i racconti che il Presidente americano descrive sul Kenya dell’epoca, non ho potuto fare a meno che paragonare lo stato africano alla nostra Italia, alla mia Sicilia e alla mia Catania!

    Cosa vogliamo, noi italiani, diventare un moderno paese europeo o magari il primo paese (per PIL) africano, primo almeno fino a quando i più avanzati paesi africani ci sorpasseranno come per esempio già avviene per la libertà di stampa?

    Pesi e Contrappesi

    Quando ieri sera, alla fine di SKY TG24, ho ascoltato le parole del capo della Casa Bianca riguardo la rimozione del generale McCrhystal dal Comando in Afghanistan, non ho potuto fare a meno di pensare a quanta strada abbiamo ancora davanti noi giovani democrazie europee, che siamo nate dopo il Congresso di Vienna, le due grandi guerre mondiali e la caduta del Muro di Berlino.

    "Our democracy depends upon institutions that are stronger than individuals", afferma il Presidente Obama e subito il mio pensiero volge al nostro Paese, così tristemente avvitato su se stesso e diviso tra chi è fedele ad un uomo e chi invece vorrebbe buttarlo giù dal trono.

    "The conduct represented in the recently published article does not meet the standard that should be set by a commanding general. It undermines the civilian control of the military that is at the core of our democratic system": il potere militare è costituzionalmente subordinato al potere civile, alle sue istituzioni democratiche, alla Costituzione. E quando sento dire dal presidente americano che le regole valgono per chiunque, dall’ultimo dei soldati al Presidente stesso, allora non posso non ammirare una democrazia che avrà anche tantissimi difetti, ma è riuscita a realizzare nel suo "core" quei pesi e quei contrappesi che dalle nostre parti si vorrebbero abbattere.

    La responsabilità delle proprie azioni e le conseguenze per gli sbagli sono – negli USA – insite nel patto democratico stretto fra tutti i cittadini, quel patto che è poi stato tradotto in quella Costituzione Americana, baluardo dei valori della democrazia occidentale e capofila di tutte le costituzioni europee nate dopo la Rivoluzione Francese.

    Con questo breve discorso Barack Obama ha confermato, ancora una volta, perché la democrazia è quanto di meglio l’uomo abbia inventato per il governo delle loro società.

    E quando penso che la nostra Costituzione, figlia anche essa di quella statunitense, contiene anche temi più alti e più moderni, essendo stata approvata a metà del secolo scorso, e quando guardo una cricca di individui che per loro tornaconto personale vogliono emendarla finanche nella sua prima parte, quella dei princìpi cardine del nostro vivere civile, un velo di tristezza si poggia su di me.

    Perché se si comincia a sfasciare la Casa Comune, se si inizia a minare le fondamenta anziché preferire una robusta ristrutturazione allora poi non si sa più dove si andrà a finire.

    E la cosa più grave è che il nostro Paese sa benissimo dove si andrebbe a parare, perché lo ha già sperimentato dal 1922 al 1943, in quel Ventennio, il punto più basso della nostra storia unitaria.

    E quando vedo che le persone perbene, che stanno vicini politicamente a questa cricca, che vuol disgregare il nostro tessuto nazionale e che vuole immergerci in una lotta perenne e continua fra Orazi e Curiazi, ancora faticano a ribellarsi e ad aprire gli occhi, allora mi domando cosa altro debba accadere affinché le loro fettine di salame saltino via dai loro occhi!

    Quale altra acrobazia giuridico–costituzionale, dopo il d.d.l. sulle intercettazioni, dovrà ancora accettare il nostro Paese soltanto per salvare dai loro guai giudiziari un’impresentabile nugolo di individui che stanno facendo a pezzi le nostre istituzioni democratiche e civili?

    Consulta

    La Corte Costituzionale, quella che è completamente in mano alla sinistra, secondo le varie dichiarazioni più o meno scomposte del Cavaliere, ha ieri bocciato il ricorso di incostituzionalità avanzato contro il progetto "nucleare" del Governo.

    Al di là della condivisibilità o meno di un ritorno all’atomo nel nostro Paese, non tanto per la produzione di energia nucleare bensì perché tremo all’idea di chi dovrà gestire i rifiuti "nucleari, molto più tossici e letali della spazzatura napoletana o palermitana, la notizia di ieri è stata appresa dal Governo con compiacimento e soddisfazione".

    Ma questi giudici costituzionali non erano tutti rossi, compagni, duri e puri oppositori di questo Governo? Sono stati forse "comprati" come i giocatori della Slovacchia, stando alla deficiente battuta (?) del Senatur sulla prossima partita della Nazionale?

    Mi sa che forse quei signori attempati che lavorano nel Palazzo di fronte al Quirinale forse si attengono soltanto alla Carta: quindi caro Governo quando non fai cavolate le tue leggi passano l’avvallo della Corte, se spari belinate ti bocciano!

    Molto semplice, no?

    Mariniamo la società

    Sembra di essere tornati a scuola, ultimamente, quando se al sabato c’era una bella giornata, anziché entrare in classe si improvvisavano scioperi "politici", animati dai più grandi spiriti di giustizia, libertà ed eguaglianza ma che sotto sotto non erano altro che un espediente per andare al mare, portare in vespa la propria ragazza, improvvisare su qualche piazza un incontro di calcio fino allo sfinimento, come se ci si stesse giocando la coppa del mondo! Adesso invece chi va a lavoro ogni santa mattina deve fare i conti con il calendario: ogni settimana, talvolta ogni due, puntualmente c’è uno sciopero indetto da una qualche strana nuova sigla sindacale dei trasporti, che costringe i milioni di pendolari e clienti dei servizi pubblici locali a fare i salti mortali per andare sul posto di lavoro la mattina e tornare a casa la sera ad un orario decente.

    Non mi sogno minimamente di contestare il diritto allo sciopero di chiunque, ma mi chiedo: "perché sempre di venerdì?. Certo immagino che nei trasporti uno sciopero di venerdì massimizzi il disagio dei clienti e quindi aumenti teoricamente" la forza contrattuale con la controparte, forti di un’opinione pubblica che dovrebbe solidarizzare con il mondo dei salariati, dei precari e quindi di coloro che ci consentono di scorrazzarci in giro per la città.

    Ma è proprio così? Io invece ritengo che questa cosa di indire scioperi sempre e soltanto nei fine settimana alla lunga non farà altro che infastidire proprio tutte quelle persone che magari non stiano aspettando altro che quell’agognato venerdì per poter farsi un bel weekend di vacanza, magari rimandando al lunedì successivo preoccupazioni e pensieri. Penso anche a tutte quelle persone che devono organizzarsi con baby–sitter, tate, governanti, badanti per poter ottemperare ai loro impegni familiari con i più deboli, bambini ed anziani; penso anche a tutte quelle persone che – nonostante la fascia di garanzia – non potranno comunque lavorare quel giorno e che inevitabilmente perderanno la "giornata" di lavoro.

    E poi non capisco una cosa: se venerdì 25 giugno scorso c’è stato uno sciopero generale della CGIL, perché la stessa organizzazione non si adopera perché la sua federazione dei trasporti non aderisca ad un altro sciopero, dopo solo due settimane? Non è che in due settimane – in Italia – possa mai cambiare qualcosa! Che razza di strumento è diventato, lo sciopero, per esigere le giuste rivendicazioni sindacali?

    A volte penso che forse in Italia dovremmo un giorno scioperare noi cittadini: non comprare nulla, non utilizzare mezzi pubblici, stare tutti fermi e immobili a casa propria e guardare che succede. Non accendere le TV (immaginate che i politici non entrino un giorno nella vostra casa e sentirete subito una ventata d’aria nuova!), non comprare quotidiani per non intossicarsi, non fare assolutamente nulla! Forse non cambierà nulla, ma per una volta ci saremmo ripresi la nostra vita, senza l’ansia!

    Don’t cry for us, Argentina

    In un Paese in cui la Costituzione (art. 21) garantisce che la religione cattolica è sostenuta dal Governo Federale e la locale Conferenza Episcopale è potentissima, la Presidente de la Nación Argentina Cristina Fernández de Kirchner, firma una legge che garantisce la possibilità anche agli omosessuali di sposarsi.

    Ora siccome non posso credere che le gerarchie ecclesiastiche argentine siano più "scarse" di quelle nostrane, non è che forse sono i nostri politici che ascoltano troppo i vari prelati, più o meno eminentissimi, e che accettano troppo supinamente l’equazione peccato uguale reato? Staremo quindi a vedere quante famiglie argentine si dissolveranno e quanti matrimoni eterosessuali si distruggeranno a seguito di questa "blasfema" legge.

    Il costo del lavoro

    Ieri sera, tornando nella casa romana che mi sta ospitando in questo periodo, mi sono soffermato a pensare al fatto che spendo circa tre ore del mio tempo sull’autobus e sulla strada soltanto per raggiungere il posto di lavoro e tornare la sera dalla mia famiglia.

    Tre ore al giorno, sono quindici ore la settimana, sessanta ore al mese: in altre parole in un mese si spende circa una settimana (e mezza) lavorativa (il mio contratto è di 40 ore settimanali!) solo per raggiungere il posto di lavoro.

    E io sono anche fortunato perché la mattina posso prendere l’autobus al capolinea, sfogliare un giornale, leggere un buon libro e pensare ai fatti miei. C’è chi invece quelle tre ore al giorno, e anche più, è costretto a farle in moto o in auto, e se può prendere i mezzi pubblici è costretto a stare come le sardine, senza poter né leggere né pensare, se non soltanto a come evitare di pestare e farsi pestare i piedi dal vicino di scatoletta!

    Quando penso a questa enorme quantità di tempo letteralmente buttata al vento mi chiedo se questo modello economico–lavorativo sia un progresso o piuttosto un grande bluff.

    Penso al fatto ad esempio che per molti di noi la maggior parte delle attività lavorative quotidiane si potrebbero fare a casa, seduti davanti al nostro computer, recandoci in ufficio soltanto per urgenze indispensabili e riunioni necessariamente de visu, quando cioè anche il banale collegamento con Skype non è sufficiente e la presenza ed il contatto umano è necessario.

    Abbiamo però mutuato, in una società ipercomunicativa come quella attuale, le modalità proprie dell’organizzazione del lavoro delle fabbriche: tu stai qui buono in ufficio, io ti controllo e ti pago per il tempo che tu stai qui in ufficio.

    In altre parole, nonostante tutti i buoni propositi filosofici il nuovo lavoro non è altro che uguale al vecchio, solo fa finta di essere più figo e moderno perché ormai esistono i fogli elettronici al posto delle calcolatrici, i word processor anziché le macchine da scrivere e la posta elettronica ha soppiantato la classica lettera cartacea.

    Nel frattempo sto leggendo il libro "Adesso basta!", di Simone Perotti, l’ex manager che ha mollato tutto e si è messo a fare le cose che più gli piacciono, con un downshifting realizzato e non solamente sognato. Illuminante!

    Mi sembra inoltre che quando i grandi economisti parlano di "costo del lavoro" probabilmente non mettono in conto il prezzo che noi lavoratori paghiamo di tasca nostra con quelle 60 ore al mese.

    Qualcuno mi obietterà: ma se devi andare in ufficio e ancora non hanno inventato il teletrasporto un certo lasso di tempo dovrai pur metterci! Vero, sacrosanto ma qualcosa come un’ora o un’ora e mezza per fare sette chilometri e mezzo non è un tantino troppo? E quelli che spendono ore e ore in coda sul GRA, sulla Tangenziale di Milano, di Catania, su Viale della Regione Siciliana a Palermo, al passante di Mestre, alle porte di Firenze e a Bologna?

    Spendono benzina, stress, tempo che non viene assolutamente rimborsato e che andrebbe in qualche modo "quotato" nel conto economico che ciascuno di noi dovrebbe imparare a fare, non soltanto per la gestione del proprio budget mensile, ma proprio per un’analisi costi–benefici di talune scelte professionali e logistiche.

    Siamo infatti al paradosso che per lavorare 40 ore settimanali noi ne sprechiamo 15 sulle strade. E se consideriamo che la pausa pranzo spesso è di un’altra ora (cosa assurda considerando che la maggior parte di noi mangia con i colleghi, e quindi spesso continua a lavorare a pranzo, o mangia di corsa) in una settimana noi lavoriamo formalmente 40 ore e altre 20, cioè la metà del tempo che passiamo in ufficio, la spendiamo in attività connesse al lavoro!

    L’assurdo sta che le macchine che abbiamo inventato anziché restituirci del tempo per noi stessi, per la nostra evoluzione personale e morale, ce ne stanno sottraendo molto di più!

    Grazie ai PC è aumentata enormemente la produttività rispetto a quando si utilizzavano penna, carta, calamaio e calcolatrice, ma non è che si lavora di meno ... anzi!

    Dato che questo aggeggio infernale fa qualunque cosa spremiamolo e spremiamoci sempre di più!

    C’è qualcosa che proprio non mi torna in questo modello sociale!

    Una boccata di normalità

    Dopo troppi giorni e troppe pagine spese a parlare delle tristi vicende personali di un imperatore alla fine del suo lungo regno, stamattina ho avuto la graditissima sorpresa di leggere le prime nove pagine di Repubblica che parlavano di America, di Obama, di Rubio, di Tea Party e di Democrats.

    Il faccione del Presidente americano in prima pagina, sotto al titolo "È colpa mia", è l’immagine più forte ed eclatante di quanto anche il nostro Paese avrebbe tanto bisogno: la normalità. Obama non ha accusato di brogli, non chiesto di ricontare schede: ha semplicemente preso atto del messaggio che i suoi concittadini gli hanno veementemente inviato il 2 novembre. Sessanta seggi, su neanche cinquecento hanno cambiato colore nel giro di due anni esatti (Obama e la vecchia Camera dei Rappresentanti furono eletti il 4 novembre 2008).

    Che invidia!

    Forse è proprio questo che rende l’America un modello irraggiungibile di Democrazia realizzata per chi – come nel nostro Paese – vive inchiodato prima nella Democrazia incompiuta della Prima Repubblica, poi nella Democrazia Berlusconizzata della Seconda.

    Leggere le analisi e le corrispondenze di Zucconi, Rampini, Aquaro e Flores D’Arcais, i commenti di Stille e tutte le varie interviste mi ha fatto pensare ai dopo elezioni di casa nostra, con la processione dei Capezzone, dei Cesa, dei Cicchitto, dei Minniti, dei Bettini, dei Ronchi, dei Giordano, tutti lì a discernere dello 0,3% in più o in meno, in attesa dei big che stanno chiusi rintanati nei loro palazzi e nei loro uffici prima delle dichiarazioni solenni a Bruno Vespa.

    Per quasi un’ora mi sono goduto pagine e pagine di vera politica, di grande corrispondenza e di eccezionali "pitture" giornalistiche.

    Poi a pagina dieci la faccia rabbuiata di Silvio Berlusconi mi ha riportato coi piedi per terra!

    Per fortuna il mio bus era arrivato alla mia fermata!

    L’inferno è già qui

    Ci sono giorni in cui ringrazio con tutto il mio cuore il Padreterno di non aver intrapreso una qualunque carriera come operatore di giustizia. Lo ringrazio di non avermi fatto scegliere giurisprudenza e di non aver partecipato a concorsi nelle Polizia e nei Carabinieri, perché di fronte agli orrori che sbucano qua e là, come quello dell’asilo nido di Pinerolo, non avrei saputo amministrare bene la giustizia.

    Ringrazio il Cielo di non essere il PM che indaga sulle tre responsabili di questa scuola privata perché non riuscirei a essere abbastanza distaccato per compiere il mio dovere di magistrato. Lo ringrazio perché non so se riuscirei a non commettere a mia volta un crimine nei confronti di persone che osano toccare qualcosa che ogni essere umano, credente o non credente che sia, dovrebbe considerare sacro: i bambini.

    Non riesco a concepire come possano – tre donne di quell’età (36, 33 e 28 anni, quindi quasi coetanee mie) e titolari di un istituto al quale altre donne affidano le loro piccole creature (bambini dagli otto mesi ai tre anni) – commettere tali violenze, fisiche e psicologiche. Nemmeno le più feroci bestie si comportano così con i cuccioli della loro stessa specie.

    Leggere che un bimbo abbia addirittura le convulsioni perché non vuole attraversare il cancello della scuola e che per lui è un lager o che una bimba picchi la sua bambola perché "non vuole fare la nanna, fa capire l’abisso nel quale la psiche di questi innocenti è stata fatta precipitare da questi esseri viventi (mi rifiuto di chiamare donne" queste tre titolari).

    Adesso capisco perché – nel famoso discorso delle Beatitudini – Gesù chiama "Beati" gli operatori di pace (e quindi in un certo senso di giustizia): perché esercitare la forza della legge, garantire un giusto processo, emettere una condanna esemplare ma giusta, in casi come questi, è qualcosa che è sovraumano e che li rende in qualche modo "beati".

    Noi comuni mortali rimaniamo sgomenti e impotenti di fronte all’inferno che già è qui e che si trova spesso dietro l’angolo di casa, quando non dentro la propria stessa casa.

    Se non ora, quando?

    Allora riepiloghiamo: il nostro Presidente del Consiglio è accusato di aver concusso un Pubblico Ufficiale (e mi sembra abbastanza normale, dato che un qualunque funzionario pubblico avvertirebbe tutto il peso di far incazzare il Capo del Governo!) e di aver avuto rapporti sessuali con una minorenne.

    Ora al di là di dover dimostrare o meno i reati, che ovviamente compete alla Magistratura, non è il caso che questo signore rassegni le dimissioni per potersi dedicare ad un sereno invecchiamento?

    Quanto altro schifo deve sopportare il nostro Paese per soddisfare le strane voglie sessuali di un quasi ottuagenario individuo che non si rassegna al tempo che passa e alla fine che si avvicina?

    Ormai è uno degli uomini più ricchi del mondo, i suoi figli e i suoi nipoti sono straricchi senza aver fatto una mazza, ha magioni, barche e possedimenti in ogni dove: ma cosa aspetta a togliersi dai piedi e a trascorrere gli anni che gli restano a fare Bunga–Bunga da qualche altra parte?

    E la tanto masochista sinistra cosa aspetta a presentare ogni due giorni una mozione di sfiducia al governo per manifesta immoralità e per attentato alla Costituzione da parte di un uomo che continua con il suo comportamento a screditare l’immagine del Paese e con le sue parole a massacrare un altro Potere dello Stato?

    Cosa aspetta questo PD a candidarsi seriamente a ricostruire la moralità della nostra sciagurata e disgraziata Italia?

    Se non ora, quando?

    Contestualizziamo

    Dopo la Comunione alle esequie di Raimondo Vianello e la barzelletta con annessa bestemmia, Mons. Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, giustificò la seconda invitando a "contestualizzare" l’evento e chiarì la prima con una stupenda spiegazione formale su come il Capo del Governo avesse de facto ripristinato la situazione ex ante a seguito della separazione dalla seconda moglie.

    Quindi poteva formalmente comunicarsi.

    Ma cosa ha da dire oggi invece Mons. Fisichella e tutte le gerarchie ecclesiastiche? Dopo l’alluvione di carte, di scandalo e di schifo che ha inondato il nostro Paese, può ancora il Papa, con Cardinali, Vescovi e Presbiteri, tacere di fronte allo scempio della morale pubblica?

    Sono più importanti gli accordi per i sovvenzionamenti alle scuole cattoliche, le leggi sulla fine della vita e sulla fecondazione assistita, l’ora di religione, l’otto per mille, sono questi accordi molto più importanti dello stesso Messaggio che il Fondatore della stessa Chiesa Cattolica ha inviato oltre due millenni fa?

    Può il Papa tacere di fronte allo scandalo di un Presidente del Consiglio immerso in orge e festini di dubbia moralità?

    Cosa fa più danni alla morale di un Paese? Il matrimonio fra due uomini o due donne che si amano e si rispettano oppure un manipolo di vecchi guardoni che tratta le donne come oggetto del loro desiderio, facendole vivere addirittura come in un harem per soddisfare i suoi bisogni di un vecchio malato di sesso?

    E come la mettiamo di fronte al Messaggio di quell’Uomo che ci insegnò "guai a chi procura scandalo ai bambini"?

    Oggi su Repubblica un trafiletto da Oltretevere sosteneva che il silenzio del Vaticano vale quanto una condanna: non la penso proprio così. Io credo che la Chiesa Cattolica oggi più che mai non solo debba condannare il malcostume ma dire una parola di conforto per tutti quei fedeli che si sentono mortificati da personaggi che vengono ricevuti in pompa magna nei palazzi pontifici o che vengono additati come strenui difensori dei valori cattolici.

    Siccome mi ritengo un cattolico, pessimo per quanto si vuole, ma cattolico, vorrei dire che i valori del Presidente del Consiglio non sono i miei. E come ha detto stamane sul suo blog Vittorio Zucconi, io non sono lui.

    Vorrei che il Capo della Chiesa Cattolica e tutti i suoi fratelli nell’Episcopato ritrovino la forza di Giovanni Paolo II che ad Agrigento urlò contro la mafia tutta la sua condanna. Vorrei che il Papa, i Cardinali e i Vescovi si ricordino di un grandissimo Pontefice, Papa Roncalli, che non esitò a prendere un microfono e a proferire un altissimo discorso che contribuì decisamente nel raffreddare gli animi troppo surriscaldati fra Krusciov e Kennedy!

    La Chiesa deve pensare più in grande di mere beghe di bottega.

    E lo stesso Papa Giovanni XXIII, in un famosissimo discorso dalla finestra del suo appartamento, invitava tutti i romani convenuti in piazza San Pietro a dare una carezza ai propri bimbi, una volta tornati a casa, la famosa "carezza del Papa". Non credo sia molto ecumenico che tra le proprie mura le carezze si siano trasformate in palpeggi ad una ragazzina che avrà pure le fattezze di una donna, ma pur sempre ragazzina è!

    Produttività

    "Papà, lavoro no! Casa!", mi ripete spesso la mia bimba prima che io esca e vada in ufficio. I suoi occhioni li vedo riempirsi di tristezza e forse di perplessità, non riuscendo a comprendere a pieno i motivi per cui il suo papà lo debba rivedere dodici ore dopo.

    È da qualche giorno che in Italia si dibatte sull’opportunità di festeggiare il 17 marzo, 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia e quindi dell’Unità politica di una Nazione che fino ad allora era solo unita geograficamente.

    Certo che la società occidentale e capitalista è molto particolare: ha raggiunto una ricchezza e un benessere incredibile, impensabile dal secondo dopoguerra in poi, ma fa ancora molta fatica a far tesoro dei propri errori. Non riusciamo infatti a scrollarci di dosso il mito della "produttività e del PIL", come fosse quest’ultimo l’unico metro di valore economico (e sociale) e la prima la vera unità di misura di un sistema imprenditoriale che – specialmente nel nostro Paese – fa acqua da molte parti.

    Non lontano da qui, nella Germania di una conservatrice come Angela Merkel, si sta discutendo di come conciliare gli orari di lavoro ai ritmi della famiglia, forse sfruttando a pieno quell’incredibile volano di innovazione che è costituito dalla rete e da un uso sapiente delle nuove tecnologie.

    Nel nostro paese, invece, il Presidente degli industriali si oppone a festeggiare un’importante ricorrenza unitaria nazionale con la solita e truffaldina scusa dei ponti. La cosa che più mi colpisce è che anche i sindacati, che dovrebbero difendere i più deboli, siano ormai vittime di questo modo di ragionare. Il segretario generale della CGIL, Susanna Camusso, anziché obiettare che un po’ di riposo in più non ha mai fatto male a nessuno (consideriamo infatti che feste e ponti sono le sole ricorrenze che i comuni lavoratori possono permettersi per trascorrere del tempo con le loro famiglie, non avendo a disposizione aerei privati, barche e via dicendo per fare la bella vita), scende sullo stesso piano di mera contabilità vacanziera, come la presidente Marcegaglia, ponendo in evidenza come il 25 aprile e il 1° maggio non si porteranno dietro nessun ponte.

    Ho terminato da qualche giorno la lettura di "Avanti Tutta", secondo libro sul tema del downshifting di Simone Perotti, l’ex manager che ha lasciato il lavoro per scalare marcia e vivere facendo quel che più gli piace. Il tema del downshifting mi sta molto appassionando perché non si tratta di una fuga da un mondo che spesso non ci scegliamo (intendo le compagnie e i colleghi, non ovviamente il lavoro che è frutto di un contratto da noi firmato!), bensì si tratta di ridimensionare e ricostruire le cose che sono più importanti nella vita. Il lavoro e il profitto sono sicuramente due aspetti importanti della nostra società e della nostra vita ma non possiamo ridurre tutto a questo.

    Anche il Pontefice, recentemente, ha ricordato che il lavoro non può essere tutto e detto dal Capo della Chiesa Cattolica, che spesso fa leva sui sensi di colpa e dal timore del peccato, è un grandissimo passo avanti.

    Difatti è spesso per un innato (inculcato fin dall’infanzia) senso di colpa che pensiamo che trascorrere più tempo in vacanza, ad oziare (otium pater vitiorum, dicevano i latini!), sia sbagliato e che ci distolga dalla "vita reale", che sarebbe poi quella fatta dalla solita e noiosa routine quotidiana. Non ci rendiamo conto che l’otium dei nostri padri non era il "perditempo", era invece la riscoperta del tempo per il , per l’io, che spesso viene mortificato dalle incombenze della vita quotidiana.

    Quando guardo gli occhi perplessi e tristi di Elisa, che mi saluta alla porta augurandomi di trascorrere una buona giornata, penso che l’85–90% delle attività lavorative che svolgo potrei farle – con più profitto – seduto sul mio divano, in ciabatte e tuta, con la mia bimba che gioca in camera sua e che viene a chiedermi qualunque cosa le passi per la mente. Sarei in una situazione mentale sicuramente più serena, potrei fare queste attività in qualunque posto mi voglia trovare, basta soltanto avere un computer e una connessione a banda larga.

    Si potrebbe andare in ufficio soltanto quando serve e si risparmierebbero milioni e milioni di euro, tossine e stress.

    Ciò naturalmente non può e non deve valere erga omnes, bensì soltanto per quelli che scelgono un determinato tipo di vita perché non tutti stanno bene con se stessi a casa propria e ci sono molti che preferiscono invece andare in ufficio e trascorrere tempo fra i colleghi. Siamo ormai in un ciclo economico dove, se escludiamo le "fabbriche" nelle quali la presenza operaia è per forza di cose necessaria, la stragrande maggioranza dell’economia di servizi e di attività è remotizzabile.

    Viviamo infatti in un’era tecnologia che chiamerei post–telematica, un’era dove neanche un PC è necessario, basta uno smartphone o un tablet per collegarsi alla propria "nuvola" telematica: il mondo dell’informatica si sta infatti spostando tutto sulla rete, rendendo di fatto possibile qualunque livello di remotizzazione.

    Il successo dei dispositivi tattili costituisce la testimonianza più evidente di un mondo – quello della rete – che sta diventando sempre più un mondo "touch", dove gli strumenti di lavoro non sono più complicati, bensì intuitivi come i giochini per i bimbi di tre anni!

    Il problema si è quindi spostato verso la questione della sicurezza delle informazioni e della rete, e non il controllo fisico di dove si trovi un addetto. Il problema della sicurezza fisica di quest’ultimo, sebbene sia un tema spesso sbandierato da chi non vuole assolutamente sperimentare una virtualizzazione della postazione lavorativa, mi sembra superabile da una semplice contrattazione.

    Le resistenze culturali tuttavia sono enormi: da un lato citavo quelle persone che "scelgono" di trascorrere tempo in azienda, che amano alzarsi presto, mettere l’abito, prendere la macchina (o la moto) e trascorrere un’oretta sul mezzo (o su un bus), lavorare e stare a contatto per oltre 9 ore – pausa pranzo inclusa – con persone che non hai scelto e che ti devono piacere per forza, dato che ci devi passare tutto questo tempo insieme. Queste persone non riescono proprio a comprendere perché si facciano certe proposte.

    Sono talmente avvezze al sistema e inserite nell’ingranaggio che non riescono proprio a capire come possano esserci altri individui che abbiano altre esigenze e pensino in altro modo sul tema! Non riescono proprio a capacitarsi del fatto che ci sia qualcuno che voglia più tempo per sé e per pensare.

    Ma dall’altro ci sono resistenze che neanche credevo vi fossero: tre anni fa circa, prima che nascesse Elisa e quindi ben prima che scegliessi il Congedo Parentale per dedicarmi alla mia piccola, sottoposi, ai colleghi che all’epoca erano sindacalisti, una mia riflessione riguardo il telelavoro e ponevo ad esempio un grande giornalista, Vittorio Zucconi, che non solo fa l’inviato speciale permanente per la Repubblica da Washington ma è anche il direttore delle testate giornalistiche di Radio Capital e del sito repubblica.it.

    È quindi la persona che ha la responsabilità di una redazione giornalistica pur rimanendo a miglia e miglia di distanza e soprattutto a sei ore di fuso orario dal nostro Paese e che quindi avrebbe anche il compito di "controllare" i suoi collaboratori.

    Come ho già detto in precedenza non chiedevo una soluzione d’imperio per tutti bensì di cercare la strada per offrire ai dipendenti questa possibilità, affinché si potesse scegliere di telelavorare, così come si potesse scegliere di continuare ad andare in azienda.

    Ebbene la reazione di un collega, con un passato di sindacalista molto combattivo, fu molto deludente: mi rimbrottò dicendomi che se un lavoratore pensava ad una simile soluzione era meglio si andasse a ritirare in un monastero, perché il rischio del telelavoro consisteva nella alienazione del lavoratore.

    Rimasi – ricordo – basito: ma se uno lo sceglie – pensai – "mica poi dirà che è alienato! L’ha scelto!". Lo stesso ex sindacalista mi diceva che era rischioso un discorso simile perché le aziende potevano approfittarsi e rompere l’unità dei lavoratori.

    Quale unità poi, in quell’azienda, non l’ho mai capito!

    Un discorso simile lo feci ad un collega delle risorse umane. Pensavo infatti che se i sindacati facevano muro contro una proposta del genere, la controparte, l’azienda, i padroni, secondo la classica rappresentazione marxista–leninista, sarebbe stata d’accordo. E invece la doccia fredda: ragioni di sicurezza informatica, controllo, sicurezza sul lavoro e altre mille balle simili. Mi resi conto che in realtà padroni e lavoratori (o meglio rappresentanti dei lavoratori) ormai erano parti della stessa commedia (o tragedia), quella di un sistema economico che si regge su bolle finanziarie, immobiliari, tecnologiche, energetiche e che rifiuta un vero sviluppo sostenibile, mistificando la crescita economica con il benessere quasi come se i soldi facessero veramente la felicità.

    Neanche i rappresentanti dei più deboli si rendono infatti conto che la domanda di servizi pubblici non è altro che la richiesta di uno stile di vita più sobrio e più tranquillo, senza una corsa sfrenata a soddisfare tutti i bisogni che il giorno dopo saranno già dimenticati e soppiantati da altri bisogni da soddisfare.

    Anche negli Stati Uniti, massima espressione planetaria di un sistema economico e consumistico che sta ancora pagando cara sulla propria pelle la crisi economico–finanziaria del 2008, cominciano a farsi largo scuole di pensiero che teorizzano un altro possibile sistema economico, meno consumistico e più salutare.

    La mia piccola il prossimo settembre comincerà la sua avventura nel sistema scolastico: spero che almeno i suoi figli un giorno, potranno dirle "mamma, vai a lavoro oggi, non rimanere a casa!".

    Magari un giorno vivremo il paradosso opposto, che trascorriamo troppo tempo con i nostri figli che sono loro stessi che ci sbattono fuori casa!

    I veri cretini

    Amava spesso dire, Maurizio Costanzo, che la "mamma dei cretini è sempre incinta", specialmente quando i fatti di cronaca portavano alla ribalta eventi intollerabili per la coscienza umana. Me ne sono ricordato di questa frase quando ho letto la notizia che riportava il divieto a una gita da parte di un professore nei confronti di un ragazzo down.

    E ho pensato che mi piacerebbe molto incontrare questa preside, questa persona che si pavoneggia nella firma con il "prof" davanti al suo nome e cognome e le vorrei dire che se avesse un briciolo di dignità dovrebbe come minimo rassegnare le dimissioni, andare via dalla scuola, luogo principe dell’accoglienza e della cura degli altri, e dedicarsi ad altro.

    Perché il solo fatto di aver concepito una disposizione così nazista (perché soltanto questa parola mi viene in mente per descrivere tale obbrobrio) la fa inadatta a governare una scuola, luogo di incontro per tutti, indipendentemente dalle capacità "genetiche" che ciascuno di noi possiede.

    Come scrisse Vittorio Zucconi nel suo "Storie dell’altro mondo", come vorrei che a volte i giornali raccontassero soltanto balle!

    Un mondo parallelo

    Tra i vari esilaranti sketch di "Indietro Tutta", mitica trasmissione di Raidue della fine degli anni Ottanta, disponibili con facilità su Youtube, vi è quello nel quale un magistrale Massimo Troisi partecipa allo straordinario pezzo di satira televisiva nel quale il genio di Arbore e dei suoi autori, insieme con Nino Frassica, sembrano anticipare quello che oggi vediamo tutti i giorni: la rinuncia a qualunque verifica storica e di verità che possa contraddire ciò che la TV inonda ai telespettatori.

    Lo straordinario compianto Troisi commenta con un meraviglioso "se sta scritto Rossano Brazzi ... io ero proprio convinto di ..." essere Massimo Troisi!

    Lo dice la televisione, lo dice il regolamento!

    Oltre venticinque anni dopo, un altro genio della comunicazione televisiva, Alfonso Signorini, confeziona per il proprietario dell’emittente dalla quale trasmette, una splendida (televisivamente parlando, s’intende) intervista alla signorina del momento, Ruby Rubacuori, al secolo Karima El Marough.

    L’inquadratura in controcampo del giornalista, così contrito e partecipativo del dolore della ragazza marocchina, è un vero capolavoro di tecnica televisiva.

    Mentre il TG3 e il TG di Enrico Mentana confrontano quanto asserito dalla ragazza, marocchina con i dati dei verbali giudiziari su Canale 5 va in onda un altro spettacolo.

    Dopo il rinvio a giudizio di Berlusconi e la conseguente pubblicazione di tutti gli atti giudiziari sappiamo che nei verbali degli interrogatori Ruby dice tutt’altro! Ma lei imperterrita continua davanti alle telecamere – come avvenuto anche a Vienna – a confezionare l’altra verità, il mondo parallelo (un altro ancora, probabilmente, stando alle dichiarazioni che lei stessa rilasciò a Signorini).

    Perché come aveva detto Arbore all’ignaro Troisi "è la televisione che lo dice, il regolamento ... Tu sei Rossano Brazzi ... anche io credevo, per la somiglianza, che fossi Massimo Troisi ma non in una, in tutte e due le buste c’è scritto Rossano Brazzi!".

    Quel pezzo di satira TV sembrava inverosimile all’epoca della cosiddetta Prima Repubblica: adesso, nonostante il mondo intero abbia tutti gli strumenti per informarsi, in Italia abbiamo ancora le verità parallele, i mondi paralleli nei quali le carte giudiziarie, gli interrogatori, i verbali firmati dagli stessi indagati, persone lese, testimoni, funzionari di polizia, valgono zero se la televisione "afferma" la sua vera verità!

    E così il nostro Premier negli ultimi giorni della scorsa settimana ha partecipato ad una serie di eventi chiudendo con la stessa identica frase: "siete giovani e belli, vi invito al Bunga–Bunga, che sapete significa bere qualcosa, ballare e ridere in modo sempre decoroso". Poco importa se ci sono ragazze che hanno raccontato altro, l’hanno verbalizzato e saranno chiamate a testimoniare. Ciò che è veramente importante è far passare all’informazione televisiva un’altra realtà e un’altra verità. Per tranquillizzare poi i fedelissimi ecco il quotidiano di famiglia, il Giornale, che pubblica un articolo meraviglioso (sempre da un punto di vista di disinformazione).

    E lo si trova immediatamente persino su internet e non viene riservato ai soli abbonati, come solitamente si fa con quelli più importanti per "forzare" l’acquisto da parte del cliente.

    In barba a qualunque legge di mercato qui l’articolo viene dato gratis a tutti, con la speranza – magari – che la raccolta pubblicitaria su internet compensi un tantino la mancanza di "acquisti". D’altronde è troppo importante questo presunto gol segnato dal Presidente del Consiglio. Ecco un estratto:

    "… abbiamo la prova che Ruby è stata registrata all’anagrafe marocchina due anni dopo la sua nascita … una prova che presenteremo durante il processo … anche a credere alle accuse inverosimili della procura di Milano non ci sarebbe alcuna ipotesi di reato … perché significherebbe che quando Ruby ha messo per la prima volta piede ad Arcore era già di fatto maggiorenne da tempo. Ed è anche per questa ragione che nelle sue chiacchierate private il capo del governo ostenta sicurezza e si dice sicuro che alla fine ancora una volta si risolverà tutto in una bolla di sapone. Nonostante nel suo entourage ci sia chi predica prudenza, perché per quanto possano essere accurate le indagini difensive – che pare siano sbarcate anche dall’altra parte del Mediterraneo – c’è comunque da mettere in conto un’oggettiva difficoltà di reperire materiale e documentazione risalente a quasi venti anni fa in un Paese come il Marocco".

    Ecco quindi il colpo grosso: un documento di venti anni fa che prova che la ragazza nacque due anni prima della sua effettiva registrazione all’anagrafe.

    D’altronde come confutare ad esempio tale prova? Anche mia nonna nel 1922 anziché essere registrata a dicembre fu dichiarata nata soltanto alla fine di gennaio del 1923 e lo stesso accadeva per moltissime persone dell’epoca, poiché l’ostetrica, che andava a casa per aiutare nel parto, "accumulava" tutti i dati e poi li portava all’anagrafe.

    E la memoria della mammana spesso faceva cilecca!

    Vuoi che il Marocco di venti anni fa non fosse come l’Italia del 1922?

    Dunque l’altra verità, ad uso e consumo dei telespettatori, per fare da contraltare alla versione ufficiale dei giudici comunisti che avranno sicuramente estorto qualche confessione a questa "problematica" ragazza (l’aggettivo è della Minetti durante l’interrogatorio ai PM di Milano).

    Così come viene continuamente ribadito in tutte le sedi che il Presidente del Consiglio fosse veramente convinto che lo zio di Karima fosse l’ex presidente egiziano Mubarak, tanto da averne chiesto anche a lui chiarimenti durante una visita ufficiale in Italia. Poco importa che la ragazza abbia dichiarato e verbalizzato che fu tutta un’idea di Berlusconi: chi si legge 800 pagine di carte? Basta un passaggio di trenta secondi in TV e zac! Ecco la verità!

    D’altronde durante una delle solite telefonate a Floris Berlusconi ammonì il giornalista dicendo una – quella sì – verità: che lui conosce veramente la televisione e i suoi meccanismi. Di questo ne siamo certi: non credo infatti ci possa essere qualcuno in Italia che possa realmente competere su quel terreno, sia per le competenze che per le capacità tecniche e finanziarie, con Silvio Berlusconi.

    Ed è proprio questo il vero aspetto tragico del conflitto di interessi: che si possa confezionare una realtà parallela, far vivere tutti gli abitanti della nostra penisola non più come cittadini bensì come spettatori di una soap opera, di uno sceneggiato, confezionato per far sì che non venga disturbato il sonno di tanti che rinunciano ad informarsi.

    Mentre in tutto il mondo la rete, con Facebook e Twitter, aiuta i popoli oppressi a scardinare i regimi nel nostro Paese il popolo assonnato si accontenta della verità confezionata da Minzolini e Mimun, forse per evitare lo sforzo di trovare altre informazioni, perché la ricerca della verità non è mai indolore, né senza fatica. È un processo di partecipazione, di studio, di ricerca: noi preferiamo le due buste del notaio di Indietro Tutta e quindi arriviamo anche a dubitare della nostra identità, come il grande Troisi cede all’evidenza di essere Rossano Brazzi.

    Il popolo ebraico era finalmente riuscito, dopo l’esodo dall’Egitto, a raggiungere la Terra Promessa: noi abbiamo finalmente raggiunto la Terra dei Cachi, trasformando non solo le tragedie ma anche le commedie in terribili farse.

    Caciara

    Tra molte espressioni romane che mi piacciono e che ahimè fanno ormai parte del

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